UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
POLO DIDATTICO SAN LUIGI DI ORBASSANO
DIPLOMA UNIVERSITARIO PER INFERMIERE
TESI DI DIPLOMA:
L’ infermiere e la somministrazione della terapia neurolettica depot :
una occasione «Terapeutica»?
RELATORE: dr. CRISTINA EZIO CANDIDATO: ROSSI FLAVIANO
“La salute è un bene inestimabile, il solo che per essere inseguito meriti una dedizione assoluta non solo del tempo, del sudore, dell’ impegno, dei beni, ma della vita stessa. La vita senza la salute diventa penosa e intollerabile. Il piacere, la saggezza, la scienza, la virtù senza la salute si offuscano e svaniscono.”
(M. de Montaigne)
Premessa ……………………………………………... pag. 6
INTRODUZIONE ……………………………………………. pag. 7
Motivazioni ed obiettivi dello studio ……………. pag. 10
Guida alla lettura …………………………………… pag. 14
PARTE PRIMA
1. IL CONTESTO DELLO STUDIO
1.1 I Dipartimenti di Salute Mentale………………….. pag. 18
1.2 La Farmacovigilanza ………………………………. pag. 22
1.3 Responsabilità dell’infermiere psichiatrico
nella somministrazione dei farmaci …………….. pag. 24
2. REVISIONE DELLA LETTERATURA
2.1 La terapia neurolettica depot -
Rilevanza Terapeutica e Ruolo professionale
dell’ infermiere nella gestione ……………………. pag. 26
2.2 La compliance terapeutica…. .…………………… pag. 32
3. I FARMACI NEUROLETTICI DEPOT, DALLA STORIA ALLE TECNICHE DI SOMMINISTRAZIONE: QUALI IMPLICAZIONI RELAZIONALI?
3.1 Cenni storici …………………………………………. pag. 34
3.2 Farmacologia
3.2.1 Meccanismo d’azione…....…………… . pag. 38
3.2.2 Indicazioni terapeutiche ………………. pag. 39
3.2.3 Effetti Collaterali ………………………… pag. 39
3.3 Gli strumenti tecnici: il valore contenuto
nelle tecniche di somministrazione …………….
3.3.1 Tecnica a baionetta …………………….. pag. 44
3.3.2 Tecnica della «bolla d’aria»………….. .. pag. 45
3.3.3 Complicanze delle iniezioni depot …… pag. 46
3.3.4 Confronto fra le due tecniche ………… pag. 47
3.3.5 Le implicazioni relazionali nella
somministrazione ……………………….. pag. 48
PARTE SECONDA
4. METODO
4.1 Il progetto di studio ………………………………… pag. 53
4.2 Descrizione del campione ………………………… pag. 55
4.3 Procedura ……………………………………………. pag. 56
4.4 L’intervista …………………………………………… pag. 57
4.5 Analisi dei dati ………………………………………. pag. 62
PARTE TERZA
5. RISULTATI E DISCUSSIONE
5.1 Il contesto e l’organizzazione
delle terapie depot …………………………………. pag. 66
5.2 Temi relativi alle Rappresentazioni
ed ai Comportamenti ……………………………… pag. 69
5.3 Temi relativi ai Vissuti
(pensieri, emozioni e sentimenti) ……………….. pag. 96
5.3.1 Temi relativi alle situazioni
difficoltose ………………………………… pag. 98
5.3.2 Temi relativi alle situazioni positive ….. pag. 103
5.4 Discussione ............................................................. pag. 107
5.4.1 Considerazioni etico-metodologiche …… pag. 107
5.4.2 Limiti dello studio ………………………….. pag. 109
CONCLUSIONI ……………………………………....... pag. 111
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI …………………....... pag. 115
Premessa
Quante volte sarà accaduto ad ognuno di noi di vivere uno stato di malessere che ha reso necessario l’intervento di un professionista della salute...
Poche o tante che siano state, è certo che in quelle occasioni il pensiero si concentrava sul tempo e sulle capacità professionali del curante necessari per giungere alla guarigione.
Attendendo in sala d’aspetto il turno della visita si incontrano sguardi di altre persone che hanno un problema come il nostro ma che in quel momento sono lontani anni luce da noi.
Durante la visita il tempo scorre veloce e, uscendo dallo studio, con le ricette che riportano nomi di farmaci che non ci dicono nulla di noi, del nostro malessere e tantomeno della nostra guarigione, ci sentiamo soli.
Affiorano alcuni desideri, come il tornare indietro per chiedere maggiori spiegazioni, stare in compagnia di qualcuno che sappia ascoltarci, darci conforto e consigliarci, magari un infermiere… perché, si sa, gli infermieri non prescrivono i farmaci ma sanno molte cose e soprattutto possono avere un «dono»… la volontà, la capacità ed il tempo per prendersi cura delle persone malate…
« E’ cosa iniqua non stendere la mano a chi è caduto »
(Seneca, Controv., 1, 1, 14.)
Nonostante si sia ormai ampiamente entrati nel terzo millennio sono ancora capillarmente radicati nella nostra società i pregiudizi e le false credenze sulle cosiddette malattie mentali. Una delle più diffuse false credenze è ritenere che il disagio mentale implichi un deficit delle facoltà intellettive, quando invece la scienza medica ci dà riscontri diversi.
Il disagio mentale, spesso avvolto ed invaso dalla tristezza, dall’angoscia, dalla disperazione, è indubbiamente una esperienza estremamente provante, dai risvolti talvolta tragici per chi ne è affetto, per i suoi cari e per gli operatori sanitari a cui ne è affidata la cura e l’assistenza; a ciò si aggiungono i timori, spesso pregiudiziali, che trovano espressione nella stigmatizzazione ed emarginazione sociale di queste persone, già sofferenti a causa della loro dimensione interiore.
Nonostante queste considerazioni, nel corso degli ultimi decenni, l’approccio istituzionale a tali problematiche è molto cambiato, nel nostro paese: si pensi alla grande «rivoluzione culturale e politica» apportata da Franco Basaglia e dal movimento della Psichiatria
Democratica, culminata con l’approvazione delle Leggi n.180/1978 e n. 833/1978 che hanno sancito il superamento del sistema dei manicomi e con esso dell’approccio meramente coercitivo, segregativo e custodialistico degli individui affetti da disagio mentale, nonché l’inizio di un graduale percorso di riconoscimento del loro proprio e autonomo valore come persone.
Anche parte dei mass-media, quale ad esempio la cinematografia, nel mondo occidentale ed in Italia, ha profuso il suo impegno nel trasmettere un messaggio forte, volto a modificare gli atteggiamenti e l’immaginario collettivo: basterà citare memorabili capolavori quali «Qualcuno volò sul nido del cuculo» (M. Forman, 1975), «Rain Man» (B.Levinson, 1986), «Shine» (S.Hicks, 1996), per giungere al recente «A beautiful mind» (R.Howard, 2001).
Per le persone affette da severo disagio mentale sono oggi possibili, nonostante la progressiva tendenza alla riduzione delle risorse disponibili per i servizi sanitari, dei percorsi di cura, riabilitazione e reinserimento nel tessuto sociale; una ampia parte di tali percorsi vedono come figura professionale responsabile l’infermiere, alla luce del bagaglio di conoscenze ed abilità tecniche, relazionali ed educative acquisito ed insito nel suo ruolo umano e istituzionale.
Un siffatto ruolo emerge con chiarezza nel Decreto del Ministero della Sanità (Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere) che al Comma 2 dell’Art. 1 specifica che «L’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale ed educativa».
In tale contesto, particolare accento deve essere posto sull’obiettivo di garantire alle persone assistite la migliore qualità di vita possibile, offrendole un percorso individuale, ovvero compatibile con le risorse istituzionali, professionali e la soggettività delle parti coinvolte in tale processo.
Motivazioni e Obiettivi dello studio
Le lezioni del corso di Psichiatria ed Igiene Mentale frequentate durante l’anno hanno stimolato ed alimentato il mio vivo interesse per il disagio mentale e le problematiche assistenziali infermieristiche ad esso correlate. In particolare hanno suscitato il desiderio di approfondire la conoscenza di quei disturbi mentali, definiti da un docente «esperienze extrapercettive» o «moti dell’anima che soffre» (come il lettore avrà già compreso mi trovo a disagio nell’utilizzare il termine patologie!) e clinicamente conosciuti come la schizofrenia ed altre forme di psicosi, che conducono chi ne è portatore a gravi disabilità e incapacità di interagire con la realtà esterna.
La mia personale esperienza di tirocinio in un Dipartimento di Salute Mentale ha fortemente influito sulla scelta di svolgere una ricerca nell’ambito della pratica infermieristica indirizzata al mondo, certamente permeato di umana e profonda sofferenza ma, per certi versi, stimolante ed attrattivo delle psicosi.
Ho ritenuto pertanto di partire da quello che mi è sembrato essere uno dei principali interventi in cui l’infermiere è responsabile: la somministrazione della terapia farmacologica antipsicotica, che riduce la sofferenza dell’anima e rende possibile una vita sociale.
Un intervento fine a se stesso volto solo alla riduzione delle manifestazioni sintomatologiche o un momento ad alta valenza terapeutica-riabilitativa? Questa domanda è stata il punto di partenza del seguente lavoro.
Uno dei principali problemi dell’assistenza infermieristica alle persone affette da psicosi è che più della metà di essi oppone un più o meno elevato grado di resistenza all’assunzione dei farmaci prescritti (2).
Da molti anni è disponibile un sistema per assicurarsi che i pazienti seguano il trattamento e consiste nel somministrare il farmaco neurolettico in forma di iniezione intramuscolare depot o long acting (a lunga durata d’azione); tale modalità di somministrazione presenta anche il vantaggio di non richiedere una somministrazione giornaliera e frequente come nel caso dei neurolettici assunti per via orale (l’iniezione viene somministrata in un intervallo variabile da una a quattro settimane).
Nella realtà ambulatoriale in cui ho svolto l’attività di apprendimento clinico-pratico ho avuto la possibiltà di osservare e di rendermi conto che la somministrazione della terapia depot rappresenta prima di tutto un problema dalle mille sfaccettature correlate alla personale dimensione psichica di ogni singolo individuo. Mi sono pertanto interrogato se un intervento apparentemente semplice e, ad una superficiale analisi, classificabile come tecnico ed esecutivo quale una iniezione, non possa in realtà rappresentare una importante occasione per valorizzare e ottimizzare le molte risorse terapeutiche insite nella figura professionale dell’infermiere, in particolare se:
- vi sia la possibilità attraverso una tale occasione di stabilire o rafforzare una relazione di aiuto efficace;
- il «momento-depot» possa costituire, anche dal punto di vista dell’infermiere un vero e proprio «osservatorio» sulla accettazione del trattamento terapeutico, non solo quello farmacologico, da parte del paziente, che è indubbiamente uno dei cardini della pratica clinica infermieristica in salute mentale;
- vi sia la possibilità di utilizzare il momento-depot per quello che il teorico del nursing Rappaport (1981) definisce «empowerment» [1], ossia «mobilitare ciò di cui la persona assistita è ancora capace, restituendo e accrescendo autostima e autonomia della persona» . In altre parole se tramite la somministrazione del depot l’infermiere possa esercitare il suo ruolo professionale di «facilitatore», la sua funzione di educazione all’indipendenza e all’autonomia dell’utente e della sua famiglia (31);
- il momento-depot possa essere un colloquio volto all’ascolto delle voci, dei silenzi, degli sguardi per recuperare il senso dell’esser-ci.
Dalla mia conoscenza, derivante dalle ricerche bibliografiche effettuate, non vi sono studi italiani empirici che esplorino l’esperienza degli infermieri di salute mentale in tale ambito. Nella letteratura internazionale ho invece riscontrato l’esistenza di simili esperienze di studio nelle realtà del Nord Europa (Gran Bretagna e Paesi Scandinavi) e dell’Australia.
In considerazione di ciò ho ritenuto utile apportare il mio modesto e limitato contributo nell’analizzare una dimensione che nel nostro paese è forse ancora di frontiera .
Tale contributo ha trovato la sua espressione nella progettazione e realizzazione di uno studio descrittivo – qualitativo ispirato ad alcune suggestioni teoriche dell’indirizzo fenomenologico della psichiatria e della psicologia.
La fenomenologia è una disciplina filosofica e scientifica che ha come principale obiettivo la produzione di descrizioni degli eventi o fenomeni
(termine derivante dal greco antico ((((( = apparire, essere visibile) che contraddistinguono la vita quotidiana di un gruppo o di singoli individui, in sostanza potremmo dire che ne dà un ritratto .
L ‘indirizzo fenomenologico nel nursing cerca in primo luogo di porre l’attenzione sul significato e sul valore che l’esperienza della pratica professionale ha nel vissuto dell’infermiere. Il soggetto di studio è, in altre parole, l’uomo-professionista-infemiere nella sua globalità.
Alla luce di queste premesse teoriche, gli obiettivi di studio che mi sono posto è:
- Descrivere il significato e l’importanza attribuiti alla somministrazione e gestione della terapia neurolettica depot, in termini di Rappresentazioni, Comportamenti e Vissuti (per l’accezione specifica di questi termini, che rappresentano l’oggetto principale di ricerca, si veda il paragrafo 4.4 a pag. 61) che emergono dalle esperienze individuali degli infermieri.
- Comprendere, alla luce dell’analisi di ciò che gli infermieri pensano, pongono in atto e provano, se il momento-depot rappresenti una occasione di relazione, ascolto, rilevazione dello stato di salute e dei bisogni nei confronti della persona assistita o se sia stato e sia esperito come un puro atto tecnico (quesito che ha ispirato la ricerca).
- Sondare il grado di consapevolezza degli infermieri sulle potenzialità terapeutiche, non meramente farmacologiche ma di «ampio respiro», degli appuntamenti per la somministrazionene della terapia depot.
- Evidenziare le variabili ed i fattori che influenzano la natura e la qualità delle interazioni infermiere-paziente nella gestione e somministrazione delle terapie depot.
- Definire e comprendere , se vi sia discrepanza tra rappresentazioni e comportamenti, nell’agire quotidiano dell’infermiere, ed eventualmente identificarne i fattori causali.
Il presente lavoro, rivolto ad indagare le esperienze individuali degli infermieri nell’ambito della somministrazione della terapia depot, è stato condotto presso diverse strutture ambulatoriali in seno ai DSM dell’A.S.L.5 (prima cintura) e dell’A.S.L.2 (area metropolitana) della città di Torino- Regione Piemonte e consta sostanzialmente in tre parti.
Una prima fase del lavoro è costituita da una revisione della letteratura
Internazionale reperita, al fine di acquisire elementi indispensabili alla comprensione del tema oggetto di ricerca e allo svolgimento della medesima.
Nella seconda fase è descritta la progettazione, la scelta dello strumento di ricerca (intervista personale) e la procedura di raccolta e analisi dei dati.
Nella terza ed ultima fase vengono presentati i risultati della ricerca, costituiti dai Temi estrapolati, relativi alle Rappresentazioni, ai Comportamenti ed ai Vissuti (pensieri, emozioni e sentimenti) descritti in situazioni percepite dagli infermieri intervistati sia come difficoltose che come positive, nel corso di incontri terapeutici programmati per la somministrazione della terapia depot.
Nel titolo della presente tesi compare il termine Terapeutico che è stato utilizzato nella sua accezione antica. Esso deriva etimologicamente dal verbo greco che significa prendersi cura di, assistere. Ho inteso pertanto, volutamente, di richiamare tramite tale parola l’antico concetto della medicina ippocratica che è stato in tempi moderni traslato nel concetto di CARING, nel quale è racchiusa l’essenza della moderna pratica professionale degli infermieri (31).
Nella presente tesi verranno utilizzati come sinonimi i termini:
- NEUROLETTICO ed ANTIPSICOTICO;
- terapia neurolettica DEPOT (= deposito) e terapia LONG-ACTING (= ad effetto di lunga durata);
- INFERMIERE, INFERMIERE PSICHIATRICO ed INFERMIERE DI SALUTE MENTALE.
E’ altresì utilizzato il seguente concetto-chiave, con l’accezione qui di seguito enunciata:
- Autorità professionale
Con tale concetto si intende il complesso di caratteristiche di cui l’individuo-professionista è consapevole, che in qualche modo viene riconosciuto dagli altri componenti dell’equipe a cui ci si assoggetta in forma consensuale per la realizzazione di determinati obiettivi terapeutici ed assistenziali.
L’autorità professionale di un infermiere è determinata fondamentalmente da due dimensioni: quella legale, che è oggettiva e definita dalle norme che regolano l’esercizio professionale (profilo e codice deontologico), e quella carismatica, che è soggettiva e definita da qualità intrinseche dell’individuo che generano un ascendente su altri individui (33).
PARTE PRIMA
1. IL CONTESTO DELLO STUDIO
1.1 I Dipartimenti di Salute Mentale (D.S.M.)
Le problematiche relative alla salute mentale sono sempre più sentite in tutti i Paesi industrializzati, in considerazione del fatto che la prevalenza dei disagi mentali è in crescente aumento e che essi sono associati ad un elevato carico di disabilità, ad una qualità di vita intollerabile e a costi economici e sociali, che si ripercuotono sui pazienti, le loro famiglie e la collettività.
Numerose evidenze tratte dalla letteratura scientifica internazionale riportano che nell’arco di un anno il 20% circa della popolazione adulta presenta uno o più disturbi mentali elencati nella Classificazione Internazionale delle Malattie dell’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Nel nostro Paese l’assetto organizzativo dei servizi di salute mentale per l’età adulta, come previsto dalla attuale normativa, prevede quattro principali tipologie strutturali, coordinate all’interno di un modello dipartimentale:
1) Centri di Salute Mentale, per interventi a livello territoriale (di comunità);
2) Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (S.P.D.C.), per l’assistenza ospedaliera;
3) Centri Diurni e Day Hospital per attività riabilitative in regime semiresidenziale;
4) Strutture per attività riabilitative in regime residenziale.
Le aree critiche che si rilevano nella tutela della salute mentale al momento attuale sono:
- la disomogenea distribuzione dei Servizi sul territorio nazionale, con particolare riferimento agli S.P.D.C. ospedalieri, i Centri Diurni e i Centri Residenziali per le attività riabilitative;
- la mancanza di coordinamento tra servizi sanitari e quelli sociali;
- la mancanza di un numero adeguato di strutture residenziali per i disagi mentali che prevedono una maggiore intensità e durata
dell’intervento terapeutico e riabilitativo;
- le carenze negli organici del personale dei D.S.M.;
- la carenza di sistemi informativi nazionali e regionali, per il monitoraggio quali-quantitativo delle prestazioni erogate e dei bisogni di salute della popolazione;
- la scarsa diffusione delle conoscenze scientifiche in materia di interventi basati su prove di efficacia e la relativa adozione di Linee Guida e Protocolli da parte dei Servizi, nonché di parametri per l’accreditamento delle strutture assistenziali pubbliche e private;
- la presenza di pregiudizi ancora fortemente radicati nella popolazione, che si traducono in atteggiamenti di non accettazione
e di esclusione sociale;
- la scarsa attenzione alle prevenzioni primaria e secondaria, ai problemi della salute mentale, dall’età evolutiva a quella senile, che si concretizza in un ‘offerta di servizi incapace di rispondere ai bisogni della popolazione.
Tra gli obiettivi strategici dello Schema di Piano Sanitario Nazionale 2002 - 2004 (20) nell’ambito della salute mentale si pone enfasi sulla pianificazione di azioni volte a:
- ridurre le disomogeneità nella distribuzione dei servizi e degli organici all’interno del territorio nazionale, superando le discrepanze esistenti tra il Nord ed il Sud del paese all’interno delle singole Regioni, anche attraverso il ricorso al contributo di strutture private imprenditoriali sociali e di associazione, promuovendo la realizzazione di un numero adeguato di Strutture Residenziali per le condizioni psichiatriche che prevedano una più elevata intensità e durata dell’intervento riabilitativo, individualizzato sulla base dei bisogni del paziente e regolarmente sottoposto a verifica;
- concludere il processo di superamento del sistema manicomiale pubblico e privato superando qualsiasi approccio custodialistico al problema del disagio mentale;
- pianificare interventi di prevenzione, diagnosi precoce e terapie dei disturbi mentali in età evolutiva, attivando stretti collegamenti funzionali tra struttura a carattere sanitario e altri servizi sociali ed Istituzioni a carattere educativo, scolastico e giudiziario;
- potenziare i servizi territoriali di diagnosi e quelli di day hospital e comunità di accoglienza e, soprattutto attivare o potenziare i servizi di pronto soccorso psichiatrico di reperibilità pubblici o privati accreditati e afferenti al servizio di salute mentale, operanti nel corso delle 24 ore, poiché la presa in carico in tempo utile riduce in maniera altamente significativa l’incidenza di un disturbo mentale che tenderebbe a cronicizzare;
- assicurare la presa in carico e la continuità terapeutica dei problemi di salute mentale del paziente, qualunque sia il punto di accesso del sistema sanitario, pubblico o privato o accreditato, attraverso la sperimentazione di un modello di coordinamento interdipartimentale che garantisca in ciascuna Azienda Sanitaria l’integrazione funzionale dei D.S.M. con altre strutture dipartimentali (es. anziani, Ser.T.) e con i Distretti e i Dipartimenti Ospedalieri;
- promuovere la formazione e l’aggiornamento continuo di tutto il personale operante nel campo della salute mentale;
- attuare interventi di sostegno ai gruppi di auto-aiuto di famigliari e di pazienti (20).
1.2 La Farmacovigilanza
La Farmacovigilanza si interessa della individuazione, valutazione e prevenzione delle reazioni avverse da farmaci (22); gli obiettivi immediati di tale attività, che sta sempre più assumendo rilevanza scientifica, sociale, economica e strategica nel panorama internazionale, sono:
-Precoce identificazione di reazioni avverse ed interazioni precedentemente sconosciute dei farmaci.
- Identificazione degli aumenti nella frequenza di reazioni avverse note.
- Identificazione dei fattori di rischi e dei possibili meccanismi alla base delle reazioni avverse.
- Valutazione degli aspetti quantitativi delle analisi rischio-beneficio e disseminazione della informazioni necessarie per migliorare le prescrizioni e le regolamentazioni dei farmaci.
Gli scopi ultimi della farmacovigilanza possono invece essere riassunti come:
- L’uso razionale e sicuro dei prodotti medicinali;
- La valutazione e la comunicazione dei rischi e dei benefici dei farmaci sul mercato;
- L’educazione e l’informazione dei pazienti.
Il principale strumento operativo della farmacovigilanza è costituito dalla Segnalazione Spontanea, un sistema che, a seconda del modello organizzativo scelto nei vari stati, copre una regione o una intera nazione per segnalare le sospette reazioni da farmaci.
In tale contesto, si ritiene che un operatore sanitario quale l’infermiere (che ha la responsabilità professionale di somministrare i farmaci ed è il professionista che ha il contatto più diretto, capillare e protratto nel tempo con i pazienti) giochi e giocherà nel futuro un ruolo chiave nella stimolazione delle segnalazioni e nel fornire informazioni addizionali, per esempio sui farmaci somministrati contemporaneamente o precedentemente.
Per quanto attiene allo specifico della situazione italiana, lo schema di Piano Sanitario Nazionale per il 2002-2004, presentato recentemente dal Ministero della Salute, pur nei suoi evidenti limiti contenutistici (non vi è riferimento alcuno al ruolo chiave della professione infermieristica all’interno del futuro assetto del Servizio Sanitario Nazionale!) pone una certa enfasi, nell’ambito del Progetto Obiettivo Strategico n.10 al «PROMUOVERE UN CORRETTO USO DEI FARMACI E LA FARMACOVIGILANZA», sull’«attuazione del Programma Nazionale di Farmacovigilanza al fine di assicurare un sistema capace di evidenziare le reazioni avverse e di valutare sistematicamente il profilo di rischio-beneficio dei farmaci, nonché porre il farmaco fra i temi nazionali dell’Educazione Continua in Medicina (ECM) e rafforzare l’informazione sui farmaci rivolta agli operatori sanitari e ai cittadini; promuovere l’appropriatezza delle prescrizioni e dei consumi» (20).
1.3 Responsabilità dell’infermiere psichiatrico nella somministrazione dei farmaci . Aspetti giuridici, etici e deontologici
Con l’abolizione del sistema mansionariale, l’attuale riferimento giuridico che norma le responsabilità infermieristiche nell’ambito della terapia farmacologica è costituito dal comma terzo dell’Art.1 del profilo professionale (DPR 14 marzo 1994, n. 739), che specifica che compete all’infermiere «la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche».
Rispetto alla normativa precedente, quindi, l’infermiere non esercita più il semplice atto esecutivo del somministrare, delimitato da precisi vincoli tecnici (quali ad esempio le via di somministrazione) ma la funzione di somministrazione, che rimane comunque subordinata alla prescrizione medica del farmaco (che, non a caso, letteralmente significa scrivere prima) e da quest’ultima legittimata.
Secondo Benci l’attuale atto normativo è coerente con il processo di professionalizzazione in atto e anticipatore del futuro sistema di abilitazione professionale; in un tale contesto l’infermiere si rende garante di tutte le procedure di somministrazione, dettate dalla migliore letteratura internazionale (31).
Quest’ultima pone enfasi sulla stretta correlazione tra atto della somministrazione e conoscenza dei farmaci; in riferimento alla realtà europea è interessante menzionare la normativa francese e quella inglese, che specificano chiaramente che, nell’ambito delle responsabilità e competenze infermieristiche, la somministrazione della terapia, oltre a presupporre la verifica dell’assunzione richiede l’esercizio di un giudizio professionale diretto a:
- Partecipare alla valutazione dell’efficacia dei farmaci;
- partecipare all’identificazione e sorveglianza degli effetti collaterali;
- partecipare all’identificazione e sorveglianza dell’interazione con altri farmaci (31).
Per quanto attiene alla realtà italiana, anche dal punto di vista deontologico la mancata conoscenza degli effetti collaterali dei farmaci e delle interazioni medicamentose è ritenuta inaccettabile.
Significativo in merito è l’Art.3.3 del Codice Deontologico Infermieristico (1999) che specifica che «l’infermiere riconosce i limiti delle proprie conoscenze e competenze e declina la responsabilità quando ritenga di non poter agire con sicurezza».
Per quanto concerne la conoscenza di ciò che si pone in atto L’Art. 4.4 afferma che «è dovere dell’infermiere essere informato sul progetto diagnostico-terapeutico per le influenze che questo ha sul piano di assistenza e la relazione con la persona».
2. REVISIONE DELLA LETTERATURA
2.1 La Terapia neurolettica depot - Rilevanza terapeutica e Ruolo professionale dell’infermiere nella somministrazione
La cura delle psicosi e della schizofrenia rimane tuttora una delle più difficili sfide dell’assistenza infermieristica in salute mentale, non solo a motivo della complessità clinica ma perché tali patologie hanno un’alta incidenza nella fase adolescenziale della vita, conducendo i soggetti colpiti ad una grave compromissione delle relazioni affettive e sociali(1).
Nell’ intento di documentare la rilevanza del ruolo dell’infermiere
nell’ambito della somministrazione delle terapie neurolettiche depot è stata condotta una ricerca bibliografica, utilizzando le principali banche dati informatizzate, biomediche ed infermieristiche, quali MEDLINE (MEDical literature analysis and retrieval system on LINE), CINHAL (Cumulative to Index Nursing and allied Health Literature) e la Cochrane Library (The Cochrane Database of Systematic Reviews); le parole chiave utilizzate sono state «depot neuroleptics», «schizophrenia» e «nursing».
Dalla bibliografia e dagli abstract degli articoli reperiti ne sono stati tratti e consultati ulteriori; dalla mia personale ricerca non sono emersi studi di ricerca infermieristica di autori italiani o in lingua italiana, relativamente al ruolo ed al coinvolgimento professionale dell’infermiere nella specifica somministrazione dei farmaci neurolettici depot.
Due studi, del 1979 e del 1988, hanno cercato di fornire una valutazione quantitativa dell’importanza delle terapie farmacologiche nell’ambito dei servizi psichiatrici: la somministrazione dei farmaci è risultata ricoprire una quota compresa tra il 40% e l’80% dei contatti intercorsi tra infermieri e pazienti affetti da severo disagio mentale (8).
Questa ampia area della gestione delle terapie farmacologiche (che include, tra i suoi molteplici aspetti, la rilevazione degli effetti indesiderati dei farmaci) nell’ambito dell’assistenza infermieristica di salute mentale è stata, d’altro canto, relativamente poco esplorata (11).
Nel panorama internazionale della letteratura infermieristica basata sull’evidenza, il ruolo dell’infermiere nella somministrazione della terapia con farmaci neurolettici depot è ancora lungi dall’essere stato compiutamente ed univocamente definito.
Un certo numero di lavori è stato dedicato alle tecniche di somministrazione intramuscolare della terapia (8-12-13-14; si veda a tal proposito il capitolo 3).
Nelle «Guidelines for Mental Health and Learning Disabilities Nursing.» , redatte dall’UKCC (United Kingdom Central Council for Nursing) nel 1998 si caldeggia per gli infermieri operanti nella salute mentale:
«il prendere decisioni consapevoli ed informate (cioè supportate da conoscenze basate sull’evidenza n.d.t.) nella pratica clinica e questo comporta il rivisitare criticamente l’importanza che rivestono per le persone assistite i singoli interventi « (5).
Attualmente le terapie neurolettiche depot a soggetti affetti da psicosi e
schizofrenia rappresentano una pratica clinica comune e ampiamente diffusa nell’ambito dei servizi di salute mentale territoriali; all’interno di questi ultimi gli infermieri, nei paesi occidentali, sono altrettanto comunemente responsabili della somministrazione e gestione di tali terapie.
Secondo Muir Cochrane et al. è significativo che questo importante aspetto della pratica degli infermieri psichiatrici che operano a livello territoriale sia stato relativamente poco analizzato da ricerche. Le ragioni potrebbero essere ascrivibili a:
- Il basso status che gli infermieri attribuiscono al loro ruolo nella somministrazione dei farmaci, che nella pratica si traduce nell’agire per compiti piuttosto che nel «pensare», ovvero analizzare i problemi della pratica per poi strutturare, valutare ed eventualmente modificare gli interventi ; è ragionevole, anche se azzardato, ipotizzare che la concezione della terapia come pura e acritica «azione» getti le sue radici culturali nel periodo storico antecedente all’avvento della terapia psicofarmacologica, in cui il bagaglio di risorse «terapeutiche» (il significato qui attribuito all’aggettivo è ovviamente ironico!) a disposizione degli infermieri era di natura coercitiva e repressiva (si consideri ad esempio l’abuso della contenzione fisica e la custodia cui erano sottoposti gli «ospiti» dei nosocomi psichiatrici); tale «imprinting» della pratica infermieristica nei manicomi, sarebbe ancora presente nell’approccio alla terapia farmacologica, nella veste di rappresentazioni e comportamenti tramandati alle nuove generazioni di infermieri.
- Uno scarso valore attribuito dagli infermieri al momento delle iniezioni depot, rispetto ad altri interventi infermieristici, quali ad esempio quelli relazionali che non verrebbero integrati con l’intervento di somministrazione dei farmaci; le ragioni di questa mancata integrazione potrebbero essere ricercate nella brevità dei contatti tra paziente e infermiere per la somministrazione; vari studi hanno registrato tempi di contatto non superiori ai quindici minuti; la brevità dei contatti risulta correlata a variabili organizzative e dai carichi di lavoro (8). Un’altra ragione di questo atteggiamento di svalutazione è rappresentata dalla tendenza degli infermieri ad evitare quei pazienti dai comportamenti «sconvolgenti» o in qualche modo «scomodi», piuttosto che ad affrontare e prendere in carico i loro problemi;
- la mancanza di conoscenze e di consapevolezza sul significato assistenziale (4) e sulle potenzialità «terapeutiche» dell’instaurare «interazioni significative» tra infermiere e paziente negli incontri per la somministrazione della terapia depot (8).
Alla luce di tali argomentazioni tali autori sottolineano la crucialità del ruolo infermieristico negli incontri di somministrazione (8).
Bennett et al. nel loro studio hanno messo in evidenza che gli infermieri si assumevano effettivamente la responsabilità di monitorare, anche frequentemente, gli effetti indesiderati della terapia neurolettica su un ampio numero di pazienti, in virtù di una adeguata formazione che essi ritenevano di aver ricevuto; tuttavia i loro atteggiamenti negativi riguardo al loro coinvolgimento in questa pratica rivelavano una bassa stima per il loro ruolo, rispetto ad altre figure professionali. In apparente contraddizione a questi atteggiamenti sembrerebbe l’evidenza che la valutazione e segnalazione degli effetti avversi della terapia da parte
degli infermieri influenzerebbe in modo rilevante le prescrizioni e gli aggiornamenti terapeutici dei medici (8, 11).
Anche Usher e Happell in due indubbiamente pregevoli lavori di revisione della letteratura su terapia neurolettica e implicazioni infermieristiche hanno ripreso quest’ultimo concetto, ponendo altresì enfasi sul ruolo dell’infermiere nell’educare e sostenere i pazienti nel prendere decisioni informate sulla propria terapia (9, 10).
Millar et al. nel loro studio riprendono e sviluppano i temi della necessità di sviluppo dell’assistenza infermieristica nei centri territoriali di salute mentale e della mancanza di autorità professionale da parte degli infermieri; l’indagine condotta da questi autori, tramite un’intervista a trentanove infermieri psichiatrici di territorio londinesi, era finalizzata inoltre ad indagare l’adeguatezza della formazione ricevuta e delle valutazioni di tipo strutturato sui risultati clinici e sociali dei pazienti in terapia di mantenimento depot; dall’analisi della pratica, delle rappresentazioni e dei livelli di sicurezza professionale è emerso, a differenza di quanto rilevato da Bennett (11), che la maggioranza degli infermieri intervistati lavorava senza protocolli e riteneva di aver ricevuto una formazione scientifica (ad esempio sulla patologia schizofrenica e sulla farmacologia) inadeguata per rivestire il ruolo gestionale atteso. Pare quindi che vi sia una stretta correlazione tra conoscenze inadeguate e bassa autorità professionale (7).
Anche Deacon si interroga sull’importanza delle iniezioni depot, che definisce come un aspetto, complesso e specialistico, del prendersi cura, che necessita di elevate competenze e abilità, e ipotizza che gli
infermieri potrebbero avere una formazione insufficiente a ricoprire un ruolo gestionale in grado di garantire una assistenza di qualità elevata; sono evidenziati come cardine di una buona pratica infermieristica in tale ambito quegli interventi finalizzati a:
- Gestire gli effetti collaterali dei farmaci dal punto di vista della loro accettazione da parte degli utenti;
- prevenire le recidive di malattia e i conseguenti reiterati ricoveri ospedalieri (4) .
La letteratura reperita solleva importanti discussioni e interrogativi sull’attuale e potenziale ruolo dell’infermiere nella gestione della terapia depot rivolta al trattamento delle persone psicotiche e schizofreniche. La rappresentazione delle iniezioni come atto-compito potrebbe essere ancora stabilmente radicata anche negli infermieri italiani, alimentando una percezione di sottovalutazione del momento-depot.
D’altro canto la brevità dei contatti emersa da vari studi (8) suggerisce che gli infermieri non sfrutterebbero il momento-depot per accertare ed analizzare significative problematiche dell’assistenza e dei pazienti. Ciò sarebbe alla base di una pratica infermieristica povera di contenuti, nonostante le rivendicazioni di autorità professionale e le aspettative sociali e istituzionali proiettate sull’infermiere e, in generale sui servizi pubblici di salute mentale (fornire una assistenza preventiva,curativa e riabilitativa completa ed efficiente; si veda il cap. 1.1) (20).
2.2 La compliance terapeutica
La compliance terapeutica può essere definita come:
« il grado in cui il paziente si attiene ad un appropriato e prescritto trattamento «
(modificata da McGavocket et al., 1996) (3-16)
« il grado in cui il comportamento di una persona coincide con le raccomandazioni del terapeuta»
(modificata da Haynes, 1979) (21)
Da una recente revisione della letteratura (6) emergono tre differenti forme o livelli di compliance:
- Compliance imposta, con cui si intende la cessione di ogni potere decisionale ad un ‘altra persona;
- Compliance scelta, con cui si intende l’inclinazione a cedere alla volontà di altri;
- Compliance attiva, con cui si intende un accordo amichevole.
Storicamente si è assistito ad un graduale sviluppo in direzione della formazione di professionisti della salute in grado di promuovere e rafforzare l’autonomia decisionale e di conseguenza il grado di accettazione e gradimento della terapia; questi cambiamenti concettuali hanno trovato la loro espressione nel termine aderenza (dall’inglese adherence) che molti autori, soprattutto nel campo della psicologia tendono a preferire al termine compliance perché evoca l’immagine di un paziente collaborante e attivamente coinvolto nella gestione della malattia e a cui si chiede di partecipare alla pianificazione e all’attuazione del trattamento elaborando un consenso basato su un’alleanza contrattuale fra terapeuta e paziente, sulla reciproca fiducia e sul profondo rispetto dei valori e della dignità della persona e della sua sofferenza (6-21).
Gran parte della letteratura medica ed infermieristica identifica nella mancata compliance il principale ostacolo all’efficacia della terapia farmacologica; l’infermiere, sia a livello ospedaliero che territoriale, riveste un ruolo chiave nell’affrontare questo problema a beneficio del paziente, trasferendo su un piano pratico i nuovi modelli concettuali.
“ Non siate troppo ardenti nelle vostre idee sulla potenza dei farmaci, per non essere costretti a subire continue delusioni.“
(Sir A. Carlisle, 1824)
3. I FARMACI NEUROLETTICI DEPOT. DALLA STORIA ALLE TECNICHE DI SOMMINISTRAZIONE : QUALI IMPLICAZIONI RELAZIONALI?
3.1 Cenni storici
I farmaci NEUROLETTICI (dal greco neuro- + leptos = che si può prendere) sono comunemente conosciuti anche come farmaci ANTIPSICOTICI o farmaci TRANQUILLANTI MAGGIORI; la loro scoperta è strettamente correlata alla storia dell’anestesia; essi erano infatti originariamente utilizzati per potenziare l’anestesia prima degli interventi chirurgici, per il fatto che producevano nei soggetti uno stato di quiete e di indifferenza verso gli stimoli esterni.
Nel 1950 fu sintetizzata la molecola capostipite della famiglia, la CLORPROMAZINA; nel 1952 H. LABORIT, un neurochirurgo francese, osservò che i pazienti trattati con questo farmaco assumevano uno stato di «beatifica tranquillità»; gli psichiatri si impadronirono rapidamente delle opportunità terapeutiche che questo farmaco schiudeva; il suo utilizzo per pazienti con patologie psichiatriche gravi e relative problematiche, quali ad esempio il delirio, l’aggressività e l’agitazione psico-motoria (19), rappresentò l’inizio della psicofarmacologia moderna. Per Muir Cochrane l’avvento delle terapie neurolettiche ha rappresentato il primo efficace trattamento della schizofrenia nella storia della psichiatria (8).
Nel 1958 Janssen scoprì le proprietà di una molecola della famiglia dei butirrofenoni, l’ALOPERIDOLO, rendendo così disponibile una nuova classe di agenti antipsicotici, che sono in seguito stati impiegati con successo come trattamento fondamentale dei sintomi positivi e negativi della schizofrenia (1).
La questione relativa al meccanismo d’azione di questi farmaci (ovvero se abbiano un effetto specifico sulle allucinazioni e sulle illusioni o se abbiano un effetto tranquillante generalizzato) rimane tuttora controversa.
L’impatto socio-sanitario dell’avvento di questi farmaci fu notevole: per un cospicuo numero di pazienti cronici ospedalizzati fu possibile il ritorno ad una vita in società, in virtù di una sensibile riduzione degli episodi acuti di psicosi e delle ricadute nei sintomi della schizofrenia.
I primi farmaci neurolettici erano disponibili solamente nella forma orale e con effetto di breve durata (short-acting); ci si rese ben presto conto che il principale ostacolo alle terapie era costituito dal problemi legati all’accettazione delle stesse.
Fu principalmente questa problematica ad alimentare successive ricerche farmacologiche, che all’inizio degli anni 60 sfociarono nell’introduzione sul mercato delle forme DEPOT (= deposito) o long-acting dei suddetti farmaci.
La ricaduta nella pratica clinico-assistenziale dei depot è stata enorme; la compliance dei pazienti è stata certamente facilitata (6-8) nella, per non dire imposta, per il fatto oggettivo che i pazienti necessitano di regolari contatti con gli operatori dei servizi per ricevere la loro terapia.
Nuovi sviluppi sono all’orizzonte della psicofarmacologia; essi sono iniziati con l’introduzione nella forma orale dei cosiddetti FARMACI NEUROLETTICI ATIPICI (Risperidone, Clozapina, Olanzapina), caratterizzati da una almeno pari efficacia nel contenere la sintomatologia psicotico-schizofrenica ma da una minore incidenza di effetti collaterali neurologici (sintomi extrapiramidali) (6). Una nuova rivoluzione in questo campo potrebbe essere determinata dalla probabile prossima introduzione sul mercato farmaceutico delle forme long-acting intramuscolari di tali farmaci.
3.2 Farmacologia
Come già accennato da lungo tempo sono disponibili farmaci antipsicotici nella forma depot.
Si tratta di preparazioni iniettabili per via intramuscolare, ottenute legando un radicale alcolico della molecola del farmaco con un acido grasso a lunga catena, per formare un estere, che viene poi dissolto in un veicolo oleoso; l’iniezione di questo preparato determina la formazione di un «depot» (deposito) all’interno del muscolo, che rilascia il farmaco nel circolo sanguigno molto lentamente, permettendo il mantenimento nel tempo dell’effetto terapeutico; tale rilascio deve durare almeno una settimana affinchè si possa parlare di terapia depot (18).
I neurolettici tradizonali sono tuttora disponibili sia nella forma orale che nella forma depot; gli intervalli fra la somministrazione di due depot possono variare da due a sei settimane (25). E’ necessario individualizzare il trattamento per ciascun paziente, sia in termini di dose che di intervalli tra le somministrazioni.
I farmaci nella formulazione depot attualmente disponibili appartengono al gruppo dei farmaci neurolettici cosiddetti tradizionali (come già accennato non sono ancora disponibili le forme depot dei neurolettici cosiddetti atipici), distinti in varie famiglie, a seconda della struttura chimica, quali :
- FENOTIAZINE : comprendono la Clorpromazina, la prima molecola di cui vennero scoperti gli effetti antipsicotici (Largactil(), che però non è utilizzabile nella forma depot, la Flufenazina Decanoato (Moditen Depot(, disponibile in fiale da 25mg/ml) e la Perfenazina Enantato ( Trilafon Enantato(, fiale da 100mg/ml).
- BUTIRROFENONI : Aloperidolo Decanoato (Haldol Decanoas(, disponibile in fiale da 50 e 150 mg).
- TIOXANTENI: Zuclopentixolo Decanoato ( Clopixol Depot(, disponibile in fiale da 200 mg/ml).
3.2.1 Meccanismo di azione
Tutti i farmaci antipsicotici agiscono a livello del S.N.C. (Sistema Nervoso Centrale), in qualità di molecole inibitrici della neurotrasmissione della serotonina, sul gruppo dei recettori 5-HT1,2 e 3, e della dopamina, sul gruppo dei recettori D1, D2, D3, D4 e D5; gli antipsicotici tradizionali presentano una particolare affinità per i recettori D2 della dopamina e 5HT2 della serotonina e produrrebbero quindi un blocco della loro iperattività sinaptica nella porzione limbica del proencefalo, fenomeno alla base dell’effetto sedativo e antipsicotico (ipotesi dopaminergica delle psicosi).
Gli antipsicotici tradizionali inoltre, a differenza dei nuovi antipsicotici atipici, bloccano i recettori D2 anche in altri distretti cerebrali (substantia nigra e ipotalamo) e questa ultima attività è ritenuta responsabile della comparsa di alcuni effetti collaterali, in particolare i disturbi extrapiramidali e l’iperprolattinemia. Recenti studi hanno inoltre dimostrato una azione anche a livello di altri sistemi recettoriali che influirebbero anche sul blocco dopaminergico (recettori ( degli oppiacei, colinergici, muscarinici, istaminici e adrenergici).
La somministrazione intramuscolare ne favorisce l’assorbimento (che per via orale è incompleto); si diffondono bene nel S.N.C. in virtù della loro spiccata lipofilia (si accumulano nei tessuti molto irrorati); hanno una emivita lunga, vengono metabolizzati nel fegato e vengono eliminati glicuronati per via renale (25-28).
3.2.2 Indicazioni terapeutiche
I farmaci neurolettici, come già accennato in precedenza, costituiscono il trattamento sintomatico di elezione di tutti i disturbi psicotici, sia quelli idiopatici che quelli secondari, sia a breve che lungo termine. Associati ad altri farmaci vengono utilizzati anche nel trattamento dei disturbi bipolari ed ossessivi; meno frequentemente sono utilizzati anche nella terapia dei disturbi del movimento (Corea di Huntington, tic, malattia di Gilles de la Tourette), dei comportamenti aggressivi e violenti, dell’agitazione, dell’ansia e della depressione maggiore.
3.2.3 Effetti collaterali
I farmaci antipsicotici tradizionali possono indurre una serie di effetti collaterali indesiderati che, secondo Bellantuono (25), hanno una frequenza di insorgenza compresa tra il 30 e il 40% del totale dei pazienti trattati; tali effetti rappresenterebbero la principale causa della sospensione e della scarsa compliance (= adesione) terapeutica al trattamento prescritto.
Tra i principali effetti collaterali, che anche l’infermiere dovrebbe essere in grado di rilevare precocemente, monitorare nel tempo ed educare il paziente a riconoscere e riferire, sono compresi:
DISTURBI EXTRAPIRAMIDALI: sono gli effetti più frequenti e, nei casi di elevata sensibilità soggettiva al farmaco, gravi e persistenti, in misura tale da determinare talvolta una qualità di vita insostenibile. Comprendono:
- Acatisia (stato di irrequietezza motoria, in assenza di ansia, che determina ad esempio camminamenti sul posto accompagnato da ansia e instabilità dell’umore o disforia).
- Parkinsonismo Secondario (stato di rigidità muscolare, tremore, lentezza nei movimenti e nell’andatura).
- Distonie Muscolari acute o tardive (spasmi muscolari dolorosi e involontari che colpiscono differenti parti del corpo, lingua, collo, tronco, muscoli del viso e dell’occhio).
- Discinesia Tardiva (può comparire dopo lunghi periodi di trattamento con movimenti ritmici, ripetitivi ed involontari, in particolare a livello dei muscoli buccali, labiali e linguali, talora anche degli arti) che è principalmente dovuta alla riduzione dell’attività dei neuroni del GABA (acido ( - aminobutirrico), che è un neurotrasmettitore di tipo inibitorio delle vie riflesse.
- Sindrome Neurolettica Maligna (rara e grave sindrome, che può comparire poco dopo l’inizio della terapia, caratterizzata da catatonia, stupor, forte rigidità muscolare, pressione arteriosa instabile, mioglobinemia e che può avere talora esito fatale).
Per contrastare gli effetti extrapiramidali sono disponibili farmaci ad attività anticolinergica ( biperidene), che hanno però anch’essi effetti indesiderati, quali principalmente stipsi e ritenzione urinaria.
ALTRI DISTURBI A CARICO DEL S.N.C. :
- Sedazione (per interazione antistaminergica);
- sintomatologia depressiva;
- cefalea;
- vertigini;
- compromissione della memoria;
- convulsioni.
IPERPROLATTINEMIA: l’aumento dei livelli sierici dell’ormone prolattina possono determinare:
- nelle donne ingrossamento, tensione del seno con galattorrea e irregolarità del ciclo mestruale (amenorrea);
- nell’uomo ginecomastia ed impotenza (disfunzioni erettili e
dell’eiaculazione);
- in entrambi i sessi diminuzione della libido.
EFFETTI CARDIOVASCOLARI:
Tachicardia, cardiopalmo, ipotensione in ortostatismo (per effetto di interazioni (-adrenergiche).
ALTRI EFFETTI:
Aumento ponderale, scialorrea, secchezza delle fauci e stipsi (per interazione anticolinergica), alterazioni cutanee (fotosensibiltà, eritemi, eczemi), leucocitopenia (talora anche severa, per effetto della soppressione dell’ attività del midollo osseo), nei pazienti anziani alterazioni della funzionalità epatica e renale (28).
In letteratura vi è scarsità di studi che tentino di descrivere l’esperienza soggettiva del paziente riguardo ai trattamenti depot, in termini di segnalazione degli effetti collaterali, condizioni mentali e qualità di vita(5).
In uno studio pubblicato da medici danesi, sono stati accertati gli atteggiamenti di cinquantatrè pazienti affetti da schizofrenia cronica, in terapia di mantenimento con neurolettici depot.
E’ stato trovato che il 60% vedeva di buon occhio la terapia, mentre solo l’8% la vedeva in modo negativo; il 70% del campione analizzato inoltre riferiva effetti collaterali (principalmente ipo- ed ipercinesia) mentre i medici curanti ne avevano accertato la presenza nel 94%.
In merito alla valutazione soggettiva dei pazienti sulla loro condizione mentale e sulla qualità di vita, non è stata trovata correlazione fra
quest’ultima e le valutazioni fornite dai medici curanti e dall’utilizzo di scale valutative (17).
3.3 Gli strumenti tecnici: il valore di contenuto nelle tecniche di somministrazione
La tendenza a «psicologizzare il tutto», svalutando le conoscenze e le pratiche tecniche in quanto frequentemente vissute dagli infermieri come prescrizioni mediche, sono spesso disposizioni mentali che ostacolano o rallentano il «tempo terapeutico».
Uno degli elementi strutturanti dell’identità professionale infermieristica è la specificità tecnica.
Gli strumenti tecnici necessitano una costante revisione e aggiornamento nel loro utilizzo, al fine di offrire una prestazione qualitativamente migliore.
Come emergerà dalla ricerca sul campo di questo lavoro, gli infermieri identificano come fattore influenzante l’autorità professionale anche conoscenze ed abilità relative alla psicofarmacologia, quali: - indicazioni terapeutiche;
- effetti attesi ed effetti collaterali;
La somministrazione della terapia offre una duplice opportunità; in primo luogo conferisce all’infermiere e al paziente precisi confini e limiti nella relazione di aiuto, in secondo luogo il corretto utilizzo delle conoscenze tecniche e la loro applicabilità facilitano l’ingresso nell’intimità fisica e psichica della persona assistita.
A fronte di tali considerazioni è ritenuto utile ed indispensabile offrire uno spazio in questo lavoro relativo agli aspetti tecnici, al fine di evidenziarne l’importanza.
3.3.1 Tecnica a baionetta (o tecnica a Z)
E’ una tecnica per eseguire un’iniezione intramuscolare profonda in modo tale da prevenire l’infiltrazione del farmaco nei tessuti sottocutanei o la sua fuoriuscita dal foro dell’ago sulla cute. E’ ritenuta utile per la somministrazione di farmaci irritanti, la cui infiltrazione nel sottocute potrebbe determinare la formazione di ascessi.
PROCEDURA
- Controllare la prescrizione del farmaco.
- Lavarsi le mani.
- Riunire il materiale occorrente.
- Aspirare nella siringa il farmaco, utilizzando l’ago di calibro maggiore, in quanto viene facilitata l’aspirazione del preparato, denso e oleoso.
- Aggiungere circa 0,5 cc di aria nella siringa; questo accorgimento
evita che parte del farmaco possa essere disperso nei tessuti sovrastanti il punto di iniezione durante il tragitto dell’ago.
- Cambiare ago, utilizzando quello di calibro più piccolo al fine di minimizzare il disagio e il dolore del paziente durante l’iniezione.
Smith et al. (32) sostengono anche che la sostituzione dell’ago eviti che tracce del farmaco presenti sull’ago irritino i tessuti; altri autori sostengono che la sostituzione dell’ago faciliti l’iniezione perché dopo l’aspirazione l’ago diviene viscoso e appiccicaticcio (14).
- Se possibile, far collocare il paziente in posizione prona e disinfettare la cute; il sito di iniezione indicato da tutti gli autori è la sede ventrale e dorsale del muscolo Grande Gluteo (12).
- Tirare la pelle e il sottocute lateralmente, allontanandola dal punto di iniezione; un siffatto allontanamento determina la formazione di «diga di tessuto» intorno al farmaco.
- Iniettare lentamente il farmaco, introducendo l’ago con un angolazione di 90° e continuando a tenere spostati pelle e sottocute; praticare l’aspirazione di controllo per verificare che l’ago non sia posizionato in un vaso sanguigno.
- Aspettare circa dieci secondi prima di estrarre l’ago e di rilasciare il tessuto; questo permette il rilassamento muscolare e l’assorbimento del farmaco; lo spostamento laterale della cute interrompe il tragitto dell’ago, sigillando il farmaco nel muscolo; con un tampone di garza applicare una leggera pressione senza massaggiare per non provocare la dispersione del farmaco nel sottocute.
- Rimettere il paziente in posizione comoda, smaltire i rifiuti e registrare l’avvenuta somministrazione sulla cartella e/o sulla modulistica in uso.
3.3.2 Tecnica della «bolla d’aria»
Lo stesso risultato della tecnica a) può essere ottenuto utilizzando questa tecnica standard di iniezione che prevede l’aspirare dagli 0,3
agli 0,5 cc di aria prima del farmaco; la bolla d’aria verrà così introdotta nel muscolo alla fine dell’iniezione, rimuovendo ogni residuo del farmaco dal lume dell’ago e prevenendo così ogni dispersione del preparato.
3.3.3 Complicanze delle iniezioni depot
Vari studi (14) non riportano dati significativi che suggeriscano che i preparati depot abbiano effetti irritanti, se l’iniezione viene praticata come «intramuscolare profonda».
Di conseguenza la scelta di utilizzare le tecniche sopra descritte sarebbe finalizzata solamente a prevenire la dispersione del farmaco nei tessuti soprastanti.
Riguardo all’insorgenza di ascessi correlata alle terapie long-acting, sono stati identificati come fattori di rischio (14):
- Predisposizione soggettiva;
- Obesità; tale fattore accrescerebbe l’incidenza di ascessi per il fatto che il farmaco verrebbe depositato nel tessuto adiposo anziché nel
muscolo; in tale eventualità gli autori suggeriscono l’impiego di aghi di lunghezza maggiore;
- Utilizzo a lungo termine della terapia depot (traumi protratti nel tempo);
- Tensione muscolare durante l’esecuzione dell’iniezione; è pertanto ritenuto utile l’impiego di accorgimenti e tecniche che riducano il disagio e la tensione muscolare del paziente.
Alla luce dell’analisi di tali fattori viene suggerito, qualora lo specifico caso lo consenta, il passaggio da una terapia depot a una terapia con neurolettici orali.
3.3.4 Confronto tra le due tecniche
Un studio del 1998 (13), aveva come obiettivo il rafforzare la consapevolezza negli infermieri sull’importanza della tecnica adottata nella somministrazione;
l’adozione di una tecnica standard di comprovata efficacia ridurrebbe, secondo gli autori, alcune complicanze delle iniezioni depot quali:
- infiltrazione del farmaco nei tessuti soprastanti il sito di iniezione con possibile formazione di ascessi;
- disagio del paziente.
Nello studio sono state prese in esame e messe a confronto le due tecniche sopra descritte e si è dimostrato che la tecnica della «bolla
d’aria» sia più efficace nel ridurre le infiltrazioni e il disagio del paziente; quanto a eventuali effetti avversi di ciascuna specifica tecnica l’impiego di scale Likert per valutare elementi oggettivi e soggettivi non ha evidenziato significative differenze tra gli effetti delle due tecniche.
« La farmacopsichiatria spegne, più o meno rapidamente, una scompensazione schizofrenica acuta; ma la sua azione terapeutica si rivolge ai sintomi (…) e non invece alle cause di malattia, che non ne sono modificate. Quando l’esperienza schizofrenica si estende nel tempo, con decorsi non oscillanti, ma lineari e striscianti, la farmacopsichiatria perde molta parte dei suoi significati, e non può non essere integrata da una forma sociale di terapia»
(E.Borgna, 2000) (23)
3.3.5 Le implicazioni relazionali nella somministrazione
Nel corso dell’ultimo trentennio si è assistito ad un graduale cambiamento negli atteggiamenti e nel ruolo del paziente, che da spettatore passivo e deferente che delegava in modo acritico e incondizionato la propria cura agli operatori sanitari, in particolare medici ed infermieri, si è trasformato in utente consapevole, informato, autonomo ed esigente nelle sue valutazioni relative alla tipologia ed alla qualità delle prestazioni sanitarie;
tale contesto è parzialmente trasferibile anche nella realtà della salute mentale, ovviamente con le limitazioni ideative imposte da disagi psichici quali i quadri psicotico-schizofrenici; anche gli utenti dei servizi psichiatrici si aspettano dagli infermieri una certa preparazione professionale tecnica e ne cercano i riscontri.
Un siffatto ragionamento assume una certa rilevanza nella somministrazione delle terapie depot; una iniezione intramuscolare è certamente un evento che suscita disagio e ansia, anche in pazienti considerati mentalmente «normali», per un paziente psicotico, in preda a ideazioni deliranti, essa può rappresentare un trauma con risvolti talvolta drammatici.
La pelle, in questi pazienti , spesso rappresenta un involucro che filtra i rapporti tra il mondo interno ed il mondo esterno, un confine da tutelare. La poca cura del corpo, gli esitamenti dei contatti fisici non sono altro che l’espressione di un bisogno di preservare il proprio sé da ulteriori traumi. (24)
Svedberg riporta, nel suo studio fenomenologico (3), l’episodio di una paziente in trattamento depot, che decise di non farsi più somministrare l’iniezione dall’infermiere maschio che era solito praticargliela nel gluteo perché negli ultimi appuntamenti l’aveva percepita come una violenta penetrazione sessuale.
Nella mia esperienza di tirocinio ricordo che mi capitò di somministrare un depot ad un paziente in preda al delirio persecutorio che lo gettava nell’autentico terrore che l’ago della siringa potesse rimanere conficcato nel gluteo per una mia intenzione di nocumento; una volta terminata
l’iniezione, per rassicurarlo dovemmo mostrargli l’ago una decina di volte prima di gettarlo!
Questi esempi di pratica ritengo siano esemplificativi del concetto che una solida competenza e sicurezza tecnica da parte dell’infermiere (che vada al di là della corretta esecuzione della tecnica iniettiva) giochino un ruolo essenziale nello stabilire una relazione basata sulla fiducia da parte di pazienti così vulnerabili al disagio.
Tale competenza si riflette sul piano della pratica nell’adozione di appropriati interventi tecnico-comportamentali che rassicurino il paziente, ne minimizzino il disagio nel ricevere l’iniezione e accrescano il gradimento della prestazione nella prospettiva del successivo appuntamento (8).
Esempi di tali strategie potrebbero essere:
- predisporre un ambiente accogliente e confortevole nei locali di somministrazione;
- incoraggiare i pazienti ad esprimere ansie, preoccupazioni e bisogni di conoscenza;
- preparare l’iniezione alla presenza del paziente, rendendolo partecipe (con domande quali «stai assumendo x mg di questo farmaco ogni x settimane, giusto?») per inibirne le ideazioni paranoiche ed accrescerne la responsabilizzazione (8);
- contrattare col paziente il sito più idoneo e gradito di iniezione, partendo dalla conoscenza e consapevolezza che la sede dorsoglutea non sia l’unica appropriata sede di iniezione intramuscolare! (12);
- utilizzare la posizione più confortevole per il paziente e che garantisca il massimo rilassamento muscolare (12);
- eseguire tecniche di distrazione, mentre si effettua l’iniezione lentamente (dieci secondi circa per ml) per ridurre il dolore (8-12);
- riconoscimento dell’iniezione come esperienza non piacevole e ascolto dei feedback dei pazienti, con la consapevolezza che, a causa della natura del loro disagio mentale, un certo numero di pazienti abbiano comportamenti sospettosi e paranoici (atteggiamento empatico);
- utilizzo di «omaggi» (cibo) come gratificazione per aver ricevuto
l’iniezione, alla fine di ogni appuntamento; tale comportamento, descritto in uno studio australiano, è stato valutato dagli infermieri che l’hanno attuato come una «forma di incoraggiamento, un qualcosa che ti facilita il recarti all’appuntamento e ricevere l’iniezione, un rinforzo per la valenza sociale data all’incontro depot e un motivo in più per recarsi all’appuntamento » (8).
L’ultima strategia citata ha particolarmente suscitato il mio interesse ma indubbiamente merita una riflessione critica, in quanto è espressione di un contesto antropoculturale specifico; in tale prospettiva una sua adozione nella realtà italiana ne presuppone forse un riadattamento al nostro contesto culturale.
In tal senso il rafforzamento della valenza sociale dell’appuntamento depot potrebbe trovare espressione in alcuni comportamenti degli infermieri, che mi è capitato di osservare nella mia esperienza di tirocinio, che utilizzano elementi di informalità e di normalità (8) nella relazione, alla fine dell’ appuntamento depot, quali «la pausa caffè» o «la sigaretta fumata insieme», come canali di comunicazione.
4. METODO
4.1 Il progetto di studio
Per il raggiungimento degli obiettivi del presente studio è stata considerata appropriata l’adozione di una metodologia di ricerca qualitativa, che ha ispirato e guidato la realizzazione di una intervista face to face (27) a un gruppo di infermieri operanti in strutture ambulatoriali di salute mentale, con il fine di estrapolare rappresentazioni, comportamenti e vissuti in merito alla pratica della somministrazione delle terapie depot.
Nella letteratura infermieristica vari autori hanno suggerito l’utilizzo della ricerca qualitativa per stimolare la produzione di strumenti di ricerca quantitativi e migliorarne la validità di contenuto. Il progetto di studio qui presentato è stato guidato da una mia personale sintesi delle teorie descrittive-fenomenologiche di ricerca di Giorgi (1997) e Colaizzi (1978), dalle quali è possibile ottenere ampie descrizioni di esperienze individuali in situazioni specifiche (2-3-29-30).
La fenomenologia è sia un movimento filosofico che un metodo di ricerca, il cui principale obiettivo è quello di analizzare e descrivere i fenomeni così come vengono vissuti dall’individuo a livello cosciente.
Uno degli assunti filosofici di base da cui muove la ricerca fenomenologica può essere così sintetizzato :
« una persona è in grado di sapere cosa sta vivendo solamente se ascolta le percezioni e i significati che ne risvegliano la consapevolezza»
In tale prospettiva il soggetto e l’oggetto dell’esperienza risultano uniti nella loro esistenza.
L’obiettivo di una ricerca fenomenologica è pertanto scoprire e descrivere la struttura essenziale ed il significato delle esperienze vissute (*) ; per quanto attiene alla tematica affrontata in questa tesi si tratterà di descrivere come venga vissuta nella pratica professionale quotidiana la gestione della terapia depot nella prospettiva delle interazioni che intercorrono fra infermieri e pazienti nel suddetto contesto.
L’utilizzo di una metodologia fenomenologica presuppone che lo stesso ricercatore risvegli consapevolmente le proprie rappresentazioni e che si astenga da esse nel condurre la ricerca. Questo processo, che è stato definito «messa tra parentesi» (Merleau-Ponty, 1956) (30), implica l’eliminazione degli strati interpretativi, in modo che i fenomeni possano essere visti dal limpido specchio del soggetto-attore dell’esperienza e non riflessi attraverso i preconcetti.
______________________
(*) Per ESPERIENZA VISSUTA si intende « Il modo in cui una persona esperisce direttamente il mondo in maniera preriflessiva (Husserl, 1970) (30)
4.2 Descrizione del campione
La popolazione partecipante allo studio è consistita in 8 infermieri professionali (1 maschio e 7 femmine) operanti nelle diverse strutture ambulatoriali in seno a due Dipartimenti di Salute Mentale, uno del territorio metropolitano torinese (D.S.M. ASL 2) e uno della prima cintura torinese (D.S.M dell’ambito B dell’ASL 5); la loro età è compresa fra 28 e 46 anni; di essi 7 hanno conseguito un diploma di maturità superiore quinquennale, mentre 1 è in possesso del biennio di scuola media superiore, 2 hanno frequentato il corso biennale regionale di specializzazione in assistenza psichiatrica; tutti gli intervistati hanno in qualche modo ricevuto una formazione specialistica differente dal corso di specializzazione regionale (Corsi di formazione accreditati dalla Regione Piemonte, Corsi di aggiornamento organizzati e gestiti dal Collegio I.P.A.S.V.I. nell’ambito della salute mentale, seminari e convegni).
La loro esperienza lavorativa come infermieri professionali è compresa fra 5 e 19 anni; nell’ambito della salute mentale la loro esperienza professionale è variabile da 3 a 17 anni; 6 soggetti del campione hanno riferito precedenti esperienze lavorative in ambiti diversi (reparti di medicina generale e specialistica, reparti di chirurgia specialistica, case di cura e riabilitazione private per anziani), mentre 2 hanno una esperienza lavorativa esclusiva nella salute mentale, di 14 anni.
La specifica esperienza degli infermieri intervistati nella somministrazione della terapia depot è del tutto sovrapponibile all‘esperienza lavorativa in salute mentale, tranne che in un caso (l’intervistata ha riferito di non somministrare più la terapia depot da alcuni anni perché attualmente coordina in modo specifico ed esclusivo un servizio riabilitativo socio-sanitario).
4.3 Procedura
Prima di effettuare le interviste, sono stati contattati il direttore dipartimentale e il coordinatore infermieristico dei vari servizi, per illustrare il progetto e gli obiettivi dello studio ed è stata richiesta tramite lettera l’autorizzazione ad effettuare le suddette; una volta ottenuta l’autorizzazione a procedere sono stati individuati gli infermieri candidati all’intervista, in base ai criteri di:
- contingenza (possibilità di effettuare l’intervista);
- rappresentatività per ciascuna realtà operativa ambulatoriale in seno al D.S.M. (es., i tre ambulatori in seno al D.S.M. dell’ASL 2 di Torino);
- variabilità nei curricula formativi e lavorativi (variabili anagrafiche ed esperienziali).
Gli infermieri sono poi stati contattati telefonicamente o personalmente per sondare la loro disponibilità; è stato illustrato l’oggetto e le modalità dell’ intervista e sono stati informati che i dati raccolti nelle interviste sarebbero stati utilizzati ai soli fini di studio, che la loro identità non sarebbe stata in alcun modo rivelata, per garantire l’anonimato e la privacy (nelle citazioni testuali delle interviste, riportate nell’ analisi dei dati, a ciascuno di loro è stato attribuito un nome di fantasia) e che essi avevano naturalmente il diritto di rinunciare alla partecipazione in qualunque momento. Tutti gli infermieri contattati hanno accolto con interesse il progetto e hanno manifestato la loro disponibilità ad effettuare l’intervista; sono stati perciò fissati gli appuntamenti per lo svolgimento della suddetta.
Le interviste sono state svolte separatamente, nelle rispettive sedi operative ambulatoriali e durante l’orario di servizio ed hanno avuto una durata complessiva compresa fra i 45’ e un ora e 30’.
Ciascuna intervista è stata integralmente registrata su audiocassetta e trascritta verbatim.
4.4 L’intervista
All’inizio di ogni intervista ad ogni partecipante venivano richiesti dati di carattere anagrafico, formativo ed esperienziale, quali:
- Età;
- Titolo di studio;
- Esperienza professionale come infermiere (anni e sedi);
- Se in possesso della specializzazione regionale in psichiatria;
- Curriculum formativo specifico di nursing psichiatrico (diversa dalla specialità);
- Curriculum esperienziale nell’ambito della salute mentale (anni e sedi).
Successivamente sono state poste agli infermieri sette domande ampie aperte, tra cui alcune da me ideate, perché ritenute appropriate per ottenere informazioni più rilevanti ai fini dei quesiti fondamentali di ricerca, ed altre tratte da due studi fenomenologici pubblicati da un infermiere ricercatore svedese, sulla base della teoria di Giorgi (2-3). Lo schema di intervista è pertanto il seguente :
1) Nella tua esperienza come vivi il momento della somministrazione della terapia neurolettica depot? Che significato e importanza le attribuisci?
Nell’ ambito di questa domanda gli infermieri sono stati incoraggiati anche ad esprimere il valore da essi attribuito alla somministrazione del depot rispetto ad altri interventi terapeutici (primo colloquio, visite domiciliari, attività di riabilitative-risocializzanti); questo ulteriore «step esplorativo» è stato suggerito da uno studio di Thomas del 1984 (8).
2) Descrivi degli incontri difficoltosi con pazienti a cui ti se trovato a somministrare la terapia depot, che ti sono rimasti impressi nella memoria (3);
3) Descrivi degli incontri che hai percepito come positivi con pazienti a cui ti sei trovato a somministrare la terapia depot, che ti sono rimasti impressi nella memoria (3);
A seconda del follow up delle risposte venivano poste ulteriori domande quali:
- Cosa hai pensato di fare, dopo?
- Cosa è successo nei successivi incontri?
Tali domande di follow up miravano a porre in rilievo, a seguito degli incontri vissuti come difficoltosi, modificazioni verificatesi nelle rappresentazioni e/o nei comportamenti degli infermieri finalizzate ad affrontare e risolvere i problemi verificatisi nelle interazioni con i pazienti.
Per quanto riguarda le situazioni vissute come positive le domande miravano a porre in rilievo il contributo infermieristico come elemento terapeutico determinante.
4) In riferimento agli incontri che hai descritto precedentemente esprimi tutti i pensieri, le emozioni e i sentimenti che riesci a ricordare.
La domanda 4 intendeva stimolare l’intervistato a descrivere dei vissuti provati negli incontri descritti a partire dalle domande 2 e 3.
5) Alla luce della tua esperienza in quale misura ritieni di poter influire sulla gestione della terapia depot? (2)
Si invitava a descrivere la propria esperienza in merito alle possibilità dell’infermiere di prendere decisioni nell’ambito delle terapie depot (si veda il concetto precedentemente illustrato di autorità professionale).
6) Alla luce della tua esperienza in quale misura ritieni che il paziente possa influire sulla propria terapia depot? (2)
Si invitavano gli infermieri ad illustrare la personale esperienza sulla possibilità da parte dei pazienti di prendere decisioni informate (ovvero influenzate da interventi informativi-educazionali, riguardanti ad esempio gli effetti benefici e/o collaterali dei farmaci) riguardo alla propria terapia (9-10).
7) Alla luce della tua esperienza in quale misura ritieni che il contesto ambientale (luogo fisico, atmosfera) possa influire sul «momento-depot»?
In questa domanda si incoraggiavano gli infermieri a esprimere, nel contesto degli incontri per la somministrazione del depot, l’importanza da essi attribuita a quello che la letteratura internazionale definisce «setting», cioè lo scenario ambientale (da non intendersi come il solo luogo fisico ma come atmosfera, ovvero «il complesso di situazioni e
condizioni» (Zingarelli, 1990)( in cui viene effettuata la somministrazione in base alle suggestioni fornite dallo studio di Muir-Cochrane (8).
Come già accennato in precedenza la traccia di intervista sopra presentata è stata concepita principalmente per porre in rilievo le seguenti dimensioni delle esperienze individuali, il cui insieme fornisce la descrizione del fenomeno in oggetto:
- Rappresentazioni: si intendeva stimolare gli intervistati a esprimere la propria opinione , alla luce della loro conoscenza, esperienza e consapevolezza, in merito al valore, al significato della terapia depot ed alle variabili che ne influenzano una buona gestione nelle prospettive bioetiche concettuali della beneficialità (procurare il bene del paziente) e dell’autonomia (promuovere o rafforzare l’autodeterminazione della persona)(31);
-Comportamenti: si richiedeva la descrizione (tramite esemplificazione di casi) di cosa è stato ed è effettivamente posto in atto dagli operatori nella loro esperienza, anche nella prospettiva di un raffronto rispetto alle proprie rappresentazioni, in altre parole si intendeva indagare in quale misura il pensiero si scosti dall’azione e quali sono i fattori all’origine di tale divergenza ;
- Vissuti: si richiedeva la descrizione dei pensieri, dei sentimenti e delle emozioni suscitati negli infermieri in riferimento agli incontri precedentemente rievocati (domanda 2 e 3).
4.5 Analisi dei dati
Le seguenti fasi procedurali hanno guidato l’ analisi della trascrizione di ciascuna intervista:
1) Lettura dell’ intervista per coglierne il senso complessivo;
2) Estrapolazione da ciascuna trascrizione degli enunciati significativi che racchiudono rappresentazioni, comportamenti e vissuti dell’ infermiere relativi alla sua esperienza nella somministrazione dei depot (dimensioni del fenomeno);
3) Riformulazione del significato di tali enunciati significativi, al fine di esprimere in modo più diretto l’ esperienza vissuta dagli infermieri nella somministrazione della terapia depot;
4) Identificazione dei Costituenti (significati essenziali, relativi alle dimensioni del fenomeno) e delle variazioni individuali al loro interno e raccolta dei significati formulati in nuclei tematici o Temi;
5) Sintesi ed integrazione dei risultati dell’ analisi dei dati in una descrizione (o struttura) del fenomeno (l’esperienza della gestione della terapia depot) nella prospettiva dell’ ipotesi e dei quesiti di ricerca
suggeriti dalla revisione della letteratura (fondamentale occasione assistenziale per l’ infermiere e il paziente).
Nell’ analisi e presentazione dei dati non sono state utilizzate elaborazioni statistiche, data la natura qualitativa dello studio e
l’esiguo campione degli intervistati.
L’ analisi dei dati è invece presentata in forma astratta, ovvero a un livello generale in cui gli elementi significativi essenziali che formano la struttura sono stati «distillati dalla massa dei dettagli» (2-29); questo implica che gli atteggiamenti, i comportamenti e i vissuti descritti da ciascun infermiere sono rappresentati nella struttura e in ciascuno dei suoi temi e dello loro variazioni individuali.
“I mali dell’ anima, consolidandosi, tendono ad occultarsi: più si è malati e meno li si avverte. Ecco perchè occorre portarli spesso alla luce e, con mano impietosa, metterli a nudo e sradicarli dal nostro petto”
( M. de Montaigne)
5. RISULTATI E DISCUSSIONE
Verranno qui di seguito presentati:
- l’ organizzazione delle terapie depot, ottenuta dalle descrizioni degli infermieri, allo scopo di contestualizzare i temi estrapolati;
- verrà poi esposta la struttura essenziale dell’ «esperienza depot» emersa dall’ analisi delle interviste, suddivisa per temi relativi alle dimensioni considerate; all’ interno di ciascun gruppo tematico sono racchiusi i costituenti e le loro variazioni individuali. Sono stati estrapolati 8 temi fondamentali che racchiudono rappresentazioni e comportamenti e 13 temi relativi ai vissuti.
Tutti i temi hanno il medesimo filo conduttore, la motivazione degli infermieri di pensare, decidere e agire secondo quanto essi credano essere il meglio per l’ interesse del paziente (3).
5.1 Il contesto e l’organizzazione delle terapie depot
Nel corso delle interviste gli infermieri hanno descritto l’organizzazione e la gestione delle terapie depot che avevano luogo nelle diverse strutture ambulatoriali in seno ai due D.S.M. in cui ha avuto luogo lo studio. Gli infermieri che lavorano nei diversi ambulatori hanno diviso il lavoro tra di loro; i locali adibiti per la somministrazione dei farmaci (infermerie) seguono un orario medio di apertura di 7 ore al giorno (mattino e pomeriggio) per 5 giorni alla settimana; per ogni giorno di apertura dell’ambulatorio è generalmente previsto che un unico infermiere si occupi della somministrazione delle terapie, non soltanto quelle depot (terapie orali per i pazienti non ritenuti in grado di assumerle autonomamente e terapie infusionali); il turno di servizio nell’infermeria è svolto a rotazione tra tutti gli infermieri.
L’ affluenza degli utenti che effettuano il depot è variabile nei diversi contesti (dati statistici precisi non disponibili) ma è stata in genere riferita dagli intervistati come cospicua, dato che non vengono somministrati i soli depot, di conseguenza gli incontri per l’ iniezione sono in generale brevi (stima compresa fra i sei ed i quindici minuti) e con uno scarso livello di intimità fra infermiere e paziente.
La percentuale dei pazienti che si recano in ambulatorio risulta variabile tra il 70 e l’ 80%. La restante parte dei pazienti, per svariate ragioni (difficoltà a recarsi all’ ambulatorio correlata a impedimenti fisici, a grado di severità del disagio mentale, bassa o nulla accettazione della terapia, età avanzata) necessita di effettuare le iniezioni al domicilio, per le quali provvede, salvo impedimenti (ferie, malattia, trasferimenti) l’infermiere di riferimento (key worker), che viene assegnato a ciascun paziente al momento della sua accoglienza e presa in carico. In casi di riluttanza o non accettazione della terapia, gli infermieri effettuano la somministrazione al domicilio in casi particolari si rende necessaria la presenza del medico curante e in rari casi il depot viene somministrato in sede di ricovero, in regime di T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio, secondo quanto sancito dall’ art. 34 della L. 23 dicembre 1978, n.833).
A meno che gli intervistati non fossero gli infermieri di riferimento, essi hanno percepito che la loro principale responsabilità consistesse nell’ eseguire semplicemente la prescrizione medica e riportare le osservazioni sul paziente ai medici o agli operatori di riferimento senza un intervento diretto nel trattamento.
Lo staff di ogni ambulatorio risulta diviso in varie microequipe, composte da due o tre operatori, ciascuna diretta da un medico. La responsabilità di ogni infermiere di riferimento è quella di pianificare e coordinare gli interventi terapeutici e riabilitativi, relativamente ai pazienti assegnatigli ed in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali, quali medici, psicologi, assistenti sociali ed educatori (conformemente anche a quanto stabilito dal profilo professionale dell’ infemiere, si veda l’ Art. 1, comma 3, c,d,e del D.M. 739/94).
In un giorno della settimana viene svolta una riunione plenaria dell’ ambulatorio in cui tutti gli operatori hanno comunque la possibiltà di partecipare alla discussione di tutti i casi.
In ogni ambulatorio è presente uno schedario in cui sono contenute le cartelle medica ed infermieristica per ogni paziente; una specifica scheda dedicata alla terapia depot, in cui vengono registrati:
- farmaco prescritto;
- dosaggio;
- data di somministrazione;
- l’ avvenuta somministrazione;
- scadenza della terapia (data della successiva somministrazione).
Alla fine di ogni somministrazione, per i pazienti che si recano in ambulatorio viene fissato l’appuntamento per la successiva iniezione che viene registrato su un biglietto di prenotazione e consegnato loro. Il criterio per fissare gli appuntamenti, descritto come quello maggiormente seguito, è il rispetto dell’ intervallo di somministrazione, qualora il paziente abbia un atteggiamento collaborativo.
Oltre agli strumenti sopra descritti, ogni infermiere in genere dispone di una propria agenda in cui, a cadenza mensile vengono registrate le scadenze dei depot di quei pazienti di cui l’ infermiere è responsabile; caso per caso viene valutata l’opportunità di ricordare al paziente, tramite telefonata, la data del successivo incontro.
In caso di assenza ciascun infermiere è tenuto ad informare l’operatore che lo sostituirà del suo impegno di somministrazione della terapia long-acting ai pazienti di cui è responsabile.
5.2 TEMI RELATIVI ALLE RAPPRESENTAZIONI ED AI COMPORTAMENTI
TEMA 1
«LA TERAPIA DEPOT E’ UN UTILE STRUMENTO, MA NON E’ LA VERA CURA:
La terapia depot è fondamentalmente uno strumento che può agevolare la messa in atto dei veri interventi terapeutici; non è la vera cura ma è l’intervento che si attua per attenuare il disagio, la sofferenza e la sintomatologia; su questa base è possibile instaurare una relazione d’aiuto efficace e pianificare e attuare un percorso terapeutico - riabilitativo o, quanto meno, garantire la migliore qualità di vita possibile».
Tutti gli infermieri intervistati hanno significativamente espresso che
l’aspetto assistenziale di maggior valore e importanza sia la relazione con gli utenti.
Particolare significato assume quanto dichiara Andrea:
“ E’ come aprire una porta che ci schiude il vissuto, le emozioni e l’affettività di questi pazienti (...), il farmaco da solo non risolve i problemi, attenua e stabilizza i sintomi della malattia (...), è il punto di partenza per parlare del-, con il paziente, è lo strumento che apre la via alla vera terapia che è basata su altri interventi, principalmente quelli di relazione “.
Anna parla di «un importante strumento, un ausilio che rimuove o attenua la sintomatologia, consentendo al paziente di rientrare nella realtà esterna»; ha poi descritto il suo primo approccio con una paziente psicotica, in preda al delirio secondo il quale le piante del suo attico fossero degli extraterrestri che emanavano influssi nocivi (...) ; «si rese necessario praticarle l’iniezione di neurolettico in modo coercitivo; due giorni dopo tornammo a visitarla e constatammo che aveva quasi del tutto superato la crisi delirante, aveva dormito e aveva messo in ordine l’appartamento, che al momento della crisi acuta era in totale subbuglio».
Andrea e Simona hanno descritto come estremamente difficoltosi e provanti gli incontri con pazienti psicotici in fase acuta: « di fronte ad un paziente con deliri persecutori, in preda ad allucinazioni e ad agitazione psicomotoria è quasi impossibile instaurare una qualche relazione «.
Le rappresentazioni degli infermieri nei confronti della terapia e, più in generale, verso l’assistenza, appaiono notevolmente influenzate dalla personale esperienza del disagio psicotico.
Laura, infermiera con una ampia esperienza professionale, descrive la schizofrenia come malattia inguaribile, se si escludono rari casi: «credo che la terapia depot sia un mettersi a confronto con l’incapacità di guarire di queste persone (...); il nostro lavoro di gestione delle terapie consiste soprattutto nell’ alleviare la sofferenza e migliorare la qualità di vita, per dar loro la possibilità di condurre una vita nella società, di essere accettati nonostante i forti pregiudizi in essa radicati».
Diversa appare la rappresentazione di Andrea, infermiere con tre anni di esperienza in salute mentale, che descrive il disagio mentale come un «labirinto dal quale è possibile uscire», grazie alle potenzialità ed alle risorse di «autoguarigione» insite in ciascun paziente; il ruolo dell’infermiere dovrebbe essere fondamentalmente quello di aiutare ed incoraggiare il paziente a far emergere le risorse interiori di cui non è consapevole:
«in mancanza di un tale approccio la nostra assistenza è destinata ad appiattirsi sulla mera patologia e sull‘approccio farmacologico e ci si rassegna nella convinzione che la malattia mentale sia comunque inguaribile, mentre a volte l’esperienza ci dà riscontri diversi; affidarsi unicamente ai farmaci sancirebbe la perdita delle nostre capacità terapeutiche».
Emanuela e Francesca descrivono il depot come uno strumento indispensabile, una garanzia di effettiva somministrazione a quei pazienti non sufficientemente «affidabili» per l’assunzione autonoma per os (8) ; il depot è un mezzo per evitare le ricadute perché presuppone degli incontri periodici con gli operatori che vengono pertanto utilizzati per altri interventi, quali ad esempio la valutazione complessiva dello stato di salute.
Francesca ha poi descritto il caso di un paziente schizofrenico che opponeva tenace resistenza a qualsiasi tipo di terapia: « nelle visite domiciliari lo trovavamo sempre delirante, la gestione della terapia era stata affidata alla madre, ma risultava chiara la mancata assunzione dalla sintomatologia, l’ideazione delirante tendeva anzi ad una involuzione; abbiamo affrontato la questione in equipe e si è optato per il passaggio al depot; siamo riusciti a praticargliela e dopo 4 somministrazioni la sintomatologia è notevolmente regredita, consentendogli di uscire di casa ed iniziare la frequenza dell’ambulatorio e di un gruppo di psicoterapia, è stato per noi un risultato notevole, oltre ogni nostra più rosea previsione perché quando rifiutava la terapia non riusciva in alcun modo ad esprimere il suo malessere ed i suoi vissuti, quando ci recavamo io e il medico a casa sua fuggiva dalla stanza in cui ci trovavamo, in preda ad allucinazioni e, sempre spaventato, non riusciva a rimanere fermo nello stesso posto».
TEMA 2
LA GESTIONE E SOMMINISTRAZIONE DELLA TERAPIA DEPOT SONO ASPETTI ASSISTENZIALI IMPORTANTI, NELL’ AMBITO DEI QUALI L’ INFERMIERE DEVE SVILUPPARE COMPETENZE CHE VANNO OLTRE IL PURO ATTO TECNICO, ED HANNO PARI DIGNITA’ RISPETTO AD ALTRI INTERVENTI INFERMIERISTICI
E’ un momento importante per valutare lo stato mentale del paziente e l’evoluzione clinica ma non dovrebbe essere l’unica occasione di incontro.
Questo tema, sebbene i dati non abbiano certo una rilevanza statistica, denota una differenza di rappresentazione degli intervistati, rispetto allo studio di Thomas del 1984 secondo cui gli infermieri assegnavano una scarsa importanza alle iniezioni depot in comparazione con altri interventi infermieristici in salute mentale (8).
Anna descrive gli incontri-depot come «momenti importanti , utili per relazionarsi al paziente, capire come sta, perché tra una somministrazione e l’altra lo stato mentale può variare; a volte l’incontro assume una valenza marcatamente sociale perché è l’unica occasione per vedere il paziente», ma riflette che questa evenienza non dovrebbe mai verificarsi.
Raffaella aggiunge un ulteriore elemento di variazione : «penso non sia assolutamente un intervento sufficiente vedere i pazienti solo in occasione dei depot e questo talvolta capita, soprattutto nel caso delle visite domiciliari, perché non siamo sempre in grado di trovare altre occasioni di visita o di uscita con tutti i pazienti (si veda il Tema 4) (...), molti di questi pazienti hanno scarse o nulle relazioni sociali e hanno un grande bisogno di parlare, sfogarsi o semplicemente di compagnia o di vedere una persona amica».
TEMA 3
L’ACCETTAZIONE, L’EFFICACIA DELLA TERAPIA DEPOT E LA RELAZIONE INFERMIERE - PAZIENTE SONO ELEMENTI FONDAMENTALI DELL’ITER TERAPEUTICO, CHE SI COMPENETRANO E SI INFLUENZANO PROFONDAMENTE E RECIPROCAMENTE.
Questo è il tema fondamentale e saliente dell’intera struttura; data la sua vastità di significati, si è considerato opportuno suddividerlo in modo più articolato mediante i seguenti costituenti che descrivono come gli infermieri concepiscono e agiscono una buona relazione-depot:
a) Una delle funzioni chiave dell’ infermiere è promuovere l’accettazione della terapia depot da parte del paziente, e ne sono i presupposti:
- La convinzione dell infermiere sull’efficacia della terapia.
« Io condivido la terapia depot come primo approccio, anche se pone molte problematiche e la si pratica spesso con difficoltà (...), è necessario credere nell’utilità della terapia, farla propria, altrimenti si trasmette un messaggio negativo, il paziente percepisce che stai eseguendo l’iniezione per ottemperare ad una disposizione del medico (...), la fiducia degli operatori nella terapia nasce dagli effetti benefici
che noi riscontriamo negli utenti, dalle conferme che si hanno costantemente nella pratica».
(Francesca)
- La fiducia dualistica tra infermiere e paziente.
In questo costituente emerge il concetto di fiducia inteso come «stato rassicurante che deriva dalla persuasione dell’affidabilità del mondo circostante percepito come ben disposto verso il soggetto. Questa condizione influisce positivamente sul comportamento, eliminando inquietudini e malessere che conducono ad atteggiamenti di chiusura, rifiuto e scetticismo» (33).
«Ottenere la fiducia e il consenso del paziente alla terapia è una funzione difficile che va esercitata con gradualità e abilità nell’adattare l’intervento all’individuo» (Simona).
L’instaurare una relazione significativa tra il paziente e chi somministra il farmaco è stata unanimamente considerata una conditio sine qua non per l’ottenimento della fiducia terapeutica.
Da quanto è emerso dalle rappresentazioni si può ragionevolmente affermare che la fiducia sia segno e criterio di un’alta professionalità:
«è importante il riscontro della fiducia e dei benefici della terapia dai feedback che il paziente dà, è una verifica importante della qualità dell’assistenza»
- La continuità assistenziale.
L’osservazione costante nel tempo ha permesso una conoscenza reciproca, l’instaurarsi di un rapporto di fiducia e sicuramente tutto ciò ha trovato un riscontro positivo nel percorso terapeutico, in quanto la continuità in salute mentale deve essere garantita sicuramente da strumenti oggettivi ma spesso l’esperienza ci porta ad affermare che la l’esserci nel tempo va oltre al significato di salute per il paziente, come illustrano le considerazioni di Chiara su un paziente da lei seguito per lungo tempo:.
“Ho visto crescere i suoi figli (…), ho osservato nel tempo l’evolversi delle dinamiche familiari, sono stata testimone della crisi coniugale venutasi a determinare per l’evoluzione del suo disagio mentale. Tutto questo mi ha permesso di attribuire dei significati ai suoi stati d’animo”.
In questo costituente si pone accento sulla importanza della conoscenza dell’individuo in tutte le sue dimensioni esistenziali; troppo spesso i comportamenti, quali ad esempio il silenzio, vengano interpretati come manifestazioni sintomatologiche piuttosto che espressione di uno stato d’animo dell’ hic et nunc .
- L’educazione, la mediazione e la contrattazione nei confronti del paziente, con la collaborazione ed il coinvolgimento dei familiari.
Francesca ha descritto gli incontri con una paziente che rifiutava la terapia, anche al domicilio, « la nostra abilità in questi casi sta nel saper individuare e utilizzare le risorse a disposizione (...), ho cercato di far leva sul familiare che aveva la relazione più intima con lei, il fratello; solo alla sua presenza la paziente accettava l’iniezione e, anche se poi riconosceva di stare meglio, nell’incontro successivo la situazione si ripeteva, la presenza del fratello la conteneva emotivamente e riduceva la sua avversione per la terapia e le iniezioni».
La questione degli effetti collaterali è stata descritta come uno dei principali ostacoli all‘accettazione della terapia. In tale contesto può divenire determinante un approccio relazionale dell’ infermiere che utilizzi la contrattazione come risorsa, come esemplifica il caso seguente.
Chiara ha descritto i suoi incontri con un paziente transessuale psicotico bipolare, che rifiutava il depot per il timore di ingrassare e di perdere l’immagine di sé (si prostituiva); non essendosi presentato per tre mesi agli appuntamenti, medici ed infermieri avevano provveduto a somministrargli la terapia in maniera coercitiva: «ne aveva bisogno perché andava rapidamente soggetto a fasi maniacali, venendo sorpreso completamente nudo al cimitero nel cuore della notte (...); mi sono messa in gioco, non approvando i metodi dei miei colleghi che provenivano tutti dall’ esperienza manicomiale, tentai di spiegargli l’importanza della terapia ma non riuscii a convincerlo; inserii allora nella relazione un elemento di compromesso che ritenevo indispensabile per l’accettazione del depot, così mi presentai a casa sua con una scatola di prodotti per cure estetiche di cui lui aveva manifestato il bisogno e gli proposi uno scambio: l’iniezione in cambio delle cure estetiche; dopo una lunga discussione accettò di fare l’iniezione; nei successivi incontri si instaurò un rapporto di fiducia, il paziente stava meglio, rispettava le scadenze e accettava la terapia a patto che fossi solo io a praticargliela».
- Stabilire regole e dare messaggi chiari, veritieri e univoci.
Questo approccio è stato descritto come aspetto terapeutico essenziale, finalizzato al contenimento emozionale di utenti contraddistinti dalla disgregazione dell’Io, caratteristica peculiare della schizofrenia.
Grande importanza riveste in questa prospettiva il rispetto degli impegni assunti col paziente; si riportano enunciati significativi estrapolati dalle interviste:
- «Il rapporto terapeutico si costruisce anche sulla chiarezza dei contenuti trasmessi al paziente e sulla sincerità; mentire al paziente implica una carenza relazionale nell’operatore».
- «Il paziente generalmente si rende conto che lo stai ingannando o che stai mentendo; il mentire, anche se si ritiene di agire a fin di bene, è uno strumento improprio, che ha come conseguenza il fenomeno del drop out, la cessazione del rapporto, il paziente non ti racconterà più niente, non ascolterà più i tuoi consigli, anche se validi, e smetterà di frequentare l’ambulatorio» .
(Laura)
- «E’importante non dare messaggi contradditori, è necessario concordare una linea comune con gli altri operatori; a volte è meglio sbagliare tutti insieme piuttosto che confondere ulteriormente il paziente».
(Andrea)
Emanuela ha descritto il caso di un paziente a cui il medico aveva promesso la sospensione della terapia depot dopo tre mesi; alla scadenza concordata si valutò che le stato mentale non permettesse la sospensione ma il paziente la rivendicò e a fronte di un rifiuto, non si presentò ai successivi appuntamenti e si rese irreperibile anche a casa, ebbe una ricaduta e fu necessario ricoverarlo e, successivamente, aumentare le dosi di depot; lo stato mentale si è stabilizzato, ma attualmente vi sono minori possibilità di diminuire la dose.
- L’ utilizzo di rapporti amichevoli e informali, ferma restando la chiarezza e la distinzione dei ruoli.
In questo costituente compaiono consistenti variazioni individuali.
Laura da un lato ha sottolineato la necessità della distinzione dei ruoli mentre altri intervistati attribuiscono in alcune situazioni il valore terapeutico di momenti informali, vissuti in maniera amicale.
b) Una graduale autonomizzazione - responsabilizzazione del paziente nella terapia ha un profondo valore terapeutico perché è un indice di una raggiunta accettazione della terapia, del miglioramento clinico, che sono i presupposti di un eventuale percorso riabilitativo.
In tale ambito l’infermiere può avere i positivi riscontri della continuità assistenziale. Francesca descrive come alcuni pazienti che pratichino da lungo tempo la terapia abbiano atteggiamenti e comportamenti di accettazione attiva «si presentano puntualmente agli appuntamenti col loro biglietto di prenotazione (...), per loro non è cosi’ fondamentale che sia l’infermiere di riferimento a praticare l’iniezione, l’importante è farla, ci tengono a farla puntualmente, per noi rappresenta un riscontro di fiducia nella terapia e di consapevolezza della sua necessità (...), sono persone che hanno fatto un loro percorso e che hanno sperimentato sulla propria pelle che non fare la terapia è deleterio (...), può succedere che ci dimentichiamo di registrare la scadenza del depot ma loro si presentano alla data precisa (...). La terapia diviene un abitudine, una responsabilità, un impegno che li rende in qualche modo persone affidabili, un rituale, assume il significato di una occasione sociale, di una parte a volte irrinunciabile della loro esistenza (...); anche alla luce di queste considerazioni, se il medico decide un giorno di sospendere la terapia, possono andare in profonda crisi».
Questo aspetto di autonomia, anche se dipendente dal farmaco, è stato visto come risultato positivo anche da Laura:
«seguo un paziente che si presenta sempre in ambulatorio due giorni prima della scadenza, mi dice di sentirsi nervoso e mi chiede di praticargli il depot, a fronte di comportamenti simili si può ragionevolmente ritenersi soddisfatti, il paziente ha capito che finchè il farmaco lo contiene può condurre una vita decorosa e parzialmente autonoma in una comunità alloggio, è in grado di lavorare, prima di accettare la terapia non ne era mai stato in grado»
TEMA 4
LA NATURA E LA QUALITA’ DEGLI INTERVENTI INFERMIERISTICI RELATIVI AL MOMENTO - DEPOT SONO INFLUENZATI DA VARIABILI ATTINENTI ALL’ ORGANIZZAZIONE ED ALLE RISORSE DISPONIBILI DI CIASCUN SERVIZIO.
Talvolta, a causa dei ritmi frenetici, dei carichi di lavoro e dell’ organizzazione, della insufficiente disponibilità di risorse o da un loro impiego non efficiente, il momento depot si riduce a mera somministrazione, non c’è il tempo o le possibilità per la conoscenza osservazione e valutazione accurata del paziente o per instaurare relazioni significative.
Come risulterà dall’analisi degli altri temi, costituenti e variazioni, gli elementi significativi del tema 4 permeano l’intera struttura, ma a maggior chiarezza si è ritenuto utile riassumerlo in una sede specifica.
L’afflusso non regolare degli utenti nei locali di somministrazione e quindi lo scarso tempo a disposizione per la somministrazione in determinate fasce orarie è stato visto come fattore ostacolante lo sviluppo degli aspetti relazionali. I locali deputati alla somministrazione inoltre sono stati descritti come inadatti ad una conversazione confortevole.
E’ stato in alcuni casi descritto uno scarso livello di continuità nella relazione infermiere-paziente per il fatto che gli incontri fossero occasionali o irregolari.
Le relazioni vengono talvolta interrotte dall’intenso turnover degli
operatori o dalla presa in carico degli utenti da altre equipe o di altri servizi per ulteriori trattamenti. Per ulteriori dettagli si vedano i Temi 3,5,6 e 8.
TEMA 5
LA CONTINUITA’ ASSISTENZIALE E QUINDI L’ACCETTAZIONE E L’EFFICACIA DELLE TERAPIE DEPOT SONO STRETTAMENTE CORRELATE ALLA CREAZIONE E CONSERVAZIONE DI UNA SALDA RETE DI OPERATORI CHE TROVA LA SUA ESPRESSIONE NEL SISTEMA DELLE MICROEQUIPE
Come già evidenziato dalla revisione della letteratura (8) e dal tema 3 il consolidarsi nel tempo del rapporto infermiere-paziente è il pre-requisito per «l’accettazione fiduciosa» della terapia e, implicitamente , della sua efficacia.
Simona ha ben sintetizzato le difficoltà che possono ostacolare la continuità assistenziale e che insorgono quando viene a mancare il contributo di un operatore:
«Spesso è difficile da parte del servizio garantire per lungo tempo lo stesso operatore per ogni paziente, principalmente per carenze nell’ organico e nella organizzazione; a volte, a fronte di eventi imprevedibili come le assenze per infortunio o malattia, viene a mancare il coordinamento tra gli operatori e ognuno finisce per agire a modo suo, così non vengono mantenute le scadenze nella somministrazione dei depot; chi dovrebbe sostituire i colleghi assenti non riesce a organizzarsi di fronte agli imprevisti».
Andrea descrive l’importanza di abituare i pazienti al turnover intenso degli operatori, per non incorrere in brusche ricadute dei pazienti e dover poi lavorare sull’urgenza (T.S.O., ricoveri):
« è importante che ogni persona sia collegata ad una equipe di due o tre infermieri, che siano costantemente individuate e disponibili figure di riferimento sostitutive, che compensino almeno in parte il vuoto relazionale del collega che viene a mancare; questi pazienti sono spesso incapaci di interagire in modo articolato, dobbiamo lavorare sullo sviluppo della capacità relazionale con una rete minima di operatori , ritengo che ciò sia fortemente educativo per il paziente, (...), in assenza dell’infermiere di riferimento è fondamentale che il paziente conosca già il sostituto;(..) abbiamo un collega in infortunio da diversi mesi ed è scontato che in casi come questi altri operatori subentrino per prendersi cura di quei pazienti formalmente assegnati a lui, il fatto di aver instaurato una minimo di relazione nel passato è indice di aver fatto un buon lavoro di programmazione ed è molto più semplice poi subentrare al collega».
Al raggiungimento di un tale obiettivo gli infermieri hanno descritto come utili i momenti di gruppo (attività dei centri diurni ,uscite ricreative-risocializzanti) in cui i pazienti hanno modo di conoscere con gradualità altri operatori; altrettanto utili in questa prospettiva risulterebbero i turni di somministrazione dei farmaci in infermeria; è sempre Andrea a spiegare: «da questo punto di vista può essere una occasione importante per interagire anche con pazienti che non seguiamo personalmente».
Nel caso delle terapie effettuate al domicilio, la possibilità che vi siano sempre due operatori è stata giudicata come ottimale.
Raffaella ha descritto degli incontri con una paziente anziana che non usciva mai di casa e che accettava la somministrazione solo dall’ infermiera di riferimento : « l’ho conosciuta accompagnando varie volte la collega, così ho avuto la possibilità di farmi accettare con gradualità; quando la collega ha chiesto il trasferimento la paziente è stata assegnata a me (...), quando mi assentavo per le ferie era mia cura informarla con adeguato anticipo, rassicurarla di essere comunque in buone mani e raccomandarle la collega che mi sostituiva».
TEMA 6
L’AMBIENTE E’ UNO TRA I PRINCIPALI FATTORI CHE INFLUENZANO IL MOMENTO-DEPOT
Nell’ambito del luogo fisico in cui avviene la somministrazione, gli infermieri hanno distinto principalmente due scenari, quello domiciliare e quello ambulatoriale.
I significati racchiusi in questo tema sono piuttosto sfaccettati, a seconda delle diverse prospettive da cui lo si analizza.
Dalla prospettiva del paziente, il fatto di ricevere l’iniezione in un ambiente per lui gradito e confortevole può ridurre il disagio relativo all’atto in se e migliorarne l’accettazione.
Chiara ha descritto gli incontri con un paziente che non gradiva recarsi all’ambulatorio (vedi TEMA 8) e che palesava il disagio col silenzio e l’inespressività facciale; «ho pensato che proporre di fare il depot al domicilio potesse attenuare questo disagio, ho quindi «osato» inserire nella relazione un elemento di contrattazione (...). Con mia grande sorpresa e soddisfazione i riscontri sono stati positivi. Col tempo, nel corso dei nostri incontri al domicilio, il paziente ha preso ad accogliermi prima con un sorriso abbozzato, poi con un atteggiamento gradatamente più rilassato, poi abbiamo rotto il ghiaccio ed ha iniziato a parlare»
Tra i vantaggi della somministrazione a domicilio, è stato evidenziato come certi pazienti percepiscano una maggiore attenzione da parte degli operatori e si sentano più sicuri.
Gli incontri al domicilio infatti hanno generalmente una durata maggiore rispetto a quelli in ambulatorio e consentono una più accurata valutazione globale del paziente.
Andrea spiega come l’osservazione del paziente sia più attenta e approfondita: «hai la possibilità di valutare meglio le condizioni generali e mentali, il suo grado di autonomia nello svolgere le attività quotidiane in base alle condizioni dell’abitazione (...), inoltre ho constatato che il comportamento della persona è più naturale a casa sua, se ad esempio ha dei rituali li puoi osservare là, e quindi si riescono a ricavare maggiori informazioni cliniche (...); certo la somministrazione domiciliare è molto più dispendiosa per il servizio in termini di tempo ma può comunque essere proficuamente utilizzata come visita domiciliare, per dialogare e per consolidare il rapporto».
Per quanto concerne le somministrazioni ambulatoriali gli infermieri ne hanno sottolineato gli aspetti negativi come quelli positivi dalla prospettiva del paziente:
- breve durata degli incontri: Emanuela ha osservato come in alcuni giorni l’attività in ambulatorio sia veramente frenetica «solitamente nel fissare un appuntamento per il depot non indichiamo un orario e si verifica che i pazienti si concentrino fuori l’infermeria principalmente nelle ore centrali del mattino (9-11); diventa così difficile dedicare tempo sufficiente per una osservazione accurata, vi sono gli altri fuori che iniziano a bussare, molti sono incapaci di sostenere l’attesa, in altri orari ci si può soffermare con maggiore tranquillità, ci si può relazionare, ascoltando e informandoci su ansie, problemi e bisogni relativamente al quotidiano, si può valutare se la terapia consente una qualità di vita accettabile».
- scarsa intimità degli incontri, per il fatto che i locali di somministrazione sono poco spaziosi e a volte occupati da più pazienti contemporaneamente.
Il fatto che i pazienti si rechino in ambulatorio è stato, d’altro canto, valutato come un prova tangibile di un soddisfacente grado di accettazione della terapia, di maggiore autonomia e di un minor grado di disagio mentale.
Laura ha riflettuto sul fatto che la volontà del paziente di recarsi in ambulatorio implichi un maggiore consapevolezza e capacità di convivere col disagio.
Simona ha osservato che «per alcuni pazienti venire in ambulatorio rappresenta una occasione (vedi Tema 2), per uscire e frequentare un ambiente diverso (...); è un segno positivo che il paziente si rechi in ambulatorio, denota un suo minimo livello di autonomia e di benessere (...); ai pazienti che stanno male solitamente si ricorre alla somministrazione al domicilio ma, se stanno meglio, la possono vivere come una totale dipendenza dall’ infermiere».
TEMA 7
IL BAGAGLIO DI CONOSCENZE SCIENTIFICHE, L’ESPERIENZA CONSOLIDATA SUL CAMPO, LA COMPETENZA TECNICA, UNA SODDISFACENTE COLLABORAZIONE ALL’ INTERNO DELL’ EQUIPE INFLUENZANO PROFONDAMENTE LA RELAZIONE NELLA SOMMINISTRAZIONE DEL DEPOT DETERMINANDO LA SICUREZZA E L’AUTORITA’ PROFESSIONALE.
Uguale importanza rivestono in tale contesto la curiosità intellettuale e l’entusiasmo degli operatori.
In questo tema compaiono i concetti di «autorità professionale» e di «sicurezza professionale» (si veda la Guida alla lettura, pag. x).
Dalle interviste sono emersi i primi approcci professionali degli infermieri con pazienti psicotici e schizofrenici; secondo Chiara all’inizio della pratica professionale l’impatto è estremamente problematico, a volte traumatico: «la formazione di base non ci ha assolutamente fornito gli strumenti per affrontare queste situazioni, ci si basa più che altro sul buon senso, sbagliando, perché i comportamenti di queste persone sono spesso imprevedibili e assolutamente trascendenti quello che comunemente si definisce buon senso».
Simona ha percepito come inadeguate le sue conoscenze di farmacologia; ha descritto degli incontri con un paziente che «aveva un bagaglio di conoscenze sul farmaco che assumeva e sugli effetti collaterali anche superiore al nostro» e in più occasioni non le era riuscito di praticare l’iniezione perchè il paziente, percependo la sua insicurezza, si arrogava il diritto di decidere la dose e controllava la preparazione dell’ iniezione.
Anche la personale esperienza di collaborazione degli infermieri all’ interno dell’ equipe pare influenzare il grado di autorità professionale percepito e posto in atto (2-3).
L’ esperienza di Anna, infermiera con quasi ventennale esperienza professionale e specializzazione in assistenza psichiatrica offre un esempio che definirei paradigmatico di un alto grado di autorità professionale:
«Penso che non spetti al solo medico la valutazione periodica delle condizioni mentali (Mental State Assessment) del paziente, come sostenuto da molti miei colleghi; ritengo di avere le capacità e le conoscenze per poter svolgere un ruolo attivo e decisionale nell’iter terapeutico; la prescrizione naturalmente spetta al medico, ma io ritengo di poter essere utile nel dare indicazioni, ragionate e motivate in base alla conoscenza del paziente e alle mie osservazioni durante gli incontri di somministrazione; mi è capitato di suggerire riduzioni di dose a fronte di effetti collaterali eccessivi o variazioni nell’ intervallo di somministrazione (...). Ho sempre intessuto soddisfacenti rapporti di collaborazione coi medici e anche questo ha accresciuto la mia influenza sulle loro decisioni terapeutiche a beneficio dei pazienti».
Di colore diverso appare l’esperienza di Simona, connotata da una percezione di collaborazione insoddisfacente coi medici: «mi sono interrogata più volte sull’opportunità di una terapia ma comunque mi sono attenuta alle disposizioni del medico (...), generalmente non intervengo nella discussione sulle terapie farmacologiche, mi limito a chiedere dei chiarimenti; decidere un intervento farmacologico non spetta a me (...). Mi è capitato a volte di osservare ascessi ed ematomi estesi sui glutei di alcuni pazienti che effettuavano il depot e l’ho segnalato al medico affinchè valutasse l’opportunità del passaggio ad una terapia orale».
Il fatto di conoscere meglio e di essere più a contatto col paziente è stato valutato come presupposto legittimante decisioni autonome in vari aspetti dell’ iter terapeutico, quali ad esempio la valutazione e la scelta dello scenario più opportuno di somministrazione, in base ai bisogni espressi dall’ utente (si veda il Tema 6).
TEMA 8
E’ ETICAMENTE INACCETTABILE E TERAPEUTICAMENTE CONTROPRODUCENTE SOMMINISTRARE LA TERAPIA DEPOT CONTRO LA VOLONTA’ DEL PAZIENTE ANCHE SE CIO’ E’ PARZIALMENTE GIUSTIFICATO DALLA CONVINZIONE DI AGIRE NEL SUO INTERESSE
Questo tema, che raccoglie la dimensione etica del trattamento depot, riprende la variazione denominata da Svedberg et a.(3) come «benevola giustificazione» che fa riferimento a situazioni descritte dagli infermieri come «moralmente problematiche», a prescindere dal fatto che i pazienti si trovassero nella condizione di T.S.O.; d’altro canto, non essendo i depot annoverabili tra i «farmaci d’urgenza», gli infermieri hanno descritto come rare le somministrazioni in fase acuta di malattia ed in tale regime.
Trovandosi faccia a faccia con pazienti con atteggiamenti ambigui, ostili o rassegnati di fronte alla somministrazione della terapia gli intervistati hanno espresso la propria vulnerabilità etico-emotiva, ma giustificando comunque le loro azioni con la convinzione che queste fossero finalizzate in qualche modo all’interesse dell’assistito.
Chiara ha descritto degli incontri regolari con un paziente affetto da depressione cronica per la somministrazione del depot: “quando veniva in ambulatorio era mutacico, appariva una persona senz’anima veniva sempre accompagnato dalla moglie che appariva rassegnata alla malattia del marito e parlava per lui (...), percepivo che quell’uomo subiva una violenza nel recarsi all’ambulatorio, percepivo la sua angoscia muta, il suo «vivere male la terapia», ma ritenevo di agire per alleviare le sue sofferenze “.
Andrea descrive, da un punto di vista più generale, come terapeuticamente inutili le somministrazioni e i ricoveri in regime di T.S.O. o comunque reiterati, pur riconoscendone a volte la necessità: «vedere una persona entrare e uscire continuamente dall’SPDC, mi fa tornare in mente la situazione precedente alla legge 180/78 (...); anche in certe comunità i pazienti vivono in una sorta di cattività dove è difficile seguire l’evoluzione del disagio e porre in atto un percorso di reale cura e di riabilitazione (...) nelle situazioni acute a volte la somministrazione si riduce ad una azione meccanica e questo certamente non è terapeutico, non si ottiene nulla, i pazienti entrano ed escono dall’ ospedale (...) a volte mi chiedo seriamente se il nostro lavoro sia finalizzato più a soddisfare i bisogni di contenimento della malattia mentale espressi dalla società che quelli dei pazienti».
Francesca si è ritenuta fortunata perchè: «poche volte mi è capitato di praticare un depot in «regime di costrizione» (...), ma che credo fermamente che in tali casi sarebbe stato deleterio per il paziente il non praticargliela; si cerca sempre di fare accettare la terapia ma a volte questo è impossibile», a fronte di ideazioni e sintomatologie intrinseche al disagio.
Sostituirsi al paziente nel prendere decisioni è visto pertanto da tutti gli intervistati come extrema ratio, un modo di proteggerli da conseguenze deleterie per se stessi (ricadute, ricoveri, autoviolenza) e per gli altri (comportamenti aggressivi e violenti).
D’altro canto Anna, infermiera che ha vissuto la transizione dal sistema manicomiale a quello territoriale ha riflettuto sui profondi cambiamenti nell’approccio degli infermieri di fronte a pazienti non collaborativi: «quando iniziai la mia attività lavorativa in salute mentale, gran parte degli infermieri allora in servizio proveniva dai nosocomi psichiatrici ed aveva atteggiamenti estremamente autoritari nei confronti dei pazienti». Negli anni l’approccio si è gradualmente spostato dal polo dell’agire per compiti a quello del pensare, anche alla luce delle acquisizioni del movimento della Psichiatria Democratica e della disciplina bioetica.
5.3 TEMI RELATIVI AI VISSUTI (pensieri, emozioni, sentimenti)
I Temi qui presentati sono stati estrapolati dall’analisi di quanto risposto dagli infermieri alle domande 2,3 e 4 dello schema intervista che, per maggiore chiarezza, vengono qui riportate:
2) Descrivi degli incontri difficoltosi con pazienti a cui ti se trovato a somministrare la terapia depot, che ti sono rimasti impressi nella memoria
3) Descrivi degli incontri che hai percepito come positivi con pazienti a cui ti sei trovato a somministrare la terapia depot, che ti sono rimasti impressi nella memoria
4) In riferimento agli incontri che hai descritto precedentemente esprimi tutti i pensieri, le emozioni e i sentimenti che riesci a ricordare.
Rispetto a quella relativa alle precedenti dimensioni fenomeniche, la struttura essenziale dei vissuti appare meno ricca di contenuti significativi; gli infermieri hanno in alcuni casi giudicato la domanda 4 della traccia come «troppo personale» e comunque un loro disagio si è spesso manifestato con modalità non verbali di comunicazione; relativamente a tale disagio è lecito fare alcune considerazioni e ipotesi:
- il tempo a disposizione per l’intervista potrebbe essere stato inadeguato per una rievocazione dei vissuti;
- gli intervistati hanno ritenuto che la domanda andasse a toccare dimensioni troppo intime e personali, non condivisibili con l’intervistatore;
- gli intervistati potrebbero non avere l’abitudine o le occasioni, in seno all’attività professionale, di rielaborare in equipe i vissuti, ipotesi che, come si vedrà in seguito, è stata direttamente o indirettamente confermata nelle interviste.
Si è ritenuto utile raggruppare i temi relativi ai vissuti in due categorie:
- vissuti relativi alla rievocazione degli incontri percepiti come difficoltosi (domanda 2 della traccia intervista);
- vissuti relativi alla rievocazione degli incontri percepiti come positivi (domanda 3).
5.3.1 Temi relativi alle situazioni difficoltose
1) Inadeguatezza - Frustrazione – Impotenza
Le percezioni di inadeguatezza e di impotenza sono ricorrenti soprattutto quando gli infermieri descrivevano in generale la loro scarsa esperienza (non attinente quindi la sola gestione delle terapie depot), all’ inizio dell’attività professionale.
Il senso di inadeguatezza e di impotenza descritto in alcuni incontri da Laura è correlato alla sua concezione di inguaribilità della patologia schizofrenica (tale rappresentazione è maturata in lei sia dalla formazione specialistica che dall’esperienza professionale); il senso di impotenza può’ sfociare nell’operatore in atteggiamenti di rifiuto di assistere ulteriormente i pazienti (sindrome da burn out).
Il senso di frustrazione è stato descritto in situazioni in cui gli infermieri hanno percepito un basso grado di riconoscimento del loro ruolo professionale di mediatori fra medico e paziente e di coinvolgimento nel prendere decisioni sulla terapia; in tali situazioni «ci viene praticamente imposta una linea di comportamento dal medico».
Il senso di impotenza e quindi la difficoltà di gestire la situazione può trovare la sua valvola di sfogo anche nell’attenersi in modo acritico alle disposizioni del medico (si regredisce all’agire per compiti di mansionariale suggestione!).
Sono stati riportati come estremamente frustranti incontri caratterizzati dalla mera somministrazione del farmaco o periodo in cui la gestione della terapia depot ha rappresentato l’unica occasione per incontrare
l’utente; il senso di frustrazione diviene maggiore nei casi di somministrazione forzata che «sono eventi che andrebbero il più possibile evitati e che denotano l’inefficacia dei nostri interventi assistenziali» (Francesca e altri).
Raffaella ha descritto come frustrante la sua incapacità di relazionarsi in modo efficace con tutti gli utenti («non è facile accettare che tra noi e il paziente ci sia a volte una barriera insormontabile»).
I vissuti sopra estrapolati, che derivano dalla percepita incapacità di alleviare la sofferenza psichica, di contenere l’emotività del paziente con interventi relazionali, di comprenderne le richieste di aiuto, di fare fronte ai bisogni espressi sfociano nella tristezza, nello sconforto e nel senso di rassegnazione, fino a talvolta giungere ad una sintomatologia depressiva.
2) Disagio etico
L’esprimere disagio per le somministrazioni forzate, anche se esse erano ritenute benefiche per l’utente, è stato unanime perché comunque considerato come il praticare un atto di violenza a un essere umano.
Simona e Chiara hanno anche descritto come situazioni estremamente sgradevoli l’essere costrette a ingannare e a mentire a pazienti con deliri persecutori che rifiutavano la terapia: «Non si riusciva a somministrargliela o esigevano una riduzione della dose, così preparavo di nascosto l’iniezione, dopo avergli detto che non l’avrei fatta, o cercavo di non far vedere loro la quantità del farmaco che aspiravo nella siringa» (Simona).
3) Timore autoconservativo
Quasi tutti gli infermieri hanno descritto l’istintivo timore di essere aggrediti e di subire lesioni e ferite da pazienti in fase critica; il timore è maggiore nel caso di pazienti poco conosciuti, di cui diviene estremamente difficile prevedere le reazioni comportamentali.
4) Timore di cagionare danno al paziente
Di fronte ad un paziente aggressivo il naturale impulso è quello di immobilizzarlo e contenerlo fisicamente; la prima preoccupazione è quella di difendere se stessi, ma si teme anche per la salute ed incolumità dello stesso paziente; si cerca sempre di parlargli per tranquillizzarlo.
Sia nelle rappresentazioni che nei vissuti degli intervistati pertanto il concetto bioetico di beneficialità (svincolato da rappresentazioni e comportamenti subordinati ad un etnocentrismo professionale) appare come dominante.
5) Solitudine - Senso di Vulnerabilità
Emanuela ha descritto un incontro per lei traumatico con un paziente in crisi psicotica che si era presentato all’ambulatorio accompagnato dai genitori perché rifiutava di sottoporsi alla terapia di mantenimento col depot: « lo ricordavo come una persona mite ma in quella circostanza aggredì verbalmente il medico e si rese necessario sottoporlo a un T.S.O.; mentre quattro colleghi lo trattenevano, io cercai di iniettargli il neurolettico ma si divincolò e mi colpì violentemente al braccio ed alla schiena con un calcio (...), oltre al dolore ed alla paura, per la reazione inaspettata mi sentii fragile e sola perché i colleghi erano ancora impegnati col paziente (...); quando poi la situazione si normalizzò, piansi a lungo (...), nel mese successivo avvicinavo tutti i pazienti con molta circospezione ed ansia».
Anna ha sottolineato la sua solitudine nella maggior parte degli incontri «critici» in cui si è trovata sola nel tentare di persuadere il paziente sull’ importanza di ricevere la terapia: «quasi mai ho potuto contare sulla presenza del medico, in quei momenti ti metti in gioco davanti al paziente e sei conscia che se sbagli nel relazionarti puoi essere soggetta a violenza fisica e verbale».
Interessante risulta il senso di solitudine descritto da Andrea, cagionato dalla mancanza di «momenti in cui riordinare e analizzare i propri vissuti» insieme ai colleghi infermieri e ai membri dell’equipe» ; le emozioni provate nei momenti di difficoltà sono molto intense e, se non rielaborate adeguatamente, si ripercuotono negativamente in seguito (si
veda il tema dell’Ansia); diviene fondamentale, per Simona ed Emanuela, il conforto, la solidarietà dei membri dell’equipe e «il seguire le dinamiche del gruppo».
6) Ansia
Andrea ha descritto incontri in cui ha avuto la percezione che la situazione potesse sfuggirgli di mano: «a fronte di comportamenti aggressivi di pazienti che rifiutano la terapia si rimane a volte traumatizzati, non ci si sente in grado di contenere l’emotività del paziente; si accumula molta tensione emotiva che viene poi scaricata con atteggiamenti aggressivi e di intolleranza nei confronti dei colleghi, di altri pazienti e nella vita privata»; l’ansia degli operatori può giungere a manifestarsi con somatizzazioni (cefalea, dispnea, cardiopalmo).
7) Imbarazzo
Il tema dell’imbarazzo è stato descritto come emozione causata dalla mancata adozione da parte degli operatori di comportamenti omogenei e coerenti fra loro in relazione al rifiuto della terapia.
Una linea di condotta non univoca è vista da Andrea come fonte di ulteriore confusione e disorientamento nei pazienti ed, in alcuni casi, è stata da lui descritta come una delle cause dell’insorgenza di comportamenti aggressivi nei pazienti.
8) Curiosità
Le situazioni vissute come negative sono state elaborate in un momento successivo, suscitando la curiosità intellettuale di conoscere meglio le storie personali e i vissuti dei pazienti al fine di comprendere i loro comportamenti (cause che determinavano ad esempio comportamenti aggressivi o di rifiuto della terapia); a Chiara capitò di osservare, durante una visita domiciliare, il rifiuto di una paziente a sottoporsi al depot sfociato in una aggressione sulla collega. Mossa dalla curiosità ne indagò i vissuti, scoprendo che la paziente provava sentimenti ostili verso la collega per il fatto che, durante vari ricoveri ospedalieri, l’avesse maltrattata ripetutamente e contenuta fisicamente.
5.3.2 Temi relativi alle situazioni positive
9) Senso di Adeguatezza- Autostima
Chiara ha descritto incontri positivi in cui si è sentita in grado di rispondere ai bisogni espressi dei pazienti, alla luce della sua accresciuta conoscenza della loro storia personale e clinica; questa sua percezione l’ha spinta a «mettersi in gioco» per l’interesse dei suoi assistiti.
10) Realistica soddisfazione - Gratificazione
Il tema della realistica soddisfazione è strettamente connesso alla rappresentazione di inguaribilità della malattia mentale (5.2, tema 1) e, pur se considerato come gratificazione professionale è permeato da una frustrazione di fondo dell’infermiere di fronte a utenti che assiste dall’ inizio dell’attività professionale:
« Far accettare la terapia depot ad un paziente è un lavoro lungo, faticoso, spesso assai deprimente e provante per l’infermiere ma puoi ritenerti soddisfatto quando il paziente accetta la terapia e questa gli rende possibile la convivenza sociale (...); è un tipo di gratificazione molto diversa rispetto ad altri settori dell’assistenza infermieristica, si hanno conferme relativamente modeste dell’efficacia del proprio lavoro, che mettono maggiormente di fronte a limiti oggettivi e soggettivi e questo è difficile da accettare, soprattutto per gli infermieri provenienti da altre esperienze lavorative».
(Laura)
Simona ha espresso un senso di gratificazione autentico ed assoluto, ma per un risultato diverso dalla semplice accettazione della terapia:
«mi sento molto gratificata se, per effetto dei miei interventi relazionali e della terapia depot, sicuramente indispensabili, un paziente in precedenza pigro, svogliato e privo di interazioni sociali, manifesti il desiderio di partecipare a gruppi psicoterapeutici od ad attività risocializzanti (...), ciò che professionalmente più mi realizza é che il paziente diventi più autonomo nelle attività di vita quotidiana e che riesca a impiegarsi con costanza in qualche occupazione, anche se modesta».
11) Incredula soddisfazione
Questo vissuto esprime la gioia per un risultato clinico insperato ed è stato descritto da Francesca: « Quando il paziente (si veda la descrizione del caso al paragrafo 5.2, Tema 1) si è presentato alla festa dell’ambulatorio in occasione delle Feste Natalizie non potevamo crederci, è stato qui un’oretta, poi ci ha fatto gli auguri e ci ha detto che con la terapia depot stava meglio!».
12) Amicizia - Affetto
Raffaella ha parlato di amicizia in termini di:
- sentimento che ha valenze terapeutiche per gli utenti, che spesso hanno poche o nulle interazioni sociali;
- elemento irrinunciabile, da inserire nella relazione di aiuto, per accrescere la fiducia nell’ operatore e migliorare l’ accettazione della terapia.
Anna ha sottolineato come sia praticamente impossibile non provare affetto nei confronti dei pazienti che si conoscono da lungo tempo e ritiene conciliabili il sentimento di amicizia e la dimensione professionale della relazione; in presenza di un rapporto di amicizia consolidato inoltre difficilmente si può giungere all’estremo di dover imporre una terapia;
il sentimento di amicizia genera un senso di solidarietà e atteggiamenti di abnegazione. E’ sempre Anna a riportare l’episodio di un paziente da lei assistito da molti anni :» ebbe una ricaduta e insieme decidemmo per un ricovero; mi telefonò dall’SPDC per chiedermi di andare personalmente a somministrargli la terapia e di andarlo a prendere alla dimissione ed io, per non tradire la fiducia e l’amicizia ci andai, anche se al di fuori dell’orario di lavoro».
13) Entusiasmo - Non rassegnazione
Il vissuto di non rassegnazione, come si è già visto in precedenza, getta le sue basi nella personale rappresentazione del disagio psichico (5.2, Tema 1); l’entusiasmo scaturisce, oltre che dalla non rassegnazione, dal livello di motivazione professionale direttamente o indirettamente espresso, e dalla curiosità intellettuale, anch’essa già trattata (5.2, Tema 7).
Anna ed Andrea, pur avendo un curriculum professionale molto diverso, hanno similmente espresso questo sentire:
« Ogni operatore, a prescindere dalle sue conoscenze, dovrebbe avere la predisposizione mentale di voler scoprire sempre nuovi orizzonti nell’ ambito del disagio psichico; ciò che muove il nostro agire è anche il desiderio, la costante curiosità di scoprire e di esplorare sempre nuovi elementi del complesso universo di questi pazienti, la sete di conoscenza è uno dei presupposti fondamentali per fornire un aiuto concreto a queste persone (…)» .
(Anna)
« Credo di avere ancora molte lacune sul tema delle terapie depot, ma non lo vedo comunque come un limite ma come stimolo a interrogarsi, a mettersi continuamente in discussione, a imparare e sperimentare sul campo, costantemente, ad aprire nuove vie; non bisogna considerare le conoscenze che ci sono state trasmesse come verità assolute, è necessario dare il proprio personale contributo, ponendosi obiettivi di miglioramento nella pratica, anche se limitati, altrimenti l’ entusiasmo è destinato a venir meno».
5.4 Discussione
Dagli intervistati è emerso che tale ricerca ha rappresentato
un’occasione di riflessione sulla pratica professionale a partire dalla rievocazione della propria esperienza.
Seppure la maggioranza degli intervistati abbia avuto una formazione professionale orientata all’agire per compiti, è emerso nelle rappresentazioni un consolidato superamento della forma mentis mansionariale; il grado di questo superamento pare strettamente correlato alla formazione specialistica ricevuta e all’esperienza professionale.
In alcune interviste è emerso che la curiosità intellettuale e il superamento del pregiudizio relativo al disagio sono vissuti e rappresentazioni positive che guidano un costruttivo e gratificante agire professionale
I significati attribuiti alla relazione, all’ascolto ed alla rilevazione dei bisogni delle persone assistite consentono di poter affermare che gli infermieri intervistati abbiano fatto propri i contenuti del profilo professionale, riconoscendo il proprio agire attraverso le funzioni da esso delineate.
Così come emerge dal dibattito presente in letteratura (2-3-5-6-8)
anche dalle interviste traspare la consapevolezza degli infermieri sulle potenzialità terapeutiche di ampio respiro insite nella propria figura.
La somministrazione della terapia depot non viene pertanto riconosciuta come puro atto tecnico ma ne viene sottolineata la ricchezza di contenuti e la valenza di contenitore.
Dall’analisi della struttura emerge che i comportamenti degli infermieri sono spesso discrepanti dalle rappresentazioni e ne sono i fattori causali:
- il grado di autorità professionale percepito dagli intervistati e riconosciuto dalle altre figure dell’equipe
- le variabili organizzative di ciascun servizio, in termini di durata degli incontri (che potrebbe essere inadeguata per brevità), carichi di lavoro, insufficiente disponibilità di risorse umane e strutturali o da un non efficiente impiego delle stesse, dalla mancata continuità assistenziale ed infine dall’intenso turn-over degli operatori.
Le variabili organizzative inoltre influenzano la natura e la qualità delle relazioni che intercorrono durante la somministrazione del depot.
Il contesto ambientale è appannaggio dell’infermiere a seconda di come viene esperita la propria autorità professionale.
Il contesto è intimamente legato alla relazione che si instaura, ma tale legame è dipendente dalla dimensione soggettiva del paziente anche nella prospettiva della compliance.
La compliance pertanto è un percorso dinamico influenzato da elementi di relazione, di riconoscimento dell’individualità e dall’ambiente circostante la somministrazione.
L’analisi dei dati inoltre conferma quanto espresso da Saraceno:
« I neurolettici depot e in generale gli psicofarmaci non debbono essere considerati come l’unico e isolato strumento di terapia, tanto nelle situazioni acute, quanto in quelle croniche. Al contrario essi rappresentano un frammento della risposta alla domanda di aiuto del paziente e pertanto, logica prevede che vadano inclusi in una strategia di intervento integrale. Essi agiscono infatti, come mediatori in quanto, alleviando alcuni sintomi, permettono al paziente di relazionare con più facilità ed efficacia con se stesso, con le persone che gli stanno attorno e con gli operatori che se ne prendono cura».
(Modificato da Saraceno, 1993) (26)
Nel corso delle interviste gli infermieri hanno espresso anche delle proposte di miglioramento del servizio depot, nonché di formazione e di sostegno degli operatori che si è ritenuto interessante inserire in tale sede di discussione dei risultati della ricerca.
MIGLIORAMENTO DEL SERVIZIO
Emanuela ha sottolineato la necessità di adottare un modello di organizzazione degli incontri per la somministrazione del depot più efficace e rispondente alle esigenze e al tempo soggettivo dei singoli pazienti:
“ E’ importante conciliare la regolarità dell’intervallo di somministrazione con le esigenze dei singoli pazienti (…); essi dovrebbero avere la possibilità di scegliere il giorno di somministrazione (…), la scadenza del depot di per sé non è così fondamentale, è importante che il paziente si senta seguito e anche il dar loro la possibilità di anticipare o posticipare l’incontro, può rappresentare una modalità per renderli consapevoli del nostro esserci, della nostra volontà e capacità di ascolto, di cogliere i loro bisogni e segnali di disagio (ad esempio il paziente che chiede di anticipargli la terapia perché non si sente bene), della loro possibilità di partecipare attivamente al progetto terapeutico e di essere considerati come persone”.
Chiara ha evidenziato l’importanza del reciproco riconoscimento dei ruoli in seno all’ equipe, a cui è strettamente correlato lo sviluppo ed il rafforzamento dell’autorità professionale. Pertanto la progettualità assistenziale deve prevedere il coinvolgimento ed il riconoscimento dellla valenza terapeutica di tutte le figure professionali.
Questa consapevolezza della necessità di creare un “sistema degli appuntamenti per il depot” è emersa anche dall’analisi della letteratura; nello studio di Muir Cochrane ,relativo all’esperienza di un gruppo di infermieri australiani, è stato posta in evidenza l’importanza terapeutica e pratico-organizzativa che riveste una modalità di programmazione e di aggiustamento degli incontri depot flessibile, che incoraggi pertanto i pazienti a responsabilizzarsi nel ricevere la terapia, migliorandonequindi la compliance (8).
FORMAZIONE E SOSTEGNO
La ricerca infermieristica nell’ambito della salute mentale trova ancora oggi difficoltà nell’essere riconosciuta come strumento di valorizzazione dell’agire professionale; è ragionevole ipotizzare che un suo efficace utilizzo potrebbe sancire il riconoscimento e la valorizzazione delle capacità del singolo e del gruppo mediante riscontri tangibili e misurabili.
Troppo spesso il coinvolgimento emotivo non consente all’infermiere di riconoscere il raggiungimento degli obiettivi assistenziali poiché vengono a mancare, ad esempio, oggettivi strumenti di valutazione e quantificazione del benessere raggiunto dal paziente
Andrea ha sottolineato l’importanza di creare maggiori occasioni istituzionali e strutturate di confronto, elaborazione e supporto dei propri vissuti nelle interazioni con i pazienti al fine di evitare sensazioni di inadeguatezza nel proprio agire professionale che in taluni casi possono sfociare nella sindrome da burn out.
Francesca ha sottolineato l’importanza di una formazione specifica permanente come strumento individuale finalizzato al riconoscimento, allo sviluppo ed all’utilizzo delle proprie risorse per favorire una relazione empatica e consapevole dei limiti individuali.
- adeguata formazione può influenzare prescrizione (Bennett)
- riprendere usher e happell
5.4.1 Considerazioni etico-metodologiche
spostare in metodo
Lo schema dell’intervista è stato presentato e discusso, al fine di valutarne la chiarezza e la validità come strumento di raccolta dati, con dei tutor del D.U.I. con vasta e consolidata esperienza di insegnamento nel campo della salute mentale, di docenza e di pratica nell’ambito della metodologia della ricerca infermieristica ed una infermiera specializzata in nursing psichiatrico e con una esperienza clinica di lungo corso.
Sono inoltre state condotte regolari discussioni con la suddetta infermiera durante le varie fasi dello studio; tali discussioni sono state ritenute utili per sospendere i preconcetti e i pregiudizi dell’intervistatore (il candidato) in merito alla gestione delle terapie depot.
Prima di ciascuna intervista l’intervistatore ha quindi cercato il più possibile di non essere influenzato dal proprio pregiudizio-ipotesi di ricerca (la somministrazione della terapia depot come fondamentale occasione terapeutica per l’infermiere), al fine di «cogliere la realtà empirica al di là di sé stesso» (Swanson-Kauffman e Schonwald, 1988) (30) e di rappresentare accuratamente la realtà descritta dagli intervistati.
Agli intervistati non è stato mostrato lo schema delle domande precedentemente all’intervista, né sono state rivelati l’ipotesi di ricerca e le dimensioni fenomeniche che le domande intendevano esplorare, al fine di influenzare il meno possibile le risposte e di limitare lo stile di risposta dettato dal più o meno inconscio criterio del «socialmente desiderabile» (la inevitabile preoccupazione dell’intervistato di dare risposte adeguate a ciò che si aspetta il ricercatore, a ciò «che fornisce l’immagine di sé che si vuole dare in quel momento» e che può compromettere la veridicità di quanto affermato) (27-30).
La modalità di analisi dei dati, attinta dalle teorie-metodo fenomenologiche di Colaizzi e Giorgi è stata altresì ritenuta utile per controllare le conoscenze e, implicitamente, i preconcetti dell’intervistatore, derivanti dalla personale esperienza di tirocinio e dallo studio e analisi della letteratura sull’argomento.
Nei risultati dello studio sono state inserite numerose citazioni testuali estrapolate dalle inteviste audioregistrate, al fine di riportare dati il più possibile ricchi e consistenti (29-30).
- atteggiamento positivo a seconda dell’ idea che l’infermiere ha della malattia mentale, se il disagio mentale è ritenuto inguaribile prevale rassegnazione (frustrazione), l’ entusiasmo è motivato dal pensiero che i disagiati mentali a volte possano migliorare sensibilmente e a volte guarire; obiettivi realistici che gratifichino danno entusiasmo.
«Gli ammalati possono guarire nonostante i farmaci o in virtù dei farmaci»
(J. H. Gaddum, 1959)
CONCLUSIONI
Il significato di questo lavoro, come si sarà intuito, non è stato quello di fornire dati statistici , data la non significatività del campione e la natura qualitativa dello studio intrapreso, ma sollevare discussioni e riflessioni partendo da un problema concreto della pratica infermieristica, fornire suggestioni da trasporre, in una seconda fase di approfondimento, su un piano statistico e pratico-applicativo, con lo sviluppo di ulteriori studi di tipo quantitativo e di ricerche di innovazione.
I risultati ottenuti sono andati oltre a quelle che erano le aspettative e i quesiti di ricerca.
.Questo lavoro ha cercato di mettere in rilievo l’importanza della somministrazione dei depot come intervento-chiave nella relazione infermiere-paziente.
I dati ottenuti, confermano che il «momento depot» non
possa prescindere da un approccio integrato di cura e di assistenza dei pazienti affetti da grave disagio mentale; un tale approccio deve necessariamente passare attraverso l’utilizzo, accanto ai farmaci neurolettici e a tutto ciò che sta loro intorno e che questa tesi ha cercato di descrivere, di altri interventi terapeutici e riabilitativi , attuati in un’ottica di collaborazione, integrazione e coordinamento dalle varie figure professionali che compongono l’equipe.
In questo fase storica in cui la professione infermieristica si trova coinvolta nei cambiamenti in atto nel sistema sanitario e della salute salute pare che l’infermiere sia attrezzato ad affrontare
Non si potrà inoltre non considerare le implicazioni infermieristiche (tecniche, relazionali ed educative) derivanti dalla futura introduzione nella pratica clinica delle forme depot dei neurolettici atipici; è lecito supporre che profondi mutamenti si verificheranno anche nella pratica infermieristica relativa alla gestione di questo fondamentale e cruciale, credo questa tesi abbia dimostrato, aspetto dell’assistenza ai pazienti affetti da grave disagio mentale.
I limiti del presente studio sono identificabili in primo luogo nel campione ridotto utilizzato; tale limitatezza è peraltro riconducibile al modello teorico-metodologico, di tipo fenomenologico, che ha guidato la progettazione e la realizzazione di tale lavoro. Lo strumento di ricerca adottato, l’intervista personale, pur se ritenuto valido e utile per la raccolta di dati significativi, ha presentato alcune difficoltà operative, quali il cospicuo tempo necessario per la realizzazione delle interviste e l’impegnativo lavoro di analisi ed elaborazione dei dati raccolti.
In secondo luogo, nonostante l’intervistatore abbia cercato di influenzare il meno possibile le risposte, la sua limitata esperienza e preparazione nella conduzione di interviste potrebbe aver generato errori sistematici o casuali, che potrebbero essere causa di riduzione della validità dei dati estrapolati e sintetizzati nei vari Temi della struttura (27).
Occorre inoltre considerare le eventuali risposte fornite secondo il criterio del «socialmente desiderabile».
Una sesta ulteriore fase procedurale di analisi dei dati del modello di Colaizzi, non prevista dal modello di Giorgi, consiste nella conferma della validità dei temi estrapolati e dei loro costituenti, sottoponendoli al giudizio degli intervistati (30). Tale fase nel presente studio è stata omessa a causa del limitato tempo a disposizione.
Certamente un tale passaggio avrebbe consentito l’ulteriore raccolta di dati rilevanti da includere nella struttura fondamentale delle esperienze e avrebbe accresciuto la veridicità dei dati.
Lo studio è stato condotto in due D.S.M. dell’area metropolitana e della prima cintura torinese; tuttavia si ritiene che le tematiche evidenziate abbiano un significato sufficientemente generale da essere trasferibili a contesti simili, nei quali le interazioni fra pazienti ed infermieri siano dipendenti dall’organizzazione del servizio di somministrazione delle terapie depot (2-3-8-11).
L’insieme di questi elementi ci fornisce il quadro delle esperienze individuali (fenomeni), che ritengo essere un valido strumento descrittivo; fornire una descrizione fenomenologica nella sue varie componenti può rappresentare uno strumento di conoscenza e consapevolezza, una modalità per trovare valide strategie di miglioramento della pratica infermieristica;
- ulteriori ricerche di tipo quantitativo-statistico che coinvolgano servizi e realtà diversi, sviluppando opportuni strumenti di ricerca e raccolta dati che indaghino e valutino singoli aspetti del complesso e sfaccettato problema di ciò che sta dentro e intorno al problema «depot» (qualità e natura delle interazioni verbali infermiere-paziente, compliance, farmacovigilanza);
- promuovere la formazione permanente e la conoscenza dei nuovi farmaci antipsicotici;
- sviluppo di protocolli e procedure che guidino gli interventi in questa area di ricerca nonché la loro verifica di efficacia e il confronto tra realtà operative in cui questi sono già esistenti ed applicati;
- ulteriori ricerche cliniche sul ruolo degli infermieri nel processo di trattamento curativo e riabilitativo, nella prospettiva dell’integrazione con le altre figure professionali coinvolte nei trattamenti depot
- analizzare l’esperienza individuale della somministrazione del depot dal punto di vista dei pazienti al fine di fornire suggestioni utili per miglioramenti organizzativi del processo di assistenza nell’ambito delle terapie depot
- programmare gradualmente gli obiettivi e nel contempo coglierne il raggiungimento cercando di porre in rilievo il reale valore delle proprie funzioni assistenziali, senza voler necessariamente andare oltre e dandosi un tempo per consolidare le proprie conquiste nei vissuti (reciproca alimentazione).
Vorrei concludere con una frase che ho tratto e rielaborato da un lavoro di Cunico (1999) in quanto ritengo che ben riassuma i valori che hanno suscitato in me il desiderio di dedicare una parte importante del mio percorso formativo a quest’area di ricerca della salute mentale:
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- Ad Irene Olanda, per la guida paziente, l’aiuto prezioso e il sostegno nei momenti di sconforto;
- Ad Anna Codazzi, per i preziosi consigli di metodologia;
- A Patrizia Sampietro, semplicemente grazie!
- A Caterina Cassinelli, per la disponibilità e l’aiuto non solo logistico;
- Agli infermieri degli ambulatori dei D.S.M. dell’ASL 2 e 5, senza i quali questo lavoro non esisterebbe;
- A mia madre, per avere avuto la tenacia di sopportarmi in tutti questi anni;