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L’UNITA’ TERAPEUTICA DIURNA

 Nel 1984 si constatava una stasi molto consistente nel processo di superamento dell'O.P. fino ad allora molto vivace poiché aveva portato alla chiusura di molti reparti  ed all'apertura di molte comunità nell’Area socio‑sanitaria.

Da allora in poi, non solo i reparti ma anche le comunità non riuscivano a immaginare situazioni diverse e slegate dall'O.P.

La strada percorsa fino ad allora era limitata al fatto di togliere dai reparti le persone più autonome ed inserirle in comunità: mancava totalmente la tappa successiva, cioè l'inserimento di queste persone e di queste comunità sul territorio.

Intatti sia i reparti che le comunità dell'area socio‑sanitaria sono stati disinvestiti di ogni progetto per cui ogni strada per il superamento si è bloccata.

A questo punto si prende coscienza che è necessario rompere la diade medico‑infermiere, fattore di staticità, inserendo nei reparti le nuove figure professionali degli Educatori, a condizione che essi siano saldamente collegati a progetti di superamento dei reparti, "altrimenti si corre il rischio di rafforzare semplicemente la tendenza alla staticità”

Si sostiene inoltre che è necessario creare un “Gruppo di lavoro" con una sua omogeneità ed una intenzionalità propria, che gli consenta quindi di non perdere di vista l'obbiettivo del superamento dei reparti.

Dopo queste premesse, che stabiliscono la specificità della figura dell'Educatore e la necessità che operi in modo autonomo, si sostiene l'esatto contrario, per cui si afferma che é necessario "amalgamare le diverse figure professionali integrando differenti esperienze e culture (educatori ed infermieri), si afferma che la divisione del lavoro tra i due gruppi dovrà essere minima, che, con l'eccezione dei momenti strettamente sanitari, gli educatori e gli infermieri dovranno provvedere all'igiene del paziente, al cambio della biancheria, alla distribuzione dei pasti, coordinati dal capo sala”.

Si sostiene inoltre, a proposito di formazione degli educatori, che "venga data al personale infermieristico la possibilità di parteciparvi.

In questo documento, firmato dalla dott.ssa Paola Ferrino dal dott. Maurizio Desana, vengono quindi poste le premesse di una notevole confusione dei ruoli tra categorie del tutto diverse e con mansioni diverse, le cui conseguenze si fanno sentire ancora oggi.

Nel 1985 il dott. Villata, medico primario del reparto 3, commentando l'attività degli educatori inseriti nel suo reparto, sosteneva che i 12 educatori, ridottisi poi a 9, avevano lavorato bene e con impegno, purtroppo con pochi risultati sul piano riabilitativo a causa del grave deterioramento dei soggetti loro affidati. Rispetto all'ipotesi di costituzione di una comunità diurna fuori dal reparto, ritiene trattarsi di “un esperimento da considerare con favore”.

Sempre nel 1985 gli educatori elaboravano una “relazione relativa all'inserimento degli educatori nei reparti" in cui chiariscono gli obbiettivi da loro perseguiti: l'inserimento nella quotidianità del paziente, attraverso una azione concernente l'igiene personale e l'assunzione dei pasti, il controllare e rifare i letti, cercando attraverso questi momenti. di entrare in sintonia con i degenti, ed una azione di tipo riabilítativo e risocializzante con attività all'interno del reparto (dialogo, giochi, teste, lettura, scrittura e disegno) ed all'esterno (passeggiate, utilizzo di locali pubblici, mostre, attività del Centro Sociale ed attività di teatro).

Questo insieme di interventi ha permesso agli educatori di individuare un gruppo di persone suscettibili di essere preparate a vivere in una comunità: per valutare meglio tali possibilità è stato proposto un soggiorno di una settimana con otto pazienti.

Alla fine del medesimo anno il risultato di ripensamenti e riflessioni viene espresso in una "Revisione critica del servizio svolto in reparto e nuovo programma di lavoro".

In questo documento si afferma che l'esperienza acquisita nel primo anno di lavoro rischia di fossilizzarsi, per cui il ruolo dell'educatore può perdere i suoi connotati. nell'immobilismo e nell'appiattimento della vita di reparto.

Si insiste sul fatto che in reparto l'educatore rischia di, occuparsi solo ed esclusivamente di una migliore pulizia del paziente e quindi di ritrovarsi "imbrigliato nelle reti di quella paralizzante passività insita nella routine dei reparti".

E’ chiaro, si afferma successivamente, che è importante migliorare la vita dei pazienti all'interno dei reparti, ma è molto più importante e consono al ruolo dell'educatore ristabilire i legami col mondo esterno, superare la rigida struttura della vita manicomiale e tentare di recuperare le abilità sociali che la vita nell'istituzione ha gravemente danneggiato.

Per realizzare queste finalità gli educatori propongono che venga loro affidata la gestione di una comunità diurna, affinché il gruppo dei degenti del reparto 3 possa vivere l'intera giornata all'esterno della sezione, perché “il luogo elettivo in cui realizzare una serie di attività riabilitative e risocializzanti si può configurare solo al di fuori della routine del reparto",,

Viene quindi proposta la creazione della Comunità diurna U.T.D. Odeon con 9 pazienti del reparto 3, nei locali dell'ex reparto 21. Obiettivi dell'U.T.D. sono un lavoro di risocializzazione e di riabilitazione preparatorio alla vita di comunità per quei pazienti che non sono in grado di passare direttamente dal reparto alla comunità; l'U.T.D. voleva quindi. configurarsi come una sorta di "day‑hospital" che avrebbe potuto offrire in futuro un simile servizio anche a degenti di altri reparti.

Si giunge così alla deliberazione del Comitato di gestione n° 1436 del 19 dic 1985 (Costituzione di Unità Terapeutica Diurna‑Approvazione attività e impegno di spesa per il 1986).

In questa deliberazione il Comitato di gestione recepisce tutte le considerazioni espresse nella relazione suddetta ed autorizza "la costituzione di una Unità Terapeutica Diurna nell'ambito dell'Ospedale psichiatrico di Collegno, per lo svolgimento di attività di risocializzazione e di riabilitazione da parte di un gruppo di nove educatori per l'inserimento in una comunità di nove pazienti del reparto 3/18".

Nell'86 il parere del dott. Villata (primario del reparto 3/18) é negativo: "si può affermare che l'opera degli educatori ha vivacizzato la maggior parte dei soggetti ed ha fatto emergere residue capacità relazionali, ma il rapporto impegno/risultati è molto alto e, a mio parere, nessuno è in grado di vivere senza inconvenienti in una comunità non protetta... Pertanto la continuazione dell'attività degli educatori deve essere considerata soltanto un esperimento".

Sempre nel 1906, ad ottobre, viene presentata ai medici del reparto ed al direttore dell'ospedale una “Revisione del servizio sinora svolto, situazione attuale e prospettive future" (un anno dopo la costituzione dell'U.T.D.).

In questo resoconto si fa notare che tutti gli utenti pur nelle loro differenze individuali hanno acquisito abilità notevoli per quanto riguarda l'alimentazione I’abbigliamento e l'igiene personale, hanno raggiunto l'abitudine a comportamenti socialmente più accettabili e partecipano attivamente alle iniziative previste nei progetti individualizzati.

Al di là dei pareri discordi dei medici (vedi sopra il parere del dr Villata), si ritiene che oltre all'ospite già inserito in Casa Albergo, almeno altre 4/5 persone possono essere inserite in comunità.

Si sottolinea sempre la cronica difficoltà di rapporto con gli infermieri di reparto, per i quali ogni attività dell'educatore è destinata al fallimento e comunque è futile e degna di critica.

Si relaziona inoltre sul lavoro di osservazione svolto nel reparto 4 per reperire nuovi eventuali utenti del servizio dell'U.T.D., nell'ipotesi di un suo ampliamento.

Si insiste infine sul compito istituzionale di questo servizio inteso come strumento di superamento dell'istituzione manicomiale e quindi di superamento dei reparti: l'inserimento dei degenti in situazioni di comunità e quindi servizio di “passaggio" in preparazione alla vita in comunità. Per questo motivo si fa strada l'idea che l'U.T.D. non debba essere più considerata un servizio del reparto 3/18, ma debba avere più larga autonomia occupandosi di utenti provenienti anche da altri reparti e di utenti già inseriti nelle comunità, con i quali sarebbe impensabile troncare ogni rapporto già stabilito.

Nel 1987, a gennaio, una nuova relazione (“Pogramma di lavoro per il 1987 e problemi aperti") ribadisce il concetto fondamentale che l'U.T.D. è un servizio che ha lo scopo di preparare gli utenti alla vita in comunità o comunque in strutture alternative al vecchio reparto psichiatrico: in questo senso l"U.T.D. vorrebbe configurarsi, attraverso questo lavoro di. risocializzazione e riabilitazione, come una struttura diversa dalle altre esistenti, come una sorta di Day‑hospital aperto non solo per i degenti di un unico reparto, ma anche per altri reparti, sempre con l'obbiettivo di superare i reparti medesimi attraverso l'inserimento degli utenti in strutture comunitarie.

Purtroppo gli educatori si scontrano con una realtà molto frustrante, già da loro vissuta agli inizi della loro attività in reparto: alla “paralizzante passività della vita in reparto, l'immobilismo e l'appiattimento della vita in reparto", si sostituisce la medesima situazione a livello di area socio‑sanitaria, altrettanto rigida e sclerotizzata, per cui la frustrazione degli educatori nasce dalla "impossibilità di. sistemazione di quegli utenti che già potrebbero vivere in comunità", per cui mentre da una parte esiste la difficoltà ad operare dimissioni, dall'altra si assiste alla impossibilità di reperire posti nelle comunità dell'area, per cui pur essendo i degenti pronti a trasferirsi dal reparto alla comunità, il reparto non vuole dimetterli e la comunità non vuole accettarli.

E mentre gli educatori continuano a lavorare con i pazienti insegnando loro la gestione del quotidiano (attività relative all'alimentazione, all'igiene e cura della persona, all'utilizzo del denaro), attuando interventi di tipo occupazionale con attività riabilitative libere o programmate, accumulano ed esprimono sentimenti di delusione, impotenza e solitudine di fronte alla impasse in cui sono venuti a trovarsi e dichiarano che il loro impegno non può essere svolto senza il coinvolgimento di altre figure professionali, che collaborino con l'educatore nella realizzazione dei vari livelli di programmazione, attuazione. coordinamento, supervisione del lavoro svolto.

Il Comitato di gestione conferma nella deliberazione n° 23 del 5/2/1987 (U.T.D.‑ Approvazione attività ... per l'anno 1987) ribadisce la “validità di un intervento assistenziale effettuato da educatori, interpretato in senso riabilitativo e integrato con interventi risocializzanti, tendente alla preparazione dei degenti alla dimissione e all'inserimento in comunità".

Così anche nella deliberazione n° 1655 del 3/12/1988 ("U.T.D.‑ Approvazione attività ... per l'anno 1988") il Comitato di gestione, oltre a riconfermare che il fine dell'U.T.D. è "la preparazione dei degenti alla dimissione e all'inserimento in comunità", sostiene che l’U.T.D. costituisce un nuovo modello metodologico e organizzativo di attività assistenziale riabilitativa e risocializzante”.

Nel frattempo, per rispondere all'esigenza degli educatori di poter collaborare con altre figure professionali e per verificare la possibilità concreta di uscire dall'impasse in cui erano venuti a trovarsi, dal settembre 1987, la responsabilità del servizio era stata affidata dal medico Direttore dott. Gandiglio, allo psicologo dott. Giorgio Tribbioli.

In base ad una riflessione sull'attività dell'U.T.D. si esprimono alcune considerazioni :

‑ non si ritiene corretto un intervento a favore di un unico reparto, privando del medesimo servizio altri degenti che potrebbero trarne giovamento.

‑ si ritiene che le finalità espresse sono illusorie ed ambigue, poiché mentre si dice di lavorare per l'inserimento dei degenti in comunità, le comunità disposte ad accettarli non esistono, così come è ambigua la volontà di dimettere i degenti da parte del reparto.

‑ l'U.T.D. si è trasformato in una comunità diurna che da anni si occupa degli stessi degenti, privando altri di un servizio cui avrebbero diritto.

Si ritiene pertanto indispensabile

‑ attuare per ogni utente un progetto preciso  e individualizzato per il recupero delle sue potenziali abilità.

‑ modificare la finalità del lavoro degli educatori, che dovrebbe trasformarsi in un intervento mirato al recupero delle capacità residue dei degenti in funzione della loro autonomia e non solo la preparazione alla vita in comunità che potrebbe anche non esistere.

‑ maggiore flessibilità nell'intervento degli educatori, finalizzato alle reali esigenze dell'utente e non alla sua custodia.

La finalità ultima del lavoro degli educatori resta sempre e comunque il superamento dell'istituzione manicomiale e quindi dei reparti, ed anche il superamento delle vecchie comunità dell'area socio‑sanitaria, qualora possano essere reperite soluzioni alternative sul territorio..

In base a tali riflessioni, si afferma che l'U.T.D. non debba più essere il posto dove soggiornano alcune persone di un unico reparto gestite dagli educatori, ma al contrario l'Unità Terapeutica Diurna deva consistere nel gruppo degli educatori che seguono delle persone con dei progetti precisi, chiaramente formulati e concordati con i medici dei reparti.

Il servizio inoltre non deve essere rivolto ad un unico reparto, e neppure ai reparti, bensì alle persone che ne hanno bisogno, indipendentemente dai reparti di provenienza.

Per un elementare principio di continuità di intervento è anche necessario che gli educatori possano continuare a seguire i loro utenti, una volta inseriti in comunità, nelle comunità medesime.

Si giunge così alla deliberazione n° 1362 del 15/9/1988 ("Unità Terapeutica Diurna ‑ Variazione ambito di attività") in cui vengono dal Comitato di Gestione recepite le considerazioni suddette e l'ambito di attività del gruppo di educatori viene trasferito dal reparto 3/18 all'Area Socio‑Sanitaria di Collegno.

 Dottor Giorgio Tribbioli

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