Emanuela
Lepori
Terapie
assistite con
l'animale in ambito riabilitativo. Esperienze internazionali
INDICE
INTRODUZIONE
CAPITOLO
UNO
QUADRO
STORICO
1.1
Le origini del rapporto uomo/animale.
I pionieri della
pet-therapy.
1.2
Boris Levinson ed i coniugi Corson:
i
primi approcci sistemici alla terapia
assistita con
l'animale.
CAPITOLO
DUE
INQUADRAMENTO
DELLE ATTIVITA'
CHE
SI POSSONO SVOLGERE CON LA
PET-THERAPY
2.1
La Delta Society
2.2
Differenza tra A.A.A. e A.A.T.
2.2.1.
Animal Assisted Activities (A.A.A.)
2.2.2.
Animal Assisted Therapy (A.A.T.)
2.3
Benefici fisici, psicologici, sociali derivanti
dall'impiego
delle A.A.T.
CAPITOLO
TRE
AMBITI
D'INTERVENTO DELLE TERAPIE
ASSISTITE
CON ANIMALI
3.1
Indicazioni per l'applicazione delle A.A.T.
3.2
Controindicazioni per l'applicazione delle A.A.T.
3.3
Contesti d'intervento e di applicazione delle A.A.T.
3.3.1 Esperienze di A.A.T. in istituti di detenzione.
3.3.2
Esperienze di A.A.T. in istituti per anziani.
3.3.3
Esperienze di A.A.T. con malati d'Alzheimer.
3.3.4
Esperienze di A.A.T. con malati
di
A.I.D.S. e
tossicodipendenti.
3.3.5
Esperienze di A.A.T. con bambini autistici.
CAPITOLO
QUATTRO
L'IMPORTANZA
DELLA RIABILITAZIONE
PSICHIATRICA
ATTRAVERSO L'USO
DELLA
TERAPIA ASSISTITA CON GLI
ANIMALI
4.1
Principi della riabilitazione psichiatrica.
4.2
L'attività assistita con l'animale come
mezzo
di riabilitazione psichiatrica.
4.3
Rassegna di studi condotti su pazienti
psichiatrici adulti.
4.3.1
Studio condotto da
A. Beck, L. Sheraydarian
e
F. Hunter: l’ uso di animali nella
riabilitazione
di pazienti psichiatrici . (1986)
4.3.2
Studio condotto da J. Nielsen e
L.
Delude: Pet therapy come terapia
aggiuntiva
in una residenza per
pazienti
psichiatrici. (1994)
4.3.3
Studio condotto da M. Zisselman, B.Rovner,
Y.
Shmuely, P. Ferrie: Un intervento
di pet
therapy con pazienti
psichiatrici anziani. (1996)
4.3.4
Studio condotto da S. Barker e K. Dawson:
Gli
effetti della terapia con gli animali
sui livelli di ansia in pazienti psichiatrici ospedalizzati.
(1998)
4.3.5
Studio condotto da C. Marr, L. French,
D.
Thompson, L. Drum, G. Greening,
J.
Mormon, I. Henderson, C. Hughes.:
Terapia
assistita con l'animale nella
riabilitazione
psichiatrica. (2000)
4.3.6
Studio condotto da Y. Barak, O. Savorai,
S.
Mavashev, A. Beni: Terapia assistita
con
l’animale per pazienti schizofrenici
anziani.
(2001)
4.3.7
Studio condotto da S. Barker, A. Panduranngi,
A. Best:
Gli effetti della terapia assistita
con
l’animale su pazienti ansiosi, depressi
e
impauriti prima della terapia elettro-
convulsiva
(ECT). (2003)
4.3.8
Studio condotto da Z. Kovacs, R. Kis,
S. Rozsa,
L. Rozsa: Terapia assistita
con
l’animale per pazienti di mezza età che
vivono
in un istituto. Uno studio pilota. (2004)
4.3.9
Studio condotto da
I. Nathans-Barel,
B.
Berger, P. Feldman, I. Modai, H. Silver:
La
Terapia Assistita con l’animale migliora
l’anedonia
nei pazienti schizofrenici. (2005)
4.4
Considerazioni generali rispetto ai risultati
degli
studi di terapia assistita con l'animale
applicata
a pazienti psichiatrici.
CAPITOLO
CINQUE
TEORIE
PSICOLOGICHE ASSOCIABILI
AL
RAPPORTO UOMO E ANIMALE.
5.1
Il rapporto uomo/animale secondo
una prospettiva
naturalistico-psicoanalitica
ed
una prospettiva derivante dalle teorie
dell'apprendimento.
5.2
Teoria dell'attaccamento di Bowlby
applicata al rapporto
uomo/animale.
5.3
Teoria dell'oggetto
transazionale
e del gioco di
Winnicott applicata al rapporto uomo/animale.
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE
Nell'elaborazione
di questa tesi ho voluto concentrare la mia attenzione per fornire una
panoramica delle conoscenze ed esperienze
internazionali, fin oggi raggiunte, in merito
all'utilizzo di animali domestici e di compagnia a fini
terapeutici, in vista di un inserimento di tale disciplina all'interno
delle realtà dipartimentali di Salute Mentale dell'A.S.L 5 di Collegno.
Il
termine inglese "pet-therapy", traducibile con le parole
"Terapia dell'animale domestico", individua una varietà
complessa di utilizzi del rapporto uomo-animale in campo medico e
psicologico.
Essa
si inserisce in un campo disciplinare co- terapeutico che prevede
l'inserimento di un animale in un contesto di cura al fine di promuovere
un' interazione significativa con dei pazienti che, utilizzando
dei benefici psicologici derivanti dalla vicinanza e dal
contatto, tattile e visivo, con l'animale, possano acquistare maggior
interesse e maggior partecipazione per il progetto terapeutico in cui
sono inseriti.
È
ormai dimostrato da numerose ricerche che la relazione con gli animali
domestici può avere effetti benefici, sia sui soggetti sani, sia su
quelli affetti da patologie e disagi.
I
cosiddetti “animali d'affezione”, sono sempre più considerati un
importante fattore per favorire un rapporto equilibrato tra l'uomo e il
suo ambiente di vita.
Tale
concetto è stato enunciato
nella 7° Conferenza Internazionale su "Animali, Salute e Qualità
della vita" tenutasi a Ginevra nel 1995, durante la quale sono
stati presentati 5 principi fondamentali per un utilizzo degli animali
come promotori del benessere psico-fisico:
1)
Accettare il diritto universale non discriminatorio ad avere un animale
domestico in tutti i luoghi e in tutte le circostanze, se l’animale
viene adeguatamente curato e non inficia i diritti dei non proprietari
di animali.
2)
Prendere le misure più idonee per assicurare che l'ambiente umano sia
pianificato e progettato in modo da tenere conto dei bisogni e delle
caratteristiche degli animali da compagnia e dei loro proprietari.
3)
Incoraggiare la presenza regolamentata degli animali da compagnia nelle
scuole e nei curricula scolastici. Convincere gli insegnanti e gli
educatori dei benefici scaturiti da questa presenza
attraverso appropriati programmi di addestramento.
4)
Assicurare l'accesso regolamentato degli animali da compagnia negli
ospedali, case di riposo e altri centri di cura per tutti coloro che, a
qualsiasi età, hanno bisogno di questo tipo di contatto.
5)
Riconoscere ufficialmente quali validi interventi terapeutici possono
derivare da quegli animali, specificamente addestrati per aiutare le
persone a superare limiti e disabilità; promuovere lo sviluppo di
programmi per addestrare tali animali e assicurare che la conoscenza
della loro capacità sia inclusa nell'insegnamento base delle
professioni sanitarie e sociali.
La
tesi è divisa in 5 capitoli.
Per
ognuno di essi ho effettuato una ricerca approfondita di tipo
letterario, avvalendomi oltreché di libri anche di articoli di riviste
specializzate, ovviamente in lingua inglese, reperiti grazie alla
consultazione di motori di ricerca su Internet e fatti arrivare un po'
da tutto il mondo alla Biblioteca medica dell'Ospedale San Luigi Gonzaga
di Orbassano.
Nel
primo capitolo ho tracciato le tappe principali della storia del
rapporto uomo-animale ed di come e quando è nata la Pet therapy,
menzionando la prima casuale esperienza in questo campo, che vede come
protagonista il neuropsichiatra americano Boris Levinson con un suo
paziente, un bambino affetto da autismo, e le successive esperienze dei
coniugi Corson all'interno di un istituto ospitante malati psichici e
fisici.
Nel
secondo capitolo, dopo aver descritto la Delta Society, l'organizzazione
internazionale che si propone di fornire i dettami operativi della Pet
Therapy, ho definito nei particolari in cosa consiste la suddetta,
differenziando i suoi due frangenti applicativi: le A.A.A (attività
assistite dagli animali) e le A.A.T (terapie assistite dagli animali)
con tutte le caratteristiche annesse e connesse analizzando i benefici,
derivanti dal loro impiego, sull'uomo.
Nel
terzo capitolo, dopo aver definito quali sono le tipologie di persone
che potrebbero trarre beneficio dall'impiego delle A.A.T. e quali no,
ho citato alcuni
studi, relativi alla terapia assistita con l'animale, condotti e rivolti
a diversi ambiti di applicazione quali detenuti, anziani, malati
d'Alzheimer, malati di A.I.D.S. e tossicodipendenti e bambini autistici.
Nel
quarto capitolo ho esposto un'accurata e precisa descrizione delle
ricerche condotte a livello internazionale all'interno di programmi di
riabilitazione, che vedono l'applicazione dell'attività assistita con
l'animale a pazienti psichiatrici, la maggior parte affetti da
schizofrenia, sottolineando l'importanza
della riabilitazione di questi pazienti e di come si possa intervenire
per far si che la loro qualità di vita possa migliorare.
Il
quinto ed ultimo capitolo della tesi è dedicato a diversi approcci
teorici e teorie psicologiche che potrebbero supportare l'ipotesi
dell'utilizzo dell'animale da compagnia al fine di sviluppare una
relazione affettiva con l'uomo.
Infine
vengono proposte le Conclusioni alle quali sono giunta a seguito
dell'elaborazione di tutte le ricerche svolte in merito alla terapia
assistita con l'animale.
CAPITOLO
UNO
QUADRO
STORICO
1.3
LE ORIGINI DEL RAPPORTO UOMO / ANIMALE.
I PIONIERI DELLA PET
THERAPY.
Il
primo animale ad essere addomesticato fu il lupo, di cui si hanno alcune
tracce risalenti a circa 30.000 anni fa nel Nord America. Segni più
rilevanti di addomesticamento sono datati al periodo Mesolitico (12.000
anni fa), in corrispondenza del passaggio da parte dell'uomo da una vita
nomade, basata sulla caccia, a condizioni più stanziali, con lo
sviluppo dell'agricoltura.
Questi
cambiamenti furono probabilmente favoriti dal mutamento delle condizioni
climatiche, con il passaggio da un clima caldo ad uno più freddo che
indusse un maggiore e più ravvicinato contatto sociale.
Inizialmente
l’animale veniva utilizzato a scopo pragmatico, per l’alimentazione,
la guardia, l’uso delle sue pelli.
In
alcune tribù alcuni animali avevano, ed hanno tuttora, un carattere di
sacralità. Si tratta di animali totemici le cui funzioni erano quelle
di veicolare coraggio agli appartenenti alla tribù e di incutere timore
ai nemici.
Il
processo di addomesticamento ha riguardato parecchie razze, prima fra
tutte il lupo, ritenuto da diversi autori il precursore dell'attuale
cane, di cui ha lo stesso numero di cromosomi. La vicinanza abitativa,
la grande adattabilità all'ambiente, la selezione degli esemplari più
docili e socievoli hanno fatto diventare il cane una delle razze più
vicine all'essere umano e la convivenza cane-uomo ha ottenuto il
miglioramento della vita di entrambi.
L'addomesticamento
del gatto ha una storia più recente. Le prime raffigurazioni risalgono
a 4.600 anni fa. Nella popolazione egiziana era molto popolare sin dal
2600 a.C. ed era considerato animale sacro, venerato e rispettato, da
non esportare dall'Egitto.
Il
gatto fu introdotto nella civiltà romana attraverso gli scambi
commerciali con i Fenici e divenne molto diffuso grazie alla sua utilità
nel cacciare i topi.
Per
quanto riguarda le prime considerazioni sull'importanza degli animali
per il benessere dell'uomo, già Ippocrate 2.400 anni fa sottolineava
gli effetti benefici che si ottenevano da una lunga cavalcata e la
consigliava ai suoi conoscenti per combattere insonnia e rinvigorire il
fisico e lo spirito in situazioni che oggi definiremmo di
"stress".
Agli
animali nelle diverse culture ed epoche storiche vennero attribuite
diverse qualità e attributi simbolici.
Nel
Medioevo, ad esempio, il gatto diventò simbolo di Satana e per questo
motivo messo al rogo con molti esseri umani ritenuti artefici del
maligno.
Nell'epoca
rinascimentale, il gatto entrò all'interno dei nuclei famigliari come
animale da compagnia. Leonardo per primo parlò di zoo-psicologia
dichiarandosi in favore dei diritti degli animali.
Nel
XVIII secolo nacquero correnti filosofiche che elaborarono diverse
teorie sulla condizione animale: dalla scuola cartesiana che non
riteneva possibile che l'animale possedesse una coscienza, alla
Scolastica che lo considerava sensibile ma non dotato di intelligenza e
di ragione, sino alla corrente di De Condillac che lo riteneva sensibile
e dotato di pensiero.
Il
primo tentativo ante litteram di attività assistita dall’animale
venne impiegato a Gheel, in Belgio, nel IX secolo, dove alle terapie
mediche di un gruppo di disabili vennero affiancati degli animali.
Nel
XVIII secolo in Inghilterra si osservò l'effetto benefico esercitato
dalla presenza di cani e gatti sull'umore e sulle condizioni di salute
dei pazienti. In particolare, con la cura di
questi animali i malati di mente riuscivano ad acquisire un certo
equilibrio ed interesse per il mondo esterno.
Fu
proprio nel 1792, in Inghilterra, che ebbe luogo il primo studio
scientifico sull’utilizzo degli animali a scopo terapeutico a lungo
termine: William Tuke, presso lo York Retreat Hospital, cominciò a
proporre ai pazienti ricoverati per disturbi o ritardo mentale di
svolgere alcune attività come il giardinaggio e la cura degli animali.
Da
questa esperienza questi pazienti trassero giovamento sulla loro capacità
di autonomia e di auto-controllo.
Nel
1867 si introdussero programmi
terapeutici con piccoli animali quali cani e gatti nell'Istituto tedesco
per epilettici Bethel di Bielefeld.
In
questi stessi anni in Inghilterra vi furono alcuni esperimenti di
prescrizione dell'equitazione a pazienti con problemi neurologici, in
considerazione del fatto che questa produceva un effetto terapeutico per
il controllo posturale di questi pazienti.
Nel
XX secolo si sviluppò la psicologia animale che, con le affermazioni di
Paul Guillaume nel suo Manuale di Psicologia, criticò i vecchi
pregiudizi cartesiani. Leghissa nel suo scritto “Origine
dell'intelligenza” affermò che i primati possedevano
una vera facoltà psichica ed una coscienza individuale e
sociale.
In
America, presso il Pawling Army Air Force Convalescent Hospital di New
York, durante la seconda guerra mondiale vi furono alcune esperienze di
utilizzo di animali da compagnia e cavalli per ristabilire l'equilibrio
psichico dei malati traumatizzati in guerra.
In
questo clima culturale sviluppò le sue prime esperienze la Pet Therapy,
intesa come attività specifica e ben definita.
1.2 BORIS LEVINSON
ED I CONIUGI CORSON: I PRIMI APPROCCI
SISTEMATICI ALLA TERAPIA ASSITITA CON GLI ANIMALI.
In
tutti gli esperimenti sopracitati era presente la convinzione che la
presenza di animali ed il loro accudimento creasse condizioni favorevoli
alla cura e al recupero di soggetti con patologie psichiche o handicap,
ma in nessuno dei casi vi fu uno studio specifico degli effetti e dei
fattori terapeutici.
E'
soltanto dalla seconda metà del secolo scorso, con gli studi del
neuro-psichiatra infantile Boris Levinson, che la terapia assistita
con gli animali fa la
sua comparsa nelle scienze mediche.
Levinson
fu il primo ad elaborare una dettagliata modalità co-terapeutica,
teorizzando quella che lui chiamò “Pet Oriented Child Psycotherapy”.
Ne
registrò e valutò gli effetti ed enunciò una teoria che spiegava i
benefici riscontrati.
Fu
egli stesso ad utilizzate per primo il termine “pet therapy” nel suo
saggio The Dog as Co-Therapist (1961).
L'idea
gli balenò casualmente durante la terapia di un bambino autistico con
un enorme ritiro in se stesso: un giorno, durante una seduta,
casualmente il suo cane (un cocker), riuscì ad entrare nello studio ed
il bambino reagì molto più attivamente agli stimoli cominciando a
giocare con il cane, senza dare alcun segno di paura.
Il
cane dava la possibilità al bambino di proiettare le proprie
emozioni interiori attraverso uno scambio affettivo di gioco,
rendendo più piacevoli le sedute. A poco a poco questo bambino cominciò
ad esprimere ai genitori il voler tornare dal dottor Levinson per
giocare con il cane. Quest'ultimo riuscì ad avvicinare il bambino a
Levinson, poiché gradualmente anch'esso fu incluso nel gioco.
Levinson
studiò a fondo questo fenomeno ed arrivò ad affermare che l'animale da
compagnia poteva facilitare e rafforzare il rapporto tra terapista e
paziente, aumentando la motivazione di quest'ultimo ad intraprendere un
percorso di cura.
Affermò
che l'animale assumeva un ruolo transizionale, avente l'effetto di
“catalizzatore” e di “facilitatore” sulla comunicazione e
sulle interazioni sociali.
Osservando
il gioco bambino-animale, Levinson notò che si caratterizzava
fondamentalmente di aspetti corporei e di movimento, grazie al fatto che
l'animale (in questo caso il cane) possedeva la stessa modalità di
gioco e la stessa capacità di comunicazione non verbale del bambino.
Poté
studiare come il gioco con il cane permettesse al bambino di scoprire e
controllare il proprio corpo ed, a poco a poco, di cominciare ad
esplorare l'ambiente circostante: tutti comportamenti molto disturbati e
difficili da far eseguire a bambini disabili che spesso sono portati ad
una rinuncia, quella che viene chiamata paralisi dell'intenzione, ben più
grave e difficile da curare della stessa disabilità motoria.
Il
cane poteva fungere da mezzo attraverso il quale il bambino riusciva
a trovare una grossa motivazione al gioco e al movimento,
giungendo anche ad una progressiva presa di coscienza di sé, sia per
quanto riguarda le proprie limitazioni
ma anche delle sue possibilità.
Successivamente,
nei suoi studi Levinson individuò gli effetti terapeutici dell'utilizzo
di animali con i bambini affetti da gravi forme di autismo e con altri
disturbi emotivi o di sviluppo, sia in trattamenti ambulatoriali che
durante il ricovero in centri ospedalieri. Levinson inoltre si occupò
dell'utilizzo della Pet Therapy anche su persone con disturbi somatici e
sui portatori di handicap.
Egli
per primo, inquadrò questi esperimenti in una teoria di riferimento
ispirandosi alle teorie winnicottiane, considerando l'animale come un
oggetto transazionale che aiuta il bambino a separare la realtà interna
da quella esterna e quindi entrare in relazione. Impostò quindi, in
base a queste teorizzazioni, la psicoterapia infantile assistita dagli
animali, basata principalmente sul gioco,
che permette al bambino di sperimentare nuovi ruoli, di sperimentarsi
nelle situazioni della vita quotidiana e di acquisire una progressiva
autonomia. Attraverso il gioco si costruisce un canale comunicativo tra
il bambino e il cane e si dà il via o si rinforza la relazione con un
oggetto esterno su cui il bambino può proiettare i suoi bisogni e le
sue fantasie interiori.
Grazie
a ciò Levinson ottenne degli importanti risultati, specialmente nei
bambini inibiti, con comportamenti autistici, con menomazioni del
comportamento sociale e culturale, che, con questa tecnica, non essendo
costretti a parlare, riuscivano a sopportare la presenza di un estraneo
e poi a instaurare un rapporto di fiducia.
L'obiettivo
che ci si pone con bambini autistici non può essere ovviamente quello
della “guarigione”, ma la pet therapy può essere utile
per alleviare le sofferenze ed i disagi sia di chi è affetto da
una patologia sia dei familiari coinvolti; può aiutare il bambino a
sperimentare il processo di maturazione e di sviluppo del sé,
valorizzando le potenzialità relazionali e comunicative.
Dopo
gli studi di Levinson, una delle prime esperienze su soggetti
istituzionalizzati fu quella dei coniugi Corson.
Alla
fine degli anni '70 inizio anni '80, questi due psichiatri americani,
utilizzarono cani e gatti per migliorare le relazioni e la comunicazione
negli ospiti di una casa di cura per malati mentali, handicappati fisici
e anziani, che vivevano in solitudine senza comunicare tra loro e che
non avevano minimamente reagito alle terapie ordinarie.
Essi
inserirono dei cani in una zona, vicino alle corsie dell'ospedale dove
risiedevano i pazienti. A poco a poco questi furono attratti dal loro
abbaiare e la maggior parte di loro espressero il desiderio di poterli
avvicinare per giocarci e prendersene cura. Solamente tre pazienti si
astennero dall' interagire con gli animali, ma tutti gli altri
scelsero personalmente un cane e cominciarono a fare con lui
delle attività come portarli a passeggio, spazzolarli, dar loro da
mangiare.
I
coniugi Corson definirono la loro attività “Pet facilitated
psychotherapy” e, attraverso essa, dimostrarono un notevole incremento
dei rapporti interpersonali tra i pazienti e tra
pazienti e personale di cura: “Il paziente interagisce spesso
positivamente con l'animale tramite interazioni non verbali e
tattili, successivamente la cerchia delle relazioni sociali si amplia e
include inizialmente il terapeuta che ha introdotto l'animale, poi gli
altri pazienti ed il personale medico, con una progressiva espansione di
interazioni sociali positive anche al di fuori dell'ospedale” (Corson,
1980).
I
Corson sottolinearono l'importanza della comunicazione non verbale
dell'animale che, con la sua presenza, riusciva a stimolare i pazienti
sia sul piano affettivo che cognitivo, dando loro modo di recuperare la
capacità di relazionarsi con gli altri ed aiutandoli a rinforzare
l'autostima.
Essi
osservarono che l'attaccamento dimostrato dai pazienti nei confronti
degli animali poteva nascere perché quest'ultimi riuscivano a dar loro
affetto, per la loro natura non criticavano, né giudicavano, li
accettavano per come erano,
e li aiutavano ad acquisire un grande senso di utilità e responsabilità:
“gli animali possiedono un'abilità
di offrire affetto e rassicurazione tattile senza criticismo,
mantenendo una sorta di perpetua ed infantile innocente dipendenza che
stimola la naturale tendenza umana a dare supporto e protezione. (Corson,
1980).
Inoltre
i Corson notarono come, alla presenza di un animale, gli operatori
riuscivano più facilmente a comunicare con i pazienti ricoverati.
In
questa esperienza si utilizzarono diverse razze canine ma dalle loro
videoregistrazioni non riuscirono ad identificare una razza più adatta
di un'altra per le diverse patologie e giunsero alla conclusione che
erano le caratteristiche peculiari di carattere del singolo cane quali
docilità, affettuosità, obbedienza e vivacità, unite a capacità di
controllo, che riuscivano a renderlo adatto come co-terapeuta.
CAPITOLO
DUE
INQUADRAMENTO
DELLE ATTIVITA' CHE SI POSSONO SVOLGERE CON LA PET THERAPY.
2.1
LA DELTA SOCIETY.
La
Delta Society è un'organizzazione internazionale nata nel 1981 negli
Stati Uniti che si interessa di attività e terapie assistite dagli
animali per migliorare lo stato di salute e la qualità della vita
dell'uomo, studiandone gli effetti terapeutici .
Questa
associazione è stata la
prima a definire pratiche più precise sostituendo il termine Pet
Therapy con le locuzioni Attività
Assistite con l'Animale (A.A.A.) e Terapie Assistite con l' Animale (A.A.T.),
per poi enunciarne i dettami operativi in tutto il mondo.
Questo
per evitare fraintendimenti scaturiti dal termine suddetto perché
tradotto significherebbe “Terapia dell'animale o all'animale” e non
ovviamente” “con l'animale” come invece dovrebbe essere.
La
Delta Society ha definito i criteri generali rispetto alla possibilità
di coinvolgimento degli animali domestici (cani, gatti, uccelli da
voliera, coniglietti, tartarughe, piccoli roditori, pesciolini),
escludendo quelli che si trovano in particolari condizioni fisiologiche
e patologiche (gravidanza, allattamento, calore, malattia) e gli animali
selvatici e sconsigliando animali esotici tenuti in cattività (scimmie,
iguane, koala ecc...) ed i cuccioli.
Questo
per tutelare la salute degli animali, rispettando le loro condizioni di
vita, sanitarie, comportamentali e di adattamento.
Un
caso a parte è rappresentato dai delfini e dai cavalli che, pur non
essendo animali domestici, vengono comunque impiegati per programmi
aventi scopi terapeutici ma l'attuazione di questi programmi prevede
l'esistenza di centri specializzati (delfinari e centri d'equitazione) e
tecniche speciali con il supporto di personale specificatamente
preparato ed addestrato.
La
Delta Society si è posta degli obiettivi che si possono riassumere
in quanto segue:
¬
divulgare la conoscenza circa gli effetti positivi degli animali sulla
salute dell'uomo;
¬
ridurre le barriere che impediscono il coinvolgimento degli animali nel
campo sanitario;
¬
avere sempre più un grande bacino d'utenza cui
applicare le Terapie Assistite dagli Animali.
¬
aumentare il numero di cani di servizio ben addestrati per venire in
aiuto alle persone con disabilità.
Compito
della Delta Society è quello di fornire l'idoneità sia agli animali
che ai rispettivi conduttori che vogliono perseguire programmi di A.A.A.
E A.A.T., facendo superare loro il test di valutazione per le coppie
“Pet-Partners” che ne attesti lo stato sanitario, le capacità, le
abilità, la disposizione ed il potenziale di coppia.
E'
indispensabile un'attenta selezione poiché gli animali, messi a
contatto con persone disturbate, che possono
manifestare comportamenti iperattivi o stereotipie, possono vivere
situazioni stressanti e devono essere, quindi, particolarmente
equilibrati così da evitare reazioni indesiderate a stimoli eccessivi e
a manipolazioni maldestre.
Gli
animali maggiormente coinvolti sono soprattutto cani, gatti, conigli e
criceti.
Il
test Pet Partner Aptitude Test (P.P.A.T.) si divide in due parti: A) il
Pet Partners Skill Test che
valuta le doti caratteriali (affidabilità, controllabilità,
prevedibilità), le abilità dell'animale e le capacità del conduttore
a gestirlo. Questo test presuppone che l'animale abbia ricevuto una
forte educazione di base e che quindi obbedisca perfettamente a dei
comandi. Vengono proposti 8
esercizi che l'animale deve svolgere in sequenza: 1) accettare un
estraneo 2) accettare carezze da un estraneo 3) accettare di essere
spazzolato dall'estraneo 4) passeggiata con il conduttore, nel caso del
cane vi è la condotta al guinzaglio 5) condotta in mezzo alla folla 6)
rimanere in grembo all'estraneo senza dare segni di paura per trenta
secondi, nel caso del cane deve rispondere ai comandi “seduto”,
“terra” e “resta” 7) richiamo 8) reazione nei confronti di altri
animali.
B)
il Pet Partners Aptitude Test valuta quanto la coppia conduttore/animale
sia predisposta a partecipare a programmi di A.A.A. e A.A.T.
attraverso dei role-playing di situazioni che si potrebbero
verificare nei programmi assistenziali. Gli esercizi proposti in questa
fase, da sottoporre all'animale, si possono riassumere come segue: 1)
essere toccati da parte di un estraneo 2) accettare l'accarezzamento
energico da parte dell'estraneo 3) accettare l'abbraccio energico da
parte dell'estraneo 4) manifestare calma e rilassatezza alla vista di un
individuo che si muove in modo scoordinato 5) non mostrare nervosismo o
aggressività durante una simulata in cui il conduttore ed un estraneo
litigano 6) accettare rumori 7) accettare di essere accarezzati da più
persone 8) accettare di stare per qualche minuto con un estraneo senza
la presenza del conduttore 9) fargli sperimentare il grado di
socievolezza.
Se
questo test (composto da ambedue le parti) non viene eseguito
correttamente, i valutatori della Delta Society, supportati anche da
esperti di zoo-antropologia applicata,
possono giudicare la
coppia animale/conduttore non pronta o non idonea a seconda della gravità
degli errori commessi.
Se
non è pronta, la coppia può tentare di ripetere il test dopo un certo
periodo di tempo, dopo che si sono corrette certe carenze segnalate. Se
non è idonea, la coppia non potrà mai più riprovare il test e di
conseguenza non potrà condurre programmi di A.A.A. e A.A.T.
Se
la coppia animale/conduttore ottiene la certificazione d'idoneità dovrà
comunque sottoporsi alla ricertificazione della Delta Society ogni due
anni, cosicché essa riesce a monitorare i cambiamenti (positivi o
negativi) che nel frattempo sono avvenuti nella coppia.
La
Delta Society prevede sempre l'animale in presenza del proprietario che
quindi automaticamente diventa il conduttore e non prevede l'inserimento
nei programmi di A.A.A. e A.A.T. di animali randagi o provenienti da
canili.
Questa
questione è molto dibattuta poiché da tempo vi sono ricercatori che
stanno effettuando degli studi su questi animali con l'obiettivo, dopo
un'accurata educazione alle regole basilari di comportamento, di farli
inserire nei programmi di A.A.A. e A.A.T.
2.2
DIFFERENZA TRA A.A.A.
E A.A.T.
La
Delta Society ha redatto un manuale intitolato “Standards of practice
for animal assisted activities and therapy” in cui sottolinea la
distinzione tra A.A.A. (Animal Assisted Activities) e A.A.T. (Animal
Assisted Therapy).
In
questo manuale sono presenti le linee guida per costruire programmi di
A.A.A. e A.A.T. che abbiano come finalità quelle di valutare le
strutture ospitanti, mettere a disposizione strumenti per la gestione
dei rischi e la sicurezza, promuovere la formazione del personale
utilizzato, dare dei criteri per la selezione e la preparazione degli
animali, provvedere ad assicurare la salute ed il benessere delle
persone, nonché degli animali coinvolti nei programmi.
Mentre
nel caso delle A.A.A. i risultati sono per lo più soggettivi, nel caso
delle A.A.T. devono essere osservati e misurati empiricamente e in modo
scientifico.
Sia
le A.A.A. che le A.A.T. possono essere svolte in Istituzioni pubbliche o
private.
Gli
animali utilizzati vengono classificati in due categorie: 1) animali che
vivono al di fuori del servizio e portati in visita nella struttura per
lo svolgersi dell'attività, 2) animali residenti che vivono
permanentemente nel servizio.
La
scelta di un animale da coinvolgere nelle Terapie Assistite con Animali
(A.A.T.) non è semplice poiché da un errore di valutazione possono
derivare problemi anche molto gravi per la salute del paziente
sottoposto alla terapia.
Il
primo passo da fare è decidere la specie più adatta al caso in
questione. Occorre considerare che tutte le specie sono potenzialmente
adatte per le A.A.A. e
A.A.T.
Il
cane è sicuramente l'animale d'elezione, seguito dal gatto, ma molte
altre specie sono idonee, e i numerosi lavori scientifici lo dimostrano.
2.2.1
Animal-Assisted Activities
(A.A.A.).
Le
attività assistite con l'animale si possono inquadrare in interventi
a scopo educativo e ricreativo/ludico che hanno come obiettivo
quello di migliorare la qualità della vita di alcune categorie di
persone portatrici di handicap sia fisico che mentale o che vivono in
istituti di assistenza
geriatrica.
Queste
attività quindi possono essere svolte in diversi ambienti da
professionisti opportunamente formati nella conduzione dell'animale e/o
volontari, con la presenza di animali che devono avere determinate
caratteristiche (docilità, affidabilità, controllabilità, idoneità,
capacità di ispirare sicurezza e fiducia).
Le
A.A.A. sono costituite da incontri e visite di animali da compagnia e
presentano le seguenti caratteristiche: 1) non sottostanno a precisi
protocolli di progettazione 2) non hanno il compito di raggiungere
obiettivi sanitari standardizzati a priori che richiedono la presenza di
specialisti 3) si basano sui dati osservativi scaturiti da ogni singola
visita 4) gli incontri vengono tarati di volta in volta 5) seguono linee
guida generali 6) le visite hanno la caratteristica di essere molto
spontanee e la loro durata non è prestabilita 7) si possono rivolgere a
gruppi di persone che mutano nel tempo.
Le
A.A.A., avendo una natura meno definita, sono un insieme di attività di
gruppo svolte con l’ausilio di animali che però non hanno alcuna
finalità terapeutica.
Secondo
la Delta Society i motivi per cui avere un animale accanto migliora la
qualità della vita sono: l'avere
compagnia e quindi non essere soli; avere la sensazione di essere
occupati e utili; avere qualcosa da accarezzare e da toccare; avere un
oggetto di attenzione; poter svolgere dell'attività fisica; avere un
elemento di sicurezza dovuta alla semplice accettazione da parte
dell'animale che non rifiuta perché non giudica né l'aspetto fisico, né
lo stato mentale, né le azioni passate di un essere umano.
2.2.2
Animal-Assisted
Therapy (A.A.T.)
.
Le
terapie assistite con gli animali sono delle vere e proprie attività
terapeutiche documentate e valutate che hanno lo scopo di
migliorare le condizioni fisiche,
sociali ed emotive di particolari categorie di persone utilizzando
determinate tecniche con specifici obiettivi predefiniti per ciascun
destinatario dell'intervento e vengono effettuate in gruppo oppure
individualmente. Gli obiettivi possono essere di tipo fisico, psichico,
educativi, motivazionali.
Naturalmente
esse si pongono come terapie di supporto ad un trattamento sia esso
medico o psicologico per il tipo di patologia presa in considerazione
(patologie fisiche, disabilità, disturbi psichiatrici) senza la pretesa
più assoluta di andarsi a sostituire ad esso. Bisogna sottolineare il
fatto che non è assolutamente sufficiente inserire un animale
all'interno di un programma terapeutico di disagio senza che vi sia alla
base una logica giustificazione, uno scopo preciso, una chiara
metodologia e soprattutto animali adatti che rispondano a determinati
requisiti attitudinali (carattere pacifico, adattabile, malleabile, non
troppo vivace, socievole, ecc....), requisiti sanitari (assenza di
malattie, vaccinazioni obbligatorie, pulizia in generale) e requisiti di
capacità ( obbedienza ai comandi, tranquillità in mezzo ad estranei,
non avere reazioni eccessive di fronte a stimoli quali forti rumori,
distrazioni e presenza di altri animali).
L'elemento
principale delle A.A.T. è che sottostanno ad un progetto molto ben
definito e condiviso da un'equipe multi-professionale (medico, psicologo
e/o psicoterapeuta, conduttore del cane, operatori, veterinario,
etologo). All'interno di questa, assume molta importanza la figura del
terapeuta (psicologo o psicoterapeuta) che deve possedere anche una
preparazione zoo-antrolopologica, di conoscenza delle reazioni
dell'animale impiegato per riuscire a monitorare l'attività del
conduttore. Tutto ciò per creare il contesto giusto affinché un
approccio con gli animali abbia come effetto un reale miglioramento
della qualità della salute del paziente in questione. Il terapeuta deve
anche valutare se si stabiliscono relazioni simbiotiche tra paziente ed
animale che sarebbero disfunzionali per il processo terapeutico. Inoltre
egli ha le competenze necessarie per ipotizzare se con quel tipo di
approccio si può riuscire ad aumentare
il livello di autostima, a migliorare la comunicazione sociale, a
fornire una motivazione a compiere delle azioni,
a gratificare in qualche modo il paziente, o se al contrario, con
quel paziente si provocheranno degli effetti negativi legati al fatto
che gli animali nelle sue dinamiche interpersonali o sono inesistenti o
sono vissuti addirittura come degli intrusi.
Prima
di attuare un qualsiasi intervento di A.A.T. è bene che venga fatta
un'accurata valutazione psicodiagnostica dei pazienti che ne
usufruiranno ed anche un'attenta osservazione delle aree più
problematiche su cui esse andranno ad agire. La valutazione
psicodiagnostica attraversa tre fasi : 1) valutazione prima dell'impiego
delle A.A.T. in cui il
terapeuta somministra dei test di valutazione 2) valutazione in corso in
cui il terapeuta monitorizza se si stanno raggiungendo gli obiettivi che
ci si era preposti 3) valutazione dopo l'impiego delle A.A.T. in cui il
terapeuta valuta se vi sono
dei miglioramenti stabili nel tempo nelle aree problematiche riscontrate
precedentemente e quindi se
l'intervento con A.A.T. è
stato efficace.
2.3
BENEFICI FISICI, PSICOLOGICI, SOCIALI DERIVANTI DALL'IMPIEGO
DELLE A.A.T.
Cusack (1988) individua
tre grosse aree in cui le terapie assistite con l'animale possono avere
effetti benefici.
1)
Area fisica : in soggetti aventi difficoltà deambulatorie o di
equilibrio grazie all'attività con l'animale, impiegata all'interno di
trattamenti di riabilitazione neuromuscolare, si può ottenere la
stimolazione del movimento, un miglioramento del tono muscolare, della
motricità fine e grossolana. Per esempio spazzolare, lanciare la
pallina, lavare il cane, ecc., sono tutte attività che chiedono un
impegno motorio, decisamente più piacevole di un puro e semplice
esercizio fine a se stesso, di una classica seduta di fisioterapia.
In
soggetti aventi problemi neuro-motori il contatto fisico con l'animale
favorisce la percezione corporea spesso compromessa dall' handicap e
quindi contribuisce alla percezione del sé come soggetto.
Con il supporto degli animali vengono inoltre favorite la
sperimentazione e l'acquisizione di posture che permettono un miglior
controllo del capo, movimenti autonomi intenzionali, capacità di
orientamento nello spazio, una miglior respirazione e rilassamento e di
conseguenza un benessere fisico.
Un
rapporto uomo-animale, caratterizzato da un tono tranquillo,
rassicurante, positivo e di conseguenza rilassante, interviene sulla
produzione di adrenalina, e di altri ormoni cortico-steroidi, con
il risultato di una minor pressione arteriosa, ritmo cardiaco e
respiratorio più lento e diminuzione del tono muscolare.
Diverse
ricerche hanno dimostrato come la vicinanza di animali procuri dei
benefici effetti sulla pressione arteriosa e sull'apparato
cardiocircolatorio.
Uno
studio condotto da Erika Friedmann (1983) ha rilevato che persone che
avevano avuto un infarto e che possedevano un animale sopravvivevano
decisamente di più rispetto ad altre persone infartuate ma che non
possedevano alcun animale. Essa notò che bastava la presenza
dell'animale nella stanza, che fosse tranquillo e rilassato per attivare
nei soggetti diverse reazioni fisiologiche, quali: 1) diminuzione della
pressione sia diastolica che sistolica 2) regolarizzazione del battito
cardiaco 3) regolarizzazione e distensione della respirazione 4)
rilassamento generale nel tono muscolare e nelle espressioni del viso.
E'
stato dimostrato che accarezzare il pelo di un cane o un gatto oltre che
regolare la frequenza cardiaca, inducendo rilassatezza che a sua volta
provoca un abbassamento della pressione sanguigna, contribuisce ad
aumentare la coscienza della propria corporalità, essenziale nello
sviluppo della personalità,
2)
Area psicologica : è
stato studiato che il contatto e l'interazione con l'animale provocano
delle modificazioni a livello biochimico, per esempio un innalzamento
delle endorfine, sostanze prodotte dal corpo e che
danno la sensazione di benessere.
Lo
psichiatra Aron Katcher ha affermato che la relazione uomo/ animale si
fonda su 4 principi fondamentali: sicurezza, intimità, attenzione,
costanza relazionale.
Con
persone disturbate gli animali trovano un canale preferenziale, una
sorta di accesso più facile per entrare in contatto riuscendo a volte a
sbloccare condizioni patologiche cronicizzate negli anni.
A
livello affettivo/emozionale l'animale, poiché dà un affetto gratuito
ed incondizionato, favorisce sentimenti di autostima e sicurezza di sé.
Dal momento che esso si pone con un atteggiamento non giudicante e di
accettazione davanti a qualsiasi tipo di patologia, favorisce
l'espressione spontanea dei
sentimenti e dei comportamenti delle persone cui viene a
contatto.
L'animale,
attivando forme di accudimento, può promuovere il senso di
responsabilità in persone che hanno perso la fiducia in se stessi,
garantendo un'immagine valida e positiva della propria persona, del
proprio valore individuale ed una maggior stabilità emotiva. Si ha
inoltre l'attivazione dei “processi decisionali” che permettono il
superamento dell'egocentrismo e favoriscono quindi una maggiore apertura
mentale ed emozionale.
L'animale
può promuovere il controllo dell'ansia, della paura ed una miglior
gestione della frustrazione attraverso un rapporto rassicurante e
positivo che instaura con i pazienti.
Coloro che vengono a contatto con l'animale possono mettere in
atto dei meccanismi di proiezione dei propri vissuti emotivi su di lui,
che diventa un mediatore emozionale tra il mondo interno ed il mondo
esterno.
Alcune
ricerche hanno dimostrato che l'elettroencefalogramma in pazienti che
avevano appena finito una seduta di delfinoterapia mostrava un
incremento dell'onda alfa, caratteristica dello stato rilassato, quando
l'ansia si riduce.
A
livello cognitivo l'attività assistita con l'animale può contribuire a
favorire le capacità d'attenzione, concentrazione e conoscenza poiché
esso funge da stimolo anche per sviluppare capacità di memoria, di
pensiero induttivo e di logica nell'organizzazione di determinate
sequenze operative.
Da
ricerche condotte su ragazzi con disturbi dell'apprendimento e deficit
d'attenzione, che avevano seguito un programma di A.A.T. si è rilevato
che gli animali incrementavano l'attenzione dei soggetti ottenendo un
miglioramento dei processi cognitivi (Bodmer 1998).
A
livello comportamentale, è interessante notare che l'impiego di terapie
assistite con l'animale può stimolare nei soggetti fruitori delle
attività degli script comportamentali come prendersi cura dell'igiene
dell'animale (spazzolarlo, lavarlo ecc..), il rilassamento corporeo, l'
acquisizione di regole che poi verranno interiorizzate e di conseguenza
messi in atto su di sé.
3)
Area sociale : molto spesso si verifica che l'impiego di attività
assistite con l'animale crei delle valenze psicosociali in cui si può
riscontrare un miglioramento delle capacità relazionali e di
interazione dei soggetti coinvolti. Pazienti traumatizzati a livello
emotivo e quindi chiusi in se stessi, incapaci di interessarsi ad un
essere vivente o di stabilire legami affettivi in seguito a un lutto, un
abuso sessuale, uno shock emotivo, ecc., oppure autistici, in seguito
agli incontri con gli animali hanno mostrato un aumento della
motivazione a comunicare dapprima con l'animale, a prendersi cura di
lui, e in seguito, tramite l'animale, a comunicare con altri esseri
umani. Nell'ambito terapeutico, la presenza dell'animale può
contribuire a facilitare la relazione con le figure professionali che
ruotano attorno ai pazienti (medici, psicologi, infermieri ecc...) e
quindi una maggior accettazione del trattamento di cura.
Secondo
Messent (1983) il contatto con un animale, oltre a garantire la
sostituzione di affetti mancanti o carenti, è particolarmente adatto a
favorire i contatti inter-personali offrendo spunti di conversazione, di
gioco, l'occasione, cioè, di interagire con gli altri. Il contatto con
un animale, in situazioni di intenso stress, funge da tampone,
ammortizzando le conflittualità e rivelandosi di straordinaria validità
per l’aiuto di quei pazienti con disagi nelle relazioni sociali.
Messent
ritiene che l'animale sia un “facilitatore”
sociale per determinate caratteristiche: 1) suscita novità attivando
meccanismi di curiosità in grado di dar origine ad una comunicazione.
2) può essere fonte di interessi comuni che favoriscono la condivisione
ed il formarsi di sentimenti
di gruppo 3) può stimolare un senso di protezione e tenerezza e quindi
vicinanza tra le persone 4) può scatenare un giudizio sociale positivo
in quanto un individuo intento ad accudire un animale è visto in modo
positivo dalle altre persone.
L'animale
quindi costituisce uno stimolo nuovo alla curiosità rendendo possibile
il contatto e una comunicazione non convenzionale: persone in difficoltà
possono entrare in relazione con il mondo esterno anche utilizzando
moduli di comportamento e di comunicazione non verbale, gestuale e
ludico.
Inoltre
l'animale può facilitare la coesione e l'aggregazione tra persone,
attirando su di sé l'attenzione aiutandole a superare le barriere
relazionali che a volte insorgono, dando luogo a comunicazioni molto
spontanee, meno filtrate e più semplici da realizzare.
CAPITOLO
TRE
AMBITI
D'INTERVENTO DELLE TERAPIE
ASSISTITE CON GLI ANIMALI.
3.1
INDICAZIONI PER L'APPLICAZIONE DELLE A.A.T.
La
presenza di un animale, nella terapia, risveglia l'interesse di chi ne
viene a contatto, catalizza la sua attenzione, grazie all'instaurarsi di
relazioni affettive e canali di comunicazione privilegiati con il
paziente, stimola energie positive distogliendolo o rendendogli più
accettabile il disagio di cui è portatore.
Le
categorie di persone che possono trarre beneficio dalle A.A.T. sono:
1.bambini ed adolescenti
che presentano disturbi dell'apprendimento, delle capacità motorie,
della comunicazione, disturbi generalizzati dello sviluppo (autismo), da
deficit dell'attenzione e del comportamento, da nutrizione, ansia da
separazione, disturbo reattivo dell'attaccamento, ecc...;
2. persone con difficoltà
relazionali;
3. persone in stato
confusionale, per esempio affette da morbo di Alzheimer, sclerosi
multipla, demenza ecc...;
4. persone che presentano
disabilità fisica: morbo di Parkinson, paralisi cerebrale, distrofia
muscolare, ictus, spina bifida;
5. persone con difficoltà
di parola legate a: sclerosi multipla, disordini dello sviluppo, ictus,
problemi di udito, depressione, paralisi cerebrale;
6. persone che presentano
problemi di udito che possono determinare un forte isolamento;
7. persone che presentano
problemi di vista;
8. persone che hanno
subito deprivazioni sensoriali;
9. persone che presentano
patologie fisiche, ad es. cardiopatici, malati di A.I.D.S., ecc...;
10. malati terminali;
11. persone anziane;
12. persone
tossicodipendenti;
13. persone detenute;
14. persone che presentano
disturbi psichiatrici, quali disturbi dell'umore, schizofrenia, disturbi
alimentari, disturbi di personalità, disturbi d'ansia.
3.2
CONTROINDICAZIONI PER L'APPLICAZIONE DELLE A.A.T.
Bisogna
considerare inoltre alcune controindicazioni all'utilizzo delle A.A.T.,
poiché esse non sono una panacea applicabili a tutte le tipologie di
persone. Ci sono casi in cui le A.A.T. non funzionano e questi sono:
1. quando si è in
presenza di persone che non sono assolutamente in grado di prendersi
cura di altri esseri vivent
2. quando la presenza di
un animale potrebbe indurre una forte competizione all'interno di un
gruppo
3. quando le persone
fruitrici delle A.A.T. tendono a comportarsi in modo troppo possessivo
nei confronti degli animali;
4. quando si è alla
presenza di persone con lesioni aperte o affette da deficit del sistema
immunitario;
5. quando si è in
presenza di persone molto violente;
6. quando vi sono persone
che presentano fobie specifiche nei confronti degli animali;
7. quando si è in
presenza di persone che soffrono di ipocondria;
8. quando vi sono
persone che soffrono di allergie;
Tuttavia,
prima di iniziare un intervento di attività assistite con l'animale, è
necessario sempre valutare la personalità sia del potenziale utente con
la sua psicologia, sia quelle dell'animale preso in considerazione, in
modo tale da favorire un adattamento reciproco.
3.3 CONTESTI
D'INTERVENTO E DI APPLICAZIONE DELLE A.A.T.
A
partire dall' esperienza dei coniugi Corson, altri studiosi hanno
condotto delle ricerche per inserire programmi di terapie assistite
dagli animali (affiancate alle terapie mediche tradizionali) sia in
contesti di prevenzione, che di sostegno, che di cura vera e propria.
Di
seguito, verranno illustrati alcuni dei contesti d'intervento
riscontrati nella letteratura esistente.
3.3.1
Esperienze di A.A.T. in istituti di detenzione.
A
partire dagli anni '70 si cominciarono ad introdurre esperienze di pet
therapy negli istituti di detenzione e di pena.
Nel
1975, due studiosi inglesi, Mugford e McComisky condussero uno studio su
un gruppo di 30 detenuti anziani (età media 75 anni) che furono
suddivisi in 5 gruppi: due di loro potevano allevare in gabbia dei
pappagallini, altri due potevano curare delle begonie e all'ultimo
gruppo veniva data la possibilità solo di guardare la T.V. quando gli
altri erano impegnati nelle attività.
Alla
fine del periodo della ricerca si notò come i due gruppi impegnati
nell'attività di allevare pappagallini, migliorarono le capacità
relazionali e sociali, diminuirono il loro livello di aggressività
soprattutto se messi al confronto con il gruppo cui venne data la
possibilità di usufruire del televisore.
Negli
Stati Uniti, nel 1976 il ricercatore David Lee, dopo aver introdotto
pappagalli, pesci tropicali e cavie in un manicomio criminale (il Lima
State Hospital for Criminally Insane nell'Ohio), osservò da parte dei
ricoverati detenuti un interesse nell'accudimento di questi animali,
nonché una maggior cooperazione
con il personale
dell'istituto, una forte diminuzione degli episodi di violenza e dei
tentativi di suicidio, oltre ad una notevole riduzione delle terapie
farmacologiche con sedativi.
Un'altra
esperienza (Quinn, 1987) fu quella condotta a Washington in un carcere
femminile di massima sicurezza, il Purdy Correction Center, dove vennero
introdotti dei cani per l'assistenza agli handicappati che le detenute
potevano curare ed addestrare.
Durante
questo programma esse si dimostrarono molto motivate ad apprendere il
rispetto per le regole e gli orari, a
dominare la propria aggressività, aumentarono la propria
autostima poiché si occupavano di un progetto avente fini sociali,
aumentarono le capacità relazionali e comunicative, ed anche la loro
immagine sociale riscontrò dei miglioramenti agli occhi dell'opinione
pubblica.
Un'esperienza
simile fu attuata in un carcere australiano (Walsh, 1992) dove, oltre
all'aumento dell'autostima, si riscontrò anche un significativo
miglioramento della depressione delle detenute.
Un
detenuto in carcere conduce una vita caratterizzata da noia,
solitudine, carenza di contatti e legami affettivi ed opportunità
comunicative molto scarse e povere. Far sì che un detenuto si prenda
cura di un animale significa
non solo affidargli un compagno ed un'occupazione, ma soprattutto
aiutarlo ad accudire e rispettare un essere vivente, con i
suoi tempi e bisogni cui lui si deve adeguare.
In questo contesto, la presenza di un animale può promuovere le
interazioni sociali, aumentare la fiducia in se stessi e proiettare
all'esterno un'immagine positiva del detenuto.
L'intervento
può essere preso in considerazione all'interno di programmi di
riabilitazione e recupero sociale.
3.3.2
Esperienze di A.A.T. in istituti per anziani.
Gli
interventi di A.A.T. sono stati utilizzati in istituti che ospitavano
persone anziane.
Una
ricerca importante fu quella condotta da Salmon negli anni '80 con 60
anziani ricoverati in un ospedale geriatrico (il Caulfield Geriatric
Hospital di Melbourne) che avevano un'età media di 80 anni e che
presentavano svariate patologie tipiche dell'età: artrite, morbo di
Parkinson, demenza senile, disturbi cardiovascolari.
Appositi
test psicologici furono utilizzati per valutare il grado di
socializzazione di ciascun paziente sia con il personale dell'istituto,
sia con i loro compagni, così come il grado di felicità percepita, il
livello di mobilità e lo stato di vigilanza. Queste misurazioni si
effettuarono su tutti i pazienti, prima di un inserimento di un cane in
uno solo dei due reparti dell'ospedale (l'altro reparto serviva come
gruppo di controllo).
Questo
studio durò 6 mesi e per tutta la durata furono ripetuti i suddetti
test a cadenza mensile.
Alla
fine della ricerca si notò che i pazienti, facenti parte del reparto
dove era stato inserito il cane, rispetto al gruppo di controllo, si
dimostravano molto più allegri, ottimisti, meno concentrati sui propri
problemi e più altruisti nei confronti dei loro compagni, più attenti
e responsivi agli stimoli, più partecipi alle attività e più
interessati alla vita. Inoltre si notarono dei miglioramenti, a livello
relazionale, con il personale dello staff ospedaliero.
Nel
1982 Gloria Francis della Virginia Commonwealth University effettuò uno
studio su di un gruppo di pazienti semi-istituzionalizzati che vivevano
in una casa-famiglia, per valutare l'importanza delle visite di animali
domestici. Nel gruppo sperimentale ogni settimana si recavano dei
conduttori pet-partner coi loro cani e gatti.
Il gruppo di controllo era costituito da pazienti di un'analoga
casa-famiglia che ricevevano delle visite settimanali di alcuni
volontari. Ogni gruppo era stato valutato tramite questionari rispetto
al livello di autostima, benessere psicologico, soddisfazione per la
vita, interesse sociale, cura di sé, funzionamento mentale e
psico-sociale e livello di depressione. I risultati della ricerca misero
in evidenza come le persone che avevano ricevuto le visite dalle coppie
pet-partners presentano dei miglioramenti nella maggior parte dei
parametri osservati, cosa che non avvenne nel gruppo di controllo.
Ralph
Holcomb (1992) dell'Università del Minnesota, condusse uno studio in un
istituto ospitante persone anziane con un'età media di 75 anni con un
grado di depressione piuttosto alto (14 punti sulla scala di depressione
geriatrica utilizzata per la valutazione). Dopo l'inserimento in
struttura di conigli ed uccelli, poté notare che questi animali
aiutavano a migliorare i vissuti depressivi di questi pazienti ed anche
a raggiungere un maggior livello di soddisfazione da parte dello staff
dell'istituto.
Molto
frequentemente nella persona anziana si possono riscontrare vissuti
depressivi dovuti al declini fisico, alla carenza sensoriale, alla
perdita oppure al disinteressamento di parenti ed amici.
Per
un anziano che si trova a vivere in una struttura, quindi con un grosso
debito di relazioni affettive e comunicative, la relazione che può
instaurare con un animale può fare da ponte per creare un piacere
comunicativo, essere di grande aiuto per lenire i sentimenti di
solitudine, aumentare l'autostima ed ottenere benefici dal punto di
vista affettivo.
Secondo
Savishinsky (1985) i benefici apportati dagli animali alle persone
anziane possono essere riassunti in questi fattori:
1.
evocare
ricordi dell'infanzia e di altre fasi dell'esistenza che permettono di
integrare le proprie esperienze per elaborare nuovi significati della
propria esistenza;
2.
facilitare
discussioni relative alla perdita e alla morte che agevolano la
preparazione dell'anziano a questo momento;
3.
contribuire
a diminuire il livello di alienazione che spesso si vive all'interno
degli istituti rendendo l'ambiente più simile a quello domestico;
4.
aiutare a
rielaborare le dinamiche familiari del passato, in quanto gli animali
portati in visita possono appartenere a specie che i pazienti hanno
avuto in gioventù;
5.
facilitare
la comunicazione tra pazienti e membri della propria famiglia che li
vengono a trovare.
3.3.3
Esperienze di A.A.T. con malati d'Alzheimer.
Numerosi
studi hanno riportato positivi risultati applicando le A.A.T. a persone
aventi il morbo d'Alzheimer, poiché esse agiscono sul livello di
socializzazione, sui parametri fisiologici di stress, riducendo i
livelli di aggressione ed ansia tipici di chi è affetto da questa
malattia.
Il
morbo d'Alzheimer si
definisce come “malattia primaria dell’encefalo caratterizzata da
demenza progressiva che si manifesta in età adulta o senile... Una
sindrome clinica di disfunzione cerebrale caratterizzata dalla
compromissione di più funzioni cognitive in assenza di un disturbo
dello stato di coscienza, con esclusione delle fasi terminali del
decorso clinico. Le funzioni cognitive che vengono compromesse sono la
memoria e l’intelligenza in generale, il pensiero astratto, la capacità
di giudizio, il linguaggio, la percezione e l’orientamento, le abilità
prassiche e gnosiche” (Cassano, Pancheri, 2002)
I
risultati di una ricerca condotta da Kongable et al. (1990) hanno
riportato che 20 pazienti allettati con la malattia di Alzheimer, dopo
essere venuti a contatto con un cane portato in visita per 3 ore alla
settimana, ottenevano dei miglioramenti a livello di
contatti sociali positivi e a livello delle capacità di
orientamento. L'incontro con il cane migliorava la loro qualità di vita
e gli forniva un momento di sostegno affettivo.
Batson
et al. (1995) dopo aver osservato 22
pazienti con morbo
d'Alzheimer notarono che, in presenza di un cane, essi mostravano una
quantità maggiore di sorrisi, ricerca
di contatto fisico, di sguardi, un miglioramento nelle aree del
linguaggio che diventava più adeguato e fluido. Inoltre questi pazienti
riuscivano a ricordare il nome di questo cane, lo riconoscevano e quindi
si ottenevano dei benefici anche nell'area della memoria.
Un'altra
ricerca condotta da Kathryn Barton e collaboratori (1998) volle
monitorare parametri fisiologici quali il battito cardiaco, la pressione
sanguigna, la temperatura e parametri psicologici su un gruppo di
pazienti affetti da morbo d'Alzheimer per verificare gli effetti dei
contatti con animali che venivano portati loro in visita.
I
risultati del loro studio avvalorarono l'ipotesi che questi contatti con
gli animali, seppur limitati nel tempo, potessero influire
positivamente sul livello di stress e sui disturbi dell'umore di
questi pazienti grazie alla soddisfazione di bisogni psicologici quali
la vicinanza fisica, affettiva, emotiva e di comunicazione.
Tutte
queste ricerche si sono dimostrate efficaci per contrastare la
depressione, incentivare le interazioni sociali, aiutare i pazienti a
convivere con la malattia ed a migliorare il loro livello di
funzionamento cognitivo generale, oltre che a fornire un valido supporto
psicologico per un miglioramento globale della qualità di vita.
3.3.4
Esperienze di A.A.T. con malati di A.I.D.S.
e tossicodipendenti.
Esperienze
di A.A.T. sono state condotte anche su malati di A.I.D.S. e
tossicodipendenti, che a causa della loro malattia e status sociale sono
facilmente emarginati ed isolati.
In
una ricerca Carmalck (1991) osservò che l'affetto, l'accettazione
incondizionata, il sostegno forniti dall'animale ai malati di A.I.D.S.
fungeva da supporto sul piano affettivo e da sostegno per superare i
sentimenti di depressione e d'ansia che potevano insorgere con la
patologia. La terapia assistita con l'animale dava modo di soddisfare il
bisogno di sentirsi ancora utili e di dare un significato alla propria
vita, cosicché agiva da rinforzo sulla capacità di reagire alla
malattia.
Uno
studio condotto da Pernhaupt (1989)
all'interno di comunità per tossicodipendenti ha rilevato come
la relazione uomo-animale potesse entrare a far parte del progetto di
recupero di questi pazienti.
I
programmi generalmente impiegati in queste strutture prevedevano
l'inserimento di animali di allevamento come bovini, polli, pecore,
maiali, cavalli nei confronti dei quali veniva soprattutto richiesto
l'impegno all'accudimento da parte dei pazienti.
Questi
erano impegnati quindi in attività gratificanti e rinforzanti che
riuscivano a spostare l'attenzione dalle fonti di piacere, rappresentati
dagli oggetti di dipendenza.
In
seguito a questi programmi di recupero gli stessi pazienti riconoscevano
all'animale la capacità di aiutarli a vincere lo stress dell'isolamento
e della solitudine, ad aumentare il senso di responsabilità ed a
migliorare i rapporti con gli
altri residenti ed operatori. Inoltre altri benefici riscontrati furono
quelli di aver dato la possibilità a questi pazienti di riacquistare
una sensazione di padronanza della propria persona, di riprendere
fiducia in se stessi, di aumentare il livello di autostima e quindi di
sentirsi utili per qualcuno, abbandonando o modificando così l'idea di
essere cattivi, inadeguati ed indesiderabili agli occhi degli altri,
idee che si erano strutturate e cristallizzate nel corso della loro
esistenza ed erano alla base della loro spasmodica ricerca della
gratificazione.
3.3.5
Esperienze di A.A.T. con bambini autistici.
Dopo
il contributo di Levinson, altri studi furono sperimentati per valutare
l'importanza di esperienze di A.A.T. con bambini affetti da autismo.
Se
si considera che forse la manifestazione più importante dell'autismo è
la difficoltà nello stabilire dei contatti e nel formare dei legami
sociali, è interessante e stimolante il fatto che la maggior parte dei
lavori riportano che il soggetto autistico instaura ciò che appare come
una relazione stretta con l'animale con il quale è posto a contatto.
Condoret,
un allievo di Levinson, fondatore dell'Associazione Francese
d'Informazione e Ricerca sull'animale, constatò che l'animale domestico
poteva fungere da confidente, fratello, compagno di gioco,
una sorta di figura di attaccamento secondaria per bambini
autistici. Egli condusse una ricerca introducendo un cane in una classe
speciale ospitante bambini autistici con disturbi cognitivi e difficoltà
di linguaggio. Osservò come questi dimostrassero un forte impegno ed
una forte motivazione nell'articolare delle frasi per farsi comprendere
dall'animale o per dargli dei comandi, molto più di quanto avessero
finora fatto, interagendo solo ed esclusivamente con altri esseri umani.
Redefer
e Goodman (1989), condussero una ricerca sistematica che evidenziò
cambiamenti nel comportamento sociale di bambini autistici. Il gruppo
sperimentale era costituito da 12 bambini frequentanti una scuola per
autistici, tutti con evidenti problemi di isolamento e linguaggio quasi
assente.
Essi
furono sottoposti ad un programma di PEF (Pet-Faclitated Psychotherapy)
strutturato in tre sessioni:1)nella prima sessione ogni bambino, per un
periodo di lezioni, veniva
incoraggiato ad interagire con il terapeuta che era presente in classe
2) nella seconda sessione, durante un altro periodo di lezioni, oltre al
terapeuta vi era la presenza di un cane ed ogni bambino veniva invitato
ad avvicinarsi per accarezzarlo
e giocare e, se avesse
voluto, poteva includere nei giochi anche il terapeuta. 3) una terza
sessione in cui, sempre durante le lezioni, il cane non era più
presente ma vi era di nuovo solo più il terapeuta.
I
parametri presi in considerazione per valutare l'intervento furono il
livello d'isolamento di ciascun bambino, i giochi messi in atto, le
interazioni con gli altri e il grado di comunicazione espresso a seconda
di quando l'interlocutore fosse il terapeuta oppure il cane.
Dopo
la fine di queste tre sessioni si poté constatare che, durante la prima
sessione, i bambini non comunicavano diversamente dal solito, mentre,
durante la seconda, i suddetti si isolarono molto meno, incrementarono
l'interazione sociale e diminuirono le stereotipie e i suoni
inarticolati.
Inoltre
nella seconda sessione, i bambini mantenevano il contatto oculare mentre
interagivano con il cane, mostravano sequenze di gioco appropriate, una
certa sensibilità nei confronti delle sue necessità e quando frustrati
cercavano conforto in lui, si dimostravano pazienti e gli dimostravano
affetto. Il terapeuta si poteva avvicinare ai bambini che si trovavano
vicino al cane e di conseguenza poteva prendere parte ai giochi. A volte
i bambini riuscivano perfino ad imitarlo ed in alcuni casi lo
abbracciarono perfino.
Nella
terza sessione, dopo che il cane era stato allontanato, l'aspetto
comunicativo dei bambini diminuì notevolmente anche se non raggiunse i
livelli iniziali.
Ma perché una maggior facilità di comunicazione con l'animale?
Le ipotesi formulate sono state:
1. le persone inibiscono il comportamento interattivo dei bambini
autistici in qualche modo, l' animale no;
2. il rapporto inter-specifico non è realmente reciproco e questo
potrebbe rimuovere alcuni dei conflitti che i soggetti autistici
sembrano vivere nelle relazioni prettamente umane;
3. forse l'animale rappresenta uno stimolo sufficiente a esporre i
pensieri e i sentimenti, ma non induce a metterli in comune.
Studi
sull'interazione tra animali e bambini autistici furono anche condotti
dalla psicologa canadese Chislaine Paquett, dell'Associazione Canadese
di Zooterapia, la quale osservò che la loro interazione con un cane
poteva risvegliare l'attenzione ed era in grado di far loro eseguire
giochi simbolici abbastanza complessi se non impossibili da parte di un
bambino affetto da questa patologia.
Anche
altri autori come Smith (1983), Katcher (1984) e Campbell (1992) nelle
loro ricerche hanno riscontrato che l'avvicinamento di animali a bambini
autistici, caratterizzati da assenza di linguaggio,
riusciva a stimolarli facendo loro articolare parole e frasi,
riusciva ad indurre
in loro un' apertura all'ambiente
esterno, tramite il gioco con essi.
CAPITOLO QUATTRO
L'IMPORTANZA DELLA
RIABILITAZIONE PSICHIATRICA ATTRAVERSO L'USO DELLA TERAPIA ASSISTITA CON
L'ANIMALE
4.1 Principi della
riabilitazione psichiatrica.
Nel corso degli anni
l'approccio alla malattia mentale è cambiato, passando dal concetto di
assistenza e custodia a quello di cura, riabilitazione ed integrazione
sociale.
Per molto tempo il
paziente psichiatrico è stato descritto solamente per le sue condizioni
psicopatologiche, per nulla influenzabili dalle risorse terapeutiche ed
era isolato dal resto del contesto sociale, chiuso nei manicomi. In
questo modo si contribuiva alla sua disintegrazione per quanto riguarda
l'identità personale.
La persona affetta da
disturbi psichiatrici era vista solo in una dimensione, quella del
malato mentale, senza considerare il fatto che egli potesse possedere
talento, abilità, sogni e speranze.
E' solo con la scoperta di
nuovi farmaci che la psichiatria ha iniziato a curare anziché soltanto
a gestire clinicamente il paziente, considerandolo anche sul piano umano
e sociale.
Le persone affette da una
disabilità psichica presentano una difficoltà
nel funzionamento sociale, difficoltà a sostenere un ruolo e
quindi necessitano di un'ampia gamma di servizi che li possano aiutare
come supporto a queste loro difficoltà.
Come afferma Anthony
(1979) in un suo lavoro, il più importante obiettivo della
riabilitazione psichiatrica risulta essere quello di poter fare in modo
che una persona, avente una disabilità psichica,
riesca ad utilizzare le abilità fisiche, emotive, sociali ed
intellettuali necessarie per
vivere all'interno di un contesto sociale e per rimediare alla disabilità,
con il minimo sostegno possibile da parte dei rappresentanti delle
professioni d'aiuto.
Il principale modo
attraverso cui questo obiettivo può essere raggiunto prende in
considerazione da una parte l'addestramento dell'individuo in questione
alle specifiche abilità richieste per un funzionamento adatto e
dall'altra lo sviluppo delle risorse dell'ambiente necessarie ad
assecondare il livello di funzionamento raggiunto (Libermann 2003).
Riabilitare significa
agire sulle relazioni, ricercare le giuste distanze emotive, influire
sul comportamento del paziente, ma anche sul comportamento degli altri.
L'approccio attuale al
malato non dimentica di trovarsi di fronte ad un uomo e non solo ad una
malattia da rinchiudere in una gabbia fatta di categorie, sintomi e
diagnosi.
Questo approccio favorisce
quindi un miglioramento sintomatologico ed un miglior adattamento
sociale attraverso interventi articolati, i cui punti nodali sono
costituiti da interventi integrati farmacologici, psicoterapeutici,
sulla rete sociale e famigliare e di attività volte a mettere in
evidenza le abilità.
L'impoverimento cognitivo
ed affettivo che di regola accompagna la persona con problemi
psichiatrici è dovuto anche all'impoverimento di stimoli e risposte
provenienti dal suo contesto sociale.
Gli obiettivi della
riabilitazione possono essere differenti a seconda delle varie scuole di
pensiero, ma come scopo comune a tutte vi è la tendenza all'autonomia
del paziente psichiatrico.
Nel processo riabilitativo
viene sottolineata la centralità dell'utente, il quale assume un ruolo
attivo in questo processo, grazie all'attenzione delle sue risorse e
capacità, riconoscendone le abilità presenti piuttosto che
soffermandosi sugli ostacoli posti dalle sue disabilità.
Riabilitare, quindi, non
si traduce nell'assunzione di una tecnica terapeutica specifica, ma va
inteso come sguardo all'orizzonte delle possibili strategie che
conducono il soggetto a ricoprire un ruolo sociale riconosciuto e
riconoscibile.
Vengono dunque
riconosciuti i diritti sociali dell'individuo indipendentemente dalle
sue abilità e capacità di porsi come interlocutore in una rete di
risorse e di servizi.
La cura riguarda quindi il
malato, che è trattato con i farmaci e/o con la psicoterapia, ma anche
il suo ambiente di vita è oggetto di un intervento riabilitativo che
completa gli effetti della cura; in questo modo fra cura e
riabilitazione non c'è più una distinzione rigida dei tempi e dei
luoghi, mentre permane una differenziazione per quanto riguarda gli
strumenti ed i livelli
d'intervento.
La funzione della
riabilitazione non è più normativa né di contenimento, ma consiste
nell'affrontare un percorso reciproco di condivisione fra individuo e
tutto il personale che ruota attorno a lui( medici, psicologi
infermieri, operatori ecc...).
L'intervento riabilitativo
tende ad incidere su ambiti generali quali:
1)
perseguire il livello più alto possibile di autonomia e di libertà
espressiva dell'individuo 2) favorire il perseguimento dello sviluppo
della persona, svincolandola da forme di comportamento e di relazioni
rigide che la fanno soffrire e che provocano reazioni avverse e nocive
da parte dell'ambiente, aiutandola a sviluppare modelli non solo
tollerabili, ma anche condivisibili da parte del suo ambiente
3)sollecitare l'ambiente verso l'accoglienza dell'individuo sofferente
4)collocare infine questi obiettivi complessi all'interno di un globale
progetto di vita che non può essere né predeterminato, né deciso al
di fuori della coscienza e dell'esistenza concreta dell'individuo
stesso.
4.2
L'attività assistita con l'animale come mezzo di riabilitazione
psichiatrica.
Molti operatori della
salute mentale ritengono necessaria l'applicazione di interventi
riabilitativi come integrazione di altre forme di trattamento esistenti
(Anthony, 1977; Libermann, Evans, 1985).
In questo panorama si può
inserire, come attività riabilitativa la terapia assistita con
l'animale.
Le esperienze da Levinson
in poi hanno evidenziato il
successo della terapia assistita con gli animali inserita all'interno di
programmi riabilitativi rivolti a pazienti psichiatrici.
Naturalmente poiché
l'intervento funzioni è necessario porsi nell'ottica di un approccio
interdisciplinare in cui pazienti, animali, veterinari, conduttori,
psichiatri, infermieri, educatori, formino un gruppo di soggetti
interconnessi e formanti un'equipe che si può definire “allargata”
o equipe sul progetto per quei determinati pazienti.
Nelle numerose ricerche
condotte su pazienti psichiatrici il merito delle A.A.T. impiegate è
stato quello di facilitare la comunicazione ed il dialogo in situazioni
di deprivazione sociale come quelle in cui si trovano, specialmente in
un contesto istituzionalizzato.
L'animale riesce ad
instaurare un'interazione con il paziente
superando qualsiasi forma di barriera che impedisce spesso
all'uomo di andare oltre la diversità. L'animale non distingue l'essere
umano in base alle proprie capacità ed abilità, non filtra la realtà
con le lenti del pregiudizio e dell'avversione, che spesso portano i
soggetti più deboli a vivere situazioni sociali svantaggiate che sono
quelle dell'isolamento e della solitudine.
Come si legge in una
dichiarazione fatta da una donna in uno scritto di Leete (1989):
“...La vita è dura con una diagnosi di schizofrenia. Io posso parlare
ma non essere ascoltata. Posso fare delle proposte, ma la gente non le
prende seriamente. Posso riportare i miei pensieri, ma vengono
considerati come idee fisse. Posso riportare le mie esperienze di vita,
ma sono interpretate come fantasie...”
Lo sguardo e la postura
del paziente, per quanto particolari, non modificano il comportamento
dell'animale che, non giudicando, non ha, a differenza dell'uomo,
atteggiamenti di difesa o di fuga da esso e questi lo percepisce.
L'animale, oltre a fornire
un importante supporto sociale in sé, si
dimostra un valido mezzo per stimolare il paziente ad uscire da
se stesso e a ridirigere l'attenzione verso l'ambiente e verso le
persone che lo circondano, permettendogli, come conseguenza, un recupero
psicologico e fisico.
Molto spesso questa
tipologia di pazienti vive sentimenti di depressione, di distacco o di
non accettazione; essi hanno la necessità di sentire un senso di
connessione, un legame personale con un altro essere vivente. Per molti
un legame con un'altra persona viene vissuto come rischioso ed ecco
quindi che l'animale diventa una presenza adeguata.
La relazione con un cane,
un gatto o un qualsiasi altro animale domestico
diventa un trampolino di lancio per un successivo futuro
collegamento con una persona umana.
4.3 RASSEGNA DI STUDI
CONDOTTI SU PAZIENTI PSICHIATRICI ADULTI.
4.3.1
STUDIO CONDOTTO DA A. BECK, L. SHERAYDARIAN E F. HUNTER: L’ uso
di animali nella riabilitazione di pazienti psichiatrici . (1986)
Lo
studio fu condotto in un ospedale psichiatrico della Pennsylvania.
L’ipotesi
di partenza era valutare se la presenza dell’animale potesse rendere
l’ambiente della seduta di gruppo meno minaccioso, così vennero
comparate due terapie di gruppo.
Vennero
scelti a caso 20 pazienti ma tre di loro si rifiutarono di firmare il
consenso informato, di conseguenza un gruppo fu formato da sei maschi e
due femmine (gruppo 1) e l’altro da sei maschi e tre femmine (gruppo
2, gruppo di controllo ).
Il
setting terapeutico e le attività svolte erano simili per i due gruppi,
con la differenza che nel gruppo 1, all’interno della stanza di
terapia, erano presenti dei fringuelli in gabbia.
Sedute giornaliere di
gruppo furono condotte per 11 settimane.
I pazienti scelti avevano
in media la stessa età (circa 40 anni), una diagnosi che rientrava
nella patologia della schizofrenia ed un periodo di
istituzionalizzazione di circa 5 anni.
Prima di ogni seduta, i
pazienti dei due gruppi venivano invitati ad entrare nella stanza di
terapia e si chiedeva loro di aspettare per un po’ di tempo l’inizio
delle attività. L’attesa di ciascun paziente era video-registrata
cosi come la partecipazione all’attesa espressa con parole.
I pazienti furono valutati
da psichiatri e psicologi con la BPRS (Brief Psychiatric Rating Scale)
due settimane prima che cominciassero le sedute di gruppo e due
settimane dopo la fine di queste.
Inoltre venne usata la
NOSIE (Nurses Observation Scale for Inpatient Evaluation), una scala che
misurava il comportamento in reparto per dare una valutazione completa
di ogni paziente. Questa venne compilata
da un’infermiera due settimane prima dell’inizio delle terapie di
gruppo e due settimane dopo la loro fine.
Lo staff terapeutico era
composto da psichiatri, infermieri, psicologi, educatori, assistenti
sociali. Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, le terapie per entrambi i
gruppi erano condotte da una di queste figure e venivano svolte una di
seguito all’altra: prima con il gruppo 1 nella stanza dove erano
presenti i fringuelli e poi con il gruppo 2 in un’altra stanza uguale
alla prima, con la differenza che non erano presenti i fringuelli.
Le sessioni di gruppo
duravano circa 30 minuti ciascuna.
Lo studio si concluse dopo
10 settimane perché 4 degli 8 partecipanti al gruppo 1 furono dimessi
dall’ospedale. Per questi pazienti la BPRS e la NOSIE vennero
compilate al momento della dimissione.
Dai risultati della
ricerca emerse che il gruppo 1 si dimostrò più incoraggiato ad
intavolare discorsi che si riferivano ai fringuelli presenti in stanza e
percepiva l’ambiente meno minaccioso, rispetto al gruppo di controllo.
Per quanto riguarda la
capacità di attendere e la partecipazione verbale durante l’attesa,
si notò che il gruppo 1 ottenne migliori risultati, rispetto al gruppo
di controllo.
I risultati della BPRS,
ottenuti dalla somministrazione effettuata prima dell’inizio di queste
terapie, non fecero emergere particolari differenze tra i due gruppi.
Quelli invece ottenuti alla fine dello studio dimostrarono come, nel
gruppo 1 si fossero ottenuti migliori risultati per la sottoscala
dell’ostilità, rispetto al gruppo di controllo.
Per quanto riguarda i
risultati della NOSIE, non si rilevarono particolari differenze tra i
risultati dei due gruppi.
4.3.2 STUDIO
CONDOTTO DA J.NIELSEN E L. DELUDE: Pet therapy come terapia aggiuntiva
in una residenza per pazienti psichiatrici. (1994)
Lo studio fu condotto in
Canada su quattro pazienti femmine e quattro pazienti maschi che
risiedevano in una residenza supportata che ospitava pazienti
psichiatrici e che erano seguiti dall'associazione CARS (Società
Canadese per residenti autonomi).
L'obiettivo di questo
studio era vedere se la presenza di animali potesse influire sul grado
di socializzazione di questi pazienti.
L'età dei residenti
variava dai 17 ai 50 anni.
In passato tre di questi
avevano posseduto dei cani, e quattro sia cani che gatti. Un'altra
persona di questo gruppo aveva posseduto un criceto.
Tutti questi pazienti
erano stati seguiti dal punto di vista terapeutico da un istituto
pubblico per disturbi bipolari e schizofrenici ed erano stati in seguito
dimessi.
Durante il periodo dello
studio, ciascuno di loro assumeva terapie giornaliere, partecipava a dei
gruppi ed a delle sessioni di terapia individuale. La residenza,
collocata in una zona agricola in una città di circa 60.000 abitanti,
veniva curata da un gestore, il quale provvedeva, durante il giorno, a
dare assistenza ai residenti.
Prima di iniziare lo
studio, ci fu un'assemblea dove si chiese loro se avessero desiderato
l'inserimento di pesci e porcellini d'India in gabbia all'interno della
residenza. Si disse loro inoltre che, uno degli sperimentatori, una
volta inseriti gli animali, avrebbe fatto delle supervisioni in
struttura per verificare le loro condizioni fisiche (se l'acquario dei
pesci fosse stato alla giusta temperatura, se avesse avuto sufficiente
luce, se i porcellini si fossero ben adattati al loro nuovo ambiente) ed
avrebbero anche osservato i comportamenti interattivi tra loro e gli
animali.
I residenti si
dichiararono d'accordo e contenti della proposta.
Furono così introdotti
nel salotto della residenza un acquario contenente due pesciolini
tropicali, di colore differente ed una gabbia contenente due porcellini
d'India maschi , uno grigio col pelo corto e l'altro tricolore col pelo
lungo.
Per un periodo di una
settimana (fase A) ci fu solamente l'acquario e poi successivamente
(fase B) venne introdotta la gabbia dei porcellini d'India. Siccome i
residenti di questo gruppo di studio erano impegnati in altre attività,
che si svolgevano al di fuori della struttura, non sempre tutti erano
presenti al momento dell'osservazione.
Questa si svolse per sei
settimane consecutive, dove giornalmente, una delle due ricercatrici
studiò i comportamenti dei residenti nei confronti di questi animali
e registrò qualsiasi tipo di comunicazione che si svolgeva
all'interno del salotto (sia quando i residenti si rivolgevano agli
altri animali, sia quando si rivolgevano agli altri loro compagni oppure
alla ricercatrice direttamente).
Vennero inoltre registrate
tutte le volte che i residenti si avvicinavano ai porcellini d'India per
dar loro da magiare per toccarli oppure
per prenderli in braccio.
Poiché durante lo studio
un pesciolino morì, quasi tutti provarono tristezza per l'accaduto ed
anche per la solitudine che avrebbe provato il rimanente pesce. Così
uno dei residenti per ovviare a questa cosa, di sua iniziativa andò a
comperarne un altro.
Quando il pesciolino morì,
i residenti si pentirono del fatto che, i primi giorni dell'esposizione,
andavano vicino all'acquario per spaventarli e per incitarli a
combattere l'uno contro l'altro.
Con il passar del tempo i
residenti si occuparono man mano di dar da mangiare ai pesci ed ai
porcellini (all'inizio ciò veniva fatto solo dalla ricercatrice). Al
termine di queste sei settimane di esposizione, fu distribuito un
questionario ai residenti in cui veniva sondato
il desiderio di tenere o meno degli animali in struttura.
Inoltre venne loro chiesto
di esprimere i sentimenti provati durante il periodo in cui
gli animali erano stati in struttura.
Sette di loro dissero che
li divertivano i pesci cinque di questi anche i porcellini d'India. Uno
disse di non sapere scegliere. Quando si chiese loro che cosa
apprezzassero di meno dei porcellini, tre risposero il disordine, uno
citò la timidezza e un
altro la bruttezza. Venne loro chiesto inoltre quali animali avrebbero
voluto avere in struttura, alcuni risposero dei cani e dei gatti, uno un
coniglio e un altro più pesci.
Dalle osservazioni si notò
che i residenti si avvicinavano maggiormente agli animali nella fase B,
quando vennero introdotti i porcellini d'India , piuttosto che quando vi
erano presenti solo i pesci. Questo perché i porcellini erano più
vivaci e stimolanti rispetto ai pesci.
In particolare si notò
questo comportamento in doppia misura per quei residenti che da poco
erano venuti ad abitare nella struttura, rispetto a coloro che invece
abitavano già lì da tempo. Inoltre si notò che la frequenza dei
discorsi rivolti agli animali aumentò quando vennero introdotti i
porcellini d'India rispetto a quando vi erano solo i pesci. Sette degli
otto pazienti toccarono i porcellini d'India per un totale di 34 volte e
4 di loro li presero in braccio per un totale di 26 volte.
Le osservazioni dei
comportamenti ed i risultati dei questionari dimostrarono come i
residenti fossero stati molto contenti della presenza degli animali.
Quest'ultima facilitò
l'interazione sociale a più livelli: in particolar modo la loro
presenza era un' argomento di comunicazione tra i residenti ed anche nei
confronti della ricercatrice e faceva da ponte per poter arrivare a
parlare anche di faccende più personali.
Alla fine di questo
studio, sia i pesci che i porcellini d'India rimasero nella residenza,
poiché i residenti lo richiesero con enfasi.
4.3.3 STUDIO
CONDOTTO DA M. ZISSELMAN, B.ROVNER, Y. SHMUELY, P. FERRIE: Un intervento
di pet therapy con pazienti
psichiatrici anziani. (1996)
Lo studio fu condotto a
Filadelfia in un ospedale per pazienti psichiatrici su 58 anziani
ospedalizzati. Costoro erano affetti da svariate patologie croniche:
depressione, demenza, morbo di Parkinson accompagnate naturalmente da
disturbi fisici.
Si scelse di far
partecipare all'intervento di pet therapy 33 di essi e gli altri 25
invece furono sottoposti ad un'altra attività
che già faceva parte della routine terapeutica di
quell'ospedale. Tutti questi soggetti erano simili per caratteristiche
demografiche e cliniche.
Entrambi gli interventi
furono condotti per 5 giorni consecutivi per ciascun gruppo. Il gruppo
sperimentale sottoposto a terapia assistita con l'animale,
riceveva la visita di un cane per un'ora al giorno.
I soggetti potevano
accarezzarlo, dargli da mangiare ed erano incoraggiati dagli
sperimentatori a parlare delle loro esperienze passate con animali
domestici, qualora ne avessero avute.
Coloro che facevano parte
del gruppo di controllo erano impegnati anch'essi per un'ora in altri
esercizi.
Come strumento per
entrambi i gruppi fu usato la
scala MOSES (Multidimensional Observation Scale for Elderly Subjects)
per valutare il funzionamento e la risposta al trattamento.
Questa scala era composta
da 40 items, raggruppati in 5 sottoscale: 1) funzionamento nella cura
del sé 2) comportamento disorientato 3) umore depresso ed ansioso 4)
comportamento irritabile 5) ritiro sociale.
I punteggi variavano in un
range tra 8-32, dove al numero più alto corrispondeva un più marcato
livello di compromissione.
Questa scala venne
compilata per ogni soggetto intervistando lo staff di infermieri che
quotidianamente era più a contatto con loro.
Dai risultati emerse che
non vi furono rilevanti differenze statistiche tra i due gruppi per
quanto riguarda le sottoscale della MOISE prima e dopo il trattamento.
La maggior parte dei
soggetti di entrambi i gruppi, dopo l'intervento, ebbero dei
miglioramenti per quanto riguarda le sottoscale della cura del sé, del
funzionamento sociale e del comportamento irritabile.
Il comportamento
irritabile migliorò soprattutto in donne affette da demenza, sia del
gruppo sperimentale che di quello di controllo.
I soggetti del gruppo
sperimentale dissero che la presenza del cane era servita loro sotto
molti punti di vista: fungeva da ponte di comunicazione con gli altri
compagni, era fonte di svago che consentiva di pensare meno ai problemi
e quindi portatrice di maggior benessere.
Un punto di debolezza
questo studio fu l'intervento limitato nel tempo (5 giorni) perché
forse differenze statistiche dei risultati tra i due gruppi sarebbero
potute emergere con un periodo d'intervento più lungo e magari con un
gruppo di controllo formato da persone non sottoposte ad un'attività
strutturata ma in condizione di passività.
4.3.4 STUDIO
CONDOTTO DA S. BARKER E K. DAWSON: Gli effetti della terapia con gli
animali sui livelli di ansia
in pazienti psichiatrici ospedalizzati. (1998)
Questo studio fu condotto
in un servizio di degenza psichiatrica di un centro medico accademico a
Richmond, in Virginia.
Il servizio trattava
pazienti adulti con una vasta gamma di disturbi psichiatrici acuti.
I soggetti studiati furono
230, 174 donne e 139 uomini, di età compresa tra i 25 e 49 anni.
Le diagnosi di questi
pazienti si potevano collocare all’interno di 4 categorie: 1) disturbi
dell’umore 2) disturbi
psicotici 3) disturbi da uso di sostanza 4) altri disturbi che
includevano disturbi ansiosi, cognitivi, di somatizzazione e di
personalità. Lo studio aveva lo scopo di esaminare se una sessione di
terapia con gli animali poteva ridurre i livelli di ansia di questi
pazienti. Naturalmente si valutarono idonei a partecipare a questo
studio persone che non avessero timore dei cani, che non manifestassero
allergie canine e che manifestassero
interesse per l'attività.
Una volta selezionati i
pazienti, essi parteciparono a due distinte sedute ricreative di gruppo:
una con la presenza dell’animale e l’altra senza. Queste sedute
furono tenute ciascuna una volta a settimana, quella con l’animale in
un giorno e l’altra il giorno successivo.
Fu impiegato uno studio
cross-over prima e dopo il trattamento.
La sessione di
terapia assistita con l’animale durava circa 30 minuti una
volta a settimana e vi era un’interazione di gruppo con un cane ed il
suo proprietario nonché conduttore pet-terapista. Naturalmente il cane
utilizzato in terapia rispondeva a determinati requisiti: era stato
addestrato e sottoposto vaccini e controlli veterinari. Durante questa
sessione il conduttore parlava del cane ed incoraggiava i pazienti a
parlare di esperienze, passate e presenti, con animali domestici
(qualora ne avessero avute). Il
cane si poteva muovere liberamente per la stanza interagendo con loro ed
obbedendo a comandi.
Il gruppo di controllo fu
una sessione terapeutica di gruppo tenuta con gli stessi pazienti il
giorno seguente la sessione di terapia con l’animale. Il contenuto
della terapia era vario: si discuteva
su come trascorrere
il tempo libero, su come trovare risorse di benessere e si facevano
attività di arte e musica.
Lo studio si avvalse
dell’uso della scala di State Trait Anxiety Inventory ( S.T.A.I.) per
misurare i livelli di ansia al momento attuale prima e dopo la sessione
di terapia con l’animale e prima e dopo l’altra sessione terapeutica
non assistita con l'animale. Questa scala, che i pazienti si potevano
auto-somministrare, consisteva in 20 items relativi a sentimenti quali
apprensione, nervosismo, tensione e preoccupazione. Per ciascun item
ogni paziente doveva barrare una di 4 caselle che corrispondevano a 4
condizioni: per nulla, un poco, abbastanza, moltissimo. Alla fine si
poteva ottenere un punteggio ponderato che poteva oscillare in un range
di 20-80, dove a quest'ultimo valore corrispondeva
il più alto livello di ansia.
Se i pazienti avevano
difficoltà ad auto-somministrarsi il test, potevano essere aiutati
dalle due psicologhe presenti. Per quanto riguarda la sessione di
terapia di gruppo assistita con l'animale, la S.T.A.I. veniva
somministrata prima che il cane entrasse nella stanza.
I pazienti sottoposti a
terapia assistita con animali ebbero tutti una significativa diminuzione
dei livelli d’ansia durante la terapia.
Per quanto riguarda il
gruppo di controllo, soltanto i pazienti con disturbi dell’umore
ebbero dei cali significativi dei livelli di ansia durante la sessione
ricreativa.
In particolare nei
pazienti che presentavano disturbi psicotici, la riduzione dei livelli
di ansia fu di due volte
maggiore durante la terapia assistita con l’animale, rispetto a quella
sola di ricreazione. Questo perché
probabilmente la terapia assistita con l’animale richiedeva una
interazione minore a livello di parole, di dialogo rispetto ad una
terapia tradizionale e si basava soprattutto sul contatto fisico con il
cane.
Nessuna significativa
riduzione dell’ansia fu trovata in pazienti facenti uso di sostanze né
dopo la terapia assistita con l'animale, né dopo quella ricreativa.
Da ciò si è potuto
dedurre che la terapia
assistita con l’animale riduceva l’ansia per un’ampia gamma di
pazienti rispetto alla terapia ricreativa senza l’ausilio
dell’animale.
4.3.5 STUDIO
CONDOTTO DA C. MARR, L. FRENCH, D. THOMPSON, L. DRUM, G. GREENING, J.
MORMON, I. HENDERSON, C. HUGHES.:Terapia assistita con l'animale nella
riabilitazione psichiatrica. (2000)
Lo studio prese in
considerazione 69 pazienti psichiatrici (70% maschi e 30% femmine) tra i
20 e i 66 anni all'interno di un centro riabilitativo il Terrel State
Hospital in Texas: la media del loro ricovero era di circa 6 mesi.
Il 48% avevano una
diagnosi di schizofrenia, il 27% di
disturbo bipolare, il 18% di altri disturbi psicotici ed il 7% di
depressione.
Tutti avevano una storia
d'abuso di alcool e droghe. All'interno di questo centro, costoro
seguivano dei gruppi educativi sull'abuso di sostanze. Entrambi
parteciparono a due sessioni terapeutiche di gruppo che avevano lo scopo
di creare, rinforzare, mantenere delle abilità necessarie per non
ricorrere all'uso di alcool e droghe o per affrontare un processo di
ricovero, qualora l'abuso fosse già stato in atto.
Gli obiettivi della
terapia si focalizzarono su: 1) imparare a riconoscere le conseguenze
negative ed i pericoli relativi all'uso di sostanze 2) imparare a
riconoscere la relazione tra l'attuale comportamento e passati conflitti
emozionali non risolti 3)
imparare a riconoscere il nesso tra le esperienze passate di abbandono
ed gli attuali problemi di identità, intimità, vissuti di colpa e di
vergogna 4) imparare a
riconoscere il fatto che facendo determinate scelte
si poteva rovinare la propria immagine sociale
5) riconoscere i processi di pensiero ed i processi emozionali
messi in atto quando si
prendeva la decisione di far uso di sostanze
6) riconoscere i potenziali benefici insiti nella terapia di
gruppo che, tramite 12 passaggi, dava delle indicazioni su come
affrontare i problemi insorgenti dall'abuso di alcool e droghe.
I pazienti furono divisi
in due gruppi: un gruppo sperimentale sottoposto a terapia assistita con
l'animale con la presenza di un pet-terapista ed un gruppo di controllo
senza la presenza dell'animale. Per ciascun animale utilizzato vi era
una scheda attestante il suo stato di salute, le relative vaccinazioni
ed i percorsi d'addestramento.
Entrambi i gruppi furono
sottoposti a due percorsi di terapia riabilitativa di gruppo, identici
sia per quanto riguarda la conduzione, i contenuti e la durata (dal
lunedì al venerdì, un'ora la settimana, per 4 settimane).
Il gruppo sperimentale,
ogni giorno, aveva in stanza di terapia la presenza di animali: cani,
conigli e furetti. I pazienti potevano osservarli ed interagire con loro
(tenerli in braccio, accarezzarli, giocare) per tutta la durata della
seduta. Ai pazienti non veniva richiesto di interagire con loro: il
tutto si verificava liberamente e volontariamente. Tra tutti ci fu
solamente una paziente, che per tutta la durata dello studio, non
toccò mai gli animali.
Alla fine di ogni seduta
di terapia, i conduttori dei due gruppi, sia di quello sperimentale che
di quello di controllo, compilarono per ciascun paziente la scala SBS
(Social Behavior Scale). Di questa, nove domande erano dirette
all'osservazione dei comportamenti dei pazienti in gruppo. Le risposte a
ciascun item andavano da 1 a 5 dove
5 era il massimo punteggio positivo.
Gli items prendevano in
considerazione le attività, la socializzazione, la sensibilità di
ciascun paziente nei confronti degli altri, la capacità di aiutarsi
vicendevolmente, la comunicazione, il comportamento non verbale, i
sentimenti di piacere provati durante le sedute.
Dai risultati emerse che
non si rilevarono differenze tra i due gruppi per le prime tre settimane
d'osservazione, invece nella
quarta settimana si notò come i pazienti facenti parte del gruppo
sperimentale, erano più attivi, interagivano maggiormente, erano più
di buon umore, si aiutavano, interagivano e comunicavano maggiormente
tra di loro rispetto a quelli del gruppo di controllo.
4.3.6 STUDIO
CONDOTTO DA Y. BARAK, O. SAVORAI, S. MAVASHEV, A. BENI: Terapia
assistita con l’animale per pazienti schizofrenici anziani. (2001)
La ricerca fu condotta per
un anno in un istituto psico-geriatrico, l’Ababanel mental Healyh
Center in Israele.
Furono scelti a random
dieci pazienti che avrebbero
fatto parte del gruppo di terapia assistita con l'animale (A.A.T.)
e 10 pazienti che avrebbero fatto parte del gruppo di controllo.
L’età compresa era tra i 72 ed 86 anni.
I criteri d’inclusione
per partecipare a questo studio furono: 1) la diagnosi comune di
schizofrenia 2) l’età superiore ai 65 anni 3) l’ospedalizzazione da
almeno 10 anni 4) il consenso a partecipare allo studio.
I criteri di esclusione
allo studio furono: 1) serie alterazioni cognitive 2) allergie nei
confronti di cani e gatti 3) malattie fisiche come l’asma.
Lo studio fu condotto
in doppio cieco.
Uno psicologo clinico
somministrò la S.A.F.E. (Scale for Social Adaptive Functioning
Evaluation), composta da 17 items, ciascuno valutato secondo una scala
che andava da 0 (nessuna compromissione) a 4 ( compromissione estrema).
Gli items della scala valutavano il
controllo dell'impulsività, il rispetto della proprietà,
abbigliamento, alimentazione e dieta, gestione del denaro, pulizia e
gestione dello spazio di vita, orientamento/mobilità, abilità di
comunicazione, abilità sociali strumentali, appropriatezza
sociale/educazione, interazioni sociali, amicizie, tempo libero, cura
del sé ed igiene personale, partecipazione ai programmi della
struttura, adesione al trattamento.
Tutto ciò si poteva
valutare tramite l’osservazione e
l’interazione con i soggetti. La somministrazione della S.A.F.E fu
condotta in tre momenti: 1) prima dello studio 2) sei mesi dopo 3) dopo
un anno dall’inizio dello studio.
La A.A.T. fu condotta da
tre conduttori di pet therapy una
volta la settimana, sempre nello stesso giorno, per 3 ore. Inoltre,
durante la seduta era presente un’infermiera psichiatrica. Ad ogni
paziente veniva dato un cane oppure un gatto, a seconda delle
preferenze. Durante queste sessioni di terapia i pazienti dovevano
svolgere attività come accarezzare l’animale, dargli da mangiare,
spazzolarlo, fargli il bagno e condurlo a fare passeggiate. Un obiettivo
di questa terapia era fare aumentare il movimento fisico dei pazienti e
la socializzazione tra loro, mentre facevano fare passeggiate ai cani al
di fuori dell’ospedale. Inoltre queste ultime consentivano a questi
pazienti di interagire con i passanti che erano attirati dai cani.
Ogni seduta veniva poi
conclusa in una stanza all’interno dell’ospedale dove si chiedeva ai
pazienti di raccontare che cosa fosse successo durante il loro periodo
trascorso con l’animale.
Il gruppo di controllo
invece veniva radunato per leggere e discutere le notizie del giorno e
veniva occupato per la stessa durata della terapia con l’animale
dell’altro gruppo di pazienti. Presenti in questo gruppo vi erano tre
infermiere per mantenere il numero uguale dello staff dell’altro
gruppo (i tre conduttori).
Non ci furono differenze
significative tra i due gruppi per quel che riguarda
il controllo degli impulsi. Si ebbero dei miglioramenti in
entrambi i gruppi per quanto riguarda la sfera dell’igiene personale e
della cura del sé.
Ci fu però una differenza
significativa tra i due gruppi per quanto riguarda il funzionamento
sociale, di gran lunga migliorato nel gruppo dei pazienti sottoposti a
A.A.T.
Il miglioramento fu
significativo già a partire dai 6 mesi dall’inizio dello studio, per
poi raggiungere il massimo dei risultati ad un anno.
La terapia incoraggiava
il movimento, il contatto interpersonale, la comunicazione e
rinforzava le attività quotidiane come l’igiene personale, la cura di
sé, attraverso l’uso di cani e gatti come modelli.
4.3.7 STUDIO CONDOTTO DA S. BARKER, A. PANDURANNGI, A. BEST: Gli effetti
della terapia assistita con l’animale su pazienti ansiosi, depressi e
impauriti prima della terapia elettro-convulsiva (ECT). (2003)
Questo studio si svolse a
Richmond, in Virginia.
L’obiettivo era di
valutare se l’attuazione di una terapia assistita con l’animale
potesse ridurre i livelli di ansia e di paura in pazienti psichiatrici
prima dell’ECT.
Spesso i pazienti erano
ansiosi, ma soprattutto impauriti, prima di affrontare questo tipo di
terapia, nonostante l’anestesia ed altre tecniche mediche di sicurezza
cui venivano sottoposti. La paura per l’ECT portava sovente ad una non
compliance e quindi ad un rifiuto della stessa.
Ci sono stati degli studi
discordanti, alcuni dei quali dimostrarono che il far vedere dei video
educativi oppure attuare
interventi educativi di supporto emotivo potessero far affrontare a
questi pazienti l’ansia e la paura. Non sempre questi interventi
potevano funzionare.
Vennero selezionati
pazienti provenienti dal territorio, da strutture quali comunità ed
ospedali psichiatrici che si recavano in un centro medico accademico per
essere sottoposti a ECT. Generalmente questi pazienti soffrivano di
gravi depressioni bipolari oppure di disturbi psicotici che erano stati
refrattari a qualsiasi tipo di terapia farmacologica.
I criteri di esclusione
nella scelta dei pazienti, che avrebbero partecipato allo studio,
furono: 1) pazienti che presentavano allergie ai cani 2) pazienti non
motivati 3) pazienti che non firmarono il consenso informato 4) pazienti
che avevano agito aggressività nei confronti di animali e persone 5)
pazienti che avevano la fobia dei cani.
I pazienti scelti furono
35 (25 donne e 10 maschi),
la media d’età era di circa 54 anni.
Diciannove soffrivano di
depressione, sette di disturbo bipolare, sei di disturbi psicotici, tre
di demenza. Il numero medio di ECT cui erano stati precedentemente
sottoposti variava da 3 a 5. Partecipavano
4 alla volta alla terapia.
Quest’ultima consisteva
in 60 minuti circa di interazione con il cane ed il suo addestratore
entrambi certificati dalla Delta Society Pet Partners.
Con i pazienti
l’addestratore focalizzava la conversazione sul cane e chiedeva
loro se avevano da raccontare esperienze passate con animali domestici.
Le sedute di terapia con l’animale si svolgevano nella stanza dove si
sarebbe effettuata la terapia ECT, dove i pazienti erano già preparati
con abiti ed elettrodi per
poi essere sottoposti alla terapia elettro-convulsiva. Se lo avessero
desiderato, i pazienti potevano accarezzare
e spazzolare il cane.
Lo stesso gruppo di
pazienti fu controllo di se stesso, poiché venne sottoposto a giorni
alterni, sempre per 60 minuti, ad un altro tipo di attività ricreativa
come leggere giornali e riviste, naturalmente prima di essere sottoposto
alla terapia elettro-convulsiva.
Lo strumento usato per
misurare l’ansia, la depressione e la paura furono le scale VASs.
Queste scale consistevano in un segmento
stampato dove all’estrema sinistra corrispondeva la voce “per
niente” e all’estrema destra invece la voce “tantissimo”. Il
testista leggeva al paziente le domande e lui doveva collocare le sue
sensazioni all’interno di questo segmento, ad esempio se si sentiva più
ansioso si collocava più verso la parte destra del segmento.
Queste scale VASs furono
somministrate dopo che i
pazienti avevano firmato il consenso informato per partecipare allo
studio. Successivamente vennero compilate a distanza di 15 minuti
dall’inizio della terapia con l’animale ed a distanza di 15 minuti
dall’attività di lettura dei giornali e delle riviste.
Per assicurare la validità
delle scale, queste venivano compilate oltreché dai pazienti, anche da
infermieri che li avevano osservati ed interagito con loro.
Si fecero poi ai pazienti
delle brevi interviste sia dopo l’applicazione della terapia con
l’animale sia dopo l’attività ricreativa dei giornali e delle
riviste: domande sull’età, sullo stato civile, sullo stile di vita,
sul numero e sulle esperienze passate di terapie elettro-convulsive.
Inoltre venne chiesto loro se si sentivano meglio dopo aver sperimentato
la terapia assistita con l’animale oppure dopo l’attività
ricreativa di leggere giornali e riviste. Per quanto riguarda la terapia
assistita con l’animale, venne chiesto ai pazienti di rispondere a
delle domande rispetto ai vissuti provati durante la terapia
ed inoltre di esprimere se e che cosa li avesse fatto sentire
meglio. La maggior parte di loro risposero la presenza del cane.
In generale la terapia
assistita con l’animale riusciva a sedare i sentimenti di ansia, paura
e depressione. Inoltre i pazienti, durante la terapia con l’animale,
si interessavano al cane, parlavano delle loro esperienze passate e
presenti con animali domestici, ridevano e ringraziavano
l’addestratore per avere portato il cane e molto spesso continuavano a
parlare di lui anche dopo che il team per l’ECT era entrato in stanza.
Venne inoltre chiesto ai
pazienti se avrebbero desiderato essere sottoposti alla terapia con
l’animale la volta seguente prima della terapia elettro-convulsiva.
Dopo l’attività
ricreativa con giornali e riviste, nessuno dei pazienti affermò che la
lettura di questi li aveva aiutati a sentirsi meglio.
Dai risultati emerse che
con la terapia assistita dall’animale, effettuata prima della terapia
ECT, i livelli di paura nei pazienti si ridussero del 37%. La riduzione
della paura era importante perché molto spesso portava alla non
compliance al trattamento ECT.
Risultati non
significativi si ebbero, per la riduzione dell’ansia, nei confronti
della terapia ECT, così come per i vissuti depressivi, ma questo perché
si sarebbero potuti forse vedere risultati nel miglioramento della
depressione, qualora lo studio fosse stato più lungo nel tempo.
Comunque il 77% dei
pazienti sottoposti alla terapia assistita con l’animale, dichiarò di
essersi sentito meglio, grazie alla presenza del cane, ed il 71%
espresse il desiderio di ripetere l’esperienza la volta successiva
prima di sottoporsi alla terapia ECT. Tuttavia anche se l’analisi
statistica non diede risultati significativi, il 60% dei pazienti
dichiarò che la terapia assistita con l’animale aveva ridotto i loro
vissuti di ansia e depressione.
4.3.8 STUDIO CONDOTTO DA Z. KOVACS, R. KIS, S. ROZSA, L. ROZSA: Terapia
assistita con l’animale per pazienti di mezza età che vivono in un
istituto. Uno studio pilota. (2004)
Lo studio fu condotto per
valutare se la terapia assistita con l’animale potesse essere efficace
nella riabilitazione di pazienti psichiatrici di mezza età che vivevano
in un istituto a Budapest. L’obiettivo
era di aumentare il funzionamento adattativo di questi pazienti.
I criteri d’inclusione
nella scelta dei pazienti furono: 1) diagnosi di schizofrenia 2) età
compresa tra i 18-65 anni 3) durata della malattia da almeno 10 anni 4)
un risultato di 39 o più alla scala SANS (Assessment of Negative
Symptoms) 5) firma del consenso informato.
I criteri di esclusione
nella scelta dei pazienti furono: 1)gravi compromissioni cognitive,
misurate dal Mini-Mental State Examination 2) reazioni allergiche o
malattie fisiche che potevano insorgere alla presenza degli animali.
Il gruppo studiato era
composto da 7 pazienti affetti da schizofrenia (4 donne e 3 uomini), con
una media di età di 43.6 anni, che vivevano nell’istituto da circa 7
anni.
Lo studio durò 9 mesi,
senza alcun drop-out. Lo staff terapeutico era composto da uno
psichiatra, uno psicologo, un assistente sociale, il cane ed il suo
proprietario nonché conduttore.
Lo strumento usato per
valutare i risultati della A.A.T. fu la ILSS (Indipendent Living Skills
Survey), somministrata circa 7-10 giorni prima della prima sessione di
trattamento e 7-10 giorni
dopo l’ultima sessione di trattamento, quindi con un intervallo di
tempo tra le due somministrazioni di circa 273-280 giorni.
La
ILSS misurava le abilità nella gestione della vita quotidiana, prendeva
in considerazione 8 aree (alimentazione, cura del sé, attività
domestiche, salute, gestione del denaro, autonomia negli spostamenti,
gestione del tempo libero, abilità lavorative).
Gli
items erano strutturate sotto forma di questionario e le risposte
potevano essere date facendo riferimento ad una scala a sei risposte
(1- mai 2- a volte 3-spesso 4- di solito 5-sempre 6-impossibile
dare una valutazione) che prendeva in considerazione la frequenza di
certi comportamenti messi in atto il mese prima della valutazione.
Una
Scala addizionale a cinque risposte (1-mai; 2-occasionalmente; 3-a
volte; 4-frequentemente; 5-sempre) misurava quanto un determinato
comportamento potesse essere un problema.
Questo strumento fu
compilato dai ricercatori con l’ausilio delle infermiere che stavano a
contatto giornaliero con i pazienti e di conseguenza ne conoscevano le
loro abitudini. Dei 112
items di cui è composta la scala, per questo studio ne furono scartati
48, poiché erano quelli situati nelle aree che non potevano essere
prese in considerazione per i pazienti in questione (ad es. l’area del
lavoro).
La terapia assistita con l’animale durò nove mesi,
una seduta alla settimana sempre alla stessa ora. Ogni seduta durava 50
minuti e veniva tenuta nel giardino dell’istituto, o quando c’era
maltempo, in una stanza all’interno. All’inizio di ogni seduta, il
cane andava vicino ai pazienti per farsi accarezzare, quindi
incoraggiava l’interazione fra di loro e di conseguenza la
comunicazione. In questa fase i pazienti potevano condividere sentimenti
e pensieri con lo staff terapeutico. Inoltre per aumentare le loro
reazioni affettive (espressione facciale, gestualità, contatto visivo),
il linguaggio (qualità ed intensità dell’eloquio) e la
concentrazione nelle abilità si
facevano loro svolgere degli esercizi semplici o complessi con il cane.
Gli esercizi più complessi richiedevano la
cooperazione tra pazienti cosicché si potevano formare dei gruppi.
Dando da mangiare al cane ed occupandosi della sua cura, spazzolandolo,
i pazienti imparavano a conoscere le necessità di un altro essere
vivente. Inoltre portando a spasso il cane, questi pazienti aumentarono
il loro movimento fisico e svolgendo esercizi complessi aumentavano
l’attenzione e la focalizzazione su una determinata attività.
Oltre questi effetti, durante le sedute di terapia i
pazienti erano in un buono
stato di rilassamento, erano contenti di svolgere gli esercizi e si
comportavano in modo molto più spontaneo del solito.
Furono confrontati
i risultati della ILSS ottenuti prima dell’inizio della terapia
con quelli ottenuti a terapia ultimata (intervallo di tempo di circa
nove mesi). Si notò come i pazienti, dopo il periodo di terapia,
ottennero un decisivo miglioramento in tutte le aree ed in modo decisivo
soprattutto nelle aree delle attività domestiche, della cura del sé ,
dell' igiene personale e della salute.
Analogamente, prendendo in
considerazione i risultati della scala addizionale, somministrata
anch’essa prima e dopo il periodo di terapia assistita con
l’animale, si notò come i comportamenti valutati problematici
diminuirono di intensità, soprattutto per quanto riguarda le aree delle
attività domestiche, della salute, della cura del sé.
Inoltre, dopo
l’esperienza di questa terapia assistita con l’animale, questi
pazienti divennero molto più motivati a partecipare ad altre attività
di riabilitazione.
4.3.9 STUDIO CONDOTTO DA I.
NATHANS-BAREL, B. BERGER, P. FELDMAN, I. MODAI, H. SILVER: La Terapia
Assistita con l’animale migliora l’anedonia nei pazienti
schizofrenici. (2005)
Lo studio condotto da
questi studiosi in Israele voleva dimostrare se l’anedonia
(l’incapacità di provare piacere), una dimensione della
sintomatologia negativa presente nei pazienti affetti da schizofrenia,
potesse migliorare, a seguito di una terapia condotta con l’animale.
Per sceglier i pazienti fu somministrato a tutti i degenti
dell’ospedale un questionario per indagare se piacevano o meno gli
animali e se avevano avuto in passato esperienze con questi, in
particolare con i cani.
Furono esclusi pazienti
con allergie e che avessero paura dei cani.
Il campione di questo
studio incluse 20 persone (12 maschi e 8 femmine) che soffrivano di
schizofrenia cronica. Un gruppo di 10 persone (gruppo 1) veniva
sottoposto a sedute di terapia in presenza dell’animale, mentre per
quanto riguarda il gruppo di controllo (gruppo 2) veniva sottoposto alla
stessa tipologia di seduta ma non in presenza dell’animale.
L’età di questi
pazienti variava dai 28 ai 50 anni, la durata della malattia andava dai
7 ai 29 anni, la durata dell’ospedalizzazione invece dai 2 ai 6 anni.
I soggetti dello studio erano in terapia stabile con antipsicotici da
almeno 6 mesi.
Il pet terapista era uno
psicologo che aveva una qualificata esperienza di ammaestratore di cani.
In questo studio fu usato un Golden Retriever ammaestrato, cui era stato
sottoposto a vaccini e controlli veterinari.
I partecipanti disposero
di 10 sedute di terapia di un’ora a settimana con lo psicologo che era
uguale per tutti e due i gruppi, ma nel gruppo 1 era presente alla
seduta il Golden Retriever e nel gruppo 2 no.
Nella A.A.T. del gruppo 1
lo psicologo invitava ogni paziente a scegliere tra diverse attività da
svolgere quali giocare con il cane, imparare a spazzolarlo, insegnargli
nuove cose, fargli delle carezze, dargli da mangiare, fare delle
passeggiate con lui, farlo
conoscere ad altre persone.
Le attività proposte al
gruppo di controllo (gruppo 2) seguivano la stessa procedura e
includevano delle proposte simili nel contenuto a quelle del gruppo 1 ma
senza la presenza del cane: si facevano delle discussioni su come
prendersi cura degli animali e si facevano passeggiate al di fuori
dell’ospedale della durata di quelle che pazienti del gruppo 1
facevano con il cane.
Lo strumento usato per
valutare l’anedonia fu la S.H.A.P.S. (Snaith-Hamilton Pleasure Scale)
formata da 14 items relativi ad esperienze piacevoli riguardo 4 sfere:
1) interazione sociale 2) esperienze sensoriali 3) interessi nel tempo
libero 4) ambito
dell'alimentazione.
Gli items venivano letti
ai soggetti, i quali dovevano dare una risposta situata in 4 diverse
condizioni: (1-non mi piace per niente
2-non mi piace 3-mi
piace 4- mi piace
moltissimo)
Un alto punteggio
significava un buon edonismo, quindi una bassa anedonia.
Inoltre furono usati il
Q.L.E.S.Q. (Quality of Life Enjoyment and Satisfaction Questionnaire),
la S.Q.L.S. (Subjective Quality of Life Scale), la
P.A.N.S.S. (Positive and Negative Sindrome Scale) e la S.A.N.S.
(Schedule for the Assessment of Negative Symptoms).
Il Q.L.S.E.S.Q. consisteva
in 93 items, raggruppati in
10 scale: 1) salute fisica 2) attività nel tempo libero 3) relazioni
sociali 4) attività in generale 5) lavori domestici 6) soddisfazione a
livello medico 7) andamento lavorativo 8) soddisfazione delle qualità
della vita 9) sentimenti soggettivi 10) gioia.
Le risposte agli items
erano situate su una scala a cinque punti, dove il punteggio più alto
indicava una miglior qualità di vita.
La S.Q.L.S. era una scala
consistente in 30 items che esaminavano la qualità di vita e la
soddisfazione durante le settimane precedenti alle sedute ed era divisa
in tre sezioni: 1) psicologica 2) motivazionale 3)effetti collaterali.
Le risposte agli items erano situate su una scala a cinque punti, dove
il punteggio più alto indicava una scarsa qualità di vita.
La P.A.N.S.S. e la
S.A.N.S. vennero usate per valutare i sintomi clinici della
psicopatologia.
La valutazione fu fatta
prima del trattamento, a distanza di cinque sedute di trattamento e dopo
dieci sedute.
Dai risultati emerse che
l’anedonia si dimostrò significativamente più
bassa nel gruppo di pazienti trattati con l’A.A.T., rispetto a
quello del gruppo di controllo. La divergenza tra i due gruppi cominciò
a notarsi a cinque settimane dall’inizio del trattamento. Inoltre il
gruppo trattato con l’A.A.T. dimostrò un significativo miglioramento
per quanto riguarda il fattore dell’impiego del tempo libero del
Q.L.S.E.S.Q. ed un analogo miglioramento per quanto riguarda il fattore
motivazionale della S.Q.L.S.
Non ci furono altre
significative differenze tra i due gruppi negli altri fattori del
Q.L.S.E.S.Q. o della S.Q.L.S.
Nessuna significativa
differenza fu inoltre rilevata nei risultati del post trattamento tra la
P.A.N.S.S. e la S.A.N.S.
I pazienti che
parteciparono al gruppo di terapia assistita con l’animale
dimostrarono di affezionarsi al cane e dissero che tra una sessione e
l’altra di terapia ne sentivano la
mancanza. Inoltre ogni volta erano impazienti di iniziare la
seduta a differenza di quando dovevano fare attività di altro genere.
Cominciarono ad interessarsi della salute del cane, lo chiamavano per
nome, perfino con nomignoli.
Durante le ultime due
sedute del trattamento si dimostrarono molto dispiaciuti e tristi del
fatto che si fosse arrivati alla fine dello studio poiché si sarebbero
dovuti separare dal cane.
4.4 CONSIDERAZIONI GENERALI RISPETTO AI RISULTATI DEGLI STUDI DI TERAPIA
ASSISTITA CON L'ANIMALE APPLICATA A PAZIENTI PSICHIATRICI.
Da tutti gli studi di
terapia assistita con l'animale applicata a pazienti psichiatrici, si è
potuto constatare quanto, a volte, la relazione che questi instauravano
con l' animale, potesse servire da ancoraggio alla realtà, evitando un
rischio di fuga verso un mondo interiore e solitario.
Gli effetti positivi di
queste ricerche sono stati ottenuti grazie anche al fatto che tutte le
attività assistite con gli animali si sono contestualizzate all'interno
di un processo terapeutico riabilitativo
programmato, valutato e costantemente monitorato da un team
multi-professionale che ne considerava l'adeguatezza e l'efficacia lungo
tutto il percorso d'intervento, prendendo in considerazione le singole
caratteristiche dei pazienti ed il relativo contesto in cui si
trovavano.
Gli ambiti dove i
ricercatori hanno focalizzato maggiormente il loro interesse sono stati:
1) la sfera comunicativa, ossia quali aspetti della comunicazione
venivano attivati tramite l'interazione con l'animale 2) la sfera
emozionale, ossia quali processi di condivisione emozionale e di
comprensione di alterità emozionali, che immergevano i pazienti in una
dimensione sociale ed affettiva, si potevano instaurare attraverso la
presenza dell'animale 3) la sfera motivazionale in riferimento ad ambiti
quali l'espressione sociale ed affettiva, la cura del sé,
l'alimentazione, l'attività ludica favorite dal contatto con l'animale
4) la sfera cognitiva attivata attraverso l'attenzione, la
concentrazione, l'acquisizione di contenuti mentali e la formazione di
schemi rappresentazionali della realtà che ne derivavano dalle attività
svolte con l'animale 5) la sfera estesica attraverso la sollecitazione
di organi sensoriali che potevano essere attivati interagendo con
l'animale 6) la sfera senso-motoria, realizzata attraverso specifici
movimenti impliciti nella relazione con l'animale.
Gli effetti della A.A.T.,
ponendosi come co-terapia di supporto ai trattamenti di cura
tradizionali, in alcuni casi è riuscita a far raggiungere i seguenti
obiettivi : 1) aumentare la compliance dei pazienti e quindi
l'agevolazione del patto
terapeutico medico/malato 2) aumentare la motivazione dei pazienti ad
incrementare l'orientamento verso la guarigione 3) agevolare una
condizione psicologica di benessere allontanando il disagio 4) aumentare
le attività ludiche dei pazienti 5) aumentare le occasioni relazionali
ed affettive dei pazienti.
Naturalmente ciò è stato
possibile perché la relazione con l'animale
poteva offrire una sorta di ponte al dialogo con il mondo
esterno, con il genere umano, dando loro l'opportunità di un ritorno
alla socialità, incrementata nella sua totalità (voglia di muoversi,
uscire, parlare, sorridere ecc..).
Molto spesso il paziente
psichiatrico si trova a vivere sentimenti di distacco, di non
accettazione e di conseguenza egli presenta notevoli difficoltà nel
creare relazioni con le altre persone.
Egli viene considerato
molto spesso bizzarro oppure, peggio ancora, pericoloso. La diversità
del paziente psichiatrico spaventa, mette in difficoltà ed allontana le
persone.
In molte situazioni egli
si ritrova a vivere nel suo mondo, dove gli altri non esistono o sono
vissuti come persecutori: lo sguardo è cupo, angosciato, può
presentare un comportamento caratterizzato da estrema chiusura oppure da
stravaganza.
Anche il suo modo di
vestire può rappresentare un messaggio al mondo esterno: dolore,
angoscia o semplicemente paura.
L'avversione di questi
pazienti per le relazioni interpersonali ha potuto trovare giovamento a
partire da una relazione con l'animale che si caratterizzava
per l'aspetto spontaneo, non giudicante e non mediato da
stereotipi e pregiudizi socio-culturali.
Nella maggior parte dei
casi, il contatto e la vicinanza fisica con l'animale, ha fatto in modo
che “la distanza psicologica” vissuta dai pazienti psichiatrici
potesse essere attenuata, avviandoli così in un percorso di
riavvicinamento con gli altri esseri umani, con una diminuzione della
distanza fra il “sé” ed il mondo esterno.
L'animale poteva fungere
da oggetto sé buono che supportava il loro Io nella strutturazione di
confini che permettessero un flusso adeguato tra interno ed esterno, tra
realtà e fantasia.
Inoltre, in molti casi, la
A.A.T. impiegata dava modo a questi pazienti di mettere in atto un
maggior numero di comportamenti propositivi, di migliorare le proprie
competenze, di essere responsabilizzati, poiché potevano occuparsi
della cura e delle necessità fisiologiche degli animali. Prestare
attenzione ai loro bisogni, ai loro orari e tempi era un modo per
intervenire sulla propria auto-percezione e favorire, per traslazione,
una maggior cura di sé.
CAPITOLO
5
TEORIE
PSICOLOGICHE ASSOCIABILI AL RAPPORTO UOMO E ANIMALE.
5.1
IL RAPPORTO UOMO/ANIMALE SECONDO UNA PROSPETTIVA
NATURALISTICO-PSICOANALITICA ED UNA PROSPETTIVA DERIVANTE DALLE TEORIE
DELL'APPRENDIMENTO.
Diversi
studiosi hanno formulato delle teorie per spiegare l'evoluzione ed il
significato del rapporto uomo-animale.
A
tal proposito Cusack (1988) propone una prospettiva di analisi
naturalistico-psicoanalitica, mentre Brickel (1982) una prospettiva
derivante dalle teorie dell'apprendimento.
Secondo
Cusack l'uomo stabilisce relazioni profonde ed affettive molto
facilmente e spontaneamente con un animale poiché questo ultimo
possiede la capacità di soddisfare bisogni umani profondi ed inconsci:
può fungere da ponte tra coscienza ed inconscio su ciò che viene di
solito celato attraverso meccanismi di difesa quali proiezione,
identificazione, sublimazione e spostamento.
Nel
rapporto uomo-animale possono insorgere questi meccanismi quando si
instaura tra loro una relazione affettiva, allo stesso modo di come
accade nei rapporti interumani.
Uno
dei principali meccanismi messi in atto è la proiezione poichè l'uomo
può attribuire all'animale pensieri, intenzioni, atteggiamenti e
bisogni propri ed inaccettabili. La proiezione può permettere al
soggetto di far fronte ad emozioni e motivazioni
che possono farlo
sentire vulnerabile per ammettere di possederli lui stesso e quindi,
proiettandoli sull'animale, potrà occuparsi di esse e prendersene cura
non in maniera diretta e con meno angoscia.
Un
altro meccanismo che si può trovare nel rapporto con l'animale è il
processo dell'identificazione attraverso cui l'uomo, in alcuni momenti,
può riconoscersi in aspetti del proprio animale. Questo può fare in
modo che si possa costruire in maniera più consapevole la propria
identità e la visione che ha di se stesso: molto spesso l'animale può
diventare l'espressione dei suoi desideri ed aspettative, come
manifestazioni delle parti migliori di sé.
Un
altro meccanismo che si può vedere coinvolto nel rapporto uomo- animale
è lo spostamento soprattutto nel campo delle relazioni. L'animale può
fungere, per esempio, da sostituto di una relazione affettiva che non c'è
più oppure non c'è mai stata. Questo processo può aiutare il soggetto
a dare ancora un senso ed uno scopo alla propria vita, e sentirsi utile
ancora per qualcuno.
Per
ultimo, ma non meno importante, si può trovare il meccanismo della
sublimazione attraverso cui vi è l'incanalamento
di sentimenti ed impulsi potenzialmente disadattivi in
comportamenti socialmente accettabili: è il caso per esempio di chi
trasferisce sull'animale propri impulsi aggressivi e di controllo
sottoponendolo ad un severo e minuzioso addestramento, oppure per
soddisfare i propri sentimenti narcisistici, iscrivendolo a delle gare
estetiche, oppure ancora per soddisfare i propri impulsi competitivi,
farlo partecipare a manifestazioni sportive.
Già
Freud aveva sottolineato l'importanza dei simboli animali nella vita
onirica dell'uomo come espressione della parte più istintuale e
profonda della sua personalità, controllata dalle imposizioni delle
norme sociali.
L'animale
può venire antropomorfizzato e visto come sostituto delle pulsioni, dei
desideri, dei bisogni affettivi e relazionali umani. Questa modalità di
considerare l'animale è appropriata quando l'oggetto d'amore originario
non c'è mai stato oppure non è più presente, di conseguenza l'animale
viene vissuto come un sostituto verso cui l'uomo ha messo in atto il
meccanismo dello spostamento per ridurre la tensione prodotta dalla
pulsione che non trova via di scarica (Freud 1917-1932). È il caso di
molte persone sole o isolate dal resto della società che considerano
i loro animali come dei veri e propri punti di riferimento
affettivi importanti e che quindi diventano dei veri e propri compagni
di vita.
Cusack
(1988) afferma che "L'animale è vissuto innanzitutto nella sua
forma idealizzata, una sorta di entità perfetta che sembra reagire
adeguatamente in ogni situazione. E' lo specchio del nostro bisogno e
permette a noi di mostrare il nostro miglior modo di essere. Se in noi
esistono sentimenti di compassione, empatia, tenerezza, gli animali sono
in grado di farceli esprimere nel migliore dei modi e di ricambiare con
la stessa moneta."
Dalle
teorie dell'apprendimento di Pavlov, Skinner e Bandura,
Clark Brickel (1982) ha formulato una prospettiva secondo cui,
l'uomo percepisce l'animale in termini fondamentalmente emotivi e questa
percezione si fonda su un
processo di apprendimento sociale (ottenuto tramite i processi di
condizionamento classico ed operante, ma anche di apprendimento
osservativo) che riflette il contesto sociale in cui esso si sviluppa.
Questo spiegherebbe il fatto che le interazioni positive con gli animali
non sono innate: non tutte le persone sono attirate positivamente dagli
animali, alcune possono gradire certe specie piuttosto che altre, oppure
non gradirli proprio
Secondo
Brickel, già a partire dall'infanzia i bambini possono essere
influenzati dai genitori sul tipo di investimento emotivo rivolto a
determinati animali. Nel corso della sua crescita, il bambino
incontrerebbe nel suo ambiente di vita, fatto di giochi, fantasie e
favole, una lunga serie di animali, associati all'atteggiamento positivo
o negativo dei loro genitori. Ecco quindi che gli animali diventano
stimoli condizionati attraverso il simbolismo attribuito dai genitori e
dalle interazioni reali o simboliche (es: il lupo cattivo, il cane
fedele ecc...).
Il
condizionamento operante si
verificherebbe nel momento in cui il bambino ottiene un rinforzo in
seguito a comportamenti diretti all'animale: di solito un rinforzo
positivo, quando il comportamento nei suoi confronti è positivo e
questo rinforzo può venire dall'adulto
oppure dall'animale stesso che dimostra affetto e vicinanza dopo
aver, per esempio, ricevuto delle carezze. Oppure un rinforzo negativo
qualora in seguito ad un comportamento di maltrattamento, il bambino
viene allontanato dalla
reazione risentita dell'animale o
dai rimproveri dell'adulto.
Un
altro concetto chiamato in causa, considerando la prospettiva
dell'apprendimento, è il processo di modeling: osservando il modo in
cui i membri adulti della famiglia approcciano gli animali, il bambino
modella i propri comportamenti nella medesima direzione. Se in casa non
vi è la presenza di animali, il processo si focalizza su eventi della
medesima tipologia presentati dai mass-media.
5.2 TEORIA
DELL'ATTACCAMENTO DI BOWLBY APPLICATA AL RAPPORTO UOMO/ANIMALE.
Collis
e McNicholas (1998) utilizzano il processo d'attaccamento nel riferirsi
alla relazione tra uomo ed animale.
La
teoria dell'attaccamento, elaborata dallo psichiatra inglese John Bowlby,
prende spunto dagli studi sull'imprinting di Konrad Lorenz, il quale notò
come i piccoli di anatre ed oche potevano sviluppare l'attaccamento alla
madre senza che necessariamente essi ricevessero cibo o altre ricompense
dalla essa. Così anche nel bambino la ricerca dell'attaccamento
non è correlata al bisogno di cibo, ma assolve ad altri bisogni
di tipo più contenitivo ed altrettanto essenziali.
Secondo
Bowlby l'attaccamento sarebbe la tendenza manifestata dal bambino
durante i primi 24 mesi di vita a rimanere vicino alla madre. Esso si
sviluppa in un periodo "sensibile" nel quale il contatto
visivo tra i due soggetti produce un legame che avrà funzione
fondamentale nel futuro sviluppo dell'individuo. Questo legame ha
un'insostituibile funzione protettiva poiché diventerà il polo
rassicurante per tutte le esperienze che l'individuo compirà nella sua
vita.
La
madre, in particolare, costituisce quell'ambito relazionale in cui il
piccolo trova protezione, soddisfazione delle proprie necessità ed una
guida per comprendere e gestire le sue interazioni.
L'attaccamento
è presente anche nell'età adulta che si esprime con un legame
affettivo che è in grado di amalgamare stati emozionali.
Come
Bowlby (1969) afferma: "L'attaccamento si può definire come un
legame che una persona o un animale ha con un'altra persona o un altro
animale, legame che unisce le due persone nello spazio e si protrae nel
tempo e che tende a raggiungere o a mantenere un certo livello di
vicinanza che può essere di contatto fisico o di comunicazione."
Secondo
Bowlby esistono tre dimensioni nell'attaccamento: fisica, emozionale e
della dimensione sociale.
La
prima vede il coinvolgimento del sistema nervoso centrale e
di quello endocrino, stimolati dai sensi coinvolti nella stretta
relazione con la madre.
La
seconda, quella emozionale, si sviluppa precocemente andando ad influire
sugli stati interni del neonato e sul successivo sviluppo, permanendo
nell'adulto, anche sotto il profilo della capacità empatica.
La
terza componente, quella sociale, si manifesta con la capacità/incapacità
di costruire corrette relazioni e partecipare all'interscambio sociale
(Bowlby, 1978).
Bowlby
parla di attaccamento come "qualsiasi forma di comportamento che
porta una persona al raggiungimento o al mantenimento della vicinanza
con un altro individuo differenziato o preferito, considerato come più
forte o esperto" (Bowlby, 1988).
Anche
nella relazione che l'uomo
può instaurare con un animale, si possono evidenziare delle dinamiche
tipiche delle relazioni umane d'attaccamento. L'animale può essere un
dispensatore di calore e contatto ed è in grado di trasmettere all'uomo
risposte emotive particolari che, evocando sensazioni di benessere,
sicurezza e protezione facilitano l'attaccamento.
Nella
terapia assistita dall'animale il legame che si viene a creare tra
quest'ultimo e soggetti disagiati può costituire una fonte che
supplisce ad un carente attaccamento con i conspecifici, quindi compensa
la mancanza eventuale di quello interumano e può essere un fattore
stimolante per lo sviluppo di legami d'attaccamento basati sulla fiducia
che potranno in seguito essere trasferiti ad altri individui.
Dato
per assodato quindi che la specie umana presenta, tra le sue
caratteristiche geneticamente determinate l'assoluta necessità di
instaurare un legame di attaccamento per sviluppare e crescere in
maniera equilibrata, nel momento in cui si crea una relazione duratura e
profonda con l'animale si attiva questo comportamento e si produce un
attaccamento etero-specifico altrettanto appagante.
La
teoria dell'attaccamento perciò può costituire un'ulteriore
spiegazione del ruolo della "pet relationship" nella vita
dell'uomo.
5.3 TEORIA
DELL'OGGETTO TRANSAZIONALE E DEL GIOCO DI WINNICOTT APPLICATA AL
RAPPORTO UOMO/ANIMALE.
L’opera di Winnicott si
caratterizza per il costante riferimento ai reciproci interscambi tra il
mondo interno e l’ambiente esterno. Pur riconoscendo il debito nei
confronti di Melanie Klein e l’importanza delle innovazioni da lei
apportate alla psicoanalisi, Winnicott se ne distingue per il ruolo
fondamentale assegnato alla realtà esterna, alla madre reale e non
soltanto alla madre come oggetto interno.
Il
riconoscimento della realtà esterna è un compito graduale e
importantissimo per lo sviluppo del bambino, ma non sarebbe possibile
senza il passaggio attraverso una dimensione in cui l’oggetto non è
più creato dalla fantasia del bambino ma non è ancora esterno. Questa
è l’area dei fenomeni transizionali.
Egli
afferma: "Ho introdotto i termini “oggetto transizionale” e
“fenomeno transizionale” per designare l’area intermedia di
esperienza tra il pollice e l’orsacchiotto, l’erotismo orale e la
vera relazione d’oggetto, l’attività primaria creativa e la
proiezione di ciò che è già stato introiettato, l’inconsapevolezza
primaria e il riconoscimento dell’ “essere debitore” (Winnicott,
1951, p. 276).
L’oggetto
transizionale è «il primo possesso non-me»
(id., p. 275), che non appartiene né alla realtà interna né a quella
esterna, non è né sogno né relazione con l’oggetto, si trova tra il
soggettivo e ciò che viene percepito oggettivamente. Mentre non è né
l’uno né l’altro, allo stesso tempo è entrambi. Per Winnicott
bisogna accettare questo paradosso e non risolverlo (Winnicott, 1968).
È uno spazio potenziale e la sua funzione è quella di costituire un
ponte tra la realtà interna e quella esterna e «tenere le due realtà
[…] separate e pur tuttavia in relazione l’una con l’altra» (id.
p. 227).
Il
contatto fisico con l'animale, il calore che dà e la sua morbidezza
potrebbero essere paragonabili alle caratteristiche dell'oggetto
transizionale di Winnicott e come tali in grado di infondere sicurezza e
conforto emotivo. Queste caratteristiche possono facilitare quindi
l'assunzione ad nuovo oggetto transizionale con cui ri-sperimentare i
processi di separazione-individuazione e reinterpretare gli stili di
attaccamento o le gestalt relazionali rimaste aperte nei confronti delle
figure genitoriali reali.
Nello
specifico della terapia assistita con l'animale, quest'ultimo per la sua
innata propensione per il gioco, assume le caratteristiche dell'oggetto
transazionale che aiuta il paziente a sviluppare la capacità
relazionale facendo da ponte tra realtà interna ed esterna:
focalizzando l'attenzione all'esterno, ascoltando le esigenze e
richieste dell'animale il paziente può avere una distrazione dai propri
pensieri ed una diminuzione del proprio egocentrismo e sviluppare una
comunicazione emozionale non mediata dalle parole, il tutto sotto forma
di divertimento in un clima sereno.
Secondo
Winnicott, oltre al di dentro e il di fuori, esiste un altro posto per
vivere, nel quale passiamo la maggior parte del nostro tempo: è
l’area dell’esperienza culturale e della creatività, che si
sviluppa a partire dai fenomeni transizionali. Quest’area come abbiamo
visto si trova nello spazio potenziale tra il bambino e la
madre-ambiente e mette in contatto la realtà psichica con quella
materiale, sovrapponendo una all’altra. Inizialmente può essere un
balbettio, una canzone o un motivo, un angolo della coperta o un oggetto
morbido, un orsacchiotto di peluche o la madre stessa: «oggetti che non
fanno più parte del corpo del bambino ma non sono ancora pienamente
riconosciuti come appartenenti alla realtà esterna» (Winnicott, 1951,
p. 276). Quest’area, con lo sviluppo dl bambino, si amplia fino a
comprendere il gioco, il gioco condiviso e poi le esperienze culturali,
artistiche e religiose.
Il
gioco ha un luogo e un tempo, e attraverso di esso il bambino
arricchisce la propria realtà interiore e conosce sempre più quella
esterna, stabilisce un legame tra queste due realtà e in questo modo
opera un’integrazione della propria personalità (Winnicott, 1971).
Nel gioco «il bambino manipola i fenomeni esterni al servizio del
sogno, e investe i fenomeni esterni prescelti con significato e
sentimento di sogno» (id., p. 99).
Inoltre
l'illusione creativa caratteristica del gioco può essere utile per la
scoperta del Sé. Winnicott afferma: "E' nel giocare e soltanto
mentre gioca che l'individuo, bambino o adulto, è in grado di essere
creativo e di fare uso dell'intera personalità, ed è solo nell'essere
creativo che l'individuo scopre il Sè".
Il
gioco quindi non è prerogativa soltanto per il bambino, ma risulta
essere molto importante anche nella vita dell'adulto.
Il
gioco con l'animale diventava uno strumento terapeutico per poter
entrare in contatto con realtà problematiche.
Dalle
ricerche citate in precedenza, attraverso le A.A.T., il contatto con un
animale domestico, molto spesso sviluppava la capacità di giocare in
persone che difficilmente potevano trarre piacere e divertimento dalla
vita abitudinaria di tutti i giorni, vivendo in situazioni di
istituzionalizzazione. L'animale e la possibilità di giocare riuscivano
a dare un senso in questi contesti che, loro malgrado, tendevano a
favorire la spersonalizzazione.
Secondo
Huizinga (1939) la presenza della funzione ludica sarebbe necessaria al
mantenimento della salute psichica e la perdita di essa è una delle
manifestazioni comportamentali più evidenti nelle diverse forme di
disagio psichico.
Il
gioco con l'animale dava la possibilità a queste persone di esprimere e
rappresentare i propri vissuti attraverso l'azione, era un'espressione
di gioia libera da tensioni, interessava emozioni profonde
relative al loro rapporto soggettivo con l'esterno e poteva
fungere da canale d'interazione con gli altri sul piano della fantasia e
della possibilità. Inoltre era in grado di stimolare l'attività
fisica, la capacità empatica, la propensione al contatto fisico ed il
buon umore, tutte caratteristiche difficilmente riscontrabili in persone
portatrici di disagio.
Attraverso
il gioco con pazienti
psichiatrici, che spesso sono distaccati dalla realtà, l'animale poteva
fungere da ancoraggio alla stessa, da canale di collegamento tra
coscienza ed inconscio capace di sviluppare un processo di estroversione
e comunicazione dell'immagine interna, altrimenti non contattabile e da
canale di contatto con l'alterità.
L'attività
ludica favoriva il crearsi di un'atmosfera distesa dove l'attenzione era
concentrata su come far giocare l'animale ed allontanava quindi il
paziente dalle ansie legate alle sue problematiche, invitandolo ad un
comportamento naturale e spontaneo.
All'interno delle terapie
assistite con l'animale la funzione del gioco poteva anche fungere da
apertura comunicativa e vicinanza nel rapporto tra paziente e terapeuta
che in un certo senso poteva "sdrammatizzare" quello che
normalmente è il classico ambiente terapeutico dove invece paziente e
terapeuta sono contraddistinti da ruoli e stati predefiniti.
CONCLUSIONI
I
diversi meccanismi che le ricerche esaminate indicano come sottostanti
al legame uomo/animale e responsabili dell'effetto positivo dell'attività
assistita con l'animale sono meccanismi di tipo affettivo-emozionale,
ludico, psicologico, psicosomatico ed inconscio.
Con
persone disturbate, specialmente a livello psichico, gli animali trovano
un canale preferenziale, una sorta di accesso più facile per entrare in
contatto, riuscendo a volte a sbloccare condizioni patologiche
cronicizzate negli anni.
Le
A.A.T. si attuano sotto forma di incontro con un animale, che non è di
proprietà del fruitore, il cui obiettivo è quello di realizzare la
migliore situazione relazionale per rendere attive alcune valenze
assistenziali dell'animale, per fare in modo che il paziente ne
usufruisca alla luce della sua specificità clinica.
Vi
è quindi un fruitore che presenta particolari bisogni di ordine
assistenziale-terapeutico ed un team pluri-professionale che fa una
valutazione della sua condizione psico-fisica e ne valuta l'andamento
dell' intervento. Quest'ultimo ha un obiettivo che, tramite la relazione
con l'animale, mira a sviluppare la relazione terapeutica finalizzata ad
uno specifico effetto terapeutico, riferito al benessere del fruitore.
Naturalmente
è importante ribadire che l'animale non va inteso come sostituto di
farmaci, terapie e terapeuti: la fonte di motivazioni, emozioni,
gratificazioni affettive, equilibrio è data dal suo "valore di
relazione" e non soltanto dall'uso performativo di esso in quanto
tale: per comprendere queste attività è necessario ipotizzare delle
plus-valenze (comunicative, emozionali, cognitive) assegnabili alle
attività di relazione dirette verso l'animale in quanto alterità.
L'animale costituisce uno stimolo nuovo alla curiosità rendendo possibile
il contatto e una comunicazione non convenzionale che avviene nelle
forme più svariate e molto spesso garantisce un effetto calmante. Il
prendersi cura di esso, favorisce il senso di responsabilità, quanto
mai auspicabili nel caso di persone
che hanno perso la fiducia in se stessi, garantendo un'immagine valida e
positiva della propria persona e del proprio valore individuale.
Uno dei motivi per cui le terapie e le attività assistite con
gli animali risultano efficaci, risiede nell'effetto distensivo e
rassicurante che la presenza dell'animale è in grado di indurre,
effetto che in molte situazioni è condizione di partenza per aprire la
strada alle attività terapeutiche e assistenziali vere e proprie, e che
in altri casi costituisce l'obiettivo intermedio attraverso il quale è
possibile ottenere un miglioramento delle condizioni fisiche o mentali
del soggetto. Si è visto come l'interazione tattile, ma anche visiva
con un animale, sia in grado di indurre un generale senso di calma,
abbassare l'ansia e la tensione nervosa ed attenuare la reattività del
sistema cardiovascolare allo stress.
Rompendo situazioni di solitudine ed emarginazione, può
allontanare tristi pensieri creando contesti appaganti (ludici,
cognitivi, relazionali) fornendo
motivazioni per aiutare a tenere la mente occupata su precise attività
ludiche e di accudimento. L'attività ludica
svolta con un animale, generalmente risulta essere un qualcosa di
piacevole poiché aumenta il buon umore, sviluppa la socializzazione e
rinforza l’attività fisica. Anche gli animali amano giocare molto e
possono risultare degli ottimi compagni di gioco, là dove
l’isolamento e la solitudine dominano.
L'azione di supporto sociale, insieme all'effetto distensivo e
rassicurante collegata ad altri meccanismi emozionali, coinvolti nella
relazione uomo-animale, può trovare valido inserimento in situazioni
particolari di grave privazione sociale e tensione psichica. La presenza
di un animale aumenta le occasioni di socializzazione fornendo un
immediato pretesto ed un buon argomento di conversazione. Inoltre
l'animale, spostando l'accento comunicativo sulla comunicazione non
verbale, facilita i rapporti interpersonali anche in quei soggetti per
cui l'espressione verbale è difficoltosa o problematica.
Dalle
ricerche esaminate si è visto che durante la terapia assistita con
l'animale, molto spesso i pazienti erano più liberi di esternare il
loro essere poiché non si sentivano sottoposti al vaglio del giudizio,
né vincolati da pregiudizi che sovente costringono ad un atteggiamento
difensivo ed a volte aggressivo nei confronti degli interlocutori umani.
Entrare in contatto con l'animale, che non possiede le caratteristiche
potenzialmente minacciose dell'uomo, ha una funzione catalizzatrice e
facilitatrice delle relazioni sociali, poiché si riesce a scardinare le
diffidenze ed a realizzare una relazione rilassata che predispone la
relazione per il ruolo assistenziale e terapeutico.
Nella
psicologia umanistica Carl Rogers individuava tre condizioni che
dovevano essere presenti nella figura del facilitatore sociale al fine
di creare un clima cosiddetto facilitante: il primo elemento considerato
era la genuinità o autenticità o congruenza, il secondo elemento
veniva definito come "incondizionata considerazione positiva",
cioè un atteggiamento accettante verso qualunque cosa la persona
considerata era in quel momento ed il terzo elemento facilitante era la
comprensione empatica. Tutti questi elementi si possono ritrovare nella
figura dell'animale nel suo rapporto con l'uomo.
Concludendo si può affermare che la terapia assistita con l'animale non
è una panacea che va bene per tutte le malattie, va usata a ragion
veduta e soprattutto bisogna saperla usare: se mal utilizzata anche
questa può essere inefficace. Non basta infatti dare un gatto o un cane
a una persona sofferente o ammalata per vederla quasi automaticamente
migliorare o guarire: alla base dell'intervento ci deve essere un
progetto ben specifico sulla persona presa in considerazione, che tenga
presente svariati fattori per far si che, se
ben utilizzata, l'attività assistita con l'animale possa essere
un importante aiuto al miglioramento ed al mantenimento del suo stato di
salute.
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