PROBLEMI RELATIVI
AL SUPERAMENTO
DEGLI OSPEDALI PSICHIATRICI
Dr.Giorgio Tribbioli - 19/10/87
Come in Italia ferve un aspro dibattito tra sostenitori ed oppositori della legge, così all'estero la Riforma psichiatrica italiana suscita talvolta un interesse positivo (Acta Psychiatrica Scandinavica) e talvolta negativo (British Journal of Psychiatry). In generale si distinguono una fase propositiva della nuova psichiatria italiana durata fino alla morte di Basaglia ed una successiva fase di fallimento. Sulla stessa rivista inglese è stato pubblicato nell'85 un articolo in cui sono riportati i dati riguardanti l’area metropolitana di Torino, sono stati ricostruiti i percorsi dei pazienti dimessi dal'O.P., come strumento per verificare l'efficacia della Riforma Psichiatrica e viene sottolineato che tra i problemi maggiori riscontrati in Piemonte è da porsi lo stato di abbandono dei pazienti cronici per i quali niente e' stato previsto.
Non che in Inghilterra le cose vadano meglio: a Sheffield coesistono, secondo una recente indagine, esperienze di rinnovamento insieme ad esperienze arretrate (es: 3000 lobotomie e 200.000 elettroschock all'anno).
Per quanto riguarda l’Italia voglio citare un'indagine sull’assistenza psichiatrica a cura della Commissione Sanità della Camera dei Deputati dell’85, in cui si rileva che gli 00.PP. hanno ancora in carico circa 80.000 pazienti e non possono essere chiusi a causa della mancanza di strutture alternative, i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) sono realizzati in modo troppo eterogeneo, i servizi territoriali sono, salvo rare eccezioni , praticamente inesistenti e le regioni non riescono a concretizzare le indicazioni che sono state date.
In tutto il mondo l’0.P. e' ancora la struttura portante delle varie assistenze psichiatriche ma diversi tentativi di deospedalizzazione sono stati attuati nei paesi più progrediti. Sarebbe quindi necessario conoscere e valutare i vari processi di deistituzionalizzazione realizzati altrove e le loro numerose contraddizioni.
Il problema centrale dell'abbandono o della neo-istituzionaiizzazione in strutture povere è affrontata neIla Germania occidentale dove un sempre più gran numero di pazienti deospedalizzati sono abbandonati in situazioni precarie e necessitano di alloggio ed assistenza adeguata.
In California si parla di abbandono dei cronici, disorganizzazione dei servizi, bassa qualità degli interventi. Si propone di individuare i destini dei pazienti dimessi, prendere coscienza dell'esistenza di quei cronici the non potranno mai recuperare livelli sufficienti di autonomia, indagare sulle prestazioni delle comunità alloggio, costruire adeguati strumenti di controllo verificare l'impatto della deistituzionalizzazione sul le famiglie per creare strumenti di sostegno e sollievo per chi si fa carico dei malati. Si notano inoltre contraddizioni tra la teoria e la pratica: allo sviluppo notevole di prospettive teoriche , di tecniche di intervento, di possibilità di valutazione e formazione , corrisponde una situazione concreta caratterizzata da scarsa accessibilità dei servizi e demotivazione degli operatori del settore pubblico. Sempre negli U.S.A.,l’alternativa all'ospedalizzazione psichiatrica si e' tradotta in abbandono o in nuova istituzionalità ancora più misera: gli ospedali psichiatrici rischiano di essere ancora utili in quanta mancano reali alternative ad essi e soprattutto in quanto alla massiccia deospedalizzazione è corrisposta una pianificazione grossolana e inadeguata dei servizi (American journal of Psychiatry - Hospital and Community Psychiatry) .
E' evidente che l'alternativa all'internamento in O.P. non può essere una struttura fisica ma una rete complessa di opportunità sociali, psicologiche e mediche adeguate a rispondere ai bisogni dei pazienti.
E' chiaro che nel programma di dimissione di un paziente da un O.P. è necessario individuare la struttura residenziale più adatta ai suoi bisogni: comunità con finalità terapeutiche, con finalità riabilitative o con finalità solo alloggiative, ed un livello di protezione adeguato.
I problemi non mancano e di fronte ad essi si scontra l'operatore che si trova concretamente di fronte ai bisogni dei pazienti , bisogni che esigono una risposta che sovente non può essere data.
Nella nostra realtà, una delle prime difficoltà è stata lo scontro con l'ideologia: e' ovvio che, come e' ingiusto chiudere dentro le mura dell'istituzione 5.000 persone in nome di una ideologia, è altrettanto ingiusto non prendersi più cura di nessuno in virtù di un'altra ideologia; è invece necessario rispondere ai bisogni di ognuno, bisogni che sono ovviamente diversi; nel caso dell'individuo ospedalizzato e' necessario saper attendere che maturi in lui la forza sufficiente per avere il coraggio di uscire in una realtà che sovente è vissuta come più pericolosa e negativa delle protettive mura dell'istituzione medesima. Identificare nell'istituzione il male del mondo e deporre il bene nel territorio ha portato a gravi storture che hanno danneggiato molte persone. Così ho visto negare la realtà delle lesioni cerebrali negli insufficiente mentali e proclamare che il loro stato era dovuto esclusivamente alla loro precoce istituzionalizzazione, e ho sentito affermare che chi soffre di delirio di persecuzione ne soffre perché è stato perseguitato dall'istituzione, per cui la cura miracolosa consiste semplicemente nel portarlo a passeggio e in trattoria.
Di fronte ad atteggiamenti di questo genere, in cui si tende a negare la realtà, chi lavora a stretto contatto con i pazienti si sente impotente e svilito , anche perchè non capisce se esiste ignoranza o malafede: come quando per esempio i 60 bambini insufficienti mentali grayissimi nei primi anni del '70 furono giustamente liberati , salvo poi, una volta cresciuti, essere nell'indifferenza generale smistati in istituti privati o riportati in manicomio dove vivono tuttora; o come quando si abbatterono con cerimonie pubbliche le mura del manicomio, salvo poi chiudere a chiave le porte e i cancelli dei reparti, molti dei quasi sono chiusi ancora oggi.
Quando poi ci si trova a dover lavorare nei servizi territoriali, i cosiddetti ambulatori psichiatrici, le contraddizioni esplodono: il personale delle équipes è inadeguato, gli infermieri che provengono dal vecchio manicomio dove erano stati assunti in base alla sana e robusta costituzione e con la 5.ta elementare, non sono né culturalmente nè tecnicamente preparati; i più volenterosi, pochi, sono in possesso del diploma di infermiere generico: in altri paesi l’infermiere psichiatrico è formato a livello universitario.
Nei vari ambulatori non sono rispettate le necessità di personale in rapporto alla popolazione cui si rivolge il servizio, anche se previste per legge, per questo motivo mancano spesso assistenti sociali, psicologi e medici.
In questa struttura definibile "struttura povera", la domanda da parte degli utenti è in genere elevatissima mentre la risposta da parte degli operatori è estremamente carente e fondata quasi esclusivamente sulla buona volontà dei singoli.
Pazienti che necessitano di terapie di lunga durata e di ambiente protetto non possono averle perchè i S.P.D.C. non hanno posti e se li hanno i tempi di degenza sono talmente ridotti che i pazienti sono imbottiti di psicofarmaci e restituiti alle famiglie semplicemente più intontiti e meno aggressivi.
Pazienti che necessitano di allontanamento dalla famiglia (esistono anche le famiglie patogene!) non trovano comunità adeguate e se le trovano sono solo di tipo alloggiativo, dequalificate sul piano terapeutico.
Quando le famiglie entrano in crisi a causa della presenza in casa di un malato difficile, sovente non ricevono sostegno oltre le generiche affermazioni che "si farà il possibile..."
Di fronte a questo tipo di "servizio" dequalificato ed inetto, gli operatori si sviliscono e sono sempre più demotivati oppure si creano la loro nicchia dove vegetano in attesa della pensione, gli utenti si rivolgono sempre più alla rete privata: a questo punto sovente il calo dell'utenza fa pensare a chi gestisce queste strutture di essere stato bravissimo: gli utenti diminuiscono perchè li abbiamo guariti tutti (piccolo delirio di onnipotenza del seryizio... !).
Così si ritiene di aver superato l'Ospedale Psichiatrico. I "nuovi matti" e le loro famiglie non possono certo rallegrarsi.
Anche i "vecchi matti" che popolano ancora l’Ospedale e le Comunità di Collegno potrebbero vivere meglio.
I reparti esistono ancora, certamente meno affollati e più puliti di un tempo, ma per la maggior parte dei ricoverati I'assistenza è ancora di tipo custodialistico da parte dei vecchi infermieri; i servizi riabilitativi e risocializzanti sono accessibili alla minoranza dei ricoverati più autonoma ed agli ospiti delle 39 comunità che raggruppano i 515 ricoverati che sono stati a suo tempo dimessi dai reparti. Non conosco la storia di tutte queste comunità, le modalità della loro formazione e gestione, anche se sarebbe molto utile conoscerla.
Conosco bene questi servizi: il Centro Sociale Basaglia, l'Unità Terapeutica Diurna, la Nuova Cooperativa, il Progetto Handicappati. Devo riconoscere che costituiscono un valido supporto, gestito con competenza da educatori ed operatori sociali, per i numerosi progetti di riabilitazione portati avanti insieme a favore di tanti pazienti.
Funzionano bene anche diverse comunità con numero sufficiente di personale, con un livello di protezione adeguato alle necessità degli ospiti, anche se per lo più sono carenti di servizi di tipo riabilitativo; ancora meglio funzionano molte comunità di handicappati, gestite dagli educatori delle cooperative: alcune di queste potrebbero costituire un valido esempio per una ristrutturazione delle altre comunità.
Parlerò di una sola di queste comunità perchè, in questo panorama di luci e di ombre costituisce un caso-limite.
Questa comunità è stata costituita nel 1978 in seguito alla chiusura di un reparto accettazione: i pazienti più gravi furono trasferiti in un altro reparto, i cosiddetti "meno gravi", in tutto 10 persone, rimasero dov'erano, vennero dichiarati dimessi dall'O.P. e costituirono questa comunità con lo status di "ospiti".
Così inizia una situazione piuttosto ambigua: l'ospite è considerato sano ed autonomo poichè dimesso dall'O.P., deve pagarsi l’affitto , il cibo, deve avere il proprio medico, saperlo consultare, gestire i propri soldi, non ha bisogno di assistenza se non in misura minima ed è destinato, non appena troverà casa, a lasciare la comunità e vivere da solo. Contemporaneamente è considerato malato: lo psichiatra lo mette in terapia, gli si danno i farmaci e si presume che sappia assumerli da solo: questo non avviene e ci si stupisce se entra sempre in crisi. Siccome non sa gestirsi i soldi, non sa telefonare per chiedere aiuto, non comunica neppure con i propri compagni di sventura, allora viene gestito in tutte queste cose da altri, salvo poi essere lasciato solo per giorni e giorni quando gli operatori sono assenti dal servizio Infatti, mentre all'inizio l'assistenza era simile a quella dei reparti e i turni degli infermieri coprivano ben 24 ore, dopo breve tempo gli ospiti vennero considerati autonomi e lasciati soli tutti i giorni dopo le 16, tutto il sabato, tutta la domenica, tutti i giorni festivi .
Questa situazione dura tuttora e sarebbe accettabile se alla progressiva diminuzione dell'assistenza fosse corrisposto un altrettanto progressivo miglioramento delle condizioni psichiche e fisiche degli ospiti. In realtà è successo il contrario, chi conosce queste persone da anni non può fare altro che constatare un costante e progressivo deterioramento dovuto certamente all'evoluzione peggiorativa del loro disagio ma anche alla completa assenza di finalità veramente terapeutiche e riabilitative nella conduzione della comunità.
Le diagnosi di questi ospiti, ripetutamente confermate negli anni di loro permanenza nei reparti, variano dalla psicosi maniaco-depressiva alla schizofrenia paranoide, alla personalità psicopatica, oligofrenia, ecc... Queste diagnosi possono anche essere criticate o negate da molti, tuttavia esprimono una costellazione di problemi tali da richiedere per queste persone un minimo di aiuto costante, di protezione, di attività riabilitative e risocializzanti.
In realtà sono stati per anni trattati unicamente con psicofarmaci e siccome non sono in grado di assumerli in modo autonomo, non hanno alcuna terapia né il sabato né la domenica, né i giorni festivi, né il pomeriggio dopo le ore 16. E così uno di questi ospiti è finito sotto un treno, un altro si è buttato nel fiume , un terzo si e' defenestrato riportando molteplici fratture, uno e' stato inserito in un ricovero per vecchi in quanto la comunità non era in grado di aiutarlo, uno da anni sta chiuso in camera, rifiuta di uscire e sovente rifiuta il cibo, un altro, in un solo anno, ha collezionato ben nove ricoveri nei SPDC perchè in assenza degli infermieri non si sente sufficientemente protetto (anche se da parte di alcuni si vorrebbe ulteriormente ridurre il personale di assistenza perchè, a parer loro, "la troppa presenza opprime").
E' evidente che in questa comunità costituita da sole 10 persone qualcosa non ha funzionato, esiste sicuramente una certa disorganizzazione, molto abbandono, una qualità degli interventi piuttosto bassa e assolutamente nessuno strumento di controllo per verificare le prestazioni offerte in relazione ai bisogni reali dei singoli.
Riconosco che da qualche anno e' in atto, almeno a Collegno, un vasto tentativo per riorganizzare e migliorare i servizi nei reparti e nelle comunità e si fa largamente strada l'idea che è necessario rispondere ai bisogni dei pazienti con modalità più efficaci e meno stereotipate, i progetti elaborati dagli operatori vengono in genere appoggiati e portati avanti con meno preconcetti; ho la sensazione (o la speranza?) che la sterile contrapposizione di ideologie contrarie, che ha danneggiato malati e famiglie per tanti anni, possa essere superata, anche se ci si dovrà scontrare con pregiudizi, privilegi secolari portati ancora avanti da molti, situazioni di comodo di vaste categorie di operatori, e questo perchè le barriere da abbattere sono dentro ognuno di noi, aldilà delle parole, nella nostra paura dell'alieno, testimone scomodo della nostra follia. Per questo è più facile parlare della sofferenza e della follia, come ora stiamo facendo, ma è molto più difficile parlare con la sofferenza, parlare con la follia, parlare con il malato che ci chiede aiuto: a lui non interessa la diatriba tra oppositori e sostenitori dell'una o dell'altra cosa, le fazioni si agitano sopra la sua testa, e lui e' sempre lì che attende la nostra risposta.