ritorno

II Convegno Nazionale: L’inserimento eterofamiliare assistito di persone con disturbi psichici

Lucca 15 – 16 Novembre 2001

 

Gruppo tematico:

Problematiche legate all’avvio del servizio di inserimenti eterofamiliari supportati[1]

G. Aluffi

Nonostante la storia degli inserimenti eterofamiliari supportati ne collochi le origini in un tempo di molto precedente alla nascita della psichiatria, ancora oggi, laddove non sia presente una cultura specifica sull’argomento, risulta piuttosto impegnativo e complicato tentare l’avvio di programmi che contemplino questa pratica. Le ragioni di tali difficoltà possono ricercarsi in fattori emotivi, culturali, sociali, spesso addirittura legati alla formazione professionale, ma, ovunque si presentino delle resistenze, queste difficilmente avranno a che fare con il risultato di analisi obbiettive, con osservazioni razionali o con il semplice ma pur sempre valido buon senso. Una efficace diffusione di informazioni rassicuranti sull’argomento emerge quindi come prima necessità da parte di chi voglia avviare un tale servizio. Non si tratta certo di abbracciare stili vicini all’ortodossia, nemmeno di vendere a tutti i costi qualcosa che ci ha già dimostrato abbondantemente la sua efficacia. Si tratta molto più semplicemente di raccontare i fatti ed i risultati di esperienze ben funzionanti, con la massima limpidezza ed onestà intellettuale. Tale attività di informazione, mirata a ricevere l’avallo al progetto da parte di amministratori e manager delle istituzioni, risulta oggi più facile in Italia anche grazie all’aiuto di alcune pubblicazioni prodotte in questi ultimi anni, anche se la bibliografia inerente l’argomento è prevalentemente in tedesco, francese, inglese e altri idiomi nord europei. Di seguito elenchiamo alcuni libri sul tema:

·         ALUFFI G., Dal manicomio alla famiglia. Franco Angeli, Milano 2001

·         BECKER J.,Familienpflege in Europa.. Betriebsleitung der Rheinischen Kliniken Bedburg - Hau, Bedburg - Hau 1997

·         CEBULA J.C., L’accueil familial des adultes. Dunod, Paris 1999

·         CEBULA J.C. (a cura di), Guide de l’accueil familial. Dunod, Paris 2000

·         FURLAN P.M., CRISTINA E., ALUFFI G., OLANDA I. (a cura di), Atti del I° Convegno Nazionale sullo IESA. Edizioni A.N.S., Torino 2000

·         HELD T., Psychiatrische Familienpflege. Enke, Stuttgart 1989

·         JODELET D., Folies et représentations sociales. Presses Universitaires de France, Paris 1989

·         KONRAD M., SCHMIDT-MICHEL P.O. (a cura di), Die zweite Familie. Psychiatrie-Verlag, Bonn 1993

·         PIPPARELLI M., Geel nel passato e nel presente. Patron Editore, Bologna 1984

·         SANS P., Accueil et placement familial. Fleurus Editions, Paris 1988

 

 

Le basi del servizio

 

Una volta ricevuto il mandato ufficiale ad occuparsi della realizzazione di un programma per gli inserimenti eterofamiliari supportati, il primo passo da fare riguarda la stesura di riferimenti normativi regolanti la pratica e gli aspetti legali – amministrativi[2]. Alcuni elementi essenziali sono:

·         Linee guida aziendali[3] (anche se si tratta di privato sociale, vanno sempre riferite all’ASL committente e fatte deliberare da questa, a meno che non esistano già dei precisi riferimenti regionali o altro);

·         Contratto[4] (deve riguardare diritti e doveri delle 3 parti chiamate in causa da una convivenza supportata ovvero: l’ospite, l’ospitante, l’ente organizzatore e garante);

·         Strumenti per la selezione delle famiglie (protocollo di selezione strutturato sulla base degli elementi socioculturali caratterizzanti il territorio interessato);

·         Strumenti per la selezione degli ospiti (si suggerisce di evitare la somministrazione di test invasivi e di utilizzare preferibilmente colloqui semistrutturati),

·         Moduli vari (amministrativi, di interfaccia tra le agenzie dipartimentali, per l’organizzazione interna del servizio ecc.);

·         Corso di formazione per le famiglie (spesso è richiesto dalla regione o dagli interlocutori istituzionali; si consiglia un approccio di tipo informativo ed esperienziale poiché la migliore formazione si ottiene attraverso un buon intervento di sostegno e supervisione, a convivenza già in atto).

 

Pubblicizzazione del servizio

 

Realizzati gli strumenti di base si può procedere con il tentativo di reperire famiglie interessate a prendere parte al progetto, in contemporanea alla ricerca di pazienti idonei. Diviene quindi fondamentale fare ricorso ad una massiccia campagna di pubblicizzazione del servizio, attraverso i canali più disparati.

Le aree di intervento sono 3:

·         La popolazione;

·         Gli addetti ai lavori (psichiatri; psicologi; assistenti sociali; educatori; infermieri; docenti; direttori di DSM o ASL) esterni all’ASL interessata;

·         Gli operatori del DSM interessato.

Un intervento mirato sulla popolazione può portare al reperimento di famiglie interessate e disposte ad ospitare persone sofferenti di disturbi psichici.

Alcuni canali per questo tipo di pubblicità sono:

·         Telefonate di risposta ad annunci di ricerca lavoro come assistenti anziani. Si tratta di una delle fonti che più premiano in termini quantitativi. Ciò nonostante in questo ultimo periodo, si assiste ad un massiccio interesse da parte di persone immigrate da altri paesi, magari idonee a livello relazionale e di disposizione psicologica , ma prive di solito dello spazio necessario all’interno della loro abitazione e del fondamentale permesso di soggiorno: A fronte delle nuove leggi sull’immigrazione varate in Italia, occorrerà rivalutare i casi di famiglie idonee ma prive di permesso di soggiorno, verificando in che rapporto si pone la prestazione di ospitalità eterofamiliare supportata rispetto alle clausole delle recenti disposizioni legali;

·         Organizzazione di eventi pubblici presso enti, associazioni che operano nel volontariato, comuni, quartieri, parrocchie, università e quant’altro possa essere considerato luogo utile ai fini di una capillare diffusione di informazioni. Tali iniziative spesso vengono organizzate in co-partecipazione con l’organizzazione che ospita l’evento;

·         Pubblicazione di articoli su testate locali e regionali o su riviste attinenti al mondo del volontariato, dei servizi sociali e psichiatrici;

·         Partecipazione a programmi radiofonici e televisivi.

In occasione di eventi pubblici occorre distribuire materiale divulgativo riportante notizie essenziali e chiare sul progetto e i recapiti del servizio organizzatore.

Durante il primo contatto, che solitamente è telefonico, è molto importante definire sommariamente ma in maniera chiara il progetto e verificare se i candidati dispongono o meno di una stanza in più presso la loro abitazione da destinare all’ospite. Inoltre, qualora si tratti di persone straniere, è importante verificare sin da subito se siano in possesso di regolare permesso di soggiorno. Nel caso in cui venga a mancare anche solo una delle due condizioni succitate, occorre fermare il processo di selezione. In caso contrario si può fissare un appuntamento nei giorni successivi presso la sede del servizio per un primo colloquio conoscitivo.

Per quel che riguarda gli addetti ai lavori esterni all’ente che sta sviluppando il servizio, una ponderata campagna informativa si rivela importante per ottenere l’avallo al progetto da parte della comunità scientifica. In una fase più avanzata del programma, può risultare funzionale stimolare uno sviluppo di servizi analoghi sul territorio regionale e nazionale, in modo da promuovere quel sano ed arricchente confronto tra diversi modelli applicativi che trova in iniziative congiunte, come ad esempio questo II Convegno nazionale, il suo luogo ideale.

Quest’altro livello di diffusione delle informazioni e di scambio si può realizzare attraverso:

·         Organizzazione di congressi sul tema specifico degli inserimenti eterofamiliari supportati (quello di oggi, che segue l’iniziativa del maggio 2000 tenutasi a Torino, è già il II convegno nazionale!; altre pregevoli manifestazioni si sono tenute a livello regionale in questi anni, compresa la giornata di studio monotematica organizzata lo scorso ottobre a Chieri dalla Società Italiana di Psichiatria Residenziale - Sezione Piemontese. Sinora, tutte queste iniziative hanno visto affluire un grande numero di persone interessate e da alcune di queste sono nate le basi di alcuni servizi oggi operanti);

·         Pubblicazione di contributi scientifici e di testi in lingua italiana;

·         Partecipazione a congressi scientifici riguardanti tematiche vicine alla psichiatria e ai servizi sociali, presentando relazioni relative ad esperienze realizzate concretamente nel campo degli inserimenti eterofamiliari supportati.

L’ultima ma non meno importante area di intervento riguarda gli operatori dell’ente interessato al programma e potremmo chiamarla “formazione interna”.

Come già trattato nella relazione introduttiva di questo convegno, il problema delle scarse segnalazioni di pazienti da parte degli psichiatri dipartimentali riguarda buona parte dei servizi di inserimento eterofamiliare supportato, in particolare nei primi anni di attività. Per ovviare a queste “resistenze interne” occorre curare molto bene l’attività di informazione dei colleghi dipartimentali, senza trascurare di coinvolgerli nella progettazione e nella gestione delle convivenze. Tutto ciò si può tentare attraverso:

·         L’organizzazione di seminari di presentazione dell’iniziativa interni al dipartimento di salute mentale;

·         Il coinvolgimento dei colleghi in iniziative divulgative e l’invito a partecipare a congressi scientifici specifici;

·         La partecipazione periodica a riunioni ambulatoriali e l’organizzazione di riunioni del servizio estese anche ai colleghi potenziali invianti.

Attraverso un’azione informativa ad ampio raggio come sopra presentato si può perseguire l’obbiettivo della creazione e della diffusione di una cultura della riabilitazione che passi anche attraverso strumenti collaudati e dai buoni risultati in termini di efficacia – efficienza quali appunto gli inserimenti eterofamiliari supportati.

 

Selezione e formazione delle famiglie ospitanti

 

Sul versante del reperimento delle famiglie, giunti alla candidatura di queste, occorre procedere attraverso un preciso percorso di selezione che si struttura in 4 fasi. Dopo il primo contatto, avvenuto secondo le modalità sopra descritte, si convoca la famiglia o il singolo interessati presso la sede del servizio e si da luogo ad un primo colloquio di presentazione reciproca. Già durante questa fase possono emergere elementi importanti ai fini della selezione. Infatti il candidato ospitante, nel fare domande e parlarci di se, ci svela alcuni tratti dominanti della sua personalità, importantissimi, laddove la selezione abbia seguito, a realizzare gli abbinamenti con gli ospiti.

Come primo momento si accerta che sussistano le condizioni necessarie affinché possa avviarsi l’inserimento, approfondendo le indicazioni rispetto all’abitazione e all’eventuale permesso di soggiorno (per gli stranieri), già confermate durante il contatto telefonico.

Il colloquio procede con la presentazione del sevizio IESA dove si cerca di chiarire le modalità dell’inserimento, lo stile di lavoro degli operatori, la tipologia degli utenti ritenuti idonei a una convivenza supportata e in particolare si cerca di rispondere a questioni che frequentemente vengono sollevate dalle famiglie candidate. Queste riguardano principalmente perplessità relative alle caratteristiche dell’eventuale ospite. È possibile che già in questa prima fase la potenziale famiglia ospitante esprima le proprie preferenze rispetto al tipo di persona che vorrebbe accogliere

Un altro argomento di cui si discute approfonditamente riguarda il contratto e le modalità di rimborso spese. Non si deve sottovalutare che l’elemento economico rappresenta un’importante motivazione al candidarsi come famiglia ospitante.

Alla fine del colloquio si raccolgono le impressioni e i desideri dei candidati e, se sussiste, l’interesse concreto a proseguire il percorso di selezione.

La seconda fase di selezione prevede un colloquio semistrutturato durante il quale si raccolgono informazioni in merito ai componenti del nucleo familiare, la disponibilità di tempo libero da poter dedicare all’ospite, la situazione abitativa, quella economica e si sondano le abitudini, la cultura, i principi educativi della famiglia. L’ultima parte dell’intervista concerne i desideri e le fantasie rispetto i potenziali ospiti. In sintesi si cerca di avere un quadro il più possibile completo della famiglia o del candidato che si propone.

Il terzo momento prevede la visita domiciliare, dove ci si accerta delle condizioni effettive della stanza singola da poter dedicare all’ospite, la collocazione dell’abitazione, e quindi eventuali presenze di servizi esterni ritenuti importanti per il potenziale ospite. La visita risulta fondamentale anche per poter conoscere la famiglia nel suo reale contesto di vita e quindi nella sua quotidianità.

Al termine di questi tre momenti di conoscenza reciproca, si valuta durante la riunione d’équipe, se i candidati possono essere ritenuti idonei per un inserimento I.E.S.A.. E’ importante che ad ogni singola fase della selezione partecipino almeno due operatori in modo da favorire un confronto tra i vissuti e le percezioni soggettive.

Se il percorso di selezione risulta positivo, il candidato è considerato abilitato e viene così inserito nella banca dati delle potenziali famiglie ospitanti.

Raggiunto un numero sufficiente di famiglie idonee, si avvia il corso di formazione che prevede sette seminari informativo esperienziali, al termine del quale viene rilasciato l’attestato di partecipazione. Il percorso formativo non deve snaturare la famiglia nella sua autenticità ma deve limitarsi a fornire accessibili ed utili informazioni sugli ambiti interessati dal progetto.

 

Reperimento candidati ospiti

 

L’opera di pubblicizzazione del servizio interna al DSM dovrebbe condurre a una sensibilizzazione degli operatori e in particolare degli psichiatri, i principali invianti dei candidati ospiti. Inoltre, attraverso la partecipazione alle riunioni ambulatoriali, si cerca di valutare insieme ai medici referenti e agli operatori di base i potenziali candidati a un progetto IESA, in considerazione della banca dati delle famiglie attualmente a disposizione.

Una volta individuati gli utenti potenzialmente idonei allo IESA si prosegue con la conoscenza del candidato, sia attraverso riunioni di approfondimento con gli invianti, sia attraverso una conoscenza diretta del paziente. Al fine di raccogliere maggiori informazioni, si svolgono colloqui semistrutturati mirati a conoscere l’anamnesi, gli interessi, i vissuti, le opinioni rispetto ai servizi di Salute Mentale, le relazioni passate e presenti con i familiari e, in generale, si cerca di valutare quelle dinamiche psicologiche che possono essere positive o negative in prospettiva di una futura convivenza.

Elemento essenziale per procedere all’inserimento è la compilazione del foglio di invio dove il medico formalizza la presa in carico dell’utente da parte del servizio I.E.S.A..

All’interno della riunione d’équipe si valuta l’idoneità dell’utente a un inserimento, in considerazione degli elementi conoscitivi acquisiti. Particolare attenzione viene prestata a quelli che possono essere i fattori di rischio per una buona convivenza tra cui soprattutto: agiti aggressivi da parte dell’utente, problematiche di dipendenza da sostanze, trascorsi delinquenziali e possibili tentativi anticonservativi.

Se il percorso di selezione risulta positivo si abilita l’utente al ruolo di potenziale ospite. Si procede allora ad informarlo dettagliatamente sul progetto IESA, tenendo nella massima considerazione i suoi desideri, le aspettative e i “sogni” legati al vivere in una casa a stretto contatto con altre persone e al divenire parte attiva di un nucleo familiare. Se l’utente esprime il suo consenso e la sua scelta di adesione al progetto si può continuare il percorso di inserimento eterofamiliare e la persona viene inserita nella banca dati dei potenziali ospiti.

 

Dal progetto alla convivenza

 

Il percorso che porta alla convivenza supportata continua con il lavoro di abbinamento dell’utente con una famiglia o un volontario che lo può accogliere. Questo processo avviene attraverso il confronto delle risorse presenti nelle rispettive banche dati nel tentativo di avviare una convivenza che sia il più possibile omogenea alle aspettative, caratteristiche, desideri e bisogni di entrambe le parti. Durante la riunione d’équipe si discute dei potenziali abbinamenti che, una volta individuati, vengono riportati in una riunione allargata con i medici e gli operatori di riferimento i quali esprimono il loro parere.

Giunti a una soluzione comune si può avviare il percorso di conoscenza graduale e reciproca fra utente e famiglia, il quale, soprattutto nelle prime fasi, sarà mediato dall’operatore IESA.

La conoscenza del potenziale ospite prevede anche eventuali contatti con la sua famiglia biologica, la quale verrà informata del progetto e resa partecipe dell’iniziativa. Spesso le famiglie d’origine si dimostrano con il passare del tempo sempre più collaborative nonostante le prime fasi di perplessità dovute in gran parte a una soluzione residenziale che si presenta come innovativa e potenzialmente portatrice di vissuti emozionali contrastanti. In tal altri casi è proprio la famiglia di origine a porsi come ostacolo all’avvio di un progetto I.E.S.A.. Diviene allora necessario, prendere atto delle motivazioni sostenute e in rare occasioni, pensare anche alla possibilità di una eventuale interruzione del progetto, in favore di soluzioni alternative.

Dopo la fase di conoscenza, e qualora questa abbia dato luogo a un desiderio di convivenza da entrambe le parti, si passa alla sottoscrizione del contratto, il quale sancisce l’avvio di un periodo di prova della durata di tre settimane, durante le quali si attua un sostegno/supporto intenso e modulato alle situazioni che si presentano. Proprio in questa fase vengono a strutturarsi le modalità relazionali che saranno poi quelle caratterizzanti la situazione futura. A questo proposito assume rilevante importanza il mettere a fuoco e analizzare se sono presenti elementi che possano essere o diventare disturbanti rispetto al proseguimento e la riuscita del progetto di inserimento. Passato questo periodo di prova l’inserimento è avviato. Le visite domiciliari dell’operatore diventano periodiche (in media una ogni quindici giorni o intensificate se la convivenza lo richiede) con una reperibilità dipartimentale di 24 ore su 24 garantita da diverse agenzie (operatori IESA, operatori ambulatoriali, psichiatra reperibile, S.P.D.C.). Il supporto fornito dall’operatore del servizio IESA si concretizza attraverso un’attività mirata a sostenere le parti, ed in particolare l’ospite nell’affrontare le varie attività quotidiane. In periodi di effettiva necessità può essere attivato un supporto psicologico sia per l’ospite che per gli ospitanti. L’andamento del progetto viene sempre e comunque seguito sia dagli operatori di riferimento, sia dagli psichiatri invianti, dagli assistenti sociali e dagli operatori ambulatoriali, aggiornando, verificando e strutturando gli interventi passo dopo passo. Ai fini di un buon funzionamento del servizio IESA fondato sul modello del case management risulta indispensabile, oltre alla riunione organizzativa e clinica settimanale, l’apporto di una supervisione clinica con cadenza settimanale o quindicinale, condotta da uno psicoterapeuta esterno al dipartimento di salute mentale.

L’équipe si occupa inoltre di attivare quelle risorse sociali ed individuali che possano favorire una crescita dell’ospite finalizzata all’empowerment (es.: inserimenti lavorativi, contatti con associazioni, contatti con il vicinato, partecipazione a programmi di formazione, attività nel tempo libero, gruppi auto - mutuo aiuto etc.).

I passi sopra riportati sono relativi alla creazione ed allo sviluppo di un servizio di inserimenti eterofamiliari supportati secondo il modello case management ovvero con struttura centralizzata e organizzata in agenzia autonoma e trasversale, all’interno della gamma di offerte di un moderno dipartimento di salute mentale. Contesti socioculturali diversi possono dar luogo a soluzioni altrettanto efficaci, caratterizzate da modelli organizzativi ed operativi divergenti dal case management ma ugualmente validi.

 

II Convegno Nazionale:

L’inserimento eterofamiliare assistito di persone con disturbi psichici

Lucca 15 – 16 Novembre 2001

 

 Dal manicomio alla famiglia[5]

di Gianfranco Aluffi

E’ passato poco più di un anno dalla prima edizione del Convegno Nazionale sull’Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti sofferenti di disturbi psichici, tenutosi a Torino il 27 maggio 2000 ed è con grande soddisfazione che apro oggi i lavori del II Convegno Nazionale con questa relazione. Il fatto poi di essere a Lucca, nella splendida Toscana, non fa altro che aggiungere prestigio all’evento e meraviglia ai miei sensi. Credo che occorra, prima di iniziare i lavori, ringraziare i responsabili dell’organizzazione di questa apprezzabile iniziativa, riconducibili all’ASL 2 di Lucca, al Dipartimento di Assistenza Sociale e al Dipartimento di Salute Mentale, ottimo esempio di lavoro in sinergia che esprime attraverso gli inserimenti eterofamiliari assistiti la sua riuscita sintesi. Intendo altresì ringraziare il Comune di Lucca, la conferenza dei Sindaci e la Regione Toscana per l’esemplare attenzione dimostrata nei confronti dell’argomento in questione che, vista la relativamente scarsa diffusione su scala nazionale, ha grande bisogno di accreditamenti e approvazioni ufficiali. A questo punto consentitemi di ringraziare e di congratularmi personalmente con Luana Cagnoni per il coraggio e la forza dimostrati nel portare brillantemente avanti l’organizzazione di questo II Convegno Nazionale.

Permettetemi inoltre di portarvi i saluti e gli auguri del Professor Pier Maria Furlan e del Dottor Ezio Cristina, entrambi purtroppo assenti per inderogabili impegni istituzionali, ma molto vicini sia sul piano teorico che su quello affettivo a questo Convegno, anche in quanto co-organizzatori del precedente.

Prima di incominciare a trattare gli argomenti che mi spettano desidererei ricordare insieme a voi la figura dell’Avvocato Massimo Molinero, prematuramente scomparso quest’anno dopo una lunga malattia che lo ha però visto lucido e generoso sino all’ultimo momento. Ricordo con piacere e commozione il suo memorabile intervento al Convegno di Torino, animato da passione e da alto senso di giustizia. Ciao Avvocato!

Veniamo quindi alla definizione. Che cos’è l’inserimento eterofamiliare assistito?

Per Inserimento Eterofamiliare Assistito - altrimenti detto Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti sofferenti di disturbi psichici (IESA) oppure Affido Familiare, o meglio Accoglienza Eterofamiliare, o ancora Ospitalità Supportata Eterofamiliare e chi più ne ha più ne metta[6] – si intende il processo di integrazione di una persona seguita dai servizi psichiatrici all’interno di una famiglia selezionata ed abilitata. A questo rapporto di convivenza i servizi dovranno garantire un adeguato supporto e relativa reperibilità. Solitamente la famiglia ospitante riceve un rimborso spese mensile.

L’inserimento eterofamiliare assistito può essere distinto nelle seguenti tre categorie sulla base della durata media della convivenza:

 

Breve Termine: si tratta di un intervento focalizzato sul periodo della crisi che può colpire il paziente o il sistema in cui vive. Di solito la durata di tale ricovero va da alcuni giorni a uno o due mesi, a seconda che si debba far fronte ad una acuzie sintomatologica o ad un bisogno di decontestualizzazione dell’individuo dal suo normale ambiente di vita. Talvolta, infatti, si assiste a ricoveri in S.P.D.C., cliniche o istituti, di persone il cui quadro clinico non presenta caratteristiche tali da considerarlo critico e quindi da giustificare il ricorso alla struttura ospedaliera. In tali casi la ragione del provvedimento di ospedalizzazione dell’individuo risiede obbiettivamente nella debolezza temporanea o addirittura nella crisi del sistema in cui questi vive, la quale si ripercuote puntualmente sull’anello più debole della catena, altrimenti detto capro espiatorio. Attualmente al mondo esistono rarissime esperienze operanti attraverso l’inserimento eterofamiliare a breve termine. Tra le più significative: il Crisis Home Program di Dane County (U.S.A), attivo dal 1987 e le Crisis Farm sparse sul territorio piemontese gestite dalla Cooperativa Sociale Alice nello specchio di Torino. In questi ultimi mesi anche presso il servizio IESA dell’ASL 5 di Collegno, in collaborazione con l’Università degli Studi di Torino e la Cooperativa Sociale Progest, stiamo lavorando alla progettazione di un intervento a breve termine come integrazione di quelli a medio termine e lungo termine già attivi dal 1999. La peculiarità di tale tipo di intervento risiede nel fenomeno della decontestualizzazione ambientale spesso assai utile a superare momenti di difficoltà. Il fatto che tale ricovero avvenga in ambienti familiari e non ospedalieri facilita e rende meno drammatico per il soggetto il periodo della crisi. A conferma della preferenza del ricovero in ambiente familiare rispetto a quello in clinica sono i dati riportati da Russel Bennet, responsabile del Crisis Home Program della Contea di Dane (U.S.A.), il quale sostiene che gran parte dei pazienti trattati con questo metodo si rivolge spontaneamente al servizio durante le fasi prodromiche della crisi chiedendo di essere ospitati in questa o quella famiglia per il periodo necessario. Se confrontiamo questo dato con la drammaticità che caratterizza molti ricoveri in S.P.D.C., in particolare nella forma di Trattamento Sanitario Obbligatorio, scopriamo quanto sia evidente una decisa differenza qualitativa tra le due diverse modalità di trattamento della crisi. Per un buon funzionamento di questo tipo di intervento occorre che vi sia un eccellente livello di comunicazione, tra i medici, gli operatori ambulatoriali e gli operatori delle Crisis Home.

 

Medio Termine: si tratta di un intervento mirato ad una fascia di utenza per la quale è prevedibile la progettazione e la conseguente attuazione di un percorso di riabilitazione. Ci si auspica quindi che l’individuo arrivi ad essere in grado, nell’arco di un tempo massimo di due anni, di raggiungere un livello di autonomia, che possa consentirgli di vivere in situazioni abitative meno protette (alloggi supportati o casa propria). Le persone interessate da questo tipo di convivenza sono generalmente giovani ed impegnate in attività lavorative o riabilitative all’interno o all’esterno dei circuiti psichiatrici. Anche per questa soluzione a medio termine è necessario un efficace lavoro di sinergia tra le varie agenzie dipartimentali. Un tale approccio si pone in alternativa al ricovero in comunità protette o in altre strutture chiuse nelle quali il percorso riabilitativo viene quasi sempre compromesso già a livello strutturale. Al contrario, nell’inserimento eterofamiliare supportato l’individuo sperimenta delle relazioni sociali “normali”, emancipandosi da quel ruolo di paziente che lo può caratterizzare in altri contesti. La famiglia ospitante svolge anche una funzione di “nido” e protezione importantissima nelle fasi più critiche del percorso di autonomizzazione. Tale rassicurante contenimento ha in sé la fondamentale caratteristica della flessibilità, che consente di modulare l’intensità del grado di protezione a seconda delle reali e contingenti necessità del paziente. In questo senso, assume un ruolo determinante l’intervento di sostegno e di supervisione, da parte dell’operatore IESA, rispetto alle dinamiche relazionali in atto nella convivenza.

 

Lungo termine: riguarda inserimenti eterofamiliari supportati della durata superiore a due anni. È tendenzialmente rivolto a persone anziane o a individui le cui disabilità psicofisiche, o i bisogni di cure assistenziali, non permettono di ipotizzare un percorso riabilitativo che renda a questi possibile vivere in un luogo meno protetto. Talvolta la famiglia si rivela uno spazio ove riacquisire un ruolo significativo per la costellazione sociale di appartenenza. In questo modo persone anziane con problemi di autosufficienza si trovano a ricoprire particolari ruoli sociali come quelli del nonno o della nonna “adottivi” con tutte le implicazioni affettive e relazionali che ciò comporta. Vi sono situazioni nelle quali si assiste, nonostante l’età avanzata, ad un brillante recupero di funzionalità sul piano sociale e nelle abilità di base. Tali convivenze sono progettate per durare sino al decesso dell’anziano in modo da tutelarlo rispetto ad inopportuni, dannosi e molto spesso fatali,  spostamenti di struttura in struttura.

 

Oltre alla suddetta classificazione che potremo considerare relativa agli aspetti processuali delle convivenze, la letteratura internazionale presenta un altro tipo di suddivisione in categorie, relativa più alle modalità strutturali ed agli aspetti storico-culturali degli inserimenti eterofamiliari supportati:

 

Colonie di pazienti o Tipo concentrazione: caratteristico di Geel (Belgio); Iwakura (Giappone); Dun- sur Auron ed Ainay le Chateaux (Francia) e di tutte quelle esperienze caratterizzate dalla massiccia presenza di convivenze supportate sul territorio di uno stesso paese o cittadina.

 

Indipendente dagli ospedali o Tipo Dispersione: diffuso in  Scozia e Norvegia dalla fine del 1800. In questa forma l’assistenza ed il controllo erano affidati a figure non sanitarie sparse sul territorio (preti; forze di pubblica sicurezza e altre figure significative per l’epoca). Anche la distribuzione dei pazienti era diffusa su tutto il territorio nazionale senza particolari concentrazioni in paesi o città.

 

Centrata sull’ospedale o Tipo appendice o Strumento della clinica: attualmente diffusa in Germania, Svizzera, Olanda, Francia, USA e Canada, dove i pazienti dimessi dall’ospedale psichiatrico, per continuare ad essere seguiti vengono inseriti in famiglie dislocate nella regione di competenza della clinica. A livello di diffusione, questa modalità può essere oggi considerata la più adottata. Una espressione molto simile ma, per ovvie ragioni storiche e organizzative, presente solo in Italia, è quella che potrebbe essere definita Servizio o Agenzia del Dipartimento di Salute Mentale. Qui gli inserimenti eterofamiliari supportati vengono gestiti da una équipe di operatori dell’ASL, in stretto contatto con tutte le altre realtà operative del DSM.

 

Tipo semiprofessionale: caratterizzato da appartamenti, situati nelle vicinanze delle cliniche ed occupati da infermieri in pensione i quali cominciarono ad ospitare alcuni pazienti dimessi (“Paesi di cura” costruiti in Germania tra il 1890 e 1910). Tale modalità esisteva anche in Italia tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.

  

Le origini dell’ inserimento eterofamiliare supportato e la situazione italiana

 

L’inserimento eterofamiliare trova le sue antiche origini in alcune vicende di vita popolare che, tra storia e leggenda, si presentano a noi oggi come forme di accoglienza con finalità terapeutico – riabilitative. Non tutti sanno però che l’inserimento eterofamiliare assistito, deve in molti casi la sua nascita ad aspettative “miracolistiche” di carattere prettamente religioso.

La storia ufficiale[7] ci riconduce alla leggenda di Santa Dymphna, scritta nel 1250 e ambientata a Geel ove oggi è in funzione il servizio di inserimenti eterofamiliari più famoso del mondo, alla “seconda metà della vita” del poeta Friedrich Hölderlin che, dimesso dalla clinica psichiatrica, visse ancora 30 anni a casa della famiglia Zimmer a Tübingen, al medico Engelken di Brema che nel 1764 curava la depressione con l’oppio e , fuori dall’Europa, alla figlia dell’Imperatore del Giappone che nel 1072 guarì da una probabile schizofrenia dopo aver bevuto l’acqua del tempio buddista di Iwakura.

Così come altri stati europei ed americani, anche l’Italia vide, nel periodo a cavallo tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 il momento di massima espansione degli inserimenti eterofamiliari in psichiatria. A tale espansione si accompagnò un vitale fermento che attraversò la comunità scientifica nazionale e che portò, oltre che alla pubblicazione di interessanti articoli scientifici, addirittura alla citazione di questa pratica all’interno di leggi nazionali (II e III comma dell’articolo 1 della Legge nazionale n° 36 del 14/2/1904 sui manicomi e sugli alienati; Decreto Reale n° 615 del 1909).

Il dibattito sul nome da dare a questa pratica, seppur ancora oggi aperto, ha dato vita negli anni a diverse formule. Alcune di queste erano: Cura in Casa Privata; Patronato Eterofamiliare; Colonie Familiari; Assistenza Familiare; Trattamento Familiare; Custodia Domestica; Ricovero Familiare.

L’esigenza di ricorrere all’accoglienza familiare partiva dalla situazione limite in cui versavano in quegli anni i manicomi italiani, ridotti a contenitori pronti ad “esplodere” da un momento all’altro per eccesso di ricoverati. Inoltre i costi di gestione degli stabilimenti rappresentavano per le province un eccessivo carico in molti casi insostenibile.

Nonostante il dibattito intellettuale riguardasse quasi esclusivamente quella forma di assistenza familiare che andava sotto il nome di Patronato Eterofamiliare, in Italia era in uso molto più diffusamente la Custodia Domestica Omofamiliare (nel 1902 vi erano 1442 casi di inserimento omofamiliare contro i 268 di eterofamiliare). Contro questa forma di domiciliazione dei malati si schierarono quasi all’unisono tutti gli studiosi dell’argomento. Le mozioni prevalenti erano riconducibili alle seguenti:

·         I familiari non hanno sul malato l’autorità necessaria per contenerlo e disciplinarlo.

·         Le famiglie affidatarie si possono selezionare, quelle biologiche ovviamente no. Diventa imbarazzante dire di no alla famiglia originaria quando questa non ha i requisiti morali idonei.

·         Le famiglie con problematiche psichiatriche al loro interno sono in prevalenza povere e per queste il sussidio per l’assistenza rappresenta spesso l’unica fonte di reddito. La monetizzazione della patologia del figlio può quindi contribuire indirettamente a rendere cronico il disturbo di questi che si trasforma da disgrazia a risorsa economica. La famiglia affidataria, al contrario, laddove si concluda una convivenza, può sempre contare sull’inserimento di un nuovo ospite.

Del Patronato Eterofamiliare si parlò diffusamente ai congressi della Società Italiana di Freniatria del  1891, a quello del 1896 a Reggio Emilia e a quello del 1901 ad Ancona. Anche ai congressi internazionali sull’assistenza degli alienati di Antwerpen del 1902 e di Milano del 1906, l’inserimento eterofamiliare ebbe molto spazio.

La letteratura disponibile indicava nel modello di Reggio Emilia il sistema di Patronato Eterofamiliare più funzionale ed efficiente. Le caratteristiche principali di questo servizio erano:

·         Le famiglie affidatarie dovevano vedere al loro interno la presenza di almeno un infermiere manicomiale o di altro addetto manicomiale, in modo da garantire una certa esperienza nella relazione con persone afflitte da disturbi mentali. Per questa caratteristica il sistema di Reggio Emilia potrebbe essere considerato di tipo Semiprofessionale;

·         La dimora delle famiglie doveva trovarsi nei paraggi del manicomio, in modo da rendere più facili e frequenti le visite domiciliari del personale e facilitare la vigilanza;

·         Prima di affidare un malato ad una famiglia venivano verificate le condizioni igieniche dell’abitazione;

·         I medici del manicomio prescrivevano alla famiglia precise norme per il vitto, l’alloggio, il trattamento morale e fisico del paziente. Il capofamiglia doveva poi firmare una dichiarazione di assunzione di responsabilità. Presso ogni famiglia si trovava un registro sul quale venivano annotate tutte le spese sostenute per l’ospite ed i controlli domiciliari effettuati;

·         Presso la famiglia, a cui veniva consegnato dal manicomio un corredo e laddove occorresse anche un letto e della biancheria supplementare, potevano trovare alloggio un massimo di due pazienti;

·         La retta giornaliera erogata dalle provincie al manicomio e da questo girata alla famiglia affidataria era nel 1902 di 1,25 Lire (quasi il doppio di quella elargita per la custodia domestica);

·         I pazienti inseriti presso famiglie potevano contare su di una vigilanza medica assidua ed erano invitati a partecipare alle attività ricreative manicomiali (feste, spettacoli ecc.).

L’utenza iniziale era composta da sole donne “croniche, tranquille e pulite” di età matura, poi il Patronato Eterofamiliare di Reggio Emilia venne esteso anche agli uomini.

Per sentir parlare di inserimenti eterofamiliari supportati in Italia, dopo la florida stagione a cavallo del XIX e del XX secolo, occorre attendere il successivo cambio di secolo. Infatti solo dalla seconda metà degli anni ’90 in poi è ricominciato a circolare negli ambienti della psichiatria italiana un certo interesse nei confronti di questa pratica. Nel 1999  gli utenti dell’inserimento eterofamiliare supportato in Italia erano 62 presso i servizi di Collegno, Chieri, Brunico, Lucca, Jesi, Lanusei, Cagliari, Nuoro e Trapani. I risultati di tale indagine, promossa e realizzata dal Servizio IESA del DSM 5b ASL 5 Regione Piemonte, non sono naturalmente più attuali, essendo trascorso del tempo in cui sono stati organizzati importanti eventi scientifici, formativi e divulgativi che hanno stimolato la nascita di nuovi servizi, ma possono servire a delineare un profilo relativo alla diffusione della pratica sul territorio nazionale.

A fronte di risultati molto buoni sui versanti della riabilitazione e della soddisfazione degli utenti, gli inserimenti eterofamiliari supportati, ove correttamente applicati risultano molto concorrenziali anche sul piano economico. Un servizio ben organizzato che garantisca alla famiglia un rimborso spese di 1.800.000 lire al mese, viene a costare globalmente 150.000 al giorno per ospite. Nel costo globale vengono comprese tutte le spese utili al fine di realizzare la convivenza, a partire dalla cancelleria sino ad arrivare al costo del rimborso spese mensile massimo.

 

Il rischio della transistituzionalizzazione

 

Anche gli inserimenti eterofamiliari supportati, come ogni altra pratica, si prestano a scorrette applicazioni che in alcuni casi, vista la complessità del modello, possono dare luogo a fenomeni di isolamento, ad effetti antiterapeutici cronicizzanti e addirittura iatrogeni. Insomma anche per la buona riuscita di un inserimento eterofamiliare, è indispensabile che la sua realizzazione avvenga secondo criteri ben precisi. Fondamentali si rivelano la sensibilizzazione della popolazione e la corretta formazione delle famiglie alla convivenza con persone sofferenti di disturbi psichici. Inoltre è indispensabile l’attività di supporto prestata dagli operatori del servizio organizzatore la quale, oltre a fornire il controllo necessario affinché non si verifichino situazioni critiche nella convivenza, offre alle parti un costante e puntuale riferimento ed una sorta di continua supervisione sulle dinamiche familiari.

La storia ci mostra almeno quattro testimonianze di esperienze fortemente criticabili.

L’evoluzione di questa pratica in Giappone ha portato allo sviluppo di celle nel retro delle abitazioni civili per ospitare i malcapitati malati mentali[8]. Tale sviluppo, oggi fortunatamente sospeso, non ha di certo a che fare con una pratica avanzata nel confronto con i disturbi mentali, anzi riproduce, nel piccolo contesto familiare, la tremenda logica di contesti asilari punitivi. Eppure alla sua base vi è il modello di custodia eterofamiliare, lontano parente degli inserimenti eterofamiliari supportati. In questo caso la differenza è data principalmente dall’assenza di un servizio delegato al supporto ed al controllo, oltre che di premesse e riferimenti teorici precisi.

Una realtà invece all’avanguardia all’inizio del secolo scorso, eletta addirittura a modello di colonia familiare da alcuni psichiatri dell’epoca, che però secondo i risultati di una autorevole ricerca non risulta essere poi così terapeutica, è quella di Ainay-le-Chateau in Francia. Le pecche contro cui punta il dito Denise Jodelet, autrice della ricerca[9] ispirata alla teoria delle rappresentazioni sociali di Serge Moscovici, sono la mancata preparazione della popolazione e l’insufficiente livello di tolleranza espresso da questa. Viene denunciata l’assenza di una campagna di sensibilizzazione e di formazione delle famiglie, le quali mosse da sole esigenze economiche e di eventule mano d’opera gratuita si trovano ad ospitare persone che spesso non considerano più come tali. Molte di queste famiglie, convivono, oltre che con l’ospite, con il terrore di essere contaminate dalla malattia mentale e dallo stigma. Tale fobia emerge nella ricerca da alcune osservazioni pratiche. L’88% della popolazione degli ospitanti pasteggia separatamente dagli ospiti, mentre solo il 9% li invita ad unirsi a feste ed eventi familiari. Questa separazione si esprime e si caratterizza spesso fino alla segregazione spaziale attraverso la creazione di locali attigui ma distinti dalla casa principale. Non si tratta naturalmente delle celle giapponesi ma di stanze decorose, comunque sempre separate. Un altro indicatore interessante evidenzia come, in più del 70% dei casi, le famiglie attendano che i bambini raggiungano l’età scolare per ospitare dei malati. In moltissimi casi la fobia da contaminazione e la relativa separazione arrivano ad interessare il lavaggio della biancheria e delle stoviglie. Al di là di queste osservazioni, la realtà di Ainay le Chateau, così come quella di Geel, può contare oggi su di un servizio di supporto garantito dal personale delle rispettive cliniche. Proprio la presenza degli ospedali psichiatrici, in entrambe le esperienze assolve, tra le altre, una spiacevole funzione di potenziale minaccia punitiva. Il ricovero viene spesso quindi a rappresentare, non un momento di maggiore ed intensiva cura ma il castigo per eventuali comportamenti indesiderati all’interno della famiglia.

Come già sopra documentato, un’ulteriore distorsione del modello degli affidi familiari fu realizzata in Italia all’inizio del 1900 con la Custodia Domestica Omofamiliare.

 

Un quadro strutturale di riferimento: strumenti normativi ed équipe

 

L’inserimento eterofamiliare di adulti sofferenti di disturbi psichici, dai suoi albori ad oggi, ha seguito un percorso di “specializzazione” e di “medicalizzazione” che l’ha portato in molte realtà a diventare un servizio “organizzato e professionalizzato”, emancipandosi quindi dall’essere quella forma di affidamento con eventuali proprietà benefiche relegate al solo “ambiente terapeutico” familiare.

Quando si parla di inserimento eterofamiliare di adulti sofferenti di disturbi psichici, si intende ciò che accadeva a Geel nel 1400 ed allo stesso tempo, ciò che avviene oggi in questo stesso posto. Spostandosi dalla dimensione longitudinale (storica) a quella trasversale (geografica), l’effetto non cambia: in tutti i paesi ove sia oggi in atto un programma di questo tipo, si parla ugualmente di inserimento eterofamiliare per pazienti psichiatrici, nonostante le modalità strutturali e processuali siano per alcuni dettagli diverse (finanziamento servizio, retribuzione famiglie, enti organizzatori, riferimenti teorici, ruolo utenti ecc.).

Da questa osservazione emerge quanto sia eterogenea ed articolata la prassi di questa alternativa all’ospedalizzazione, adattabile, a seconda dei contesti storici, politici, culturali ed economici, a diverse realtà.

Il sempre più indispensabile sostegno professionale offerto alle famiglie ospitanti ed agli ospiti dagli operatori, per esempio, caratterizzava ieri le applicazioni più avanzate di questa modalità. Oggi non è quasi più pensabile l’attuazione di un programma del genere senza un adeguato supporto alle convivenze.

Fondamentali strumenti per la realizzazione di un servizio avanzato sono delle precise e dettagliate linee guida aziendali che definiscano l’oggetto, i ruoli, gli strumenti, le prestazioni, gli eventi straordinari, le coperture assicurative, le modalità di rimborso spese ecc. A fianco di queste si rivela indispensabile il testo base del contratto di convivenza che vede impegnate le parti dell’ospite, dell’ospitante e dell’ASL con la funzione di garante. Nel contratto devono essere chiaramente specificati il progetto, i tempi, le modalità, le prestazioni e le responsabilità a carico delle parti così come la definizione e la regolamentazione del rimborso spese mensile.

Dall’analisi dei vari resoconti relativi alle diverse applicazioni degli inserimenti eterofamiliari supportati, emerge quanto si vada sempre più verso una professionalizzazione degli operatori del servizio organizzatore (in alcuni casi si tratta di veri e propri supervisori). Emerge poi come esistano sostanzialmente due grandi categorie entro le quali si collocano i moderni servizi di inserimento eterofamiliare supportato. La prima, di cui fanno parte alcuni servizi tedeschi, quello di Collegno, e la maggior parte delle esperienze statunitensi e francesi, vede l’èquipe come gruppo che si occupa della selezione delle famiglie, della loro formazione, della realizzazione degli abbinamenti e del supporto alle convivenze, lasciando al suo esterno la sola figura dello psichiatra che, continuando ad essere quello della clinica o dell’ambulatorio, rimane l’elemento di continuità rispetto alla presa in carico istituzionale. La seconda categoria vede lo psichiatra fare parte dell’èquipe. In questo caso il paziente si trova a dover cambiare medico curante al suo ingresso nel programma di inserimento eterofamiliare.

Naturalmente i vari servizi nelle loro specificità esprimono ognuno una diversa organizzazione, più o meno idonea al contesto istituzionale ed organizzativo che li contiene. Le esperienze italiane inoltre sono uniche per la loro integrazione all’interno del Dipartimento di Salute Mentale mentre all’estero, eccetto rari casi si tratta sempre di servizi-satellite degli ospedali psichiatrici.

Per quel che riguarda i ruoli all’interno dell’èquipe, la seguente tabella illustra quella che è la situazione più ricorrente in realtà che operano con il Case Management.

 

Ore settimanali

Ruolo

Possibili Qualifiche professionali

Mansioni

Tempo pieno

 

Referente

Coordinatore

Psicologo;

Psicologo Clinico;

Psichiatra

Psicopedagogista

 

(con provata e qualificata esperienza specifica sul campo)

 

Formazione degli operatori

Coordinam. degli interventi di sostegno

Coordinamento delle riunioni settimanali Supervisione settimanale organizzativa

Promozione del servizio, contatti con i media e pubbliche relazioni

Coordinamento attività scientifiche di valutazione di ricerca e di verifica

Colloqui periodici con gli ospiti

Colloqui periodici con le famiglie

Coordinamento corso formaz. Ospitanti

Coord. Selezione famiglie e ospiti

Coord. abbinamento famiglie e ospiti e relativo progetto

Rapporti con le altre agenzie dipartimentali o della clinica e riunioni

Riferisce alla Direzione Generale, Sanitaria, Amministrativa, Dipartimentale o della clinica

Tempo Pieno (ogni 10 ÷15 ospiti seguiti)

Operatore

Educatore professionale;

Infermiere professionale

Psicologo;

Sociologo;

Assistente sociale;

Pedagogista

Reperimento famiglie ed ospiti

Selezione ed abbinam. famiglie ed ospiti

Stesura progetto IESA individualizzato

Sostegno e supporto ad ospiti ed ospitanti

Gestione contatti con event. famiglia originaria

Eventuali inserimenti lavorativi

Sostegno all’ospite nelle attività amministrat. e rapporti con assist. Sociali

Reperibilità telefonica sulle 24 ore

Riunione settimanale

Supervisione settimanale

Contatti con invianti ed altre agenzie del DSM o della clinica

Riferisce al coordinatore

1÷ 2

Supervisore (esterno)

Psicoterapeuta esperto in gruppi e dinamiche familiari

Conduzione supervisione

0,5 (ogni ospite seguito)

Medico curante (interno o esterno all’èquipe)

Psichiatra

Impostazione e periodica revisione terapia farmacologica

Colloqui con l’ospite

Co-redazione progetto terapeutico e riabilitativo

 

Un’altra interessante distinzione è tra le équipes fondate sull’intervento dell’operatore che agisce secondo le regole del Case Management, occupandosi in prima persona di tutti gli aspetti della convivenza, e quelle di tipo multidisciplinare ove ognuno riveste un ruolo abbastanza vicino alla propria professionalità e si occupa di una specifica parte delle problematiche legate all’affidamento. In favore del modello basato sull’operatore “tuttofare” occorre dire che rende molto più diretta e meno frammentata la comunicazione tra famiglia ospitante, ospite ed istituzione. Inoltre facilita l’instaurarsi di legami di fiducia tra le parti, indispensabili ai fini di un buon andamento della convivenza.

Un ulteriore differenza tra tipologie di servizio, più di tipo amministrativo ma altrettanto significativa, è relativa all’inquadramento del personale facente parte delle èquipes. Alcune esperienze vedono impiegato personale del privato sociale (associazioni, cooperative) mentre presso altre il personale del team è dipendente della Clinica o dell’ASL. Il mio parere personale, per diverse ragioni, volge in favore di équipes composte da personale del privato sociale, in sinergica cooperazione con i dipendenti delle istituzioni pubbliche. In primo luogo è molto più facile la gestione amministrativa in quanto con contratti di consulenza si può impiegare il personale in maniera proporzionale all’effettivo carico di lavoro. Inoltre, e vi sono dati obbiettivi che lo testimoniano[10], il personale del privato sociale è solitamente più motivato a questo tipo di lavoro e alla crescita del servizio.

 

L’ospite, la famiglia ospitante ed il servizio.

Nel primi 24 mesi di attività del servizio IESA dell’ASL 5 di Collegno sono state contattate 653 famiglie, 72 di queste si sono sottoposte alla selezione e 24 sono state abilitate al ruolo di famiglia ospitante. Di queste, 6 hanno nei mesi successivi rinunciato, 5 accolgono altrettanti utenti e le restanti 13 “attendono in banca dati”. Dopo aver superato il percorso di selezione e formazione, le famiglie entrano in una situazione di attesa e spesso vi rimangono lungo tempo prima di poter ospitare un paziente. Nel nostro servizio vi sono famiglie che stazionano in stand-by anche da più di due anni. La ragione di questi lunghi tempi è da trovarsi nello scarso numero di segnalazioni da parte degli psichiatri. Inoltre lo IESA tende, non tanto a trovare una sistemazione qualsiasi al paziente, quanto a cercare di mettere in contatto l’ospite è la famiglia secondo un principio che considera le affinità, in modo da favorire una buona convivenza. Spesso molti mesi di attesa si trasformano in rinunce da parte delle famiglie che, dovendo far fronte ad esigenze di vario tipo, non si trovano più nelle condizioni di poter ospitare persone presso il loro domicilio.

Il fenomeno dello scarso numero di segnalazioni di potenziali ospiti da parte degli psichiatri curanti può essere superficialmente spiegato dalle seguenti ipotesi:

·         Permanenza di pregiudizio e mantenimento dello stigma negli stessi operatori psichiatrici (“Non è possibile che una famiglia accetti di vivere con un paziente come il signor X…”; “Io non mi prenderei mai a casa la signora Y…” “Un ragazzo come Z non si adatterà mai a vivere in una famiglia…”)

·         Eccessiva ansia da parte degli operatori psichiatrici nei confronti delle soluzioni innovative e apparentemente poco rassicuranti sul piano del controllo del paziente (“E se succede qualcosa?…”; “E se poi scappa?….”)

·         Insufficiente o inadeguata formazione – informazione dei potenziali invianti all’utilizzo dello strumento IESA

·         Carente diffusione della cultura della riabilitazione e dell’approccio sociopsichiatrico tra gli operatori.

Dalla tabella seguente emerge come 11, delle 24 famiglie selezionate nei primi 2 anni, siano donne singole; di cui 7 con prole. Tale dato (46%) oltre a fare i conti con mutamenti epocali all’interno dell’istituzione familiare, sottolinea come l’inserimento di un ospite possa avere una valenza non solo di tipo retributivo ma anche di tipo sostitutivo di figure affettive. Solo 3 nuclei sono costituiti da una coppia con prole, quindi solo il 12% delle famiglie selezionate rappresenta la situazione di famiglia ideale espressa dall’immaginario collettivo.

 

Tipologia di nucleo familiare

Famiglie abilitate – con o senza ospite (n°18)

Famiglie abilitate che hanno rinunciato (n°6)

Totale famiglie selezionate (n°24)

Single donna

2

2

4

Single uomo

1

1

2

Coppia

4

1

5

Coppia con prole

2

1

3

Coabitazione (2 o più persone)

2

-

2

Single donna con prole

7

-

7

Single uomo con prole

-

-

-

Famiglia allargata

-

1

1

 

Le principali motivazioni che muovono una persona alla candidatura come famiglia ospitante sono determinate da un bisogno di integrazione economica. Il reddito della maggior parte delle famiglie che hanno risposto con interesse alla nostra offerta si può definire medio – basso. Difficilmente ci troviamo ad avere a che fare con nuclei familiari in gravi difficoltà economiche.

La prossima tabella tenta di delineare un profilo socioculturale delle famiglie abilitate. Mentre nella successiva si osserva la situazione complessiva relativa ai 13 pazienti segnalati al Servizio IESA dagli psichiatri delle varie agenzie dipartimentali, nei primi due anni di funzionamento del servizio.

 


 

Famiglia

 

Genere sessuale

candidato

Età

Livello di istruzione

Situazione lavorativa

Tipo Abitazione

Origine geografica

Preferenze  sull’ospite

1

F

57

Professionale

Assistenza alla persona

Alloggio Signor. Città

Sud Italia

No

2

F

40

Media

Assistenza alla persona

Cascina Campagna

Nord Italia

Si

3

F

53

Elementare

Assistenza alla persona

Alloggio Popol. Città

Sud Italia

Si

4

F

59

Professionale

Assistenza alla persona

Alloggio Popol. Città

Sud Italia

Si

5

M

40

Professionale

Artigiano

Cascina Campagna

Nord Italia

Si

6

M

56

Elementare

Impiegato

Alloggio Popol. Città

Sud Italia

Si

7

F

52

Elementare

Assistenza alla persona

Alloggio Popol. Città

Sud Italia

Si

8

F

56

Media

Casalinga

Villetta Periferia

Nord Italia

Si

9

F

50

Media

Pensionata

Alloggio Pop. Cintura

Nord Italia

No

10

M

65

Media

Pensionato

Cascina Campagna

Nord Italia

No

11

F

55

Elementare

Pensionato

Villetta Periferia

Nord Italia

Si

12

F

40

Media

Casalinga

Alloggio

Popol. Città

Nord Italia

No

13

F

52

Media

Casalinga

Alloggio

Pop. Cintura

Romania

No

14

F

45

Media

Commerciante

Cascina Campagna

Sud Italia

No

15

M

55

Superiore

Pensionato

Alloggio

Signor. Città

Sud Italia

Si

16

F

68

Elementare

Commerciante

Villetta Periferia

Nord Italia

No

17

F

54

Media

Assistenza alla persona

Alloggio

Pop. Cintura

Sud Italia

Si

18

F

51

Elementare

Impiegato

Alloggio Popol. Città

Sud Italia

No

 

Utente

Sesso

Età

Diagnosi

Situazione residenziale di provenienza

Mesi di inserimento eterofamiliare

Situazione residenziale attuale

1

F

56

Ritardo Mentale

Ex Osp. Psich.

15

IESA

2

F

31

Disturbo Borderline.

Comunità Prot.

6

Comun. Prot.

3

F

84

Ritardo Mentale

Ex Osp. Psich

24

IESA

4

F

81

Schizofr. Disorgan.

Ex Osp. Psich

24

IESA

5

M

51

Disturbo Bipolare I

Comunità Prot.

10

IESA

6

F

20

Dist. Schizotipico di Personalità

Casa Propria

-

Casa Propria

7

F

53

Schizofr. Disorgan

Ex Osp. Psich

-

Comun. Prot.

8

F

64

Ritardo Mentale

Ex Osp. Psich

-

Comun. Prot.

9

F

70

Ritardo Mentale

Ex Osp. Psich

-

AlloggioSupp

10

F

75

Schizofr. Disorgan.

Ex Osp. Psich

-

Comun. Prot

11

M

22

Disturbo Borderline

Homeless

-

AlloggioSupp.

12

M

65

Ritardo Mentale

Ex Osp. Psich

-

Pre – inserimento

13

M

36

Schizofr. Paranoide

Comunità Prot

2

IESA

 

Non tutte le segnalazioni, vuoi per mancanza della giusta famiglia, vuoi per inidoneità dei pazienti, si sono trasformate in inserimenti eterofamiliari. Presso il servizio IESA sono considerati inidonei quei pazienti che presentano dipendenza da sostanze stupefacenti o abuso di sostanze alcoliche o frequente ricorso ad aggressività fisica o a qualsivoglia pratica illegale (furti ecc.). Due episodi IESA si sono dovuti interrompere prima dei tempi previsti dai singoli progetti. Uno (n°1) si è risolto in un trasferimento diretto presso un’altra famiglia e continua tutt’oggi, l’altro (n°2) è sfumato in un ritorno dell’utente in comunità.

Nei prossimi mesi, al fianco delle modalità a medio e lungo termine, in atto gia dall’inizio dell’esperienza, verrà avviato anche un servizio che funziona sul breve termine (crisi) ed uno sul part -  time.

Per giungere alla conclusione di questo intervento credo sia utile spendere ancora un paio di parole nel constatare come oggi i programmi di inserimento eterofamiliare supportato abbiano assunto in Italia la qualità di strumento specifico all’interno dei Dipartimenti di Salute Mentale o dei Servizi Sociali. Tale meritata conquista si pone come tappa indispensabile per realizzare nel prossimo futuro delle efficienti agenzie regionali per l’organizzazione degli inserimenti eterofamiliari supportati, aperte a tutte le ASL ed ai Servizi Sociali.

 


[1] Vedere schema riassuntivo in allegato n°5

[2] Vedere allegato n°4 (ruolo e funzione assistenti sociali e tappe procedurali servizio di Lucca)

[3] Vedere allegato n°1 e 3 (linee guida Collegno – linee guida Lucca)

[4] Vedere allegato n°2 (contratto Collegno)

[5] Parte dei contenuti di questa relazione è tratta dal testo: ALUFFI G., Dal Manicomio alla Famiglia. Franco Angeli, Milano 2001

[6] Nel 1904 in Italia veniva chiamato Patronato Familiare, oggi in Germania Psychiatrische Familienpflege, in Francia Accueil Familial (seguito da Thérapeutique o da Social a seconda di chi lo organizzi) oppure Placement Familial negli Stati Uniti Foster Care o Family Care.

[7] Vedere: ALUFFI G., Premessa teorica. Storia e diffusione dello IESA. In: FURLAN P.M., CRISTINA E., ALUFFI G., OLANDA I., (a cura di) Atti del I° Convegno Nazionale sullo IESA. Edizioni A.N.S., Torino 2000

[8] Nel 1900 la legge nazionale sul confinamento e sulla protezione dei malati mentali prevedeva la possibilità di ospitare i disabili psichici all’interno di apposite celle costruite sul retro dell’abitazione. Nel 1917, 4200 pazienti erano ricoverati in ospedali psichiatrici mentre ben 4.500 erano rinchiusi nelle celle private.

[9] JODELET D., Folies et représentations sociales. Presses Universitaires de France. Paris 1989

[10] FRANKE C.,Psychiatrische Familienpflege ovvero lo IESA in Germania e l’esperienza di Ravensburg. In: FURLAN P.M., CRISTINA E., ALUFFI G., OLANDA I., (a cura di) Atti del I° Convegno Nazionale sullo IESA. Edizioni A.N.S., Torino 2000