INDICE

ritorno

 

 

Emanuela Lepori

 

Terapie assistite con
l'animale in ambito riabilitativo. Esperienze internazionali

 

INDICE

 

INTRODUZIONE                                                                             

CAPITOLO UNO

 QUADRO STORICO

1.1         Le origini del rapporto uomo/animale.

I pionieri della pet-therapy.

1.2         Boris Levinson ed i coniugi Corson:

 i primi approcci sistemici alla terapia        

assistita con l'animale.

CAPITOLO DUE

INQUADRAMENTO DELLE ATTIVITA'

 CHE SI POSSONO SVOLGERE CON LA

 PET-THERAPY

2.1         La Delta Society

2.2         Differenza tra A.A.A. e A.A.T.

 2.2.1. Animal Assisted Activities (A.A.A.)

 2.2.2. Animal Assisted Therapy  (A.A.T.)

2.3         Benefici fisici, psicologici, sociali derivanti

 dall'impiego delle A.A.T.

 

CAPITOLO TRE

 

AMBITI D'INTERVENTO DELLE TERAPIE

ASSISTITE CON ANIMALI

 

3.1 Indicazioni per l'applicazione delle A.A.T.

3.2 Controindicazioni per l'applicazione delle A.A.T.

3.3 Contesti d'intervento e di applicazione delle A.A.T.

  3.3.1 Esperienze di A.A.T. in istituti di detenzione.

 3.3.2 Esperienze di A.A.T. in istituti per anziani.

 3.3.3 Esperienze di A.A.T. con malati d'Alzheimer.

 3.3.4 Esperienze di A.A.T. con malati

 di A.I.D.S.  e tossicodipendenti.

 3.3.5 Esperienze di A.A.T. con bambini autistici.

 

CAPITOLO QUATTRO

 

L'IMPORTANZA DELLA RIABILITAZIONE

 PSICHIATRICA ATTRAVERSO L'USO

 DELLA TERAPIA ASSISTITA CON GLI

ANIMALI

 

4.1         Principi della riabilitazione psichiatrica.

4.2         L'attività assistita con l'animale come

 mezzo di riabilitazione psichiatrica.

4.3         Rassegna di studi condotti su pazienti

psichiatrici adulti.

4.3.1                                                                  Studio condotto da A. Beck, L. Sheraydarian

 e F. Hunter: l’ uso di animali nella

riabilitazione di pazienti psichiatrici . (1986)

4.3.2                                                                 Studio condotto da J. Nielsen e

L. Delude: Pet therapy come terapia

aggiuntiva in una residenza per

 pazienti psichiatrici. (1994)

4.3.3                                          Studio condotto da M. Zisselman, B.Rovner,

Y. Shmuely, P. Ferrie: Un intervento

di pet therapy con  pazienti psichiatrici anziani. (1996)

4.3.4                                          Studio condotto da S. Barker e K. Dawson:

Gli effetti della terapia con gli animali  sui livelli di ansia in pazienti psichiatrici ospedalizzati. (1998)

4.3.5                                          Studio condotto da C. Marr, L. French,

D. Thompson, L. Drum, G. Greening,

J. Mormon, I. Henderson, C. Hughes.:

Terapia assistita con l'animale nella

riabilitazione psichiatrica. (2000)

4.3.6                                          Studio condotto da Y. Barak, O. Savorai,

 S. Mavashev, A. Beni: Terapia assistita

con l’animale per pazienti schizofrenici

anziani. (2001)

4.3.7                                          Studio condotto da S. Barker, A. Panduranngi,

A. Best: Gli effetti della terapia assistita

con l’animale su pazienti ansiosi, depressi

e impauriti prima della terapia elettro-

convulsiva (ECT). (2003)

4.3.8                                          Studio condotto da Z. Kovacs, R. Kis,

S. Rozsa, L. Rozsa: Terapia assistita

con l’animale per pazienti di mezza età che

vivono in un istituto. Uno studio pilota. (2004)

4.3.9                                          Studio condotto  da I. Nathans-Barel,

B. Berger, P. Feldman, I. Modai, H. Silver:

 La Terapia Assistita con l’animale migliora

l’anedonia nei pazienti schizofrenici. (2005)

 

4.4 Considerazioni generali rispetto ai risultati

 degli studi di terapia assistita con l'animale

 applicata a pazienti psichiatrici.

 

CAPITOLO CINQUE

 

TEORIE PSICOLOGICHE ASSOCIABILI

AL RAPPORTO UOMO E ANIMALE.

 

5.1         Il rapporto uomo/animale secondo

una prospettiva naturalistico-psicoanalitica

 ed una prospettiva derivante dalle teorie

dell'apprendimento.

5.2         Teoria dell'attaccamento di Bowlby

applicata al rapporto uomo/animale.

5.3          Teoria dell'oggetto transazionale

e del gioco di Winnicott applicata al rapporto uomo/animale.

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

 

INTRODUZIONE

 

Nell'elaborazione di questa tesi ho voluto concentrare la mia attenzione per fornire una panoramica delle conoscenze ed esperienze    internazionali, fin oggi raggiunte, in merito  all'utilizzo di animali domestici e di compagnia a fini terapeutici, in vista di un inserimento di tale disciplina all'interno delle realtà dipartimentali di Salute Mentale dell'A.S.L 5 di Collegno.

Il termine inglese "pet-therapy", traducibile con le parole "Terapia dell'animale domestico", individua una varietà complessa di utilizzi del rapporto uomo-animale in campo medico e psicologico.

Essa si inserisce in un campo disciplinare co- terapeutico che prevede l'inserimento di un animale in un contesto di cura al fine di promuovere un' interazione significativa con dei pazienti che, utilizzando  dei benefici psicologici derivanti dalla vicinanza e dal contatto, tattile e visivo, con l'animale, possano acquistare maggior interesse e maggior partecipazione per il progetto terapeutico in cui sono inseriti.

È ormai dimostrato da numerose ricerche che la relazione con gli animali domestici può avere effetti benefici, sia sui soggetti sani, sia su quelli affetti da patologie e disagi.

I cosiddetti “animali d'affezione”, sono sempre più considerati un importante fattore per favorire un rapporto equilibrato tra l'uomo e il suo ambiente di vita.

Tale concetto è stato  enunciato nella 7° Conferenza Internazionale su "Animali, Salute e Qualità della vita" tenutasi a Ginevra nel 1995, durante la quale sono stati presentati 5 principi fondamentali per un utilizzo degli animali come promotori del benessere psico-fisico:

1) Accettare il diritto universale non discriminatorio ad avere un animale domestico in tutti i luoghi e in tutte le circostanze, se l’animale viene adeguatamente curato e non inficia i diritti dei non proprietari di animali.

2) Prendere le misure più idonee per assicurare che l'ambiente umano sia pianificato e progettato in modo da tenere conto dei bisogni e delle caratteristiche degli animali da compagnia e dei loro proprietari.

3) Incoraggiare la presenza regolamentata degli animali da compagnia nelle scuole e nei curricula scolastici. Convincere gli insegnanti e gli educatori dei benefici scaturiti da questa presenza attraverso appropriati programmi di addestramento.

4) Assicurare l'accesso regolamentato degli animali da compagnia negli ospedali, case di riposo e altri centri di cura per tutti coloro che, a qualsiasi età, hanno bisogno di questo tipo di contatto.

5) Riconoscere ufficialmente quali validi interventi terapeutici possono derivare da quegli animali, specificamente addestrati per aiutare le persone a superare limiti e disabilità; promuovere lo sviluppo di programmi per addestrare tali animali e assicurare che la conoscenza della loro capacità sia inclusa nell'insegnamento base delle professioni sanitarie e sociali.

La tesi è divisa in 5 capitoli.

Per ognuno di essi ho effettuato una ricerca approfondita di tipo letterario, avvalendomi oltreché di libri anche di articoli di riviste specializzate, ovviamente in lingua inglese, reperiti grazie alla consultazione di motori di ricerca su Internet e fatti arrivare un po' da tutto il mondo alla Biblioteca medica dell'Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano.

Nel primo capitolo ho tracciato le tappe principali della storia del rapporto uomo-animale ed di come e quando è nata la Pet therapy, menzionando la prima casuale esperienza in questo campo, che vede come protagonista il neuropsichiatra americano Boris Levinson con un suo paziente, un bambino affetto da autismo, e le successive esperienze dei coniugi Corson all'interno di un istituto ospitante malati psichici e fisici.

Nel secondo capitolo, dopo aver descritto la Delta Society, l'organizzazione internazionale che si propone di fornire i dettami operativi della Pet Therapy, ho definito nei particolari in cosa consiste la suddetta, differenziando i suoi due frangenti applicativi: le A.A.A (attività assistite dagli animali) e le A.A.T (terapie assistite dagli animali) con tutte le caratteristiche annesse e connesse analizzando i benefici, derivanti dal loro impiego, sull'uomo.

Nel terzo capitolo, dopo aver definito quali sono le tipologie di persone che potrebbero trarre beneficio dall'impiego delle A.A.T. e quali no,  ho citato  alcuni studi, relativi alla terapia assistita con l'animale, condotti e rivolti a diversi ambiti di applicazione quali detenuti, anziani, malati d'Alzheimer, malati di A.I.D.S. e tossicodipendenti e bambini autistici.

Nel quarto capitolo ho esposto un'accurata e precisa descrizione delle ricerche condotte a livello internazionale all'interno di programmi di riabilitazione, che vedono l'applicazione dell'attività assistita con l'animale a pazienti psichiatrici, la maggior parte affetti da schizofrenia, sottolineando  l'importanza della riabilitazione di questi pazienti e di come si possa intervenire  per far si che la loro qualità di vita possa migliorare.

Il quinto ed ultimo capitolo della tesi è dedicato a diversi approcci teorici e teorie psicologiche che potrebbero supportare l'ipotesi dell'utilizzo dell'animale da compagnia al fine di sviluppare una relazione affettiva con l'uomo.

Infine vengono proposte le Conclusioni alle quali sono giunta a seguito dell'elaborazione di tutte le ricerche svolte in merito alla terapia assistita con l'animale.

 

CAPITOLO   UNO

 

QUADRO STORICO

 

1.3         LE ORIGINI DEL RAPPORTO UOMO / ANIMALE.

I PIONIERI DELLA PET THERAPY.

 

Il primo animale ad essere addomesticato fu il lupo, di cui si hanno alcune tracce risalenti a circa 30.000 anni fa nel Nord America. Segni più rilevanti di addomesticamento sono datati al periodo Mesolitico (12.000 anni fa), in corrispondenza del passaggio da parte dell'uomo da una vita nomade, basata sulla caccia, a condizioni più stanziali, con lo sviluppo dell'agricoltura.

Questi cambiamenti furono probabilmente favoriti dal mutamento delle condizioni climatiche, con il passaggio da un clima caldo ad uno più freddo che indusse un maggiore e più ravvicinato contatto sociale.

Inizialmente l’animale veniva utilizzato a scopo pragmatico, per l’alimentazione, la guardia, l’uso delle sue pelli.

In alcune tribù alcuni animali avevano, ed hanno tuttora, un carattere di sacralità. Si tratta di animali totemici le cui funzioni erano quelle di veicolare coraggio agli appartenenti alla tribù e di incutere timore ai nemici.

Il processo di addomesticamento ha riguardato parecchie razze, prima fra tutte il lupo, ritenuto da diversi autori il precursore dell'attuale cane, di cui ha lo stesso numero di cromosomi. La vicinanza abitativa, la grande adattabilità all'ambiente, la selezione degli esemplari più docili e socievoli hanno fatto diventare il cane una delle razze più vicine all'essere umano e la convivenza cane-uomo ha ottenuto il   miglioramento della vita di entrambi.

L'addomesticamento del gatto ha una storia più recente. Le prime raffigurazioni risalgono a 4.600 anni fa. Nella popolazione egiziana era molto popolare sin dal 2600 a.C. ed era considerato animale sacro, venerato e rispettato, da non esportare dall'Egitto.

Il gatto fu introdotto nella civiltà romana attraverso gli scambi commerciali con i Fenici e divenne molto diffuso grazie alla sua utilità nel cacciare i topi.

Per quanto riguarda le prime considerazioni sull'importanza degli animali per il benessere dell'uomo, già Ippocrate 2.400 anni fa sottolineava gli effetti benefici che si ottenevano da una lunga cavalcata e la consigliava ai suoi conoscenti per combattere insonnia e rinvigorire il fisico e lo spirito in situazioni che oggi definiremmo di "stress".

Agli animali nelle diverse culture ed epoche storiche vennero attribuite diverse qualità e attributi simbolici.

Nel Medioevo, ad esempio, il gatto diventò simbolo di Satana e per questo motivo messo al rogo con molti esseri umani ritenuti artefici del maligno.

Nell'epoca rinascimentale, il gatto entrò all'interno dei nuclei famigliari come animale da compagnia. Leonardo per primo parlò di zoo-psicologia dichiarandosi in favore dei diritti degli animali.

Nel XVIII secolo nacquero correnti filosofiche che elaborarono diverse teorie sulla condizione animale: dalla scuola cartesiana che non riteneva possibile che l'animale possedesse una coscienza, alla Scolastica che lo considerava sensibile ma non dotato di intelligenza e di ragione, sino alla corrente di De Condillac che lo riteneva sensibile e dotato di pensiero.

Il primo tentativo ante litteram di attività assistita dall’animale venne impiegato a Gheel, in Belgio, nel IX secolo, dove alle terapie mediche di un gruppo di disabili vennero affiancati degli animali.

Nel XVIII secolo in Inghilterra si osservò l'effetto benefico esercitato dalla presenza di cani e gatti sull'umore e sulle condizioni di salute dei pazienti. In particolare, con la cura di  questi animali i malati di mente riuscivano ad acquisire un certo equilibrio ed interesse per il mondo esterno.

Fu proprio nel 1792, in Inghilterra, che ebbe luogo il primo studio scientifico sull’utilizzo degli animali a scopo terapeutico a lungo termine: William Tuke, presso lo York Retreat Hospital, cominciò a proporre ai pazienti ricoverati per disturbi o ritardo mentale di svolgere alcune attività come il giardinaggio e la cura degli animali.

Da questa esperienza questi pazienti trassero giovamento sulla loro capacità di autonomia e di auto-controllo.

Nel 1867 si introdussero  programmi terapeutici con piccoli animali quali cani e gatti nell'Istituto tedesco per epilettici Bethel di Bielefeld.

In questi stessi anni in Inghilterra vi furono alcuni esperimenti di prescrizione dell'equitazione a pazienti con problemi neurologici, in considerazione del fatto che questa produceva un effetto terapeutico per il controllo posturale di questi pazienti.

Nel XX secolo si sviluppò la psicologia animale che, con le affermazioni di Paul Guillaume nel suo Manuale di Psicologia, criticò i vecchi pregiudizi cartesiani. Leghissa nel suo scritto “Origine dell'intelligenza” affermò che i primati possedevano  una vera facoltà psichica ed una coscienza individuale e sociale. 

In America, presso il Pawling Army Air Force Convalescent Hospital di New York, durante la seconda guerra mondiale vi furono alcune esperienze di utilizzo di animali da compagnia e cavalli per ristabilire l'equilibrio psichico dei malati traumatizzati in guerra.

In questo clima culturale sviluppò le sue prime esperienze la Pet Therapy, intesa come attività specifica e ben definita.

1.2 BORIS LEVINSON ED I CONIUGI CORSON: I PRIMI APPROCCI  SISTEMATICI ALLA TERAPIA ASSITITA CON GLI ANIMALI.

In tutti gli esperimenti sopracitati era presente la convinzione che la presenza di animali ed il loro accudimento creasse condizioni favorevoli alla cura e al recupero di soggetti con patologie psichiche o handicap, ma in nessuno dei casi vi fu uno studio specifico degli effetti e dei fattori terapeutici.

E' soltanto dalla seconda metà del secolo scorso, con gli studi del neuro-psichiatra infantile Boris Levinson, che la terapia assistita  con  gli animali fa la sua comparsa nelle scienze mediche.

Levinson fu il primo ad elaborare una dettagliata modalità co-terapeutica, teorizzando quella che lui chiamò “Pet Oriented Child Psycotherapy”.

Ne registrò e valutò gli effetti ed enunciò una teoria che spiegava i benefici riscontrati.

Fu egli stesso ad utilizzate per primo il termine “pet therapy” nel suo saggio The Dog as Co-Therapist (1961).

L'idea gli balenò casualmente durante la terapia di un bambino autistico con un enorme ritiro in se stesso: un giorno, durante una seduta, casualmente il suo cane (un cocker), riuscì ad entrare nello studio ed il bambino reagì molto più attivamente agli stimoli cominciando a giocare con il cane, senza dare alcun segno di paura.

Il cane dava la possibilità al bambino di proiettare le proprie  emozioni interiori attraverso uno scambio affettivo di gioco, rendendo più piacevoli le sedute. A poco a poco questo bambino cominciò ad esprimere ai genitori il voler tornare dal dottor Levinson per giocare con il cane. Quest'ultimo riuscì ad avvicinare il bambino a Levinson, poiché gradualmente anch'esso fu incluso nel gioco.

Levinson studiò a fondo questo fenomeno ed arrivò ad affermare che l'animale da compagnia poteva facilitare e rafforzare il rapporto tra terapista e paziente, aumentando la motivazione di quest'ultimo ad intraprendere un percorso di cura.

Affermò che l'animale assumeva un ruolo transizionale, avente l'effetto di  “catalizzatore” e di “facilitatore” sulla comunicazione e sulle interazioni sociali.

Osservando il gioco bambino-animale, Levinson notò che si caratterizzava fondamentalmente di aspetti corporei e di movimento, grazie al fatto che l'animale (in questo caso il cane) possedeva la stessa modalità di gioco e la stessa capacità di comunicazione non verbale del bambino.

Poté studiare come il gioco con il cane permettesse al bambino di scoprire e controllare il proprio corpo ed, a poco a poco, di cominciare ad esplorare l'ambiente circostante: tutti comportamenti molto disturbati e difficili da far eseguire a bambini disabili che spesso sono portati ad una rinuncia, quella che viene chiamata paralisi dell'intenzione, ben più grave e difficile da curare della stessa disabilità motoria.

Il cane poteva fungere da mezzo attraverso il quale il bambino riusciva  a trovare una grossa motivazione al gioco e al movimento, giungendo anche ad una progressiva presa di coscienza di sé, sia per  quanto riguarda le proprie limitazioni  ma anche delle sue possibilità.

Successivamente, nei suoi studi Levinson individuò gli effetti terapeutici dell'utilizzo di animali con i bambini affetti da gravi forme di autismo e con altri disturbi emotivi o di sviluppo, sia in trattamenti ambulatoriali che durante il ricovero in centri ospedalieri. Levinson inoltre si occupò dell'utilizzo della Pet Therapy anche su persone con disturbi somatici e sui portatori di handicap.

Egli per primo, inquadrò questi esperimenti in una teoria di riferimento ispirandosi alle teorie winnicottiane, considerando l'animale come un oggetto transazionale che aiuta il bambino a separare la realtà interna da quella esterna e quindi entrare in relazione. Impostò quindi, in base a queste teorizzazioni, la psicoterapia infantile assistita dagli animali, basata principalmente sul  gioco, che permette al bambino di sperimentare nuovi ruoli, di sperimentarsi nelle situazioni della vita quotidiana e di acquisire una progressiva autonomia. Attraverso il gioco si costruisce un canale comunicativo tra il bambino e il cane e si dà il via o si rinforza la relazione con un oggetto esterno su cui il bambino può proiettare i suoi bisogni e le sue fantasie interiori.

Grazie a ciò Levinson ottenne degli importanti risultati, specialmente nei bambini inibiti, con comportamenti autistici, con menomazioni del comportamento sociale e culturale, che, con questa tecnica, non essendo costretti a parlare, riuscivano a sopportare la presenza di un estraneo e poi a instaurare un rapporto di fiducia.

L'obiettivo che ci si pone con bambini autistici non può essere ovviamente quello della “guarigione”, ma la pet therapy può essere utile  per alleviare le sofferenze ed i disagi sia di chi è affetto da una patologia sia dei familiari coinvolti; può aiutare il bambino a sperimentare il processo di maturazione e di sviluppo del sé, valorizzando le potenzialità relazionali e comunicative.

Dopo gli studi di Levinson, una delle prime esperienze su soggetti istituzionalizzati fu quella dei coniugi Corson.

Alla fine degli anni '70 inizio anni '80, questi due psichiatri americani, utilizzarono cani e gatti per migliorare le relazioni e la comunicazione negli ospiti di una casa di cura per malati mentali, handicappati fisici e anziani, che vivevano in solitudine senza comunicare tra loro e che non avevano minimamente reagito alle terapie ordinarie.

Essi inserirono dei cani in una zona, vicino alle corsie dell'ospedale dove risiedevano i pazienti. A poco a poco questi furono attratti dal loro abbaiare e la maggior parte di loro espressero il desiderio di poterli avvicinare per giocarci e prendersene cura. Solamente tre pazienti si astennero dall' interagire con gli animali, ma tutti gli altri  scelsero personalmente un cane e cominciarono a fare con lui delle attività come portarli a passeggio, spazzolarli, dar loro da mangiare. 

I coniugi Corson definirono la loro attività “Pet facilitated psychotherapy” e, attraverso essa, dimostrarono un notevole incremento dei rapporti interpersonali tra i pazienti e tra pazienti e personale di cura: “Il paziente interagisce spesso positivamente con l'animale tramite interazioni non verbali e tattili, successivamente la cerchia delle relazioni sociali si amplia e include inizialmente il terapeuta che ha introdotto l'animale, poi gli altri pazienti ed il personale medico, con una progressiva espansione di interazioni sociali positive anche al di fuori dell'ospedale” (Corson, 1980).

I Corson sottolinearono l'importanza della comunicazione non verbale dell'animale che, con la sua presenza, riusciva a stimolare i pazienti sia sul piano affettivo che cognitivo, dando loro modo di recuperare la capacità di relazionarsi con gli altri ed aiutandoli a rinforzare l'autostima.

Essi osservarono che l'attaccamento dimostrato dai pazienti nei confronti degli animali poteva nascere perché quest'ultimi riuscivano a dar loro affetto, per la loro natura non criticavano, né giudicavano, li accettavano  per come erano, e li aiutavano ad acquisire un grande senso di utilità e responsabilità: “gli animali possiedono un'abilità  di offrire affetto e rassicurazione tattile senza criticismo, mantenendo una sorta di perpetua ed infantile innocente dipendenza che stimola la naturale tendenza umana a dare supporto e protezione. (Corson, 1980).

Inoltre i Corson notarono come, alla presenza di un animale, gli operatori riuscivano più facilmente a comunicare con i pazienti ricoverati.

In questa esperienza si utilizzarono diverse razze canine ma dalle loro videoregistrazioni non riuscirono ad identificare una razza più adatta di un'altra per le diverse patologie e giunsero alla conclusione che erano le caratteristiche peculiari di carattere del singolo cane quali docilità, affettuosità, obbedienza e vivacità, unite a capacità di controllo, che riuscivano a renderlo adatto come co-terapeuta.

 

CAPITOLO DUE

 

INQUADRAMENTO DELLE ATTIVITA' CHE SI POSSONO SVOLGERE CON LA PET THERAPY.

2.1  LA DELTA SOCIETY.

La Delta Society è un'organizzazione internazionale nata nel 1981 negli Stati Uniti che si interessa di attività e terapie assistite dagli animali per migliorare lo stato di salute e la qualità della vita dell'uomo, studiandone gli effetti terapeutici .

Questa associazione  è stata la prima a definire pratiche più precise sostituendo il termine Pet Therapy con le locuzioni  Attività Assistite con l'Animale (A.A.A.) e Terapie Assistite con l' Animale (A.A.T.), per poi enunciarne i dettami operativi in tutto il mondo.

Questo per evitare fraintendimenti scaturiti dal termine suddetto perché tradotto significherebbe “Terapia dell'animale o all'animale” e non ovviamente” “con l'animale” come invece dovrebbe essere.

La Delta Society ha definito i criteri generali rispetto alla possibilità di coinvolgimento degli animali domestici (cani, gatti, uccelli da voliera, coniglietti, tartarughe, piccoli roditori, pesciolini), escludendo quelli che si trovano in particolari condizioni fisiologiche e patologiche (gravidanza, allattamento, calore, malattia) e gli animali selvatici e sconsigliando animali esotici tenuti in cattività (scimmie, iguane, koala ecc...) ed i cuccioli.

Questo per tutelare la salute degli animali, rispettando le loro condizioni di vita, sanitarie, comportamentali e di adattamento.

Un caso a parte è rappresentato dai delfini e dai cavalli che, pur non essendo animali domestici, vengono comunque impiegati per programmi aventi scopi terapeutici ma l'attuazione di questi programmi prevede l'esistenza di centri specializzati (delfinari e centri d'equitazione) e tecniche speciali con il supporto di personale specificatamente preparato ed addestrato.

La Delta Society si è posta degli obiettivi che si possono riassumere  in quanto segue:

¬ divulgare la conoscenza circa gli effetti positivi degli animali sulla salute dell'uomo;

¬ ridurre le barriere che impediscono il coinvolgimento degli animali nel campo sanitario;

¬ avere sempre più un grande bacino d'utenza cui  applicare le Terapie Assistite dagli Animali.

¬ aumentare il numero di cani di servizio ben addestrati per venire in aiuto alle persone con disabilità.

Compito della Delta Society è quello di fornire l'idoneità sia agli animali che ai rispettivi conduttori che vogliono perseguire programmi di A.A.A. E A.A.T., facendo superare loro il test di valutazione per le coppie “Pet-Partners” che ne attesti lo stato sanitario, le capacità, le abilità, la disposizione ed il potenziale di coppia. 

E' indispensabile un'attenta selezione poiché gli animali, messi a contatto con persone disturbate, che possono manifestare comportamenti iperattivi o stereotipie, possono vivere situazioni stressanti e devono essere, quindi, particolarmente equilibrati così da evitare reazioni indesiderate a stimoli eccessivi e a manipolazioni maldestre.

Gli animali maggiormente coinvolti sono soprattutto cani, gatti, conigli e criceti.

Il test Pet Partner Aptitude Test (P.P.A.T.) si divide in due parti: A) il Pet Partners Skill Test  che valuta le doti caratteriali (affidabilità, controllabilità, prevedibilità), le abilità dell'animale e le capacità del conduttore a gestirlo. Questo test presuppone che l'animale abbia ricevuto una forte educazione di base e che quindi obbedisca perfettamente a dei comandi.  Vengono proposti 8 esercizi che l'animale deve svolgere in sequenza: 1) accettare un estraneo 2) accettare carezze da un estraneo 3) accettare di essere spazzolato dall'estraneo 4) passeggiata con il conduttore, nel caso del cane vi è la condotta al guinzaglio 5) condotta in mezzo alla folla 6) rimanere in grembo all'estraneo senza dare segni di paura per trenta secondi, nel caso del cane deve rispondere ai comandi “seduto”, “terra” e “resta” 7) richiamo 8) reazione nei confronti di altri animali.

B) il Pet Partners Aptitude Test valuta quanto la coppia conduttore/animale sia predisposta a partecipare a programmi di A.A.A. e A.A.T.  attraverso dei role-playing di situazioni che si potrebbero verificare nei programmi assistenziali. Gli esercizi proposti in questa fase, da sottoporre all'animale, si possono riassumere come segue: 1) essere toccati da parte di un estraneo 2) accettare l'accarezzamento energico da parte dell'estraneo 3) accettare l'abbraccio energico da parte dell'estraneo 4) manifestare calma e rilassatezza alla vista di un individuo che si muove in modo scoordinato 5) non mostrare nervosismo o aggressività durante una simulata in cui il conduttore ed un estraneo litigano 6) accettare rumori 7) accettare di essere accarezzati da più persone 8) accettare di stare per qualche minuto con un estraneo senza la presenza del conduttore 9) fargli sperimentare il grado di socievolezza.

Se questo test (composto da ambedue le parti) non viene eseguito correttamente, i valutatori della Delta Society, supportati anche da esperti di zoo-antropologia applicata,  possono  giudicare la coppia animale/conduttore non pronta o non idonea a seconda della gravità degli errori commessi.

Se non è pronta, la coppia può tentare di ripetere il test dopo un certo periodo di tempo, dopo che si sono corrette certe carenze segnalate. Se non è idonea, la coppia non potrà mai più riprovare il test e di conseguenza non potrà condurre programmi di A.A.A. e A.A.T.

Se la coppia animale/conduttore ottiene la certificazione d'idoneità dovrà comunque sottoporsi alla ricertificazione della Delta Society ogni due anni, cosicché essa riesce a monitorare i cambiamenti (positivi o negativi) che nel frattempo sono avvenuti nella coppia.

La Delta Society prevede sempre l'animale in presenza del proprietario che quindi automaticamente diventa il conduttore e non prevede l'inserimento nei programmi di A.A.A. e A.A.T. di animali randagi o provenienti da canili.

Questa questione è molto dibattuta poiché da tempo vi sono ricercatori che stanno effettuando degli studi su questi animali con l'obiettivo, dopo un'accurata educazione alle regole basilari di comportamento, di farli inserire nei programmi di A.A.A. e A.A.T.

 

2.2  DIFFERENZA TRA  A.A.A.  E  A.A.T.

La Delta Society ha redatto un manuale intitolato “Standards of practice for animal assisted activities and therapy” in cui sottolinea la distinzione tra A.A.A. (Animal Assisted Activities) e A.A.T. (Animal Assisted Therapy).

In questo manuale sono presenti le linee guida per costruire programmi di A.A.A. e A.A.T. che abbiano come finalità quelle di valutare le strutture ospitanti, mettere a disposizione strumenti per la gestione dei rischi e la sicurezza, promuovere la formazione del personale utilizzato, dare dei criteri per la selezione e la preparazione degli animali, provvedere ad assicurare la salute ed il benessere delle persone, nonché degli animali coinvolti nei programmi.

Mentre nel caso delle A.A.A. i risultati sono per lo più soggettivi, nel caso delle A.A.T. devono essere osservati e misurati empiricamente e in modo scientifico.

Sia le A.A.A. che le A.A.T. possono essere svolte in Istituzioni pubbliche o private.

Gli animali utilizzati vengono classificati in due categorie: 1) animali che vivono al di fuori del servizio e portati in visita nella struttura per lo svolgersi dell'attività, 2) animali residenti che vivono permanentemente nel servizio.

La scelta di un animale da coinvolgere nelle Terapie Assistite con Animali (A.A.T.) non è semplice poiché da un errore di valutazione possono derivare problemi anche molto gravi per la salute del paziente sottoposto alla terapia.

Il primo passo da fare è decidere la specie più adatta al caso in questione. Occorre considerare che tutte le specie sono potenzialmente adatte per  le A.A.A. e A.A.T.

Il cane è sicuramente l'animale d'elezione, seguito dal gatto, ma molte altre specie sono idonee, e i numerosi lavori scientifici lo dimostrano.

 

2.2.1 Animal-Assisted Activities (A.A.A.).

Le attività assistite con l'animale si possono inquadrare in interventi   a scopo educativo e ricreativo/ludico che hanno come obiettivo quello di migliorare la qualità della vita di alcune categorie di persone portatrici di handicap sia fisico che mentale o che vivono in istituti  di assistenza geriatrica.

Queste attività quindi possono essere svolte in diversi ambienti da professionisti opportunamente formati nella conduzione dell'animale e/o volontari, con la presenza di animali che devono avere determinate caratteristiche (docilità, affidabilità, controllabilità, idoneità, capacità di ispirare sicurezza e fiducia).

Le A.A.A. sono costituite da incontri e visite di animali da compagnia e presentano le seguenti caratteristiche: 1) non sottostanno a precisi protocolli di progettazione 2) non hanno il compito di raggiungere obiettivi sanitari standardizzati a priori che richiedono la presenza di specialisti 3) si basano sui dati osservativi scaturiti da ogni singola visita 4) gli incontri vengono tarati di volta in volta 5) seguono linee guida generali 6) le visite hanno la caratteristica di essere molto spontanee e la loro durata non è prestabilita 7) si possono rivolgere a gruppi di persone che mutano nel tempo.

Le A.A.A., avendo una natura meno definita, sono un insieme di attività di gruppo svolte con l’ausilio di animali che però non hanno alcuna finalità terapeutica.

Secondo la Delta Society i motivi per cui avere un animale accanto migliora la qualità della vita sono:  l'avere compagnia e quindi non essere soli; avere la sensazione di essere occupati e utili; avere qualcosa da accarezzare e da toccare; avere un oggetto di attenzione; poter svolgere dell'attività fisica; avere un elemento di sicurezza dovuta alla semplice accettazione da parte dell'animale che non rifiuta perché non giudica né l'aspetto fisico, né lo stato mentale, né le azioni passate di un essere umano.

 

2.2.2  Animal-Assisted Therapy (A.A.T.) .

Le terapie assistite con gli animali sono delle vere e proprie attività terapeutiche documentate e valutate che hanno lo scopo di  migliorare le condizioni  fisiche, sociali ed emotive di particolari categorie di persone utilizzando determinate tecniche con specifici obiettivi predefiniti per ciascun destinatario dell'intervento e vengono effettuate in gruppo oppure individualmente. Gli obiettivi possono essere di tipo fisico, psichico, educativi, motivazionali.

Naturalmente esse si pongono come terapie di supporto ad un trattamento sia esso medico o psicologico per il tipo di patologia presa in considerazione (patologie fisiche, disabilità, disturbi psichiatrici) senza la pretesa più assoluta di andarsi a sostituire ad esso. Bisogna sottolineare il fatto che non è assolutamente sufficiente inserire un animale all'interno di un programma terapeutico di disagio senza che vi sia alla base una logica giustificazione, uno scopo preciso, una chiara metodologia e soprattutto animali adatti che rispondano a determinati requisiti attitudinali (carattere pacifico, adattabile, malleabile, non troppo vivace, socievole, ecc....), requisiti sanitari (assenza di malattie, vaccinazioni obbligatorie, pulizia in generale) e requisiti di capacità ( obbedienza ai comandi, tranquillità in mezzo ad estranei, non avere reazioni eccessive di fronte a stimoli quali forti rumori, distrazioni e presenza di altri animali).

L'elemento principale delle A.A.T. è che sottostanno ad un progetto molto ben definito e condiviso da un'equipe multi-professionale (medico, psicologo e/o psicoterapeuta, conduttore del cane, operatori, veterinario, etologo). All'interno di questa, assume molta importanza la figura del terapeuta (psicologo o psicoterapeuta) che deve possedere anche una preparazione zoo-antrolopologica, di conoscenza delle reazioni dell'animale impiegato per riuscire a monitorare l'attività del conduttore. Tutto ciò per creare il contesto giusto affinché un approccio con gli animali abbia come effetto un reale miglioramento della qualità della salute del paziente in questione. Il terapeuta deve anche valutare se si stabiliscono relazioni simbiotiche tra paziente ed animale che sarebbero disfunzionali per il processo terapeutico. Inoltre egli ha le competenze necessarie per ipotizzare se con quel tipo di approccio si può riuscire ad aumentare  il livello di autostima, a migliorare la comunicazione sociale, a fornire una motivazione a compiere delle azioni,  a gratificare in qualche modo il paziente, o se al contrario, con quel paziente si provocheranno degli effetti negativi legati al fatto che gli animali nelle sue dinamiche interpersonali o sono inesistenti o sono vissuti addirittura come degli intrusi.

Prima di attuare un qualsiasi intervento di A.A.T. è bene che venga fatta un'accurata valutazione psicodiagnostica dei pazienti che ne usufruiranno ed anche un'attenta osservazione delle aree più problematiche su cui esse andranno ad agire. La valutazione psicodiagnostica attraversa tre fasi : 1) valutazione prima dell'impiego delle A.A.T.  in cui il terapeuta somministra dei test di valutazione 2) valutazione in corso in cui il terapeuta monitorizza se si stanno raggiungendo gli obiettivi che ci si era preposti 3) valutazione dopo l'impiego delle A.A.T. in cui il terapeuta  valuta se vi sono dei miglioramenti stabili nel tempo nelle aree problematiche riscontrate precedentemente  e quindi se l'intervento con A.A.T.  è stato efficace.

 

2.3         BENEFICI FISICI, PSICOLOGICI, SOCIALI DERIVANTI DALL'IMPIEGO DELLE A.A.T.

 

Cusack (1988) individua tre grosse aree in cui le terapie assistite con l'animale possono avere effetti benefici.

1) Area fisica : in soggetti aventi difficoltà deambulatorie o di equilibrio grazie all'attività con l'animale, impiegata all'interno di trattamenti di riabilitazione neuromuscolare, si può ottenere la stimolazione del movimento, un miglioramento del tono muscolare, della motricità fine e grossolana. Per esempio spazzolare, lanciare la pallina, lavare il cane, ecc., sono tutte attività che chiedono un impegno motorio, decisamente più piacevole di un puro e semplice esercizio fine a se stesso, di una classica seduta di fisioterapia.

In soggetti aventi problemi neuro-motori il contatto fisico con l'animale favorisce la percezione corporea spesso compromessa dall' handicap e quindi contribuisce alla percezione del sé come soggetto.  Con il supporto degli animali vengono inoltre favorite la sperimentazione e l'acquisizione di posture che permettono un miglior controllo del capo, movimenti autonomi intenzionali, capacità di orientamento nello spazio, una miglior respirazione e rilassamento e di conseguenza un benessere fisico.

Un rapporto uomo-animale, caratterizzato da un tono tranquillo, rassicurante, positivo e di conseguenza rilassante, interviene sulla produzione di adrenalina, e di altri ormoni cortico-steroidi, con  il risultato di una minor pressione arteriosa, ritmo cardiaco e respiratorio più lento e diminuzione del tono muscolare.

Diverse ricerche hanno dimostrato come la vicinanza di animali procuri dei benefici effetti sulla pressione arteriosa e sull'apparato cardiocircolatorio.

Uno studio condotto da Erika Friedmann (1983) ha rilevato che persone che avevano avuto un infarto e che possedevano un animale sopravvivevano decisamente di più rispetto ad altre persone infartuate ma che non possedevano alcun animale. Essa notò che bastava la presenza dell'animale nella stanza, che fosse tranquillo e rilassato per attivare nei soggetti diverse reazioni fisiologiche, quali: 1) diminuzione della pressione sia diastolica che sistolica 2) regolarizzazione del battito cardiaco 3) regolarizzazione e distensione della respirazione 4) rilassamento generale nel tono muscolare e nelle espressioni del viso.

E' stato dimostrato che accarezzare il pelo di un cane o un gatto oltre che regolare la frequenza cardiaca, inducendo rilassatezza che a sua volta provoca un abbassamento della pressione sanguigna, contribuisce ad aumentare la coscienza della propria corporalità, essenziale nello sviluppo della personalità, 

2) Area psicologica :  è stato studiato che il contatto e l'interazione con l'animale provocano delle modificazioni a livello biochimico, per esempio un innalzamento delle endorfine, sostanze prodotte dal corpo e che  danno la sensazione di benessere.

Lo psichiatra Aron Katcher ha affermato che la relazione uomo/ animale si fonda su 4 principi fondamentali: sicurezza, intimità, attenzione, costanza relazionale.

Con persone disturbate gli animali trovano un canale preferenziale, una sorta di accesso più facile per entrare in contatto riuscendo a volte a sbloccare condizioni patologiche cronicizzate negli anni.

A livello affettivo/emozionale l'animale, poiché dà un affetto gratuito ed incondizionato, favorisce sentimenti di autostima e sicurezza di sé. Dal momento che esso si pone con un atteggiamento non giudicante e di accettazione davanti a qualsiasi tipo di patologia, favorisce l'espressione spontanea  dei  sentimenti e dei comportamenti delle persone cui viene a contatto.

L'animale, attivando forme di accudimento, può promuovere il senso di responsabilità in persone che hanno perso la fiducia in se stessi, garantendo un'immagine valida e positiva della propria persona, del proprio valore individuale ed una maggior stabilità emotiva. Si ha inoltre l'attivazione dei “processi decisionali” che permettono il superamento dell'egocentrismo e favoriscono quindi una maggiore apertura mentale ed emozionale.

L'animale può promuovere il controllo dell'ansia, della paura ed una miglior gestione della frustrazione attraverso un rapporto rassicurante e positivo che instaura con i pazienti.  Coloro che vengono a contatto con l'animale possono mettere in atto dei meccanismi di proiezione dei propri vissuti emotivi su di lui, che diventa un mediatore emozionale tra il mondo interno ed il mondo esterno.

Alcune ricerche hanno dimostrato che l'elettroencefalogramma in pazienti che avevano appena finito una seduta di delfinoterapia mostrava un incremento dell'onda alfa, caratteristica dello stato rilassato, quando l'ansia si riduce.

A livello cognitivo l'attività assistita con l'animale può contribuire a favorire le capacità d'attenzione, concentrazione e conoscenza poiché esso funge da stimolo anche per sviluppare capacità di memoria, di pensiero induttivo e di logica nell'organizzazione di determinate sequenze operative.

Da ricerche condotte su ragazzi con disturbi dell'apprendimento e deficit d'attenzione, che avevano seguito un programma di A.A.T. si è rilevato che gli animali incrementavano l'attenzione dei soggetti ottenendo un miglioramento dei processi cognitivi (Bodmer 1998). 

A livello comportamentale, è interessante notare che l'impiego di terapie assistite con l'animale può stimolare nei soggetti fruitori delle attività degli script comportamentali come prendersi cura dell'igiene dell'animale (spazzolarlo, lavarlo ecc..), il rilassamento corporeo, l' acquisizione di regole che poi verranno interiorizzate e di conseguenza messi in atto su di sé.

3) Area sociale : molto spesso si verifica che l'impiego di attività assistite con l'animale crei delle valenze psicosociali in cui si può riscontrare un miglioramento delle capacità relazionali e di interazione dei soggetti coinvolti. Pazienti traumatizzati a livello emotivo e quindi chiusi in se stessi, incapaci di interessarsi ad un essere vivente o di stabilire legami affettivi in seguito a un lutto, un abuso sessuale, uno shock emotivo, ecc., oppure autistici, in seguito agli incontri con gli animali hanno mostrato un aumento della motivazione a comunicare dapprima con l'animale, a prendersi cura di lui, e in seguito, tramite l'animale, a comunicare con altri esseri umani. Nell'ambito terapeutico, la presenza dell'animale può contribuire a facilitare la relazione con le figure professionali che ruotano attorno ai pazienti (medici, psicologi, infermieri ecc...) e quindi una maggior accettazione del trattamento di cura.

Secondo Messent (1983) il contatto con un animale, oltre a garantire la sostituzione di affetti mancanti o carenti, è particolarmente adatto a favorire i contatti inter-personali offrendo spunti di conversazione, di gioco, l'occasione, cioè, di interagire con gli altri. Il contatto con un animale, in situazioni di intenso stress, funge da tampone, ammortizzando le conflittualità e rivelandosi di straordinaria validità per l’aiuto di quei pazienti con disagi nelle relazioni sociali.

Messent ritiene che l'animale sia un “facilitatore” sociale per determinate caratteristiche: 1) suscita novità attivando meccanismi di curiosità in grado di dar origine ad una comunicazione. 2) può essere fonte di interessi comuni che favoriscono la condivisione ed  il formarsi di sentimenti di gruppo 3) può stimolare un senso di protezione e tenerezza e quindi vicinanza tra le persone 4) può scatenare un giudizio sociale positivo in quanto un individuo intento ad accudire un animale è visto in modo positivo dalle altre persone.

L'animale quindi costituisce uno stimolo nuovo alla curiosità rendendo possibile il contatto e una comunicazione non convenzionale: persone in difficoltà possono entrare in relazione con il mondo esterno anche utilizzando moduli di comportamento e di comunicazione non verbale, gestuale e ludico.

Inoltre l'animale può facilitare la coesione e l'aggregazione tra persone, attirando su di sé l'attenzione aiutandole a superare le barriere relazionali che a volte insorgono, dando luogo a comunicazioni molto spontanee, meno filtrate e più semplici da realizzare.

 

CAPITOLO TRE

AMBITI D'INTERVENTO  DELLE TERAPIE ASSISTITE CON GLI ANIMALI.

 

3.1 INDICAZIONI PER L'APPLICAZIONE DELLE A.A.T.

La presenza di un animale, nella terapia, risveglia l'interesse di chi ne viene a contatto, catalizza la sua attenzione, grazie all'instaurarsi di relazioni affettive e canali di comunicazione privilegiati con il paziente, stimola energie positive distogliendolo o rendendogli più accettabile il disagio di cui è portatore.

Le categorie di persone che possono trarre beneficio dalle A.A.T. sono:

1.bambini ed adolescenti che presentano disturbi dell'apprendimento, delle capacità motorie, della comunicazione, disturbi generalizzati dello sviluppo (autismo), da deficit dell'attenzione e del comportamento, da nutrizione, ansia da separazione, disturbo reattivo dell'attaccamento, ecc...;

2. persone con difficoltà relazionali;

3. persone in stato confusionale, per esempio affette da morbo di Alzheimer, sclerosi multipla, demenza ecc...;

4. persone che presentano disabilità fisica: morbo di Parkinson, paralisi cerebrale, distrofia muscolare, ictus, spina bifida;

5. persone con difficoltà di parola legate a: sclerosi multipla, disordini dello sviluppo, ictus, problemi di udito, depressione, paralisi cerebrale;

6. persone che presentano problemi di udito che possono determinare un forte isolamento;

7. persone che presentano problemi di vista;

8. persone che hanno subito deprivazioni sensoriali;

9. persone che presentano patologie fisiche, ad es. cardiopatici, malati di A.I.D.S., ecc...;

10. malati terminali;

11. persone anziane;

12. persone tossicodipendenti;

13. persone detenute;

14. persone che presentano disturbi psichiatrici, quali disturbi dell'umore, schizofrenia, disturbi alimentari, disturbi di personalità, disturbi d'ansia.

 

3.2 CONTROINDICAZIONI PER L'APPLICAZIONE DELLE A.A.T.

Bisogna considerare inoltre alcune controindicazioni all'utilizzo delle A.A.T., poiché esse non sono una panacea applicabili a tutte le tipologie di persone. Ci sono casi in cui le A.A.T. non funzionano e questi sono:

1. quando si è in presenza di persone che non sono assolutamente in grado di prendersi cura di altri esseri vivent

2. quando la presenza di un animale potrebbe indurre una forte competizione all'interno di un gruppo

3. quando le persone fruitrici delle A.A.T. tendono a comportarsi in modo troppo possessivo nei confronti degli animali;

4. quando si è alla presenza di persone con lesioni aperte o affette da deficit del sistema immunitario;

5. quando si è in presenza di persone molto violente;

6. quando vi sono persone che presentano fobie specifiche nei confronti degli animali;

7. quando si è in presenza di persone che soffrono di ipocondria;

8. quando vi sono  persone che soffrono di allergie;

Tuttavia, prima di iniziare un intervento di attività assistite con l'animale, è necessario sempre valutare la personalità sia del potenziale utente con la sua psicologia, sia quelle dell'animale preso in considerazione, in modo tale da favorire un adattamento reciproco.

 

3.3 CONTESTI D'INTERVENTO E DI APPLICAZIONE DELLE A.A.T.

A partire dall' esperienza dei coniugi Corson, altri studiosi hanno condotto delle ricerche per inserire programmi di terapie assistite dagli animali (affiancate alle terapie mediche tradizionali) sia in contesti di prevenzione, che di sostegno, che di cura vera e propria.

Di seguito, verranno illustrati alcuni dei contesti d'intervento riscontrati nella letteratura esistente.

 

3.3.1 Esperienze di A.A.T. in istituti di detenzione.

A partire dagli anni '70 si cominciarono ad introdurre esperienze di pet therapy negli istituti di detenzione e di pena.

Nel 1975, due studiosi inglesi, Mugford e McComisky condussero uno studio su un gruppo di 30 detenuti anziani (età media 75 anni) che furono suddivisi in 5 gruppi: due di loro potevano allevare in gabbia dei pappagallini, altri due potevano curare delle begonie e all'ultimo gruppo veniva data la possibilità solo di guardare la T.V. quando gli altri erano impegnati nelle attività.

Alla fine del periodo della ricerca si notò come i due gruppi impegnati nell'attività di allevare pappagallini, migliorarono le capacità relazionali e sociali, diminuirono il loro livello di aggressività soprattutto se messi al confronto con il gruppo cui venne data la possibilità di usufruire del televisore.

Negli Stati Uniti, nel 1976 il ricercatore David Lee, dopo aver introdotto pappagalli, pesci tropicali e cavie in un manicomio criminale (il Lima State Hospital for Criminally Insane nell'Ohio), osservò da parte dei ricoverati detenuti un interesse nell'accudimento di questi animali, nonché una maggior  cooperazione con  il personale dell'istituto, una forte diminuzione degli episodi di violenza e dei tentativi di suicidio, oltre ad una notevole riduzione delle terapie farmacologiche con sedativi.

Un'altra esperienza (Quinn, 1987) fu quella condotta a Washington in un carcere femminile di massima sicurezza, il Purdy Correction Center, dove vennero introdotti dei cani per l'assistenza agli handicappati che le detenute potevano curare ed addestrare.

Durante questo programma esse si dimostrarono molto motivate ad apprendere il rispetto per le regole e gli orari, a  dominare la propria aggressività, aumentarono la propria autostima poiché si occupavano di un progetto avente fini sociali, aumentarono le capacità relazionali e comunicative, ed anche la loro immagine sociale riscontrò dei miglioramenti agli occhi dell'opinione pubblica.

Un'esperienza simile fu attuata in un carcere australiano (Walsh, 1992) dove, oltre all'aumento dell'autostima, si riscontrò anche un significativo miglioramento della depressione delle detenute.

Un detenuto in carcere conduce una vita caratterizzata da noia,  solitudine, carenza di contatti e legami affettivi ed opportunità comunicative molto scarse e povere. Far sì che un detenuto si prenda cura di un  animale significa non solo affidargli un compagno ed un'occupazione, ma soprattutto aiutarlo ad accudire e rispettare un essere vivente, con i  suoi tempi e bisogni cui lui si deve adeguare.  In questo contesto, la presenza di un animale può promuovere le interazioni sociali, aumentare la fiducia in se stessi e proiettare all'esterno un'immagine positiva del detenuto.

L'intervento può essere preso in considerazione all'interno di programmi di riabilitazione e recupero sociale.

 

3.3.2 Esperienze di A.A.T. in istituti per anziani.

Gli interventi di A.A.T. sono stati utilizzati in istituti che ospitavano persone anziane.

Una ricerca importante fu quella condotta da Salmon negli anni '80 con 60 anziani ricoverati in un ospedale geriatrico (il Caulfield Geriatric Hospital di Melbourne) che avevano un'età media di 80 anni e che presentavano svariate patologie tipiche dell'età: artrite, morbo di Parkinson, demenza senile, disturbi cardiovascolari.

Appositi test psicologici furono utilizzati per valutare il grado di socializzazione di ciascun paziente sia con il personale dell'istituto, sia con i loro compagni, così come il grado di felicità percepita, il livello di mobilità e lo stato di vigilanza. Queste misurazioni si effettuarono su tutti i pazienti, prima di un inserimento di un cane in uno solo dei due reparti dell'ospedale (l'altro reparto serviva come gruppo di controllo).

Questo studio durò 6 mesi e per tutta la durata furono ripetuti i suddetti test a cadenza mensile.

Alla fine della ricerca si notò che i pazienti, facenti parte del reparto dove era stato inserito il cane, rispetto al gruppo di controllo, si dimostravano molto più allegri, ottimisti, meno concentrati sui propri problemi e più altruisti nei confronti dei loro compagni, più attenti e responsivi agli stimoli, più partecipi alle attività e più interessati alla vita. Inoltre si notarono dei miglioramenti, a livello relazionale, con il personale dello staff ospedaliero.

Nel 1982 Gloria Francis della Virginia Commonwealth University effettuò uno studio su di un gruppo di pazienti semi-istituzionalizzati che vivevano in una casa-famiglia, per valutare l'importanza delle visite di animali domestici. Nel gruppo sperimentale ogni settimana si recavano dei conduttori pet-partner coi loro cani e gatti.  Il gruppo di controllo era costituito da pazienti di un'analoga casa-famiglia che ricevevano delle visite settimanali di alcuni volontari. Ogni gruppo era stato valutato tramite questionari rispetto al livello di autostima, benessere psicologico, soddisfazione per la vita, interesse sociale, cura di sé, funzionamento mentale e psico-sociale e livello di depressione. I risultati della ricerca misero in evidenza come le persone che avevano ricevuto le visite dalle coppie pet-partners presentano dei miglioramenti nella maggior parte dei parametri osservati, cosa che non avvenne nel gruppo di controllo.

Ralph Holcomb (1992) dell'Università del Minnesota, condusse uno studio in un istituto ospitante persone anziane con un'età media di 75 anni con un grado di depressione piuttosto alto (14 punti sulla scala di depressione geriatrica utilizzata per la valutazione). Dopo l'inserimento in struttura di conigli ed uccelli, poté notare che questi animali aiutavano a migliorare i vissuti depressivi di questi pazienti ed anche a raggiungere un maggior livello di soddisfazione da parte dello staff dell'istituto.

Molto frequentemente nella persona anziana si possono riscontrare vissuti depressivi dovuti al declini fisico, alla carenza sensoriale, alla perdita oppure al disinteressamento di parenti ed amici.

Per un anziano che si trova a vivere in una struttura, quindi con un grosso debito di relazioni affettive e comunicative, la relazione che può instaurare con un animale può fare da ponte per creare un piacere comunicativo, essere di grande aiuto per lenire i sentimenti di solitudine, aumentare l'autostima ed ottenere benefici dal punto di vista affettivo.

Secondo Savishinsky (1985) i benefici apportati dagli animali alle persone anziane possono essere riassunti in questi fattori:

1.  evocare ricordi dell'infanzia e di altre fasi dell'esistenza che permettono di integrare le proprie esperienze per elaborare nuovi significati della propria esistenza;

2.  facilitare discussioni relative alla perdita e alla morte che agevolano la preparazione dell'anziano a questo momento;

3.  contribuire a diminuire il livello di alienazione che spesso si vive all'interno degli istituti rendendo l'ambiente più simile a quello domestico;

4.  aiutare a rielaborare le dinamiche familiari del passato, in quanto gli animali portati in visita possono appartenere a specie che i pazienti hanno avuto in gioventù;

5.  facilitare la comunicazione tra pazienti e membri della propria famiglia che li vengono a trovare.

 

3.3.3 Esperienze di A.A.T. con malati d'Alzheimer.

Numerosi studi hanno riportato positivi risultati applicando le A.A.T. a persone aventi il morbo d'Alzheimer, poiché esse agiscono sul livello di socializzazione, sui parametri fisiologici di stress, riducendo i livelli di aggressione ed ansia tipici di chi è affetto da questa malattia.

Il morbo d'Alzheimer si definisce come “malattia primaria dell’encefalo caratterizzata da demenza progressiva che si manifesta in età adulta o senile... Una sindrome clinica di disfunzione cerebrale caratterizzata dalla compromissione di più funzioni cognitive in assenza di un disturbo dello stato di coscienza, con esclusione delle fasi terminali del decorso clinico. Le funzioni cognitive che vengono compromesse sono la memoria e l’intelligenza in generale, il pensiero astratto, la capacità di giudizio, il linguaggio, la percezione e l’orientamento, le abilità prassiche e gnosiche” (Cassano, Pancheri, 2002)

I risultati di una ricerca condotta da Kongable et al. (1990) hanno riportato che 20 pazienti allettati con la malattia di Alzheimer, dopo essere venuti a contatto con un cane portato in visita per 3 ore alla settimana, ottenevano dei miglioramenti a livello di  contatti sociali positivi e a livello delle capacità di orientamento. L'incontro con il cane migliorava la loro qualità di vita e gli forniva un momento di sostegno affettivo.

Batson et al. (1995) dopo aver osservato  22 pazienti con  morbo d'Alzheimer notarono che, in presenza di un cane, essi mostravano una quantità maggiore di sorrisi,  ricerca di contatto fisico, di sguardi, un miglioramento nelle aree del linguaggio che diventava più adeguato e fluido. Inoltre questi pazienti riuscivano a ricordare il nome di questo cane, lo riconoscevano e quindi si ottenevano dei benefici anche nell'area della memoria.

Un'altra ricerca condotta da Kathryn Barton e collaboratori (1998) volle monitorare parametri fisiologici quali il battito cardiaco, la pressione sanguigna, la temperatura e parametri psicologici su un gruppo di pazienti affetti da morbo d'Alzheimer per verificare gli effetti dei contatti con animali che venivano portati loro in visita. 

I risultati del loro studio avvalorarono l'ipotesi che questi contatti con gli animali, seppur limitati nel tempo, potessero influire  positivamente sul livello di stress e sui disturbi dell'umore di questi pazienti grazie alla soddisfazione di bisogni psicologici quali la vicinanza fisica, affettiva, emotiva e di comunicazione. 

Tutte queste ricerche si sono dimostrate efficaci per contrastare la depressione, incentivare le interazioni sociali, aiutare i pazienti a convivere con la malattia ed a migliorare il loro livello di funzionamento cognitivo generale, oltre che a fornire un valido supporto psicologico per un miglioramento globale della qualità di vita.

 

3.3.4 Esperienze di A.A.T. con malati di A.I.D.S.  e tossicodipendenti.

Esperienze di A.A.T. sono state condotte anche su malati di A.I.D.S. e tossicodipendenti, che a causa della loro malattia e status sociale sono facilmente emarginati ed isolati.

In una ricerca Carmalck (1991) osservò che l'affetto, l'accettazione incondizionata, il sostegno forniti dall'animale ai malati di A.I.D.S. fungeva da supporto sul piano affettivo e da sostegno per superare i sentimenti di depressione e d'ansia che potevano insorgere con la patologia. La terapia assistita con l'animale dava modo di soddisfare il bisogno di sentirsi ancora utili e di dare un significato alla propria vita, cosicché agiva da rinforzo sulla capacità di reagire alla malattia.

Uno studio condotto da Pernhaupt (1989)  all'interno di comunità per tossicodipendenti ha rilevato come la relazione uomo-animale potesse entrare a far parte del progetto di recupero di questi pazienti.

I programmi generalmente impiegati in queste strutture prevedevano l'inserimento di animali di allevamento come bovini, polli, pecore, maiali, cavalli nei confronti dei quali veniva soprattutto richiesto l'impegno all'accudimento da parte dei pazienti.

Questi erano impegnati quindi in attività gratificanti e rinforzanti che riuscivano a spostare l'attenzione dalle fonti di piacere, rappresentati dagli oggetti di dipendenza.

In seguito a questi programmi di recupero gli stessi pazienti riconoscevano all'animale la capacità di aiutarli a vincere lo stress dell'isolamento e della solitudine, ad aumentare il senso di responsabilità ed a migliorare i rapporti con  gli altri residenti ed operatori. Inoltre altri benefici riscontrati furono quelli di aver dato la possibilità a questi pazienti di riacquistare una sensazione di padronanza della propria persona, di riprendere fiducia in se stessi, di aumentare il livello di autostima e quindi di sentirsi utili per qualcuno, abbandonando o modificando così l'idea di essere cattivi, inadeguati ed indesiderabili agli occhi degli altri, idee che si erano strutturate e cristallizzate nel corso della loro esistenza ed erano alla base della loro spasmodica ricerca della gratificazione.

 

3.3.5 Esperienze di A.A.T. con bambini autistici.

Dopo il contributo di Levinson, altri studi furono sperimentati per valutare l'importanza di esperienze di A.A.T. con bambini affetti da autismo.

Se si considera che forse la manifestazione più importante dell'autismo è la difficoltà nello stabilire dei contatti e nel formare dei legami sociali, è interessante e stimolante il fatto che la maggior parte dei lavori riportano che il soggetto autistico instaura ciò che appare come una relazione stretta con l'animale con il quale è posto a contatto.

Condoret, un allievo di Levinson, fondatore dell'Associazione Francese d'Informazione e Ricerca sull'animale, constatò che l'animale domestico poteva fungere da confidente, fratello, compagno di gioco,  una sorta di figura di attaccamento secondaria per bambini autistici. Egli condusse una ricerca introducendo un cane in una classe speciale ospitante bambini autistici con disturbi cognitivi e difficoltà di linguaggio. Osservò come questi dimostrassero un forte impegno ed una forte motivazione nell'articolare delle frasi per farsi comprendere dall'animale o per dargli dei comandi, molto più di quanto avessero finora fatto, interagendo solo ed esclusivamente con altri esseri umani.

Redefer e Goodman (1989), condussero una ricerca sistematica che evidenziò cambiamenti nel comportamento sociale di bambini autistici. Il gruppo sperimentale era costituito da 12 bambini frequentanti una scuola per autistici, tutti con evidenti problemi di isolamento e linguaggio quasi assente.

Essi furono sottoposti ad un programma di PEF (Pet-Faclitated Psychotherapy) strutturato in tre sessioni:1)nella prima sessione ogni bambino, per un periodo di  lezioni, veniva incoraggiato ad interagire con il terapeuta che era presente in classe 2) nella seconda sessione, durante un altro periodo di lezioni, oltre al terapeuta vi era la presenza di un cane ed ogni bambino veniva invitato ad avvicinarsi per  accarezzarlo e  giocare e, se avesse voluto, poteva includere nei giochi anche il terapeuta. 3) una terza sessione in cui, sempre durante le lezioni, il cane non era più presente ma vi era di nuovo solo più il terapeuta.

I parametri presi in considerazione per valutare l'intervento furono il livello d'isolamento di ciascun bambino, i giochi messi in atto, le interazioni con gli altri e il grado di comunicazione espresso a seconda di quando l'interlocutore fosse il terapeuta oppure il cane.

Dopo la fine di queste tre sessioni si poté constatare che, durante la prima sessione, i bambini non comunicavano diversamente dal solito, mentre, durante la seconda, i suddetti si isolarono molto meno, incrementarono l'interazione sociale e diminuirono le stereotipie e i suoni inarticolati.

Inoltre nella seconda sessione, i bambini mantenevano il contatto oculare mentre interagivano con il cane, mostravano sequenze di gioco appropriate, una certa sensibilità nei confronti delle sue necessità e quando frustrati cercavano conforto in lui, si dimostravano pazienti e gli dimostravano affetto. Il terapeuta si poteva avvicinare ai bambini che si trovavano vicino al cane e di conseguenza poteva prendere parte ai giochi. A volte i bambini riuscivano perfino ad imitarlo ed in alcuni casi lo abbracciarono perfino.

Nella terza sessione, dopo che il cane era stato allontanato, l'aspetto comunicativo dei bambini diminuì notevolmente anche se non raggiunse i livelli iniziali.
Ma perché una maggior facilità di comunicazione con l'animale?
Le ipotesi formulate sono state:
1. le persone inibiscono il comportamento interattivo dei bambini autistici in qualche modo, l' animale no;
2. il rapporto inter-specifico non è realmente reciproco e questo potrebbe rimuovere alcuni dei conflitti che i soggetti autistici sembrano vivere nelle relazioni prettamente umane;
3. forse l'animale rappresenta uno stimolo sufficiente a esporre i pensieri e i sentimenti, ma non induce a metterli in comune.

Studi sull'interazione tra animali e bambini autistici furono anche condotti dalla psicologa canadese Chislaine Paquett, dell'Associazione Canadese di Zooterapia, la quale osservò che la loro interazione con un cane poteva risvegliare l'attenzione ed era in grado di far loro eseguire giochi simbolici abbastanza complessi se non impossibili da parte di un bambino affetto da questa patologia.

Anche altri autori come Smith (1983), Katcher (1984) e Campbell (1992) nelle loro ricerche hanno riscontrato che l'avvicinamento di animali a bambini autistici, caratterizzati da assenza di linguaggio,  riusciva a stimolarli facendo loro articolare parole e frasi, riusciva   ad indurre  in loro un' apertura  all'ambiente esterno, tramite il gioco con essi.

 

CAPITOLO QUATTRO

L'IMPORTANZA DELLA RIABILITAZIONE PSICHIATRICA ATTRAVERSO L'USO DELLA TERAPIA ASSISTITA CON L'ANIMALE

 

4.1 Principi della riabilitazione psichiatrica.

Nel corso degli anni l'approccio alla malattia mentale è cambiato, passando dal concetto di assistenza e custodia a quello di cura, riabilitazione ed integrazione sociale.

Per molto tempo il paziente psichiatrico è stato descritto solamente per le sue condizioni psicopatologiche, per nulla influenzabili dalle risorse terapeutiche ed era isolato dal resto del contesto sociale, chiuso nei manicomi. In questo modo si contribuiva alla sua disintegrazione per quanto riguarda l'identità personale.

La persona affetta da disturbi psichiatrici era vista solo in una dimensione, quella del malato mentale, senza considerare il fatto che egli potesse possedere talento, abilità, sogni e speranze.

E' solo con la scoperta di nuovi farmaci che la psichiatria ha iniziato a curare anziché soltanto a gestire clinicamente il paziente, considerandolo anche sul piano umano e sociale.

Le persone affette da una disabilità psichica presentano una difficoltà  nel funzionamento sociale, difficoltà a sostenere un ruolo e quindi necessitano di un'ampia gamma di servizi che li possano aiutare come supporto a queste loro difficoltà.

Come afferma Anthony (1979) in un suo lavoro, il più importante obiettivo della riabilitazione psichiatrica risulta essere quello di poter fare in modo che una persona, avente una disabilità psichica,  riesca ad utilizzare le abilità fisiche, emotive, sociali ed intellettuali  necessarie per vivere all'interno di un contesto sociale e per rimediare alla disabilità, con il minimo sostegno possibile da parte dei rappresentanti delle professioni d'aiuto.

Il principale modo attraverso cui questo obiettivo può essere raggiunto prende in considerazione da una parte l'addestramento dell'individuo in questione alle specifiche abilità richieste per un funzionamento adatto e dall'altra lo sviluppo delle risorse dell'ambiente necessarie ad assecondare il livello di funzionamento raggiunto (Libermann 2003).

Riabilitare significa agire sulle relazioni, ricercare le giuste distanze emotive, influire sul comportamento del paziente, ma anche sul comportamento degli altri.

L'approccio attuale al malato non dimentica di trovarsi di fronte ad un uomo e non solo ad una malattia da rinchiudere in una gabbia fatta di categorie, sintomi e diagnosi.

Questo approccio favorisce quindi un miglioramento sintomatologico ed un miglior adattamento sociale attraverso interventi articolati, i cui punti nodali sono costituiti da interventi integrati farmacologici, psicoterapeutici, sulla rete sociale e famigliare e di attività volte a mettere in evidenza le abilità.

L'impoverimento cognitivo ed affettivo che di regola accompagna la persona con problemi psichiatrici è dovuto anche all'impoverimento di stimoli e risposte provenienti dal suo contesto sociale.

Gli obiettivi della riabilitazione possono essere differenti a seconda delle varie scuole di pensiero, ma come scopo comune a tutte vi è la tendenza all'autonomia del paziente psichiatrico.

Nel processo riabilitativo viene sottolineata la centralità dell'utente, il quale assume un ruolo attivo in questo processo, grazie all'attenzione delle sue risorse e capacità, riconoscendone le abilità presenti piuttosto che soffermandosi sugli ostacoli posti dalle sue disabilità.

Riabilitare, quindi, non si traduce nell'assunzione di una tecnica terapeutica specifica, ma va inteso come sguardo all'orizzonte delle possibili strategie che conducono il soggetto a ricoprire un ruolo sociale riconosciuto e riconoscibile.

Vengono dunque riconosciuti i diritti sociali dell'individuo indipendentemente dalle sue abilità e capacità di porsi come interlocutore in una rete di risorse e di servizi.

La cura riguarda quindi il malato, che è trattato con i farmaci e/o con la psicoterapia, ma anche il suo ambiente di vita è oggetto di un intervento riabilitativo che completa gli effetti della cura; in questo modo fra cura e riabilitazione non c'è più una distinzione rigida dei tempi e dei luoghi, mentre permane una differenziazione per quanto riguarda gli strumenti ed i  livelli d'intervento.

La funzione della riabilitazione non è più normativa né di contenimento, ma consiste nell'affrontare un percorso reciproco di condivisione fra individuo e tutto il personale che ruota attorno a lui( medici, psicologi infermieri, operatori ecc...).

L'intervento riabilitativo tende ad incidere su ambiti generali quali:

1) perseguire il livello più alto possibile di autonomia e di libertà espressiva dell'individuo 2) favorire il perseguimento dello sviluppo della persona, svincolandola da forme di comportamento e di relazioni rigide che la fanno soffrire e che provocano reazioni avverse e nocive da parte dell'ambiente, aiutandola a sviluppare modelli non solo tollerabili, ma anche condivisibili da parte del suo ambiente 3)sollecitare l'ambiente verso l'accoglienza dell'individuo sofferente 4)collocare infine questi obiettivi complessi all'interno di un globale progetto di vita che non può essere né predeterminato, né deciso al di fuori della coscienza e dell'esistenza concreta dell'individuo stesso.

 

4.2 L'attività assistita con l'animale come mezzo di riabilitazione psichiatrica.

Molti operatori della salute mentale ritengono necessaria l'applicazione di interventi riabilitativi come integrazione di altre forme di trattamento esistenti (Anthony, 1977; Libermann, Evans, 1985).

In questo panorama si può inserire, come attività riabilitativa la terapia assistita con l'animale.

Le esperienze da Levinson in poi  hanno evidenziato il successo della terapia assistita con gli animali inserita all'interno di programmi riabilitativi rivolti a pazienti psichiatrici.

Naturalmente poiché l'intervento funzioni è necessario porsi nell'ottica di un approccio interdisciplinare in cui pazienti, animali, veterinari, conduttori, psichiatri, infermieri, educatori, formino un gruppo di soggetti interconnessi e formanti un'equipe che si può definire “allargata” o equipe sul progetto per quei determinati pazienti.

Nelle numerose ricerche condotte su pazienti psichiatrici il merito delle A.A.T. impiegate è stato quello di facilitare la comunicazione ed il dialogo in situazioni di deprivazione sociale come quelle in cui si trovano, specialmente in un contesto istituzionalizzato.

L'animale riesce ad instaurare un'interazione con il paziente  superando qualsiasi forma di barriera che impedisce spesso all'uomo di andare oltre la diversità. L'animale non distingue l'essere umano in base alle proprie capacità ed abilità, non filtra la realtà con le lenti del pregiudizio e dell'avversione, che spesso portano i soggetti più deboli a vivere situazioni sociali svantaggiate che sono quelle dell'isolamento e della solitudine.

Come si legge in una dichiarazione fatta da una donna in uno scritto di Leete (1989): “...La vita è dura con una diagnosi di schizofrenia. Io posso parlare ma non essere ascoltata. Posso fare delle proposte, ma la gente non le prende seriamente. Posso riportare i miei pensieri, ma vengono considerati come idee fisse. Posso riportare le mie esperienze di vita, ma sono interpretate come fantasie...”

Lo sguardo e la postura del paziente, per quanto particolari, non modificano il comportamento dell'animale che, non giudicando, non ha, a differenza dell'uomo, atteggiamenti di difesa o di fuga da esso e questi lo percepisce.

L'animale, oltre a fornire un importante supporto sociale in sé, si  dimostra un valido mezzo per stimolare il paziente ad uscire da se stesso e a ridirigere l'attenzione verso l'ambiente e verso le persone che lo circondano, permettendogli, come conseguenza, un recupero psicologico e fisico.

Molto spesso questa tipologia di pazienti vive sentimenti di depressione, di distacco o di non accettazione; essi hanno la necessità di sentire un senso di connessione, un legame personale con un altro essere vivente. Per molti un legame con un'altra persona viene vissuto come rischioso ed ecco quindi che l'animale diventa una presenza adeguata.

La relazione con un cane, un gatto o un qualsiasi altro animale domestico  diventa un trampolino di lancio per un successivo futuro collegamento con una persona umana.

 

4.3 RASSEGNA DI STUDI CONDOTTI SU PAZIENTI PSICHIATRICI ADULTI.

 

4.3.1  STUDIO CONDOTTO DA A. BECK, L. SHERAYDARIAN E F. HUNTER: L’ uso di animali nella riabilitazione di pazienti psichiatrici . (1986)

Lo studio fu condotto in un ospedale psichiatrico della Pennsylvania.

L’ipotesi di partenza era valutare se la presenza dell’animale potesse rendere l’ambiente della seduta di gruppo meno minaccioso, così vennero comparate due terapie di gruppo.

Vennero scelti a caso 20 pazienti ma tre di loro si rifiutarono di firmare il consenso informato, di conseguenza un gruppo fu formato da sei maschi e due femmine (gruppo 1) e l’altro da sei maschi e tre femmine (gruppo 2, gruppo di controllo ).

Il setting terapeutico e le attività svolte erano simili per i due gruppi, con la differenza che nel gruppo 1, all’interno della stanza di terapia, erano presenti dei fringuelli in gabbia.

Sedute giornaliere di gruppo furono condotte per 11 settimane.

I pazienti scelti avevano in media la stessa età (circa 40 anni), una diagnosi che rientrava nella patologia della schizofrenia ed un periodo di istituzionalizzazione di circa 5 anni.

Prima di ogni seduta, i pazienti dei due gruppi venivano invitati ad entrare nella stanza di terapia e si chiedeva loro di aspettare per un po’ di tempo l’inizio delle attività. L’attesa di ciascun paziente era video-registrata cosi come la partecipazione all’attesa espressa con parole.

I pazienti furono valutati da psichiatri e psicologi con la BPRS (Brief Psychiatric Rating Scale) due settimane prima che cominciassero le sedute di gruppo e due settimane dopo la fine di queste.

Inoltre venne usata la NOSIE (Nurses Observation Scale for Inpatient Evaluation), una scala che misurava il comportamento in reparto per dare una valutazione completa di ogni paziente. Questa venne  compilata da un’infermiera due settimane prima dell’inizio delle terapie di gruppo e due settimane dopo la loro fine.

Lo staff terapeutico era composto da psichiatri, infermieri, psicologi, educatori, assistenti sociali. Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, le terapie per entrambi i gruppi erano condotte da una di queste figure e venivano svolte una di seguito all’altra: prima con il gruppo 1 nella stanza dove erano presenti i fringuelli e poi con il gruppo 2 in un’altra stanza uguale alla prima, con la differenza che non erano presenti i fringuelli.

Le sessioni di gruppo duravano circa 30 minuti ciascuna.

Lo studio si concluse dopo 10 settimane perché 4 degli 8 partecipanti al gruppo 1 furono dimessi dall’ospedale. Per questi pazienti la BPRS e la NOSIE vennero compilate al momento della dimissione.

Dai risultati della ricerca emerse che il gruppo 1 si dimostrò più incoraggiato ad intavolare discorsi che si riferivano ai fringuelli presenti in stanza e percepiva l’ambiente meno minaccioso, rispetto al gruppo di controllo.

Per quanto riguarda la capacità di attendere e la partecipazione verbale durante l’attesa, si notò che il gruppo 1 ottenne migliori risultati, rispetto al gruppo di controllo.

I risultati della BPRS, ottenuti dalla somministrazione effettuata prima dell’inizio di queste terapie, non fecero emergere particolari differenze tra i due gruppi. Quelli invece ottenuti alla fine dello studio dimostrarono come, nel gruppo 1 si fossero ottenuti migliori risultati per la sottoscala dell’ostilità, rispetto al gruppo di controllo.

Per quanto riguarda i risultati della NOSIE, non si rilevarono particolari differenze tra i risultati dei due gruppi.

 

4.3.2 STUDIO CONDOTTO DA J.NIELSEN E L. DELUDE: Pet therapy come terapia aggiuntiva in una residenza per pazienti psichiatrici. (1994)

Lo studio fu condotto in Canada su quattro pazienti femmine e quattro pazienti maschi che risiedevano in una residenza supportata che ospitava pazienti psichiatrici e che erano seguiti dall'associazione CARS (Società Canadese per residenti autonomi).

L'obiettivo di questo studio era vedere se la presenza di animali potesse influire sul grado di socializzazione di questi pazienti.

L'età dei residenti variava dai 17 ai 50 anni.

In passato tre di questi avevano posseduto dei cani, e quattro sia cani che gatti. Un'altra persona di questo gruppo aveva posseduto un criceto.

Tutti questi pazienti erano stati seguiti dal punto di vista terapeutico da un istituto pubblico per disturbi bipolari e schizofrenici ed erano stati in seguito dimessi.

Durante il periodo dello studio, ciascuno di loro assumeva terapie giornaliere, partecipava a dei gruppi ed a delle sessioni di terapia individuale. La residenza, collocata in una zona agricola in una città di circa 60.000 abitanti, veniva curata da un gestore, il quale provvedeva, durante il giorno, a dare assistenza ai residenti.

Prima di iniziare lo studio, ci fu un'assemblea dove si chiese loro se avessero desiderato l'inserimento di pesci e porcellini d'India in gabbia all'interno della residenza. Si disse loro inoltre che, uno degli sperimentatori, una volta inseriti gli animali, avrebbe fatto delle supervisioni in struttura per verificare le loro condizioni fisiche (se l'acquario dei pesci fosse stato alla giusta temperatura, se avesse avuto sufficiente luce, se i porcellini si fossero ben adattati al loro nuovo ambiente) ed avrebbero anche osservato i comportamenti interattivi tra loro e gli animali.

I residenti si dichiararono d'accordo e contenti della proposta.

Furono così introdotti nel salotto della residenza un acquario contenente due pesciolini tropicali, di colore differente ed una gabbia contenente due porcellini d'India maschi , uno grigio col pelo corto e l'altro tricolore col pelo lungo.

Per un periodo di una settimana (fase A) ci fu solamente l'acquario e poi successivamente (fase B) venne introdotta la gabbia dei porcellini d'India. Siccome i residenti di questo gruppo di studio erano impegnati in altre attività, che si svolgevano al di fuori della struttura, non sempre tutti erano presenti al momento dell'osservazione.

Questa si svolse per sei settimane consecutive, dove giornalmente, una delle due ricercatrici studiò i comportamenti dei residenti nei confronti di questi animali  e registrò qualsiasi tipo di comunicazione che si svolgeva all'interno del salotto (sia quando i residenti si rivolgevano agli altri animali, sia quando si rivolgevano agli altri loro compagni oppure alla ricercatrice direttamente).

Vennero inoltre registrate tutte le volte che i residenti si avvicinavano ai porcellini d'India per dar loro da magiare per toccarli  oppure per prenderli in braccio.

Poiché durante lo studio un pesciolino morì, quasi tutti provarono tristezza per l'accaduto ed anche per la solitudine che avrebbe provato il rimanente pesce. Così uno dei residenti per ovviare a questa cosa, di sua iniziativa andò a comperarne un altro.

Quando il pesciolino morì, i residenti si pentirono del fatto che, i primi giorni dell'esposizione, andavano vicino all'acquario per spaventarli e per incitarli a combattere l'uno contro l'altro.

Con il passar del tempo i residenti si occuparono man mano di dar da mangiare ai pesci ed ai porcellini (all'inizio ciò veniva fatto solo dalla ricercatrice). Al termine di queste sei settimane di esposizione, fu distribuito un questionario ai residenti in cui veniva sondato  il desiderio di tenere o meno degli animali in struttura.

Inoltre venne loro chiesto di esprimere i sentimenti provati durante il periodo in cui  gli animali erano stati in struttura.

Sette di loro dissero che li divertivano i pesci cinque di questi anche i porcellini d'India. Uno disse di non sapere scegliere. Quando si chiese loro che cosa apprezzassero di meno dei porcellini, tre risposero il disordine, uno citò la timidezza  e un altro la bruttezza. Venne loro chiesto inoltre quali animali avrebbero voluto avere in struttura, alcuni risposero dei cani e dei gatti, uno un coniglio e un altro più pesci.

Dalle osservazioni si notò che i residenti si avvicinavano maggiormente agli animali nella fase B, quando vennero introdotti i porcellini d'India , piuttosto che quando vi erano presenti solo i pesci. Questo perché i porcellini erano più vivaci e stimolanti rispetto ai pesci.

In particolare si notò questo comportamento in doppia misura per quei residenti che da poco erano venuti ad abitare nella struttura, rispetto a coloro che invece abitavano già lì da tempo. Inoltre si notò che la frequenza dei discorsi rivolti agli animali aumentò quando vennero introdotti i porcellini d'India rispetto a quando vi erano solo i pesci. Sette degli otto pazienti toccarono i porcellini d'India per un totale di 34 volte e 4 di loro li presero in braccio per un totale di 26 volte.

Le osservazioni dei comportamenti ed i risultati dei questionari dimostrarono come i residenti fossero stati molto contenti della presenza degli animali. 

Quest'ultima facilitò l'interazione sociale a più livelli: in particolar modo la loro presenza era un' argomento di comunicazione tra i residenti ed anche nei confronti della ricercatrice e faceva da ponte per poter arrivare a parlare anche di faccende più personali.

Alla fine di questo studio, sia i pesci che i porcellini d'India rimasero nella residenza, poiché i residenti lo richiesero con enfasi.

 

4.3.3 STUDIO CONDOTTO DA M. ZISSELMAN, B.ROVNER, Y. SHMUELY, P. FERRIE: Un intervento di pet therapy con  pazienti psichiatrici anziani. (1996)

Lo studio fu condotto a Filadelfia in un ospedale per pazienti psichiatrici su 58 anziani ospedalizzati. Costoro erano affetti da svariate patologie croniche: depressione, demenza, morbo di Parkinson accompagnate naturalmente da disturbi fisici.

Si scelse di far partecipare all'intervento di pet therapy 33 di essi e gli altri 25 invece furono sottoposti ad un'altra attività  che già faceva parte della routine terapeutica di quell'ospedale. Tutti questi soggetti erano simili per caratteristiche demografiche e cliniche.

Entrambi gli interventi furono condotti per 5 giorni consecutivi per ciascun gruppo. Il gruppo sperimentale sottoposto a terapia assistita con l'animale,  riceveva la visita di un cane per un'ora al giorno.

I soggetti potevano accarezzarlo, dargli da mangiare ed erano incoraggiati dagli sperimentatori a parlare delle loro esperienze passate con animali domestici, qualora ne avessero avute.

Coloro che facevano parte del gruppo di controllo erano impegnati anch'essi per un'ora in altri esercizi.

Come strumento per entrambi i gruppi fu usato  la scala MOSES (Multidimensional Observation Scale for Elderly Subjects) per valutare il funzionamento e la risposta al trattamento.

Questa scala era composta da 40 items, raggruppati in 5 sottoscale: 1) funzionamento nella cura del sé 2) comportamento disorientato 3) umore depresso ed ansioso 4) comportamento irritabile 5) ritiro sociale.

I punteggi variavano in un range tra 8-32, dove al numero più alto corrispondeva un più marcato livello di compromissione.

Questa scala venne compilata per ogni soggetto intervistando lo staff di infermieri che quotidianamente era più a contatto con loro.

Dai risultati emerse che non vi furono rilevanti differenze statistiche tra i due gruppi per quanto riguarda le sottoscale della MOISE prima e dopo il trattamento.

La maggior parte dei soggetti di entrambi i gruppi, dopo l'intervento, ebbero dei miglioramenti per quanto riguarda le sottoscale della cura del sé, del funzionamento sociale e del comportamento irritabile.

Il comportamento irritabile migliorò soprattutto in donne affette da demenza, sia del gruppo sperimentale che di quello di controllo.

I soggetti del gruppo sperimentale dissero che la presenza del cane era servita loro sotto molti punti di vista: fungeva da ponte di comunicazione con gli altri compagni, era fonte di svago che consentiva di pensare meno ai problemi e quindi portatrice di maggior benessere.

Un punto di debolezza questo studio fu l'intervento limitato nel tempo (5 giorni) perché forse differenze statistiche dei risultati tra i due gruppi sarebbero potute emergere con un periodo d'intervento più lungo e magari con un gruppo di controllo formato da persone non sottoposte ad un'attività strutturata ma in condizione di passività.

 

4.3.4 STUDIO CONDOTTO DA S. BARKER E K. DAWSON: Gli effetti della terapia con gli animali  sui livelli di ansia in pazienti psichiatrici ospedalizzati. (1998)

Questo studio fu condotto in un servizio di degenza psichiatrica di un centro medico accademico a Richmond, in Virginia.

Il servizio trattava pazienti adulti con una vasta gamma di disturbi psichiatrici acuti.

I soggetti studiati furono 230, 174 donne e 139 uomini, di età compresa tra i 25 e 49 anni.

Le diagnosi di questi pazienti si potevano collocare all’interno di 4 categorie: 1) disturbi dell’umore  2) disturbi psicotici 3) disturbi da uso di sostanza 4) altri disturbi che includevano disturbi ansiosi, cognitivi, di somatizzazione e di personalità. Lo studio aveva lo scopo di esaminare se una sessione di terapia con gli animali poteva ridurre i livelli di ansia di questi pazienti. Naturalmente si valutarono idonei a partecipare a questo studio persone che non avessero timore dei cani, che non manifestassero allergie canine e che  manifestassero interesse per l'attività.

Una volta selezionati i pazienti, essi parteciparono a due distinte sedute ricreative di gruppo: una con la presenza dell’animale e l’altra senza. Queste sedute furono tenute ciascuna una volta a settimana, quella con l’animale in un giorno e l’altra il giorno successivo.

Fu impiegato uno studio cross-over prima e dopo il trattamento.

La sessione di  terapia assistita con l’animale durava circa 30 minuti una volta a settimana e vi era un’interazione di gruppo con un cane ed il suo proprietario nonché conduttore pet-terapista. Naturalmente il cane utilizzato in terapia rispondeva a determinati requisiti: era stato addestrato e sottoposto vaccini e controlli veterinari. Durante questa sessione il conduttore parlava del cane ed incoraggiava i pazienti a parlare di esperienze, passate e presenti, con animali domestici (qualora ne avessero avute).  Il cane si poteva muovere liberamente per la stanza interagendo con loro ed obbedendo a comandi.

Il gruppo di controllo fu una sessione terapeutica di gruppo tenuta con gli stessi pazienti il giorno seguente la sessione di terapia con l’animale. Il contenuto della terapia era vario: si discuteva  su  come trascorrere il tempo libero, su come trovare risorse di benessere e si facevano attività di arte e musica.

Lo studio si avvalse dell’uso della scala di State Trait Anxiety Inventory ( S.T.A.I.) per misurare i livelli di ansia al momento attuale prima e dopo la sessione di terapia con l’animale e prima e dopo l’altra sessione terapeutica non assistita con l'animale. Questa scala, che i pazienti si potevano auto-somministrare, consisteva in 20 items relativi a sentimenti quali apprensione, nervosismo, tensione e preoccupazione. Per ciascun item ogni paziente doveva barrare una di 4 caselle che corrispondevano a 4 condizioni: per nulla, un poco, abbastanza, moltissimo. Alla fine si poteva ottenere un punteggio ponderato che poteva oscillare in un range di 20-80, dove a quest'ultimo valore corrispondeva  il più alto livello di ansia.

Se i pazienti avevano difficoltà ad auto-somministrarsi il test, potevano essere aiutati dalle due psicologhe presenti. Per quanto riguarda la sessione di terapia di gruppo assistita con l'animale, la S.T.A.I. veniva somministrata prima che il cane entrasse nella stanza.

I pazienti sottoposti a terapia assistita con animali ebbero tutti una significativa diminuzione dei livelli d’ansia durante la terapia.

Per quanto riguarda il gruppo di controllo, soltanto i pazienti con disturbi dell’umore ebbero dei cali significativi dei livelli di ansia durante la sessione ricreativa. 

In particolare nei pazienti che presentavano disturbi psicotici, la riduzione dei livelli di ansia  fu di due volte maggiore durante la terapia assistita con l’animale, rispetto a quella sola di ricreazione. Questo perché  probabilmente la terapia assistita con l’animale richiedeva una interazione minore a livello di parole, di dialogo rispetto ad una terapia tradizionale e si basava soprattutto sul contatto fisico con il cane.

Nessuna significativa riduzione dell’ansia fu trovata in pazienti facenti uso di sostanze né dopo la terapia assistita con l'animale, né dopo quella ricreativa.

Da ciò si è potuto dedurre  che la terapia assistita con l’animale riduceva l’ansia per un’ampia gamma di pazienti rispetto alla terapia ricreativa senza l’ausilio dell’animale.

 

4.3.5 STUDIO CONDOTTO DA C. MARR, L. FRENCH, D. THOMPSON, L. DRUM, G. GREENING, J. MORMON, I. HENDERSON, C. HUGHES.:Terapia assistita con l'animale nella riabilitazione psichiatrica. (2000)

Lo studio prese in considerazione 69 pazienti psichiatrici (70% maschi e 30% femmine) tra i 20 e i 66 anni all'interno di un centro riabilitativo il Terrel State Hospital in Texas: la media del loro ricovero era di circa 6 mesi.

Il 48% avevano una diagnosi di schizofrenia, il 27%  di disturbo bipolare, il 18% di altri disturbi psicotici ed il 7% di depressione.

Tutti avevano una storia d'abuso di alcool e droghe. All'interno di questo centro, costoro seguivano dei gruppi educativi sull'abuso di sostanze. Entrambi parteciparono a due sessioni terapeutiche di gruppo che avevano lo scopo di creare, rinforzare, mantenere delle abilità necessarie per non ricorrere all'uso di alcool e droghe o per affrontare un processo di ricovero, qualora l'abuso fosse già stato in atto.

Gli obiettivi della terapia si focalizzarono su: 1) imparare a riconoscere le conseguenze negative ed i pericoli relativi all'uso di sostanze 2) imparare a riconoscere la relazione tra l'attuale comportamento e passati conflitti emozionali non risolti  3) imparare a riconoscere il nesso tra le esperienze passate di abbandono ed gli attuali problemi di identità, intimità, vissuti di colpa e di vergogna  4) imparare a riconoscere il fatto che facendo determinate scelte  si poteva rovinare la propria immagine sociale  5) riconoscere i processi di pensiero ed i processi emozionali messi in atto quando  si prendeva la decisione di far uso di sostanze  6) riconoscere i potenziali benefici insiti nella terapia di gruppo che, tramite 12 passaggi, dava delle indicazioni su come affrontare i problemi insorgenti dall'abuso di alcool e droghe.

I pazienti furono divisi in due gruppi: un gruppo sperimentale sottoposto a terapia assistita con l'animale con la presenza di un pet-terapista ed un gruppo di controllo senza la presenza dell'animale. Per ciascun animale utilizzato vi era una scheda attestante il suo stato di salute, le relative vaccinazioni ed i percorsi d'addestramento.

Entrambi i gruppi furono sottoposti a due percorsi di terapia riabilitativa di gruppo, identici sia per quanto riguarda la conduzione, i contenuti e la durata (dal lunedì al venerdì, un'ora la settimana, per 4 settimane).

Il gruppo sperimentale, ogni giorno, aveva in stanza di terapia la presenza di animali: cani, conigli e furetti. I pazienti potevano osservarli ed interagire con loro (tenerli in braccio, accarezzarli, giocare) per tutta la durata della seduta. Ai pazienti non veniva richiesto di interagire con loro: il tutto si verificava liberamente e volontariamente. Tra tutti ci fu solamente una paziente, che per tutta la durata dello studio, non  toccò mai gli animali.

Alla fine di ogni seduta di terapia, i conduttori dei due gruppi, sia di quello sperimentale che di quello di controllo, compilarono per ciascun paziente la scala SBS (Social Behavior Scale). Di questa, nove domande erano dirette all'osservazione dei comportamenti dei pazienti in gruppo. Le risposte a ciascun item andavano da 1 a 5  dove 5 era il massimo punteggio positivo.

Gli items prendevano in considerazione le attività, la socializzazione, la sensibilità di ciascun paziente nei confronti degli altri, la capacità di aiutarsi vicendevolmente, la comunicazione, il comportamento non verbale, i sentimenti di piacere provati durante le sedute.

Dai risultati emerse che non si rilevarono differenze tra i due gruppi per le prime tre settimane d'osservazione, invece  nella quarta settimana si notò come i pazienti facenti parte del gruppo sperimentale, erano più attivi, interagivano maggiormente, erano più di buon umore, si aiutavano, interagivano e comunicavano maggiormente tra di loro rispetto a quelli del gruppo di controllo.

 

4.3.6 STUDIO CONDOTTO DA Y. BARAK, O. SAVORAI, S. MAVASHEV, A. BENI: Terapia assistita con l’animale per pazienti schizofrenici anziani. (2001)

La ricerca fu condotta per un anno in un istituto psico-geriatrico, l’Ababanel mental Healyh Center in Israele.

Furono scelti a random dieci pazienti  che avrebbero fatto parte del gruppo di terapia assistita con l'animale (A.A.T.)  e 10 pazienti che avrebbero fatto parte del gruppo di controllo. L’età compresa era tra i 72 ed 86 anni.

I criteri d’inclusione per partecipare a questo studio furono: 1) la diagnosi comune di schizofrenia 2) l’età superiore ai 65 anni 3) l’ospedalizzazione da almeno 10 anni 4) il consenso a partecipare allo studio.

I criteri di esclusione allo studio furono: 1) serie alterazioni cognitive 2) allergie nei confronti di cani e gatti 3) malattie fisiche come l’asma.

Lo studio fu condotto   in doppio cieco.

Uno psicologo clinico somministrò la S.A.F.E. (Scale for Social Adaptive Functioning Evaluation), composta da 17 items, ciascuno valutato secondo una scala che andava da 0 (nessuna compromissione) a 4 ( compromissione estrema). Gli items della scala valutavano il  controllo dell'impulsività, il rispetto della proprietà, abbigliamento, alimentazione e dieta, gestione del denaro, pulizia e gestione dello spazio di vita, orientamento/mobilità, abilità di comunicazione, abilità sociali strumentali, appropriatezza sociale/educazione, interazioni sociali, amicizie, tempo libero, cura del sé ed igiene personale, partecipazione ai programmi della struttura, adesione al trattamento.

Tutto ciò si poteva valutare tramite l’osservazione  e l’interazione con i soggetti. La somministrazione della S.A.F.E fu condotta in tre momenti: 1) prima dello studio 2) sei mesi dopo 3) dopo un anno dall’inizio dello studio.

La A.A.T. fu condotta da tre conduttori di pet therapy  una volta la settimana, sempre nello stesso giorno, per 3 ore. Inoltre, durante la seduta era presente un’infermiera psichiatrica. Ad ogni paziente veniva dato un cane oppure un gatto, a seconda delle preferenze. Durante queste sessioni di terapia i pazienti dovevano svolgere attività come accarezzare l’animale, dargli da mangiare, spazzolarlo, fargli il bagno e condurlo a fare passeggiate. Un obiettivo di questa terapia era fare aumentare il movimento fisico dei pazienti e la socializzazione tra loro, mentre facevano fare passeggiate ai cani al di fuori dell’ospedale. Inoltre queste ultime consentivano a questi pazienti di interagire con i passanti che erano attirati dai cani.

Ogni seduta veniva poi conclusa in una stanza all’interno dell’ospedale dove si chiedeva ai pazienti di raccontare che cosa fosse successo durante il loro periodo trascorso con l’animale.

Il gruppo di controllo invece veniva radunato per leggere e discutere le notizie del giorno e veniva occupato per la stessa durata della terapia con l’animale dell’altro gruppo di pazienti. Presenti in questo gruppo vi erano tre infermiere per mantenere il numero uguale dello staff dell’altro gruppo (i tre conduttori).

Non ci furono differenze significative tra i due gruppi per quel che riguarda  il controllo degli impulsi. Si ebbero dei miglioramenti in entrambi i gruppi per quanto riguarda la sfera dell’igiene personale e della cura del sé.

Ci fu però una differenza significativa tra i due gruppi per quanto riguarda il funzionamento sociale, di gran lunga migliorato nel gruppo dei pazienti sottoposti a A.A.T.

Il miglioramento fu significativo già a partire dai 6 mesi dall’inizio dello studio, per poi raggiungere il massimo dei risultati ad un anno.

La terapia incoraggiava  il movimento, il contatto interpersonale, la comunicazione e rinforzava le attività quotidiane come l’igiene personale, la cura di sé, attraverso l’uso di cani e gatti come modelli.

4.3.7 STUDIO CONDOTTO DA S. BARKER, A. PANDURANNGI, A. BEST: Gli effetti della terapia assistita con l’animale su pazienti ansiosi, depressi e impauriti prima della terapia elettro-convulsiva (ECT). (2003)

Questo studio si svolse a Richmond, in Virginia.

L’obiettivo era di valutare se l’attuazione di una terapia assistita con l’animale potesse ridurre i livelli di ansia e di paura in pazienti psichiatrici prima dell’ECT.

Spesso i pazienti erano ansiosi, ma soprattutto impauriti, prima di affrontare questo tipo di terapia, nonostante l’anestesia ed altre tecniche mediche di sicurezza cui venivano sottoposti. La paura per l’ECT portava sovente ad una non compliance e quindi ad un rifiuto della stessa. 

Ci sono stati degli studi discordanti, alcuni dei quali dimostrarono che il far vedere dei video educativi oppure  attuare interventi educativi di supporto emotivo potessero far affrontare a questi pazienti l’ansia e la paura. Non sempre questi interventi potevano funzionare.

Vennero selezionati pazienti provenienti dal territorio, da strutture quali comunità ed ospedali psichiatrici che si recavano in un centro medico accademico per essere sottoposti a ECT. Generalmente questi pazienti soffrivano di gravi depressioni bipolari oppure di disturbi psicotici che erano stati refrattari a qualsiasi tipo di terapia farmacologica.

I criteri di esclusione nella scelta dei pazienti, che avrebbero partecipato allo studio, furono: 1) pazienti che presentavano allergie ai cani 2) pazienti non motivati 3) pazienti che non firmarono il consenso informato 4) pazienti che avevano agito aggressività nei confronti di animali e persone 5) pazienti che avevano la fobia dei cani.

I pazienti scelti furono 35 (25  donne e 10 maschi), la media d’età era di circa 54 anni.

Diciannove soffrivano di depressione, sette di disturbo bipolare, sei di disturbi psicotici, tre di demenza. Il numero medio di ECT cui erano stati precedentemente sottoposti variava da 3 a 5.  Partecipavano 4 alla volta alla terapia.

Quest’ultima consisteva in 60 minuti circa di interazione con il cane ed il suo addestratore entrambi certificati dalla Delta Society Pet Partners.

Con i pazienti  l’addestratore focalizzava la conversazione sul cane e chiedeva loro se avevano da raccontare esperienze passate con animali domestici. Le sedute di terapia con l’animale si svolgevano nella stanza dove si sarebbe effettuata la terapia ECT, dove i pazienti erano già preparati con abiti ed elettrodi  per poi essere sottoposti alla terapia elettro-convulsiva. Se lo avessero desiderato, i pazienti potevano  accarezzare e spazzolare il cane.

Lo stesso gruppo di pazienti fu controllo di se stesso, poiché venne sottoposto a giorni alterni, sempre per 60 minuti, ad un altro tipo di attività ricreativa come leggere giornali e riviste, naturalmente prima di essere sottoposto alla terapia elettro-convulsiva.

Lo strumento usato per misurare l’ansia, la depressione e la paura furono le scale VASs. Queste scale consistevano in un segmento  stampato dove all’estrema sinistra corrispondeva la voce “per niente” e all’estrema destra invece la voce “tantissimo”. Il testista leggeva al paziente le domande e lui doveva collocare le sue sensazioni all’interno di questo segmento, ad esempio se si sentiva più ansioso si collocava più verso la parte destra del segmento.

Queste scale VASs furono somministrate  dopo che i pazienti avevano firmato il consenso informato per partecipare allo studio. Successivamente vennero compilate a distanza di 15 minuti dall’inizio della terapia con l’animale ed a distanza di 15 minuti dall’attività di lettura dei giornali e delle riviste.

Per assicurare la validità delle scale, queste venivano compilate oltreché dai pazienti, anche da infermieri che li avevano osservati ed interagito con loro.  

Si fecero poi ai pazienti delle brevi interviste sia dopo l’applicazione della terapia con l’animale sia dopo l’attività ricreativa dei giornali e delle riviste: domande sull’età, sullo stato civile, sullo stile di vita, sul numero e sulle esperienze passate di terapie elettro-convulsive. Inoltre venne chiesto loro se si sentivano meglio dopo aver sperimentato la terapia assistita con l’animale oppure dopo l’attività ricreativa di leggere giornali e riviste. Per quanto riguarda la terapia assistita con l’animale, venne chiesto ai pazienti di rispondere a delle domande rispetto ai vissuti provati durante la terapia  ed inoltre di esprimere se e che cosa li avesse fatto sentire meglio. La maggior parte di loro risposero la presenza del cane. 

In generale la terapia assistita con l’animale riusciva a sedare i sentimenti di ansia, paura e depressione. Inoltre i pazienti, durante la terapia con l’animale, si interessavano al cane, parlavano delle loro esperienze passate e presenti con animali domestici, ridevano e ringraziavano l’addestratore per avere portato il cane e molto spesso continuavano a parlare di lui anche dopo che il team per l’ECT era entrato in stanza.

Venne inoltre chiesto ai pazienti se avrebbero desiderato essere sottoposti alla terapia con l’animale la volta seguente prima della terapia elettro-convulsiva.

Dopo l’attività ricreativa con giornali e riviste, nessuno dei pazienti affermò che la lettura di questi li aveva aiutati a sentirsi meglio.

Dai risultati emerse che con la terapia assistita dall’animale, effettuata prima della terapia ECT, i livelli di paura nei pazienti si ridussero del 37%. La riduzione della paura era importante perché molto spesso portava alla non compliance al trattamento ECT.

Risultati non significativi si ebbero, per la riduzione dell’ansia, nei confronti della terapia ECT, così come per i vissuti depressivi, ma questo perché si sarebbero potuti forse vedere risultati nel miglioramento della depressione, qualora lo studio fosse stato più lungo nel tempo.

Comunque il 77% dei pazienti sottoposti alla terapia assistita con l’animale, dichiarò di essersi sentito meglio, grazie alla presenza del cane, ed il 71% espresse il desiderio di ripetere l’esperienza la volta successiva prima di sottoporsi alla terapia ECT. Tuttavia anche se l’analisi statistica non diede risultati significativi, il 60% dei pazienti dichiarò che la terapia assistita con l’animale aveva ridotto i loro vissuti di ansia e depressione.

 

4.3.8 STUDIO CONDOTTO DA Z. KOVACS, R. KIS, S. ROZSA, L. ROZSA: Terapia assistita con l’animale per pazienti di mezza età che vivono in un istituto. Uno studio pilota. (2004)

Lo studio fu condotto per valutare se la terapia assistita con l’animale potesse essere efficace nella riabilitazione di pazienti psichiatrici di mezza età che vivevano in un istituto a Budapest.  L’obiettivo era di aumentare il funzionamento adattativo di questi pazienti.

I criteri d’inclusione nella scelta dei pazienti furono: 1) diagnosi di schizofrenia 2) età compresa tra i 18-65 anni 3) durata della malattia da almeno 10 anni 4) un risultato di 39 o più alla scala SANS (Assessment of Negative Symptoms) 5) firma del consenso informato.

I criteri di esclusione nella scelta dei pazienti furono: 1)gravi compromissioni cognitive, misurate dal Mini-Mental State Examination 2) reazioni allergiche o malattie fisiche che potevano insorgere alla presenza degli animali.

Il gruppo studiato era composto da 7 pazienti affetti da schizofrenia (4 donne e 3 uomini), con una media di età di 43.6 anni, che vivevano nell’istituto da circa 7 anni.

Lo studio durò 9 mesi, senza alcun drop-out. Lo staff terapeutico era composto da uno psichiatra, uno psicologo, un assistente sociale, il cane ed il suo proprietario nonché conduttore.

Lo strumento usato per valutare i risultati della A.A.T. fu la ILSS (Indipendent Living Skills Survey), somministrata circa 7-10 giorni prima della prima sessione di trattamento  e 7-10 giorni dopo l’ultima sessione di trattamento, quindi con un intervallo di tempo tra le due somministrazioni di circa 273-280 giorni.

La ILSS misurava le abilità nella gestione della vita quotidiana, prendeva in considerazione 8 aree (alimentazione, cura del sé, attività domestiche, salute, gestione del denaro, autonomia negli spostamenti, gestione del tempo libero, abilità lavorative).

Gli items erano strutturate sotto forma di questionario e le risposte potevano essere date facendo riferimento ad una scala a sei risposte  (1- mai 2- a volte 3-spesso 4- di solito 5-sempre 6-impossibile dare una valutazione) che prendeva in considerazione la frequenza di certi comportamenti messi in atto il mese prima della valutazione.

Una Scala addizionale a cinque risposte (1-mai; 2-occasionalmente; 3-a volte; 4-frequentemente; 5-sempre) misurava quanto un determinato comportamento potesse essere un problema.

Questo strumento fu compilato dai ricercatori con l’ausilio delle infermiere che stavano a contatto giornaliero con i pazienti e di conseguenza ne conoscevano le loro  abitudini. Dei 112 items di cui è composta la scala, per questo studio ne furono scartati 48, poiché erano quelli situati nelle aree che non potevano essere prese in considerazione per i pazienti in questione (ad es. l’area del lavoro).

La terapia assistita con l’animale durò nove mesi, una seduta alla settimana sempre alla stessa ora. Ogni seduta durava 50 minuti e veniva tenuta nel giardino dell’istituto, o quando c’era maltempo, in una stanza all’interno. All’inizio di ogni seduta, il cane andava vicino ai pazienti per farsi accarezzare, quindi incoraggiava l’interazione fra di loro e di conseguenza la comunicazione. In questa fase i pazienti potevano condividere sentimenti e pensieri con lo staff terapeutico. Inoltre per aumentare le loro reazioni affettive (espressione facciale, gestualità, contatto visivo), il linguaggio (qualità ed intensità dell’eloquio) e la concentrazione nelle abilità  si facevano loro svolgere degli esercizi semplici o complessi con il cane. 

Gli esercizi più complessi richiedevano la cooperazione tra pazienti cosicché si potevano formare dei gruppi. Dando da mangiare al cane ed occupandosi della sua cura, spazzolandolo, i pazienti imparavano a conoscere le necessità di un altro essere vivente. Inoltre portando a spasso il cane, questi pazienti aumentarono il loro movimento fisico e svolgendo esercizi complessi aumentavano l’attenzione e la focalizzazione su una determinata attività.

Oltre questi effetti, durante le sedute di terapia i pazienti  erano in un buono stato di rilassamento, erano contenti di svolgere gli esercizi e si comportavano in modo molto più spontaneo del solito.

Furono confrontati  i risultati della ILSS ottenuti prima dell’inizio della terapia con quelli ottenuti a terapia ultimata (intervallo di tempo di circa nove mesi). Si notò come i pazienti, dopo il periodo di terapia, ottennero un decisivo miglioramento in tutte le aree ed in modo decisivo soprattutto nelle aree delle attività domestiche, della cura del sé , dell' igiene personale e della salute.

Analogamente, prendendo in considerazione i risultati della scala addizionale, somministrata anch’essa prima e dopo il periodo di terapia assistita con l’animale, si notò come i comportamenti valutati problematici diminuirono di intensità, soprattutto per quanto riguarda le aree delle attività domestiche, della salute, della cura del sé.

Inoltre, dopo l’esperienza di questa terapia assistita con l’animale, questi pazienti divennero molto più motivati a partecipare ad altre attività di riabilitazione.

 

4.3.9 STUDIO CONDOTTO  DA I. NATHANS-BAREL, B. BERGER, P. FELDMAN, I. MODAI, H. SILVER: La Terapia Assistita con l’animale migliora l’anedonia nei pazienti schizofrenici. (2005)

Lo studio condotto da questi studiosi in Israele voleva dimostrare se l’anedonia (l’incapacità di provare piacere), una dimensione della sintomatologia negativa presente nei pazienti affetti da schizofrenia, potesse migliorare, a seguito di una terapia condotta con l’animale. Per sceglier i pazienti fu somministrato a tutti i degenti dell’ospedale un questionario per indagare se piacevano o meno gli animali e se avevano avuto in passato esperienze con questi, in particolare con i cani.

Furono esclusi pazienti con allergie e che avessero paura dei cani.

Il campione di questo studio incluse 20 persone (12 maschi e 8 femmine) che soffrivano di schizofrenia cronica. Un gruppo di 10 persone (gruppo 1) veniva sottoposto a sedute di terapia in presenza dell’animale, mentre per quanto riguarda il gruppo di controllo (gruppo 2) veniva sottoposto alla stessa tipologia di seduta ma non in presenza dell’animale.

L’età di questi pazienti variava dai 28 ai 50 anni, la durata della malattia andava dai 7 ai 29 anni, la durata dell’ospedalizzazione invece dai 2 ai 6 anni. I soggetti dello studio erano in terapia stabile con antipsicotici da almeno 6 mesi.

Il pet terapista era uno psicologo che aveva una qualificata esperienza di ammaestratore di cani. In questo studio fu usato un Golden Retriever ammaestrato, cui era stato sottoposto a vaccini e controlli veterinari.

I partecipanti disposero di 10 sedute di terapia di un’ora a settimana con lo psicologo che era uguale per tutti e due i gruppi, ma nel gruppo 1 era presente alla seduta il Golden Retriever e nel gruppo 2 no.

Nella A.A.T. del gruppo 1 lo psicologo invitava ogni paziente a scegliere tra diverse attività da svolgere quali giocare con il cane, imparare a spazzolarlo, insegnargli nuove cose, fargli delle carezze, dargli da mangiare, fare delle passeggiate con lui,  farlo conoscere ad altre persone.

Le attività proposte al gruppo di controllo (gruppo 2) seguivano la stessa procedura e includevano delle proposte simili nel contenuto a quelle del gruppo 1 ma senza la presenza del cane: si facevano delle discussioni su come prendersi cura degli animali e si facevano passeggiate al di fuori dell’ospedale della durata di quelle che pazienti del gruppo 1 facevano con il cane.

Lo strumento usato per valutare l’anedonia fu la S.H.A.P.S. (Snaith-Hamilton Pleasure Scale) formata da 14 items relativi ad esperienze piacevoli riguardo 4 sfere: 1) interazione sociale 2) esperienze sensoriali 3) interessi nel tempo libero 4)  ambito dell'alimentazione.

Gli items venivano letti ai soggetti, i quali dovevano dare una risposta situata in 4 diverse condizioni: (1-non mi piace per niente  2-non mi piace  3-mi piace  4- mi piace moltissimo)

Un alto punteggio significava un buon edonismo, quindi una bassa anedonia.

Inoltre furono usati il Q.L.E.S.Q. (Quality of Life Enjoyment and Satisfaction Questionnaire), la S.Q.L.S. (Subjective Quality of Life Scale), la P.A.N.S.S. (Positive and Negative Sindrome Scale) e la S.A.N.S. (Schedule for the Assessment of Negative Symptoms).

Il Q.L.S.E.S.Q. consisteva in 93 items, raggruppati  in 10 scale: 1) salute fisica 2) attività nel tempo libero 3) relazioni sociali 4) attività in generale 5) lavori domestici 6) soddisfazione a livello medico 7) andamento lavorativo 8) soddisfazione delle qualità della vita 9) sentimenti soggettivi 10) gioia.

Le risposte agli items erano situate su una scala a cinque punti, dove il punteggio più alto indicava una miglior qualità di vita.

La S.Q.L.S. era una scala consistente in 30 items che esaminavano la qualità di vita e la soddisfazione durante le settimane precedenti alle sedute ed era divisa in tre sezioni: 1) psicologica 2) motivazionale 3)effetti collaterali. Le risposte agli items erano situate su una scala a cinque punti, dove il punteggio più alto indicava una scarsa qualità di vita.

La P.A.N.S.S. e la S.A.N.S. vennero usate per valutare i sintomi clinici della psicopatologia.

La valutazione fu fatta prima del trattamento, a distanza di cinque sedute di trattamento e dopo dieci sedute.

Dai risultati emerse che l’anedonia si dimostrò significativamente più  bassa nel gruppo di pazienti trattati con l’A.A.T., rispetto a quello del gruppo di controllo. La divergenza tra i due gruppi cominciò a notarsi a cinque settimane dall’inizio del trattamento. Inoltre il gruppo trattato con l’A.A.T. dimostrò un significativo miglioramento per quanto riguarda il fattore dell’impiego del tempo libero del Q.L.S.E.S.Q. ed un analogo miglioramento per quanto riguarda il fattore motivazionale della S.Q.L.S.

Non ci furono altre significative differenze tra i due gruppi negli altri fattori del Q.L.S.E.S.Q. o della S.Q.L.S.

Nessuna significativa differenza fu inoltre rilevata nei risultati del post trattamento tra la P.A.N.S.S. e la S.A.N.S.

I pazienti che parteciparono al gruppo di terapia assistita con l’animale dimostrarono di affezionarsi al cane e dissero che tra una sessione e l’altra di terapia ne sentivano la  mancanza. Inoltre ogni volta erano impazienti di iniziare la seduta a differenza di quando dovevano fare attività di altro genere. Cominciarono ad interessarsi della salute del cane, lo chiamavano per nome, perfino con nomignoli.

Durante le ultime due sedute del trattamento si dimostrarono molto dispiaciuti e tristi del fatto che si fosse arrivati alla fine dello studio poiché si sarebbero dovuti separare dal cane. 

4.4 CONSIDERAZIONI GENERALI RISPETTO AI RISULTATI DEGLI STUDI DI TERAPIA ASSISTITA CON L'ANIMALE APPLICATA A PAZIENTI PSICHIATRICI.

Da tutti gli studi di terapia assistita con l'animale applicata a pazienti psichiatrici, si è potuto constatare quanto, a volte, la relazione che questi instauravano con l' animale, potesse servire da ancoraggio alla realtà, evitando un rischio di fuga verso un mondo interiore e solitario.

Gli effetti positivi di queste ricerche sono stati ottenuti grazie anche al fatto che tutte le attività assistite con gli animali si sono contestualizzate all'interno di un processo terapeutico riabilitativo   programmato, valutato e costantemente monitorato da un team multi-professionale che ne considerava l'adeguatezza e l'efficacia lungo tutto il percorso d'intervento, prendendo in considerazione le singole caratteristiche dei pazienti ed il relativo contesto in cui si trovavano.

Gli ambiti dove i ricercatori hanno focalizzato maggiormente il loro interesse sono stati: 1) la sfera comunicativa, ossia quali aspetti della comunicazione venivano attivati tramite l'interazione con l'animale 2) la sfera emozionale, ossia quali processi di condivisione emozionale e di comprensione di alterità emozionali, che immergevano i pazienti in una dimensione sociale ed affettiva, si potevano instaurare attraverso la presenza dell'animale 3) la sfera motivazionale in riferimento ad ambiti quali l'espressione sociale ed affettiva, la cura del sé, l'alimentazione, l'attività ludica favorite dal contatto con l'animale 4) la sfera cognitiva attivata attraverso l'attenzione, la concentrazione, l'acquisizione di contenuti mentali e la formazione di schemi rappresentazionali della realtà che ne derivavano dalle attività svolte con l'animale 5) la sfera estesica attraverso la sollecitazione di organi sensoriali che potevano essere attivati interagendo con l'animale 6) la sfera senso-motoria, realizzata attraverso specifici movimenti impliciti nella relazione con l'animale.

Gli effetti della A.A.T., ponendosi come co-terapia di supporto ai trattamenti di cura tradizionali, in alcuni casi è riuscita a far raggiungere i seguenti obiettivi : 1) aumentare la compliance dei pazienti e quindi l'agevolazione  del patto terapeutico medico/malato 2) aumentare la motivazione dei pazienti ad incrementare l'orientamento verso la guarigione 3) agevolare una condizione psicologica di benessere allontanando il disagio 4) aumentare le attività ludiche dei pazienti 5) aumentare le occasioni relazionali ed affettive dei pazienti.

Naturalmente ciò è stato possibile perché la relazione con l'animale  poteva offrire una sorta di ponte al dialogo con il mondo esterno, con il genere umano, dando loro l'opportunità di un ritorno alla socialità, incrementata nella sua totalità (voglia di muoversi, uscire, parlare, sorridere ecc..).

Molto spesso il paziente psichiatrico si trova a vivere sentimenti di distacco, di non accettazione e di conseguenza egli presenta notevoli difficoltà nel creare relazioni con le altre persone.

Egli viene considerato molto spesso bizzarro oppure, peggio ancora, pericoloso. La diversità del paziente psichiatrico spaventa, mette in difficoltà ed allontana le persone.

In molte situazioni egli si ritrova a vivere nel suo mondo, dove gli altri non esistono o sono vissuti come persecutori: lo sguardo è cupo, angosciato, può presentare un comportamento caratterizzato da estrema chiusura oppure da stravaganza.

Anche il suo modo di vestire può rappresentare un messaggio al mondo esterno: dolore, angoscia o semplicemente paura.

L'avversione di questi pazienti per le relazioni interpersonali ha potuto trovare giovamento a partire da una relazione con l'animale che si caratterizzava  per l'aspetto spontaneo, non giudicante e non mediato da stereotipi e pregiudizi socio-culturali.

Nella maggior parte dei casi, il contatto e la vicinanza fisica con l'animale, ha fatto in modo che “la distanza psicologica” vissuta dai pazienti psichiatrici potesse essere attenuata, avviandoli così in un percorso di riavvicinamento con gli altri esseri umani, con una diminuzione della distanza fra il “sé” ed il mondo esterno.

L'animale poteva fungere da oggetto sé buono che supportava il loro Io nella strutturazione di confini che permettessero un flusso adeguato tra interno ed esterno, tra realtà e fantasia.

Inoltre, in molti casi, la A.A.T. impiegata dava modo a questi pazienti di mettere in atto un maggior numero di comportamenti propositivi, di migliorare le proprie competenze, di essere responsabilizzati, poiché potevano occuparsi della cura e delle necessità fisiologiche degli animali. Prestare attenzione ai loro bisogni, ai loro orari e tempi era un modo per intervenire sulla propria auto-percezione e favorire, per traslazione, una maggior cura di sé.

 

CAPITOLO 5

 

TEORIE PSICOLOGICHE ASSOCIABILI AL RAPPORTO UOMO E ANIMALE.

 

5.1 IL RAPPORTO UOMO/ANIMALE SECONDO UNA PROSPETTIVA NATURALISTICO-PSICOANALITICA ED UNA PROSPETTIVA DERIVANTE DALLE TEORIE DELL'APPRENDIMENTO.

Diversi studiosi hanno formulato delle teorie per spiegare l'evoluzione ed il significato del rapporto uomo-animale.

A tal proposito Cusack (1988) propone una prospettiva di analisi naturalistico-psicoanalitica, mentre Brickel (1982) una prospettiva derivante dalle teorie dell'apprendimento.

Secondo Cusack l'uomo stabilisce relazioni profonde ed affettive molto facilmente e spontaneamente con un animale poiché questo ultimo possiede la capacità di soddisfare bisogni umani profondi ed inconsci: può fungere da ponte tra coscienza ed inconscio su ciò che viene di solito celato attraverso meccanismi di difesa quali proiezione, identificazione, sublimazione e spostamento.

Nel rapporto uomo-animale possono insorgere questi meccanismi quando si instaura tra loro una relazione affettiva, allo stesso modo di come accade nei rapporti interumani.

Uno dei principali meccanismi messi in atto è la proiezione poichè l'uomo può attribuire all'animale pensieri, intenzioni, atteggiamenti e bisogni propri ed inaccettabili. La proiezione può permettere al soggetto di far fronte ad emozioni e motivazioni  che  possono farlo sentire vulnerabile per ammettere di possederli lui stesso e quindi, proiettandoli sull'animale, potrà occuparsi di esse e prendersene cura non in maniera diretta e con meno angoscia.

Un altro meccanismo che si può trovare nel rapporto con l'animale è il processo dell'identificazione attraverso cui l'uomo, in alcuni momenti, può riconoscersi in aspetti del proprio animale. Questo può fare in modo che si possa costruire in maniera più consapevole la propria identità e la visione che ha di se stesso: molto spesso l'animale può diventare l'espressione dei suoi desideri ed aspettative, come manifestazioni delle parti migliori di sé.

Un altro meccanismo che si può vedere coinvolto nel rapporto uomo- animale è lo spostamento soprattutto nel campo delle relazioni. L'animale può fungere, per esempio, da sostituto di una relazione affettiva che non c'è più oppure non c'è mai stata. Questo processo può aiutare il soggetto a dare ancora un senso ed uno scopo alla propria vita, e sentirsi utile ancora per qualcuno.

Per ultimo, ma non meno importante, si può trovare il meccanismo della sublimazione attraverso cui vi è l'incanalamento  di sentimenti ed impulsi potenzialmente disadattivi in comportamenti socialmente accettabili: è il caso per esempio di chi trasferisce sull'animale propri impulsi aggressivi e di controllo sottoponendolo ad un severo e minuzioso addestramento, oppure per soddisfare i propri sentimenti narcisistici, iscrivendolo a delle gare estetiche, oppure ancora per soddisfare i propri impulsi competitivi, farlo partecipare a manifestazioni sportive.

Già Freud aveva sottolineato l'importanza dei simboli animali nella vita onirica dell'uomo come espressione della parte più istintuale e profonda della sua personalità, controllata dalle imposizioni delle norme sociali.

L'animale può venire antropomorfizzato e visto come sostituto delle pulsioni, dei desideri, dei bisogni affettivi e relazionali umani. Questa modalità di considerare l'animale è appropriata quando l'oggetto d'amore originario non c'è mai stato oppure non è più presente, di conseguenza l'animale viene vissuto come un sostituto verso cui l'uomo ha messo in atto il meccanismo dello spostamento per ridurre la tensione prodotta dalla pulsione che non trova via di scarica (Freud 1917-1932). È il caso di molte persone sole o isolate dal resto della società che considerano  i loro animali come dei veri e propri punti di riferimento affettivi importanti e che quindi diventano dei veri e propri compagni di vita.

Cusack (1988) afferma che "L'animale è vissuto innanzitutto nella sua forma idealizzata, una sorta di entità perfetta che sembra reagire adeguatamente in ogni situazione. E' lo specchio del nostro bisogno e permette a noi di mostrare il nostro miglior modo di essere. Se in noi esistono sentimenti di compassione, empatia, tenerezza, gli animali sono in grado di farceli esprimere nel migliore dei modi e di ricambiare con la stessa moneta."

Dalle teorie dell'apprendimento di Pavlov, Skinner e Bandura,  Clark Brickel (1982) ha formulato una prospettiva secondo cui, l'uomo percepisce l'animale in termini fondamentalmente emotivi e questa percezione  si fonda su un processo di apprendimento sociale (ottenuto tramite i processi di condizionamento classico ed operante, ma anche di apprendimento osservativo) che riflette il contesto sociale in cui esso si sviluppa. Questo spiegherebbe il fatto che le interazioni positive con gli animali non sono innate: non tutte le persone sono attirate positivamente dagli animali, alcune possono gradire certe specie piuttosto che altre, oppure non  gradirli proprio

Secondo Brickel, già a partire dall'infanzia i bambini possono essere influenzati dai genitori sul tipo di investimento emotivo rivolto a determinati animali. Nel corso della sua crescita, il bambino incontrerebbe nel suo ambiente di vita, fatto di giochi, fantasie e favole, una lunga serie di animali, associati all'atteggiamento positivo o negativo dei loro genitori. Ecco quindi che gli animali diventano stimoli condizionati attraverso il simbolismo attribuito dai genitori e dalle interazioni reali o simboliche (es: il lupo cattivo, il cane fedele ecc...).

Il condizionamento operante  si verificherebbe nel momento in cui il bambino ottiene un rinforzo in seguito a comportamenti diretti all'animale: di solito un rinforzo positivo, quando il comportamento nei suoi confronti è positivo e questo rinforzo può venire dall'adulto  oppure dall'animale stesso che dimostra affetto e vicinanza dopo aver, per esempio, ricevuto delle carezze. Oppure un rinforzo negativo qualora in seguito ad un comportamento di maltrattamento, il bambino viene  allontanato dalla reazione risentita dell'animale  o dai rimproveri dell'adulto.

Un altro concetto chiamato in causa, considerando la prospettiva dell'apprendimento, è il processo di modeling: osservando il modo in cui i membri adulti della famiglia approcciano gli animali, il bambino modella i propri comportamenti nella medesima direzione. Se in casa non vi è la presenza di animali, il processo si focalizza su eventi della medesima tipologia presentati dai mass-media.

 

5.2 TEORIA DELL'ATTACCAMENTO DI BOWLBY APPLICATA AL RAPPORTO UOMO/ANIMALE.

Collis e McNicholas (1998) utilizzano il processo d'attaccamento nel riferirsi alla relazione tra uomo ed animale.

La teoria dell'attaccamento, elaborata dallo psichiatra inglese John Bowlby, prende spunto dagli studi sull'imprinting di Konrad Lorenz, il quale notò come i piccoli di anatre ed oche potevano sviluppare l'attaccamento alla madre senza che necessariamente essi ricevessero cibo o altre ricompense dalla essa. Così anche nel bambino la ricerca dell'attaccamento  non è correlata al bisogno di cibo, ma assolve ad altri bisogni di tipo più contenitivo ed altrettanto essenziali.

Secondo Bowlby l'attaccamento sarebbe la tendenza manifestata dal bambino durante i primi 24 mesi di vita a rimanere vicino alla madre. Esso si sviluppa in un periodo "sensibile" nel quale il contatto visivo tra i due soggetti produce un legame che avrà funzione fondamentale nel futuro sviluppo dell'individuo. Questo legame ha un'insostituibile funzione protettiva poiché diventerà il polo rassicurante per tutte le esperienze che l'individuo compirà nella sua vita.

La madre, in particolare, costituisce quell'ambito relazionale in cui il piccolo trova protezione, soddisfazione delle proprie necessità ed una guida per comprendere e gestire le sue interazioni.

L'attaccamento è presente anche nell'età adulta che si esprime con un legame affettivo che è in grado di amalgamare stati emozionali.

Come Bowlby (1969) afferma: "L'attaccamento si può definire come un legame che una persona o un animale ha con un'altra persona o un altro animale, legame che unisce le due persone nello spazio e si protrae nel tempo e che tende a raggiungere o a mantenere un certo livello di vicinanza che può essere di contatto fisico o di comunicazione."

Secondo Bowlby esistono tre dimensioni nell'attaccamento: fisica, emozionale e della dimensione sociale.

La prima vede il coinvolgimento del sistema nervoso centrale e  di quello endocrino, stimolati dai sensi coinvolti nella stretta relazione con la madre.

La seconda, quella emozionale, si sviluppa precocemente andando ad influire sugli stati interni del neonato e sul successivo sviluppo, permanendo nell'adulto, anche sotto il profilo della capacità empatica.

La terza componente, quella sociale, si manifesta con la capacità/incapacità di costruire corrette relazioni e partecipare all'interscambio sociale  (Bowlby, 1978).

Bowlby parla di attaccamento come "qualsiasi forma di comportamento che porta una persona al raggiungimento o al mantenimento della vicinanza con un altro individuo differenziato o preferito, considerato come più forte o esperto" (Bowlby, 1988).

Anche nella relazione che l'uomo può instaurare con un animale, si possono evidenziare delle dinamiche tipiche delle relazioni umane d'attaccamento. L'animale può essere un dispensatore di calore e contatto ed è in grado di trasmettere all'uomo risposte emotive particolari che, evocando sensazioni di benessere, sicurezza e protezione facilitano l'attaccamento.

Nella terapia assistita dall'animale il legame che si viene a creare tra quest'ultimo e soggetti disagiati può costituire una fonte che supplisce ad un carente attaccamento con i conspecifici, quindi compensa la mancanza eventuale di quello interumano e può essere un fattore stimolante per lo sviluppo di legami d'attaccamento basati sulla fiducia che potranno in seguito essere trasferiti ad altri individui.

Dato per assodato quindi che la specie umana presenta, tra le sue caratteristiche geneticamente determinate l'assoluta necessità di instaurare un legame di attaccamento per sviluppare e crescere in maniera equilibrata, nel momento in cui si crea una relazione duratura e profonda con l'animale si attiva questo comportamento e si produce un attaccamento etero-specifico altrettanto appagante.

La teoria dell'attaccamento perciò può costituire un'ulteriore spiegazione del ruolo della "pet relationship" nella vita dell'uomo.

 

5.3 TEORIA DELL'OGGETTO TRANSAZIONALE E DEL GIOCO DI WINNICOTT APPLICATA AL RAPPORTO UOMO/ANIMALE.

L’opera di Winnicott si caratterizza per il costante riferimento ai reciproci interscambi tra il mondo interno e l’ambiente esterno. Pur riconoscendo il debito nei confronti di Melanie Klein e l’importanza delle innovazioni da lei apportate alla psicoanalisi, Winnicott se ne distingue per il ruolo fondamentale assegnato alla realtà esterna, alla madre reale e non soltanto alla madre come oggetto interno.

Il riconoscimento della realtà esterna è un compito graduale e importantissimo per lo sviluppo del bambino, ma non sarebbe possibile senza il passaggio attraverso una dimensione in cui l’oggetto non è più creato dalla fantasia del bambino ma non è ancora esterno. Questa è l’area dei fenomeni transizionali.

Egli afferma: "Ho introdotto i termini “oggetto transizionale” e “fenomeno transizionale” per designare l’area intermedia di esperienza tra il pollice e l’orsacchiotto, l’erotismo orale e la vera relazione d’oggetto, l’attività primaria creativa e la proiezione di ciò che è già stato introiettato, l’inconsapevolezza primaria e il riconoscimento dell’ “essere debitore” (Winnicott, 1951, p. 276).

L’oggetto transizionale è «il primo possesso non-me» (id., p. 275), che non appartiene né alla realtà interna né a quella esterna, non è né sogno né relazione con l’oggetto, si trova tra il soggettivo e ciò che viene percepito oggettivamente. Mentre non è né l’uno né l’altro, allo stesso tempo è entrambi. Per Winnicott bisogna accettare questo paradosso e non risolverlo (Winnicott, 1968). È uno spazio potenziale e la sua funzione è quella di costituire un ponte tra la realtà interna e quella esterna e «tenere le due realtà […] separate e pur tuttavia in relazione l’una con l’altra» (id. p. 227).

Il contatto fisico con l'animale, il calore che dà e la sua morbidezza potrebbero essere paragonabili alle caratteristiche dell'oggetto transizionale di Winnicott e come tali in grado di infondere sicurezza e conforto emotivo. Queste caratteristiche possono facilitare quindi l'assunzione ad nuovo oggetto transizionale con cui ri-sperimentare i processi di separazione-individuazione e reinterpretare gli stili di attaccamento o le gestalt relazionali rimaste aperte nei confronti delle figure genitoriali reali.

Nello specifico della terapia assistita con l'animale, quest'ultimo per la sua innata propensione per il gioco, assume le caratteristiche dell'oggetto transazionale che aiuta il paziente a sviluppare la capacità relazionale facendo da ponte tra realtà interna ed esterna: focalizzando l'attenzione all'esterno, ascoltando le esigenze e richieste dell'animale il paziente può avere una distrazione dai propri pensieri ed una diminuzione del proprio egocentrismo e sviluppare una comunicazione emozionale non mediata dalle parole, il tutto sotto forma di divertimento in un clima sereno.

Secondo Winnicott, oltre al di dentro e il di fuori, esiste un altro posto per vivere, nel quale passiamo la maggior parte del nostro tempo: è l’area dell’esperienza culturale e della creatività, che si sviluppa a partire dai fenomeni transizionali. Quest’area come abbiamo visto si trova nello spazio potenziale tra il bambino e la madre-ambiente e mette in contatto la realtà psichica con quella materiale, sovrapponendo una all’altra. Inizialmente può essere un balbettio, una canzone o un motivo, un angolo della coperta o un oggetto morbido, un orsacchiotto di peluche o la madre stessa: «oggetti che non fanno più parte del corpo del bambino ma non sono ancora pienamente riconosciuti come appartenenti alla realtà esterna» (Winnicott, 1951, p. 276). Quest’area, con lo sviluppo dl bambino, si amplia fino a comprendere il gioco, il gioco condiviso e poi le esperienze culturali, artistiche e religiose.

Il gioco ha un luogo e un tempo, e attraverso di esso il bambino arricchisce la propria realtà interiore e conosce sempre più quella esterna, stabilisce un legame tra queste due realtà e in questo modo opera un’integrazione della propria personalità (Winnicott, 1971). Nel gioco «il bambino manipola i fenomeni esterni al servizio del sogno, e investe i fenomeni esterni prescelti con significato e sentimento di sogno» (id., p. 99).

Inoltre l'illusione creativa caratteristica del gioco può essere utile per la scoperta del Sé. Winnicott afferma: "E' nel giocare e soltanto mentre gioca che l'individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell'intera personalità, ed è solo nell'essere creativo che l'individuo scopre il Sè".

Il gioco quindi non è prerogativa soltanto per il bambino, ma risulta essere molto importante anche nella vita dell'adulto.

Il gioco con l'animale diventava uno strumento terapeutico per poter entrare in contatto con realtà problematiche.

Dalle ricerche citate in precedenza, attraverso le A.A.T., il contatto con un animale domestico, molto spesso sviluppava la capacità di giocare in persone che difficilmente potevano trarre piacere e divertimento dalla vita abitudinaria di tutti i giorni, vivendo in situazioni di istituzionalizzazione. L'animale e la possibilità di giocare riuscivano a dare un senso in questi contesti che, loro malgrado, tendevano a favorire la spersonalizzazione.

Secondo Huizinga (1939) la presenza della funzione ludica sarebbe necessaria al mantenimento della salute psichica e la perdita di essa è una delle manifestazioni comportamentali più evidenti nelle diverse forme di disagio psichico.

Il gioco con l'animale dava la possibilità a queste persone di esprimere e rappresentare i propri vissuti attraverso l'azione, era un'espressione di gioia libera da tensioni, interessava emozioni profonde  relative al loro rapporto soggettivo con l'esterno e poteva fungere da canale d'interazione con gli altri sul piano della fantasia e della possibilità. Inoltre era in grado di stimolare l'attività fisica, la capacità empatica, la propensione al contatto fisico ed il buon umore, tutte caratteristiche difficilmente riscontrabili in persone portatrici di disagio.

Attraverso il gioco con  pazienti psichiatrici, che spesso sono distaccati dalla realtà, l'animale poteva fungere da ancoraggio alla stessa, da canale di collegamento tra coscienza ed inconscio capace di sviluppare un processo di estroversione e comunicazione dell'immagine interna, altrimenti non contattabile e da canale di contatto con l'alterità.

L'attività ludica favoriva il crearsi di un'atmosfera distesa dove l'attenzione era concentrata su come far giocare l'animale ed allontanava quindi il paziente dalle ansie legate alle sue problematiche, invitandolo ad un comportamento naturale e spontaneo.

All'interno delle terapie assistite con l'animale la funzione del gioco poteva anche fungere da apertura comunicativa e vicinanza nel rapporto tra paziente e terapeuta che in un certo senso poteva "sdrammatizzare" quello che normalmente è il classico ambiente terapeutico dove invece paziente e terapeuta sono contraddistinti da ruoli e stati predefiniti.

CONCLUSIONI

 

I diversi meccanismi che le ricerche esaminate indicano come sottostanti al legame uomo/animale e responsabili dell'effetto positivo dell'attività assistita con l'animale sono meccanismi di tipo affettivo-emozionale, ludico, psicologico, psicosomatico ed inconscio.

Con persone disturbate, specialmente a livello psichico, gli animali trovano un canale preferenziale, una sorta di accesso più facile per entrare in contatto, riuscendo a volte a sbloccare condizioni patologiche cronicizzate negli anni.  

Le A.A.T. si attuano sotto forma di incontro con un animale, che non è di proprietà del fruitore, il cui obiettivo è quello di realizzare la migliore situazione relazionale per rendere attive alcune valenze assistenziali dell'animale, per fare in modo che il paziente ne usufruisca alla luce della sua specificità clinica.

Vi è quindi un fruitore che presenta particolari bisogni di ordine assistenziale-terapeutico ed un team pluri-professionale che fa una valutazione della sua condizione psico-fisica e ne valuta l'andamento dell' intervento. Quest'ultimo ha un obiettivo che, tramite la relazione con l'animale, mira a sviluppare la relazione terapeutica finalizzata ad uno specifico effetto terapeutico, riferito al benessere del fruitore.

Naturalmente è importante ribadire che l'animale non va inteso come sostituto di farmaci, terapie e terapeuti: la fonte di motivazioni, emozioni, gratificazioni affettive, equilibrio è data dal suo "valore di relazione" e non soltanto dall'uso performativo di esso in quanto tale: per comprendere queste attività è necessario ipotizzare delle plus-valenze (comunicative, emozionali, cognitive) assegnabili alle attività di relazione dirette verso l'animale in quanto alterità.

L'animale costituisce uno stimolo nuovo alla curiosità rendendo possibile il contatto e una comunicazione non convenzionale che avviene nelle forme più svariate e molto spesso garantisce un effetto calmante. Il prendersi cura di esso, favorisce il senso di responsabilità, quanto mai auspicabili nel caso di  persone che hanno perso la fiducia in se stessi, garantendo un'immagine valida e positiva della propria persona e del proprio valore individuale.

Uno dei motivi per cui le terapie e le attività assistite con gli animali risultano efficaci, risiede nell'effetto distensivo e rassicurante che la presenza dell'animale è in grado di indurre, effetto che in molte situazioni è condizione di partenza per aprire la strada alle attività terapeutiche e assistenziali vere e proprie, e che in altri casi costituisce l'obiettivo intermedio attraverso il quale è possibile ottenere un miglioramento delle condizioni fisiche o mentali del soggetto. Si è visto come l'interazione tattile, ma anche visiva con un animale, sia in grado di indurre un generale senso di calma, abbassare l'ansia e la tensione nervosa ed attenuare la reattività del sistema cardiovascolare allo stress.

Rompendo situazioni di solitudine ed emarginazione, può allontanare tristi pensieri creando contesti appaganti (ludici, cognitivi, relazionali)  fornendo motivazioni per aiutare a tenere la mente occupata su precise attività ludiche e di accudimento. L'attività ludica svolta con un animale, generalmente risulta essere un qualcosa di piacevole poiché aumenta il buon umore, sviluppa la socializzazione e rinforza l’attività fisica. Anche gli animali amano giocare molto e possono risultare degli ottimi compagni di gioco, là dove l’isolamento e la solitudine dominano.

L'azione di supporto sociale, insieme all'effetto distensivo e rassicurante collegata ad altri meccanismi emozionali, coinvolti nella relazione uomo-animale, può trovare valido inserimento in situazioni particolari di grave privazione sociale e tensione psichica. La presenza di un animale aumenta le occasioni di socializzazione fornendo un immediato pretesto ed un buon argomento di conversazione. Inoltre l'animale, spostando l'accento comunicativo sulla comunicazione non verbale, facilita i rapporti interpersonali anche in quei soggetti per cui l'espressione verbale è difficoltosa o problematica.

Dalle ricerche esaminate si è visto che durante la terapia assistita con l'animale, molto spesso i pazienti erano più liberi di esternare il loro essere poiché non si sentivano sottoposti al vaglio del giudizio, né vincolati da pregiudizi che sovente costringono ad un atteggiamento difensivo ed a volte aggressivo nei confronti degli interlocutori umani. Entrare in contatto con l'animale, che non possiede le caratteristiche potenzialmente minacciose dell'uomo, ha una funzione catalizzatrice e facilitatrice delle relazioni sociali, poiché si riesce a scardinare le diffidenze ed a realizzare una relazione rilassata che predispone la relazione per il ruolo assistenziale e terapeutico.

Nella psicologia umanistica Carl Rogers individuava tre condizioni che dovevano essere presenti nella figura del facilitatore sociale al fine di creare un clima cosiddetto facilitante: il primo elemento considerato era la genuinità o autenticità o congruenza, il secondo elemento veniva definito come "incondizionata considerazione positiva", cioè un atteggiamento accettante verso qualunque cosa la persona considerata era in quel momento ed il terzo elemento facilitante era la comprensione empatica. Tutti questi elementi si possono ritrovare nella figura dell'animale nel suo rapporto con l'uomo.

Concludendo si può affermare che la terapia assistita con l'animale non è una panacea che va bene per tutte le malattie, va usata a ragion veduta e soprattutto bisogna saperla usare: se mal utilizzata anche questa può essere inefficace. Non basta infatti dare un gatto o un cane a una persona sofferente o ammalata per vederla quasi automaticamente migliorare o guarire: alla base dell'intervento ci deve essere un progetto ben specifico sulla persona presa in considerazione, che tenga presente svariati fattori per far si che, se  ben utilizzata, l'attività assistita con l'animale possa essere un importante aiuto al miglioramento ed al mantenimento del suo stato di salute.

 

BIBLIOGRAFIA

Anthony W.A., (1977) “Psychological rehabilitation: A concept in need of a method”, American Psychologist, Vol. 32, pp. 658-662

Anthony W.A., (1979) Principles of Psychiatric Rehabilitation, University Park Press, Baltimore

Banks M., Banks W., (2002) “The effects of animal-assisted therapy on loneliness in an elderly population in long-term care facilities”,   Journal of Gerontology, Vol 57, pp. 428-432

Barak Y.,  Savorai O.,  Mavashev S., Beni A., (2001) “Animal-assisted therapy for elderly schizophrenic patients: A one-year controlled trial”,  American Journal of Geriatric Psychiatry, Vol 9(4) , pp. 439-442

Barker S.B.,  Dawson K.S., (1998) “The effects of animal-assisted therapy on anxiety ratings of hospitalized psychiatric patients”, Psychiatric Services, Vol 49(6), pp. 797-801

Barker S.B.,  Pandurangi A.K.,  Best Al M., (2003) “ Effects of animal-assisted therapy on patients' anxiety, fear, and depression before ECT”,  Journal of ECT, Vol 19(1), pp. 38-44

Batson K., McCabe W., Baun M., Wilson C., (1995) “ The effect of a therapy dog on socialization and phisiologic indicators of stress in persons diagnosed with Alzheimer disease” In Wilson C. C. e Turner, D. C.,  Companion Animals in Human Health, Sage editors, Thosands Oakes, California

Beck A.M., Shraydarian L., Hunter G.F., (1986) “Use of animals in the rehabilitation of psychiatric inpatients”, Psychological Report, Vol. 58, pp. 63-66

Bodmer N.M. (1998) “Impact of Pet ownership on the will-being of adolescent with few minimal resources”, in Wilson C., Turner D., Companion animals in human health, Thosand Oakes. California

Bowlby J. (1976) Attaccamento e perdita, Bollati Boringhieri, Torino

Bowlby J. (1978) “Attachment theory and its therapeutic implications”, in Adolescent Psychiatry, Vol. 6, pp. 5-33

Bowlby J. (1979) Costruzione e rottura dei legami affettivi, Cortina, Milano

Bowlby J. (1988) Una base sicura, Cortina, Milano

Brickel C.M. (1982) “Pet facilitated Psychotherapy: A theoretical explanation via attention shifts”, University of Montana, in Psycological Report, n. 50

Campbell C., Kacher A. (1992) “Animal Assisted Therapy Dogs for Autistic Children: quantitative eand result”, 6° International Congress “Animal and Us”, Montreal

Carmalk B.J. (1991) “The Role of Companion Animals for Person with A.I.D.S./H.I.V.”, Holistic Nursing Practice, Vol. 5, pp. 24-31

Cassano G.B., Pancheri P. et al. (2002) Trattato italiano di Psichiatria, Masson, Milano

Collis G.M., McNicholas J.(1998) “A theoretical basis for health benefits of pet ownership, in Wilson C. e Turner D.C. Companion animals in human health, Sage editors, Thosands Oakes, California

Condoret A., (1983) “Speech and companion animals: experience with normal and disturbed nursery school children”, in Katcher A.H., Beck A.M. New perspectives on our lives with companion animals, University of Pennsylvania Press, Philadelphia

Conferenza Internazionale sulle interazioni uomo-animale, (Ginevra  1995) "Animals, Health and Quality of Life"

Corson S.A., Corson E.O.L., (1980) Ethology and Non Verbal Communication in Mental Health, Pergamon Press

Corson S.A., Corson E.O.L., Gwine P. (1975) “Pet Facilited Psychotherapy”, in Ballarini G. (1995), Animali amici della salute. Curarsi con la Pet Therapy, ed. Xenia, Milano

Cusack O. (1988) Pets and Mental Health. The Haworth Press. London

Delta Society (1996) Programmi per la preparazione di Pet Partner registrati Delta Society , Renton (WA)

Delta Society (1996) Standards of practice for animal-assisted activities and therapy, Delta Society, Renton (WA)

Delta Society (1997) Animal assisted therapy. Therapeutic interventions, Delta Society, Renton (WA)

Francis G.M. Et al. (1982) “Domestic animals vitation as therapy with adult home resident” in Cusack O. (1988), Pet and Mental Health, Haworth Press, London

Freud S. (1899) L'interpretazione dei sogni, Vol. 96/97, Bollati Boringhieri, Torino

Freud S. (1917-1932) Introduzione alla psicoanalisi, Vol 39-40, Bollati Boringhieri, Torino

Friedmann E., Katcher H.A., Lynch J.J., Thomas S.A., Messent P.R. (1983) “Interaction and blood pressure: influence of animal companion” in Journal Nervous Mental Desease, Vol. 171,  pp. 461-465

Holcomb R. (1992) “ Mitigating Depression in Elderly Men Through Animal Exposure”, 6° International Congress, “Animal and Us”, Montreal

Huizinga J (1939) Geriatric psychology: a behavioural perspective, VRN Press, New York

Katcher A. H., Beck A.M. (1983) New Perspectives on Our Liveswith Companion Animals, University of Pensilvania, Philadelphia

Kongable J., Buckwalter K., Stolley J. (1989) “The effects of pet therapy on the social behaviour of insstitutionalized Alzheimer's clients”, Archives of Psychiatric Nursing, Vol.3, pp. 191-198

Kovacs Z., Kis R., Rozsa S., Rozsa L., (2004) “Animal-assisted therapy for middle-aged schizophrenic patients living in a social institution. A pilot study”, Clinical Rehabilitation, Vol.18(5), pp. 483-486

Lee D. (1976) “Pets are therapist At Lima State Hospital, American Human Magazine, pp. 19-20

Leete E. (1989) “How I percieve and manage my illness”, Schizophrenia Bulletin, Vol 15, pp. 197-200

Levinson B.M. (1961) “The dog as a Co-Therapist”, Mental Hygiene, Vol.46, pp. 59-65

Levinson B.M. (1969) Pet Oriented Child Psychoterapy, Charls C. Thomas, Springfield

Levinson B.M. (1970) “Nursing Home pets: a psychological adventure for the patient”, National Human Review, N. 4

Levinson B.M. (1972) Pets and Human Developement, Charls C. Thomas, Springfield

Liberman R.P. (2003) La riabilitazione psichiatrica, Raffaello Cortina Editore, Milano

Liberman R.P., Evans C.C., (1985) “Behavioral rehabilitation for chronic mental patients”, Journal of Clinical Psychopharmacology, Vol. 5, pp. 8-14

Marr C. A.,  French L.,  Thompson D.,  Drum L., Greening G., Mormon J.,  Henderson I., Hughes C.W., (2000) “Animal-assisted therapy in psychiatric rehabilitation”.  Anthrozoos,  Vol 13(1), pp.  43-47

Messent P.R. (1983) “Social facilitation of conctat with oter people by Pet Dogs”, in Katcher A.H., Beach A.M. (1983) New Perspectives on Our Lives with companion animals,University of Pensilvania, Philadelphia (PA)

Mugford R.A., McComisky J.G., (1975) “Some recent works on psycotherapy value of caged birds with old people”, in Anderson R.S. Pet animals and society, Balliere Tindall. London 

Nathans-Barel I.,  Feldman P.,  Berger B.,  Modai I.,  Silver H., (2005) “Animal-assisted therapy ameliorates anhedonia in schizophrenia patients. A controlled pilot study”, Psychotherapy & Psychosomatics, Vol. 74(1), pp. 31-35

Nielsen J. A, Delude L. A., (1994) “Pets as adjunct therapists in a residence for former psychiatric patients”, Anthrozoos, Vol 7(3), pp. 166-171  

Paquette C. (1992) “Modalites de communication de l'enfant autistique avec l'adulte et l'animal", 6à International Congress, "Animal and Us", Montreal

Pernhaupt G. (1989) “Human animal Relationship in Rehabilitating Drug Addicts”, 5° International Conference on the Relationship between Humans and Animals

Quinn P. (1987) “Prison Pet Partenrship Programm”, Convegno interdisciplinare Scivac “Il ruolo degli animali da compagnia nella società odierna”

Redefer L.A., Goodmann J.F., (1989) “Brief report: Pet-facilitated therapy with autistic children”, Journal of autism and developmental disorders, Vol.19(3), pp. 461-466

Rogers C. (1970) Carl Rogers on encouter group, Harper, New York

Salmon I.M., Salmon P., (1982) “A dog in residence: a companion animal study undertaken in the caulfield Geriatric Hospital”, Hospital Report, Melbourne

Savishinsky J.S. (1988) The meaning of loss: human and pet death in the lives of elderly, Charles Press, Philadelphia

Smith B.A. (1983) “Using dolphins to elicit communication from an autistic child” in “Pet connection: its influence on our health and qualiry of life”, Proceedings of conference on the human animal bond, University of Minnesota

Walsh P. (1992) “The Trainings of Pets-As-Therapy Dogs in a Womens Prison: a Pilot Study”,. 6° International Congress, “Animal and Us”, Montreal

Winnicott D.W. (1951) “Oggetti transizionali e fenomeni transizionali”, in Winnicott, 1958, Op. cit.

Winnicott D.W. (1957-62) The Child and the Outside World, Tavistock, London (tr. it. Il bambino e il mondo esterno, Giunti-Barbera, Firenze, 1973)

Winnicott, D.W. (1959) “Il destino dell’oggetto transizionale”, in Winnicott, 1989, Op. cit.

Winnicott, D.W. (1968) “Gioco e cultura”, in Winnicott, 1989, Op. cit.

Winnicott, D.W. (1971) Playing and Realty, Tavistock, London (tr. it. Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974-93)

Zisselman M.H, Rovner B.W.,  Shmuely Y.,  Ferrie P., (1996) “A pet therapy intervention with geriatric psychiatry inpatients”, American Journal of Occupational Therapy, Vol 50(1), pp.  47-51