ritorno

La Pet Therapy e pazienti con grave disagio psichico

(intervento del dott. Ezio Cristina)

L’esperienza nel Dipartimento di Salute Mentale di Collegno

Nel Dipartimento di Salute Mentale 5-B di Collegno (Torino) vengono utilizzate diverse tecniche rivolte a pazienti con disagio psichico quali, musicoterapia, teatro-terapia, cinematerapia ecc. È quindi importante chiedersi per quale motivo si invia un paziente ad un gruppo o a un altro.

Ci si chiede allora a che cosa è legata la terapeuticità di una tecnica. Forse al mo-dello di riferimento della tecnica? Forse al metodo con cui si struttura l’équipe di lavoro?

Non si può negare che oggi le scienze psichiatriche, psicologiche e sociali stiano attraversando una sorta di rivoluzione scientifica, quindi ci si chiede se davvero siano sempre validi i metodi di lavoro che utilizziamo. Forse utilizziamo dei metodi di lavoro si validi, ma solo parzialmente.

Durante un recente convegno di farmacologia, due eminenti rappresentanti della psichiatria italiana hanno sostenuto in modo ironico e provocatorio di avere trovato un nuovo farmaco, l’Aloperidolo, dimostrando scientificamente con dati della lette-ratura nazionale come tale farmaco, nella dose di 0.5 mg, funzioni benissimo, ma da qualche anno si parla solo di altri farmaci. Forse non si tratta di un problema di via dopaminergica o di recettore, ma del modo in cui si somministra il farmaco.

La stessa psicoanalisi, un tempo era rigidissima nel setting, adesso si sta aprendo, riconosce la necessità di un setting più flessibile, inizia a parlare di campo allargato, di empatia. Fino a qualche anno fa l’analista non avrebbe mai parlato con la famiglia dell’utente, ora riconosce l’utilità di coinvolgere i familiari nell’intervento.                                                                                                                                  

In psichiatria, si inizia a parlare di integrazione; ma l’integrazione è un concetto complesso: noi spesso osserviamo una sommatoria di interventi che a volte intera-giscono; il problema è invece arrivare ad integrarsi.

Oggi la psichiatria si trova sempre più a confrontarsi con modelli diversi, ma se noi enfatizziamo troppo un modello ne perdiamo per forza un altro. Occorre tenere sempre in considerazione che ogni modello seppur valido è comunque parziale. Al momento, non esiste un “supermodello” che unifica tutti quelli esistenti, ognuno ha una propria autonomia di linguaggio e di metodo.

Spesso si utilizzano, per spiegare il concetto di integrazione, le parole del dott. Monaco che negli anni ’60 usava l’esempio del carillon. Tale strumento è composto da una manovella, un cilindro, dei dentini, una cassa armonica, una molla e questo insieme produce una melodia.

Se pretendo di fare melodia utilizzando solo la manovella, la molla o i dentini, otterrò del rumore, dei suoni, ma non una melodia. Integrazione significa utilizzare insieme le diverse parti del carillon.

Possiamo iniziare a pensare la psichiatria come un insieme di modelli che si integra-no, ma dobbiamo tenere conto che talvolta i nostri utenti fanno riferimento a 7-8 operatori con caratteristiche di formazione e personali differenti. L’integrazione verticale dei vari modelli di lavoro non è sufficiente, è necessaria un’unione trasversale. Questo progetto è nato dall’osservazione di un’educatrice del nostro dipartimen-to che disse: “Avete osservato come mangiano i nostri pazienti?”. I nostri pazienti non mangiano, divorano, ingoiano pezzi di cibo e non assaporano nulla. Anche la loro vita è così: essi non riescono a fermare le emozioni. Agiscono come se ciò che pensano e vedono non fossero collegati all’affettività. Questo è il meccanismo dell’isolamento.

In realtà in tutte le tecniche che utilizziamo i pazienti esprimono, toccano e vivono  delle emozioni, ma è come se non potessero riconoscerle e fermarle. Un aspetto importante di questa tecnica è stato il fatto che si è lavorato – tutti insieme – medici, psicologi, educatori, terapisti della riabilitazione. La macchina fotografica era usata da tutti, insieme si cercavano le foto più emotive, così anche il paziente poteva dire di aver provato un’emozione.

Dalla collaborazione tra l’associazione “Diamoci una zampa” e il Dipartimento di Salute Mentale 5-B è nato un progetto di Pet Therapy suddiviso in tre parti, di cui due già attuate e la terza appena iniziata.

La prima parte del progetto è costituita da otto incontri di attività assistite dagli animali che si sono svolte presso i giardini della Certosa Reale di Collegno per otto martedì consecutivi dal mese di maggio al mese di luglio. La seconda parte si è svolta a Balme, nelle Valli di Lanzo. La terza parte di questo progetto è caratterizzata della terapia assistita dagli animali che si prefigge degli obiettivi più specifici sui singoli pazienti.

Per questa attività è stato scelto il cane per diversi motivi.

 

Il cane è un animale molto socievole. Stimola la socializzazione sia tra i pazienti, sia  tra pazienti e operatori e quindi può allargare a poco a poco il cerchio della socializzazione.

 

Offre all’uomo un amore incondizionato a dispetto dell’apparenza, dell’età, della salute e del livello socio-economico, ci accetta per quello che siamo senza avere la presunzione di cambiarci.

 

Infonde sicurezza e calma, sconfiggendo ansia e solitudine

 

E’ facilmente addestrabile

 

E’ fedele

 

E’ capace di dare supporto morale

 

Si può scegliere un cane ideale per ogni tipo di persona, in base alle sue caratteristiche fisiche e caratteriali.

 Tutte queste caratteristiche fanno del cane un animale capace di aiutare disabili sia fisici che psichici.

Vediamo ora più dettagliatamente la parte del progetto, gli otto incontri che si sono svolti a Collegno. Per questa attività sono stati selezionati otto pazienti della Comunità Terapeutica Bonacossa, sette dei quali hanno seguito tutti gli incontri. Di questi sette, tre hanno partecipato al gruppo solo dopo sollecitazione, mentre quattro di loro spontanea volontà.

Sono stati somministrati loro dei test psicologici, che avevano lo scopo di indagare diverse aree della persona: psicopatologia, funzionamento sociale e relazionale, aspetti cognitivi e capacità fisiche. I test somministrati prima di iniziare l’attività e al suo termine sono: BPRS, CHAPS, SGA, SBS, DIS, SANS e SABS per i sintomi positivi e negativi della schizofrenia.

Nel progetto sono stati suddivisi gli obiettivi in due tipologie: per gli operatori e   per i pazienti. L’obiettivo individuato per gli operatori è stato l’osservazione. In primo luogo per poter verificare le modalità relazionali dei pazienti con i cani, le loro attitudini e i loro bisogni; poi per poter pensare alla partecipazione al soggiorno; infine per pro-grammare il passaggio alla terapia assistita dagli animali e infine per creare progetti individuali adatti alle qualità e alle esigenze del singolo.

Gli obiettivi individuati per i pazienti sono stati: avvicinarsi all’animale (avvenuto in modo spontaneo e naturale), mettersi in gioco, sperimentare ri-sperimentare (per chi già ha avuto un animale da compagnia) la semplicità e la spontaneità della relazione con il cane.

Gli incontri del gruppo Pet Therapy, svolti presso i giardini della Certosa di Collegno, iniziavano verso le dieci del mattino e duravano circa un’ora e mezza. Partecipavano sempre gli stessi animali, ma a rotazione. L’attività vera e propria era caratterizzata da passeggiate, percorsi di agilità, chiacchierate sulle razze, sulle qualità specifiche dei cani, toelettatura dei cani e coccole.

Al termine di ogni seduta gli operatori stilavano una breve relazione sull’andamento dell’attività, individuando problematiche e movimenti del paziente (per movimenti si intendono le dinamiche positive e negative che si possono instaurare durante il contatto con gli animali). Tali dinamiche ci rappresentano qualcosa del mondo interno del paziente. Se sono positive rappresentano spunti su cui lavorare e inve-stire energie riabilitative. Se sono negative indicano un disagio che il paziente sta cercando di comunicare.

Purtroppo non tutti i pazienti si sono rivelati “idonei” all’attività con i cani. Alcuni infatti hanno dimostrato con diverse modalità il loro disinteresse con ritardi, allon-tanamento dal gruppo durante l’incontro o semplicemente manifestando distacco e indifferenza.

In base ai risultati dei primi incontri sono stati selezionati cinque pazienti per la partecipazione al soggiorno a Balme.           

Anche l’obiettivo del soggiorno era l’osservazione, ma lo scopo era il raggiungimento di un livello più profondo di conoscenza sia da parte degli operatori sia da parte dei pazienti.

Durante il soggiorno gli operatori passavano tutta la giornata con gli utenti, non solo il tempo dell’attività. Per questa ragione è stato più facile discutere delle emozioni vissute durante l’attività, riviverle, rielaborarle e fissarle durante il momento della restituzione pomeridiana con la psicologa e psicoterapeuta.

È stato inoltre possibile valutare l’impatto della presenza dell’animale sulla qualità della vita degli utenti, ad esempio sulla riduzione dello stress, sul maggior rispetto delle regole – come la diminuzione del numero di sigarette fumate o il lavarsi quo-tidianamente – che anche in comunità avviene, ma in seguito a richieste ripetute.

Gli obiettivi principali del soggiorno per i pazienti sono stati: sperimentare, esplorare, conoscere più in profondità l’universo degli animali e delle relazioni che si sareb-bero instaurate con loro, per diventare consapevoli delle loro qualità rivitalizzanti, socializzanti e del fatto che il rapporto con gli animali può trasmettere benessere psicofisico.

Prima del soggiorno si era ipotizzato che gli effetti benefici della pet therapy sareb-bero potuti non emergere o perdersi nell’indifferenza. Al contrario, tutti i pazienti hanno reagito all’attività a cui sono stati sottoposti. La giornata era divisa in due momenti: al mattino era prevista l’attività assistita dagli animali, al pomeriggio il “gruppo foto” con la restituzione finale.

Durante la mattina gli operatori si dividevano in due gruppi, uno partecipava atti-vamente all’attività con i pazienti, l’altro osservava. La partecipazione attiva degli operatori aveva la finalità di far prendere coscienza agli utenti delle difficoltà e dei limiti che tutti abbiamo, che nessuno è perfetto – tantomeno l’operatore. Il gruppo degli osservatori esterni, definito gruppo “Acquario”, era dotato di macchina foto-grafica. Il nome del gruppo deriva dal fatto che i componenti, come gli osservatori di un acquario, vedono i pesci muoversi al suo interno ma non possono interagire. Ogni operatore trasmetteva tramite l’immagine che cosa una certa persona o situa-zione aveva stimolato in lui/lei in quel momento, fissando un istante che sarebbe altrimenti fuggito per sempre. Le attività non erano sempre le stesse: si poteva fare una camminata per un sentiero di montagna, nel paese o ci si fermava nel giardino della casa.                                                                                                          

Nel pomeriggio venivano raccolte le emozioni vissute durante la mattinata, attraver-so il supporto fotografico e visivo che aiutava molto i pazienti a collegare un pensiero astratto a uno concreto. Durante questa attività cercavamo di rivedere emozioni provate, di riviverle e permettere alla persona di riconoscerle come proprie, di rie-laborarle, di riposizionarle e fissarle. Si mostravano le foto scattate durante l’attività del mattino, si chiedeva ai pazienti di scegliere la foto che aveva particolarmente significato per loro. Le foto selezionate erano appese su cartelloni a cui venivano aggiunte delle frasi significative che ogni paziente esprimeva circa le emozioni provate nella giornata. La restituzione finale permetteva ogni giorno di lavorare su temi diversi ad esempio la cura del sé, utilizzando il cane come uno specchio.

Durante questi incontri si è anche parlato dell’importanza dell’esercizio fisico e di sentimenti come gelosia e invidia. Una paziente, ad esempio, aveva ammesso di aver invidiato un compagno del gruppo più fotografato di lei durante una giornata. Con lei si è perciò lavorato facendola riflettere sul fatto che non comparire nelle foto non significa non aver partecipato all’attività e sull’importanza di lasciare spazio agli altri.

Abbiamo quindi visto la positività di questa modalità di approccio rispetto agli utenti. Sicuramente lo è stata per gli operatori !

 Biografia

DSM 5B. Università degli Studi di Torino. Direttore: Prof. P.M. Furlan.Il DSM 5B si occupa da quasi venti anni anche di modalità terapeutiche espressive nelle sue svariate e articolate forme.

DSM5B@ASL5.PIEMONTE.IT

ezio@eziocristina.it

ezio115@interfree.it