La sezione italiana del Groupe de Recherche Européen en Placement Familial (G.R.E.P.Fa. Italia). Principi fondanti ed obiettivi.
Gianfranco Aluffi
Il G.R.E.P.Fa. in Europa
La storia del Groupe de Recherche Européen en Placement Familial (G.R.E.P.Fa.) inizia nel 1986 a Maastricht in Belgio, all’interno di un congresso internazionale, per iniziativa di alcuni professionisti dello IESA europei tra cui si annoverano il belga Marc Godemont ed il francese Jean Claude Cébula. L’intento iniziale era quello di realizzare una società scientifica internazionale sul tema dello IESA al fine di poter scambiare agevolmente dati e risultati correlati a questa pratica. A questa società seguì presto l’apertura di una sezione belga e nel 1992 a Parigi fu la volta di quella francese (G.R.E.P.Fa. France) la quale è al momento la sezione più attiva avendo ormai totalizzato 7 congressi nazionali e vari volumi scientifici. Nel 2004, su invito dei vertici europei, è stata fondata la sezione italiana che vede tra le sue fila rappresentanti di alcune delle più note esperienze IESA nazionali ed internazionali.
Dallo Statuto di fondazione del G.R.E.P.Fa - Italia
“La Sezione Italiana del Groupe de Recherche Européen en Placement Familial (G.R.E.P.Fa - Italia) è un’associazione scientifica con lo scopo di incentivare e sostenere tutte le iniziative di ricerca, formazione, aggiornamento e scambio culturale fra medici, psichiatri, psicologi, psicologi clinici, infermieri, educatori professionali, assistenti sociali, terapisti della riabilitazione psichiatrica, operatori socio-sanitari e tutte le altre figure che più o meno direttamente svolgono le proprie attività in contesti attinenti alla pratica dell’Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti sofferenti di disturbi psichici (I.E.S.A.), in contesti pubblici, privati e volontaristici.
Il G.R.E.P.Fa - Italia può svolgere attività di sostegno e promozione di iniziative legislative locali o nazionali in favore dei disabili psichici con particolare attenzione agli aspetti legati alla residenzialità, al percorso riabilitativo, all’integrazione sociale ed alla qualità di vita.
Verrà data la massima priorità alla realizzazione di un sito web dedicato alla presentazione dell’associazione scientifica, alle iniziative promosse ed alle pubblicazioni significative riguardanti lo I.E.S.A. di provenienza nazionale e internazionale.”
Principi fondanti
La Sezione Italiana del Groupe de Recherche Européen en Placement Familial si fonda sulle seguenti premesse:
§ Avviamento di programmi ad “intenzione terapeutica” solo dietro richiesta o eventuale consenso dell’interessato. Solitamente nelle altre specialità della medicina il paziente richiede l’intervento del medico/terapeuta per far fronte a questo o quel sintomo causa di dolore e sofferenza. Non si può dire che la psichiatria funzioni allo stesso modo. Qui infatti la prescrizione terapeutica viene spesso proposta da operatori inizialmente non sempre cercati dal paziente sino ad essere, in casi estremi ma non meno ricorrenti, addirittura imposta. Chiunque abbia delle nozioni di psicoterapia e dei predittori dell’efficacia di questa sa quanto sia inutile impostare un percorso terapeutico senza che questo sia l’eventuale risposta alla domanda del candidato paziente, la quale deve essere sostenuta da una solida motivazione alla cura. Da questa semplice riflessione si potrebbe partire per cercare di svelare le ragioni dell’elevato tasso di cronicizzazione che caratterizza gli utenti della psichiatria, causato dall’inefficacia degli interventi messi in atto. Al di la della domanda del paziente che non sempre può essere presente (talvolta per ragioni correlate alla stessa sintomatologia), occorre comunque orientare l’intervento verso una valorizzazione del consenso che il soggetto può dare in favore del percorso di cura proposto.
§ Intervento supportivo mirato all’empowerment dell’utente e al favorire un percorso di recovery.[9]
§ Superamento di soluzioni di ricovero inefficaci e sgradevoli le quali rimandano a espressioni neomanicomiali sia in senso di struttura sia di processo (vedi comunità protette, cliniche e case di cura). Tali strutture, peraltro molto diffuse, hanno lo svantaggio ulteriore di presentare alti costi di gestione e scarsi risultati terapeutici. Nella storia della psichiatria italiana, le comunità hanno rivestito il ruolo di facilitatori nel processo di superamento degli ospedali psichiatrici. Si trattava però di gruppi di persone ex degenti del manicomio che si organizzavano in accordo con gli stessi operatori ex-asilari o del privato sociale, al fine di creare nuove forme di aggregazione in un ottica dell’auto mutuo aiuto per ottimizzare al massimo le risorse a disposizione, rendendole più tollerabili ed umane. Spesso i reparti del manicomio, con una abile azione di restauro prestavano le loro stanche mura alle nascenti comunità. Tali comunità, per lo stesso Basaglia, dovevano rappresentare una soluzione transitoria in prospettiva di ulteriori sviluppi verso l’integrazione sociale attiva del disagio psichico. Così evidentemente non è stato ed oggi ci ritroviamo a constatare che le comunità protette hanno assunto il ruolo di soluzione privilegiata nella risposta residenziale e terapeutica in psichiatria[10]. Inoltre, del concetto di partecipazione democratica alla costituzione di queste ed alla relativa gestione, sono rimaste rarissime testimonianze spesso appartenenti al solo “mondo” della teoria.
§ Promozione di programmi di prevenzione del disagio psichico ad ampio raggio.
Obiettivi
Gli obiettivi che il G.R.E.P.Fa – Italia si pone a medio termine sono riassunti dai seguenti punti:
§ Promuovere la cultura specifica degli inserimenti eterofamiliari supportati in psichiatria sul territorio nazionale attraverso iniziative divulgative e scientifiche di vario genere;
§ Diffondere una corretta applicazione del modello IESA sul territorio nazionale attraverso l’organizzazione di momenti formativi, di confronti costruttivi tra diversi servizi e di supervisione delle équipes nascenti. Incentivare la pubblicazione di testimonianze ed esperienze affini allo IESA su riviste e testi;
§ Realizzare nuovi programmi di ricerca tesi a misurare l’efficacia dello IESA, comparandolo ad altre soluzioni residenziali – terapeutiche;
§ Elaborare documenti normativi condivisibili tra i servizi al fine di uniformare procedure validate ed efficaci;
§ Creare sito web dedicato allo IESA;
§ Creare opportunità di formazione al modello degli inserimenti eterofamiliari supportati attraverso l’istituzione di seminari e corsi all’Università e/o scuole di Counselling;
§ Incentivare progetti di scambio di esperienze tra servizi nazionali ed internazionali, in particolare rivolti ai giovani operatori, ai tirocinanti o agli studenti in formazione, favorendone la partecipazione a corsi universitari e/o convegni all’estero;
§ Creare gruppi di lavoro sullo IESA all’interno delle commissioni regionali per la psichiatria al fine di individuare linee guida comuni per le diverse ASL;
§ Creare un gruppo di lavoro composto dai rappresentanti delle diverse esperienze al fine di elaborare una proposta di disegno di legge nazionale sullo IESA in revisione degli artt. 2,13,14,15,16 del R. D. n. 615 del 1909.
I perché della diffusione
Ogni buona pratica che si rispetti, per essere effettivamente considerata tale e quindi promossa a livello di comunità scientifica, deve essere accompagnata da risultati che ne testimonino l’efficacia[11]. Per quel che riguarda lo IESA, i seguenti punti rappresentano solo una parte delle ragioni che sostengono l’importanza di una sua diffusione e saranno oggetto di prossimi programmi di ricerca anche in Italia.
§ Buone performances a livello di risultati riabilitativi conseguiti;
§ Gradevolezza ambientale per l’utente;
§ Buon livello di gratificazione per l’operatore derivante dai frequenti successi terapeutici;
§ Costi di esercizio contenuti, ovvero dai 20,00 € ai 60,00 – 80,00 € al giorno per progetti a tempo pieno;
§ Riduzione dello stigma;
§ Umanizzazione dell’approccio di cura in psichiatria;
§ Continuità residenziale nel percorso di recovery.
Sull’importanza di riferimenti strutturali
Come gia accennato in un paragrafo precedente, ad oggi le comunità protette e le cliniche private rappresentano la soluzione di ricovero più diffusa sul territorio nazionale. Tale fenomeno esprime i contenuti culturali prevalenti nella formazione degli operatori psichiatrici italiani (psichiatri e psicologi clinici compresi) i quali privilegiano soluzioni residenziali “protette” ove l’accento si pone sulla funzione di controllo sociale e sull’intervento farmacologico come terapia di elezione. Il tema dello sbilanciamento della formazione degli operatori psichiatrici è delicato ma importante[12]. Quello che mi sembra opportuno sottolineare è che non si può pretendere, da chi fonda il suo pensiero professionale su delle reti cognitive che associano automaticamente la necessità di un intervento residenziale al ricovero in strutture protette, che improvvisamente si metta a considerare soluzioni più flessibili, individualizzate ed efficaci quali lo IESA o le convivenze supportate in genere. Per assistere a questo fenomeno di ragionevole - se non addirittura buona - pratica, occorre prima lavorare sul retroterra culturale dei professionisti della psichiatria. L’inserimento di elementi strutturali riguardanti lo IESA nei già citati riferimenti normativi regionali o addirittura nazionali, favorirebbe l’operatore psichiatrico nel prendere quantomeno in considerazione l’esistenza di altre pratiche, favorendone l’utilizzo e la diffusione. Occorre però non farsi intrappolare dall’entusiasmo di produrre linee guida troppo rigide le quali riproporrebbero, in beffa a contenuti potenzialmente validi, efficaci ed efficienti, le tristi sfumature di possibili processi di neo-istituzionalizzazione se non di trans-istituzionalizzazione. Consapevoli dell’importanza delle positive ricadute culturali occorrerebbe quindi affrontare, con serietà e consapevolezza dei rischi correlati, la stesura di linee guida regionali comprendenti, oltre alle classiche soluzioni residenziali, anche lo IESA e le abitazioni supportate in genere. La diffusione della cultura anche attraverso elementi strutturali propri dello IESA può avvenire, ed in alcune realtà gia accade, anche in contesti formativi legati a percorsi di studio specialistici. Le ricadute sui risultati di recovery ottenuti attraverso un corretto utilizzo dello IESA svolgono poi una azione di rinforzo naturale al suo sempre più diffuso utilizzo. La presenza di riferimenti strutturali sullo IESA nelle linee guida regionali per la psichiatria porterebbero anche le amministrazioni locali a realizzare un notevole risparmio alla voce di bilancio relativa alla residenzialità psichiatrica. L’entità del risparmio sarebbe in grado di far ipotizzare una estensione di tale modello anche ad altri ambiti (dipendenze, geriatria, handicap, servizi sociali ecc.).
Sull’importanza di un chiaro indirizzo di processo
Oltre agli importantissimi riferimenti di tipo strutturale non occorre perdere di vista gli aspetti processuali dello IESA. In qualsiasi documento normativo od azione formativa è bene dedicare molto spazio alla componenti processuali del progetto che sono poi quelle che delineano uno stile di conduzione e influiscono fortemente sulle componenti ambientali. Gli effetti di un orientamento verso un chiaro indirizzo di processo potrebbero favorire:
§ L’evitamento di possibili situazioni di transistituzionalizzazione quali: l’evoluzione dell’esperienza di Iwakura in Giappone, gli aspetti critici evidenziati in merito all’esperienza di Ainay le Chateau in Francia, l’antica esperienza italiana del Patronato omofamiliare e tutte le realtà ove lo IESA ha una funzione di appendice della clinica e dove quest’ultima riveste una funzione di ricovero con valenza punitiva;[13]
§ La diffusione di una cultura basata sul rispetto dei diritti del disabile;
§ La realizzazione di una formazione omogenea tra le diverse realtà territoriali;
§ L’effettiva rappresentatività dei dati raccolti in vari servizi sparsi sul territorio.
[1] Alla leggenda di St. Dymphna, ambientata a Geel nel 700 d.C., viene ricondotta ufficialmente la nascita della pratica dello IESA.
[2] Per i più curiosi consiglio la lettura del libro di Chiara Sasso intitolato “Un viaggio folle” il quale rende molto bene al lettore l’atmosfera particolare che caratterizzò la quotidianità di questa importante esperienza.
[3] Furlan P.M., Cristina E., Aluffi G., Olanda I. (a cura di), Atti del I° Convegno Nazionale su l’Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti sofferenti di disturbi psichici – Torino 27/5/2000. Edizioni ANS. Torino 2000
[4] Aluffi G., Cagnoni L., (a cura di) Atti del II° Convegno Nazionale su l’inserimento eterofamiliare assistito di persone con disturbi psichici – Lucca 15, 16/11/2001. Edizioni ANS. Torino 2004
[5] Tale argomento è approfondito all’interno del contributo dal titolo: “La sezione italiana del Groupe de Recherche Européen en Placement Familial (G.R.E.P.Fa. Italia). Principi fondanti ed obiettivi”, pubblicato in questo stesso volume.
[6] Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura.
[7] Per approfondire gli aspetti correlati alla operatività del Servizio IESA si consiglia la lettura di: Aluffi G.: Problematiche legate all’avvio del servizio di inserimenti eterofamliiari supportati. In: Atti del II° Convegno Nazionale su l’inserimento eterofamiliare assistito di persone con disturbi psichici. Lucca 15, 16/11/2001. Edizioni ANS. Torino 2004
[8] I primi pazienti psichiatrici vennero trasferiti nel 1853 nei locali dell’attuale Certosa.
[9] Vedere il contributo dal titolo: “Il progetto I.E.S.A.: l’esperienza di Collegno (To)” pubblicato sul presente volume.
[10] Il numero di strutture protette sul territorio nazionale nel 1998 era di 1057 mentre nel 2003 era salito a 1370 unità (fonte: Istituto Superiore di Sanità, progetto PROGRES 2003).
[11] I risultati di alcune ricerche internazionali sono pubblicati su Aluffi G., Dal manicomio alla famiglia. Franco Angeli editore. Milano 2001
[12] Vedere Aluffi G.: Quando una famiglia accoglie. In: Animazione Sociale n°11 Edizioni Gruppo Abele Torino 2001
[13] Per un approfondimento Aluffi G.: Dal manicomio alla famiglia. Relazione introduttiva al II° Convegno Nazionale su l’inserimento eterofamiliare assistito di persone con disturbi psichici. Lucca 15, 16/11/2001 Edizioni ANS. Torino 2004
Il progetto I.E.S.A.: l’esperienza di Collegno (To)
Gianfranco Aluffi
Tappe di un percorso
Nell’accingermi a parlare dell’esperienza IESA di Collegno non posso esimermi dal cercare di ricondurla ad una sequenza di tappe storiche, progressive e determinanti. Una sorta di susseguirsi di fasi, di espressioni, di generazioni dello IESA. Del resto anche le famiglie hanno i loro alberi genealogici e il riconoscimento dei “padri” e delle “madri” può essere isolato come indicatore di buona identificazione col nucleo stesso e come garanzia di regolari relazioni, attaccamenti, sviluppi e separazioni, con tutto ciò che questo rappresenta per una buona crescita dei figli, delle loro esperienze e delle generazioni a seguire.
Detto ciò, senza negare a St. Dymphna[1] l’ “immacolata maternità” di tutte le espressioni riconducibili allo IESA, il primo accenno all’ utilizzo di famiglie volontarie per l’accoglienza di disabili psichici nell’area del territorio oggi servito dal Dipartimento di Salute Mentale di Collegno va ricondotto al 1898, anno in cui la Deputazione provinciale di Torino emise una nota rivolta a tutti i regi manicomi, in cui suggeriva la sistemazione di malati innocui presso privati dietro compenso. Tale documento aveva la funzione di fare fronte alla sovrappopolazione manicomiale di quegli anni e l’accenno allo IESA, peraltro chiamato “collocamento di maniaci innocui presso privati”, assumeva una valenza di solo tipo economico-amministrativo visto che il suo costo, allora come oggi, era decisamente inferiore a quello per il ricovero in strutture asilari. In sintonia con questa tendenza a sfollare i “saturi” manicomi, si trovano anche gli accenni al Patronato eterofamiliare nelle leggi nazionali n°36 / 1904 art. 1 e n° 615 / 1909 artt. 2,13,14,15,16, oggi prive di valore giuridico e distanti anni luce dagli attuali riferimenti legislativi e ancor prima culturali.
Dopo questa breve stagione dello IESA italiano, collocata a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, la quale peraltro non ha visto il territorio piemontese rispondere con particolare entusiasmo, occorre attendere sino al 1990, anno in cui, grazie alla coraggiosa iniziativa del Dott. Paolo Henry e di alcuni operatori della cooperativa “La Valle”, si ripresenta sul territorio dell’attuale ASL 5 piemontese, una nuova esperienza di inserimenti eterofamiliari supportati[2]. Tale progetto era ispirato al modello del servizio di Accueil Familial Thérapeutique portato avanti nella zona di Nantes e della Loira atlantica dai dottori Jean Claude Cébula e Pierre Sans. Nonostante la forte motivazione dei promotori, l’esperienza durerà solo alcuni anni rendendo però possibili, a diversi ex–degenti dell’ ex–ospedale psichiatrico di Collegno, piacevoli periodi di soggiorno presso famiglie residenti soprattutto nell’area delle valli montane. Nel 1997, anno del mio arrivo all’ASL di Collegno, i responsabili di quella nobile iniziativa non lavoravano più qui ma, a testimonianza della loro esperienza, vi era una convivenza la quale venne presa in carico dal nascente servizio IESA e durò ancora alcuni anni, sino alla morte dell’anziana ospite, coccolata ed assistita da una coppia di affettuosi ed arzilli settantenni sino all’ultimo dei suoi giorni di vita terrena.
Oltre alle gia citate esperienze ed ai preziosi ed amichevoli contributi dei dottori Jean Claude Cébula di Nantes e Marc Godemont di Geel, il DNA dell’attuale servizio IESA dell’ASL 5 di Collegno si compone in gran parte di tratti “replicati” dal servizio di Psychiatrische Familienpflege di Ravensburg del quale questo convegno si onora di ospitare tra i relatori uno degli operatori di maggiore esperienza, la dottoressa Regina Trautmann. E’ infatti presso il servizio IESA di Ravensburg che, nel biennio 1995-96, ho osservato e raccolto dati nella quotidiana operatività di un programma che allora mi pareva, e tutt’oggi la penso ancora così, effettivamente rivoluzionario e decisamente più efficace rispetto ai modelli di interazione col disagio psichico messi in atto dalla cosiddetta psichiatria ordinaria. Quel lavoro di ricerca, svolto con la supervisione del professor Agostino Pirella mi portò ben presto ad immaginare, fantasticare, progettare quella che sarebbe potuta essere una applicazione in territorio italiano del modello IESA osservato. Il nome Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti sofferenti di disturbi psichici che in seguito è stato riassunto nel più noto e leggero acronimo IESA, fu coniato inizialmente per dare un titolo sufficientemente rappresentativo all’oggetto della ricerca. Si trattava infatti di una pratica allora sconosciuta alla maggior parte degli operatori della psichiatria italiana e, laddove sfumatamene nota, indicata talvolta col nome confusivo di Affido familiare che, in Italia, rimanda a pratiche di affidamento rivolte a minori. La scelta di usare il termine inserimento non fa i conti con un processo di collocazione artificiosa innescato e pilotato dall’esterno nei confronti di un soggetto temporaneamente disabile o disagiato in un nucleo familiare disposto ad accoglierlo. In tal modo si tradirebbero i principi ispiratori del servizio che vedono il soggetto assumere un ruolo attivo nella decisione di avviare una eventuale convivenza e nel realizzare quel fondamentale processo di inserimento sociale e di recovery attraverso la “porta” del nucleo eterofamiliare. In questo caso quindi inserimento significa integrazione, conquista o recupero di un ruolo socialmente riconosciuto. Occorre inoltre spendere alcune righe per sottolineare la parola più importante nella struttura del nome dello IESA ovvero il termine supportato. L’intervento di tipo supportivo ha la caratteristica di modularsi a seconda dell’effettivo bisogno del soggetto, mai assumendo quindi caratteristiche legate ad approcci assistenziali o di tipo tutorio, molto invasivi e poco terapeutici. Spesso l’operatore, nell’intenzione di fare “il bene” per il paziente, non fa altro che rispondere ad un proprio bisogno o a ciò che immagina essere il bisogno dell’utente. In questo modo egli alimenta un meccanismo di progressiva esclusione del paziente dai processi decisionali che lo riguardano e di sottrazione di identità, attraverso il mancato riconoscimento dell’interlocutore, delle sue esigenze e dei suoi desideri. L’operatore arriva a sostituirsi al paziente in gran parte degli aspetti che producono o rinforzano l’identità percepita del Sé di un soggetto peraltro gia in difficoltà. Esattamente il contrario di quanto ci si possa aspettare da un efficace percorso di riabilitazione, di recovery quale vuole essere lo IESA.
Terminata la ricerca di Ravensburg, tornai in Italia con l’intenzione di provare a realizzare anche qui un servizio IESA, certamente riveduto ed adattato al diverso contesto ambientale e socioculturale ma fortemente ispirato da ciò che avevo attentamente osservato, imparato ed apprezzato nell’esperienza del Baden Württemberg.
I primi tentativi di proporre un servizio di questo tipo incontrarono diffidenza, timori e scetticismo da parte di alcuni dei responsabili dei dipartimenti di salute mentale piemontesi a cui mi rivolsi. Poi, grazie all’incontro col dottor Ezio Cristina e col professor Pier Maria Furlan, rispettivamente primario e direttore del dipartimento universitario di salute mentale b dell’ ASL 5 di Collegno, alla partecipazione sinergica della cooperativa Alice nello specchio e, in seguito, della cooperativa Progest, trovai uno spazio dal quale cominciare a lavorare nella direzione che mi ero preposto.
Nei primi mesi di lavoro elaborai gli strumenti normativi (linee guida e contratto) e operativi (strumenti per la selezione, protocolli di procedura ecc.) del progetto, avviando parallelamente una azione di informazione e sensibilizzazione del personale interno.
Con il successivo arrivo dell’infermiera Irene Olanda (il primo operatore) e la deliberazione del Servizio IESA da parte della direzione generale dell’ ASL, proseguì l’attività di selezione delle famiglie e di avvio delle prime convivenze supportate. I risultati conseguiti nei primi 2 anni di lavoro e il grande entusiasmo per l’apporto innovativo del progetto, ci hanno portato ad organizzare nel maggio 2000 il primo congresso nazionale sullo IESA presso l’Università degli Studi di Torino al quale presero parte alcune esperienze nascenti sul territorio nazionale ed esperti internazionali del settore specifico. L’iniziativa ebbe un buon successo e confluì nella stampa degli atti del convegno[3]. Parallelamente al curare la crescita del servizio abbiamo, in questi anni, dato molta importanza alla diffusione della cultura dello IESA sul territorio nazionale, realizzando più di 45 relazioni presentate a congressi di psichiatria nazionali ed internazionali, pubblicando 35 articoli su libri e riviste italiane ed estere e 3 volumi specifici sull’argomento. Da tale impegno scientifico e divulgativo e da una intensa attività di informazione e supervisione delle varie équipes che ci hanno contattato e richiesto formazione al fine di avviare servizi analoghi, possiamo guardare con un certo orgoglio alla graduale diffusione del fenomeno sul territorio nazionale. Oggi, almeno una cinquantina di dipartimenti di salute mentale, sul totale di 211, adottano lo strumento IESA o sono impegnati nel tentativo di avviare un tale servizio al loro interno.
Nel 2001 in collaborazione con i colleghi della USL 2 di Lucca abbiamo organizzato il 2° congresso nazionale sullo IESA, curando in seguito la stampa dei relativi atti[4]. Nel 2004, su invito dei dirigenti europei della società scientifica GREPFa, abbiamo fondato la sezione italiana di questa prestigiosa organizzazione[5].
Numeri
A quasi 9 anni dall’avvio dell’esperienza IESA di Collegno, possiamo riassumere il lavoro svolto con le seguenti cifre:
Gli 0 giorni totali di ricovero in reparto psichiatrico ospedaliero per ragioni di acuzie della sintomatologia psichiatrica sono un dato molto significativo se lo confrontiamo anche solo alla “performance” in tal senso realizzata da uno degli utenti IESA il quale, nei 5 anni precedenti all’avvio della convivenza tutt’oggi in corso, ha totalizzato ben 582 giorni di ricovero in struttura ospedaliera per crisi di tipo maniacale. Nel caso specifico, trattandosi di persona con diagnosi di disturbo bipolare I e non essendoci state sostanziali variazioni della terapia farmacologica (trattato con stabilizzatore dell’umore, antipsicotico ed ansiolitici a livelli posologici abbastanza costanti se si esclude la riduzione dell’antipsicotico e la sospensione degli ansiolitici dopo un anno di stabilità sintomatologica gia nell’ambito della convivenza supportata), emerge con maggiore forza l’impatto terapeutico scaturito dal, facilmente isolabile, fattore ambientale. Questa persona è passata dal ruolo di paziente psichiatrico ricoverato in comunità protette con frequenti ricorsi al S.P.D.C.[6]durante le importanti crisi maniacali a quello di persona con capacità residue valorizzate dal nuovo ambiente familiare al punto che il suo apporto nella gestione del bar e del circolo ricreativo degli ospitanti è diventato fondamentale. Questo recupero di identità “sana”, nella quale potersi specchiare attraverso il ruolo socialmente riconosciuto di aiutante barista, ha consentito al soggetto un progressivo cammino verso una maggiore serenità e soprattutto verso un umore più stabile al punto di non esser stato mai più ricoverato in reparto psichiatrico in questi 6 anni di convivenza supportata. I suoi familiari inoltre, un tempo espulsivi per le difficoltà relazionali e le bizzarrie comportamentali del congiunto, hanno da qualche anno rinsaldato la relazione, riaprendo a lui le porte delle loro case ed esprimendo più volte la volontà di offrirgli un nuovo spazio di vita all’interno di queste, incontrando sempre un gentile “grazie ma ora sto bene qui”.
Specificità di un modello
I progetti vengono strutturati in base al tempo di convivenza attraverso quattro tipologie: part time; breve termine; medio termine; lungo termine.
Nei progetti part time il volontario o la famiglia passa con il paziente alcune ore della giornata oppure l’intero week end, a seconda degli obiettivi da perseguire. Questa modalità può avere una funzione propedeutica a progetti IESA a tempo pieno oppure può fornire un sostegno a persone che vivono sole in alloggi o presso strutture e che ne abbiano necessità. Per quel che riguarda i progetti a tempo pieno (breve termine; medio termine; lungo termine), si differenziano per la durata e per le tipologie diverse di utenza. Il breve termine si rivolge a momenti di crisi di vario tipo, quello a medio termine mira alla riabilitazione del soggetto ed al passaggio di questi a vita più autonoma, mentre il lungo termine è rivolto ad anziani o a persone con una prevalenza di bisogni assistenziali.
L’utente, anche laddove si trovi sotto provvedimento di interdizione, è totalmente coinvolto in tutte le fasi del progetto, a partire dalla decisione di avviare o meno una convivenza sino ad arrivare ai dettagli di questa.
Ultimamente abbiamo registrato un episodio curioso che ci ha visti rispondere ad una richiesta diretta e specifica di convivenza supportata. Due utenti del nostro dipartimento, che vivevano presso una pensione assistita in centro a Torino, dopo aver letto su un quotidiano dell’esistenza del servizio IESA di Collegno, ci hanno contattato ed hanno preso appuntamento per un colloquio di approfondimento. Abbiamo subito osservato come la nostra possibile offerta ed il loro obiettivo coincidessero pienamente. I due lamentavano che da qualche settimana, con il cambio di gestore, l’utenza della pensione era mutata in peggio e stessa sorte aveva colpito la qualità dei pasti e dei servizi alberghieri in genere. Suggerivano inoltre scenari che lasciavano ipotizzare atmosfere abbastanza lontane dall’immagine della piccola pensione a gestione familiare quale il posto in questione era sino alla gestione precedente. Il loro desiderio era di continuare a vivere insieme in una casa con la cuoca della pensione la quale nel frattempo si era licenziata e le figlie di questa. Tra i cinque, da parecchi anni si era creato un buon rapporto fondato sul rispetto reciproco e sui piccoli mutui aiuti quotidiani. Dopo aver contattato la cuoca e le due figlie ormai maggiorenni ed aver registrato una unanime convergenza di intenti con i due pazienti, abbiamo avviato le procedure di abilitazione al progetto di convivenza[7] e, in seguito al risultato positivo di queste abbiamo espresso il consenso istituzionale offrendo il supporto e l’ integrazione economica necessari.
A sei mesi dall’avvio del progetto, i cinque vivono felicemente in un ampio appartamento scelto, decorato ed arredato insieme. I due ragazzi, molto soddisfatti della scelta effettuata, hanno iniziato a cercare lavoro con il supporto dell’équipe che segue gli inserimenti lavorativi protetti. Un paio di settimane dopo l’avviamento del progetto IESA, la pensione che li ospitava è stata chiusa in seguito ad un sopralluogo delle forze dell’ordine. Sui quotidiani che i ragazzi alcuni giorni dopo il blitz ci mostrarono con l’aria fiera di chi aveva intuito tutto, si accennava a reati legati allo sfruttamento della prostituzione e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Il servizio IESA è organizzato come struttura dipartimentale centralizzata, con appendici nei centri di salute mentale territoriali e collabora sinergicamente con tutte le agenzie del dipartimento di salute mentale. Il modello sperimentato in questi anni prevede una organizzazione che si avvale di 1 referente e di un numero di operatori proporzionato ai progetti in corso (1 operatore ogni 10 convivenze). Il referente si occupa fra l’altro del coordinamento, della formazione e supervisione degli operatori che, di fatto, svolgono la funzione di case manager nei confronti di ogni singolo progetto di convivenza supportata. Alla luce di questo, il servizio IESA si rende promotore di supervisioni cliniche allargate relative ai progetti avviati, alle quali partecipano anche gli operatori delle altre agenzie dipartimentali coinvolte. La conduzione di queste supervisioni è affidata a psicoterapeuti esterni al servizio. L’orientamento teorico di questo specifico servizio si rifà agli insegnamenti basagliani ed al recente modello di recovery.
Il servizio è inoltre sede di tirocinio post lauream per psicologi e per specializzandi in psicologia clinica e psichiatria, per infermieri e tecnici della riabilitazione psichiatrica.
Elementi favorenti
Così come ho gia sostenuto in altre sedi, al fine di realizzare un solido servizio che si occupi di avviare programmi di convivenza supportata secondo le modalità dello IESA, occorre avere l’esplicito avallo da parte dei vertici dirigenziali dell’azienda presso la quale si opera. Si tratta di una operazione sempre meno difficoltosa, anche grazie alle diffuse esperienze in tale ambito su territorio nazionale ed alle interessanti performances garantite dallo strumento in questione in termini di costi – benefici.
La sensibilizzazione delle risorse territoriali e del volontariato al tema dell’intervento domiciliare presso convivenze supportate e la diffusione di una relativa cultura sociale di questo, si rivela determinante al fine di reperire risorse preziose quali le famiglie ed i singoli candidati ad ospitare. Sono inoltre importanti l’esistenza di una buona cooperazione sinergica tra le varie agenzie dipartimentali e la diffusione di una corretta cultura dello IESA tra i colleghi i quali, specie inizialmente e per le più svariate ragioni, possono guardare con sospetto all’applicazione di questo modello. Tali resistenze spesso possono essere superate attraverso il diretto coinvolgimento dei colleghi nella stesura e nella gestione dei progetti IESA.
Sicuramente utile alla nascita e alla buona crescita di un programma IESA è l’effettivo orientamento dipartimentale e aziendale alla razionalizzazione, all’ottimizzazione ed all’efficacia dei servizi resi. Detto tutto ciò è di fondamentale importanza l’entusiasmo che i sostenitori di questo modello di lavoro mettono nella loro quotidianità professionale. La motivazione deve essere grande al fine di superare tutti gli immancabili intoppi che, specie all’avviamento di tali iniziative, minano puntualmente il percorso.
Elementi ostacolanti
Veniamo ora ad esaminare quali fattori possono ostacolare lo sviluppo di un servizio IESA. Contrariamente a quanto di solito si è indotti a pensare, i problemi in questione non nascono dalla scarsa risposta sociale a questo tipo di proposta: di solito, attraverso opportune campagne di “marketing sociale”, e di conseguente selezione, è possibile costruire ricche banche dati relative a volontari o famiglie disposti ad accogliere presso la loro abitazione. Questo è un dato che possiamo ritenere abbastanza omogeneo su tutto il territorio nazionale, al di la di minime differenze determinate da svariati fattori. Nell’area di influenza del nostro servizio, abbiamo una risposta media abbastanza buona con prevalenza maggiore di candidature dalle aree residenziali e rurali dell’hinterland torinese e di alcune zone del capoluogo. Curiosamente la città di Collegno, ove hanno sede i nostri uffici, nonostante sia stata luogo di iniziative divulgative aperte alla cittadinanza ed alle associazioni, non ha sino ad oggi offerto candidature di volontari per quel che riguarda progetti a tempo pieno ovvero di effettiva convivenza. Qualcuno sostiene che l’aver ospitato per più di un secolo[8] quello che divenne il più grande manicomio italiano possa giustificare questa distanza che oggi i cittadini collegnesi tengono dal disagio psichico. La questione rimane comunque aperta.
Come si può quindi evincere da quanto sopra evidenziato, il reperimento di famiglie o singoli volontari non rappresenta un ostacolo all’applicazione di un programma IESA.
Ad oggi non si può nemmeno più sostenere che manchi una cultura specifica ed adeguata tra gli operatori intenzionati ad avviare tali progetti in quanto vi sono diverse pubblicazioni in lingua italiana ed agenzie formative in grado di trasmettere l’ ”arte” e la “scienza” dello IESA.
Per quel che riguarda i pazienti, è cosa assai rara che si verifichino episodi spiacevoli nell’ambito delle convivenze supportate ed il livello di gradimento medio riferito alla situazione abitativa, sociale e di cura è solitamente alto. Solitamente lo IESA non viene precluso a nessuno in quanto si ritiene che ogni paziente possa beneficiare del fatto di poter vivere in una normale abitazione, circondato da attenzioni ed affetto. Vengono escluse soltanto le persone che hanno la tendenza a commettere furti o ad agire violenza, a tutela dei volontari. Detto ciò si può osservare che nemmeno i candidati ospiti, qualora opportunamente selezionati, possono essere considerati come fattore critico ed ostacolante.
Al termine di questa breve e superficiale analisi emerge quanto di solito l’elemento ostacolante sia da cercare tra i professionisti della psichiatria, prevalentemente mossi da una cultura specialistica che poco considera gli aspetti ambientali del procedere terapeutico, privilegiando il correlato biologico del sintomo.
Specie nel primo periodo del percorso di un servizio IESA, sono carenti le segnalazioni di potenziali candidati ospiti da parte delle équipes ambulatoriali e degli psichiatri. Il rischio è quello di avere ricche banche dati di famiglie selezionate, disposte ad accogliere e pochissimi pazienti informati dell’opportunità di partecipare a progetti di convivenza supportata. Alcune delle ragioni ipotizzabili dietro a questa “resistenza istituzionale” allo IESA possono essere così sintetizzate:
Risultati
I dati che emergono da ricerche ancora in corso presso il nostro servizio suggeriscono che l’intervento di presa in carico attraverso un programma IESA consente:
Bibliografia
· Aluffi G. L’accueil familial thérapeutique pour adultes en Italie. In: L’accueil familial en revue. n°7 Edition I.P.I. Paris 1999
· Furlan P.M., Cristina E., Aluffi G., Olanda I. Programma l’accoglienza - L’Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti sofferenti di disturbi psichici (IESA). In: Società italiana di Psichiatria - Bollettino scientifico e di informazione. n° 2 Anno VI Luglio 1999
· Aluffi G.: Quando una famiglia accoglie. In: Animazione Sociale n°11 Edizioni Gruppo Abele Torino 2001
· Aluffi G.: Réponses familiales à des sujets souffrant de troubles psychiques. In: L’accueil familial en revue. n°15 Edition I.P.I. Paris 2003
· Aluffi G., Ceccarini L., Ientile S., Mennoia D., Olanda I., Pirrotta C., Cristina E., Furlan P.M.: La tua famiglia può crescere In: Torino Medica n°6 Bollettino dei Medici Torino Giugno 2003
· Aluffi G., Psychiatrische Familienpflege in Italien. Geschichte und derzeitige Situation. In: Meine Familie, meine Psychose - und Ich?. - XV Bundestagung der Psychiatrischen Familienpflege, Ed. PFP Rust 2000
· Aluffi G.: Placement familial et soins en Italie. In : “Effets therpeutiques en AFT: processus insaissable?”. Ed. Grepfa F Paris 2004
· Aluffi G., Furlan P.M.: Psychiatric reform and “territorialisation” of the mental health services in Italy. The Foster Family Care project of the University Mental Health Department in Piemonte. 2005 In: Balanced care. Innovative perspectives on psychiatric rehabilitation. (Abstract book and web site) Ed OPZ Geel 2005
· Furlan P.M., Cristina E., Aluffi G., Olanda I. (a cura di), Atti del I° Convegno Nazionale su l’Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti sofferenti di disturbi psichici – Torino 27/5/2000. Edizioni ANS. Torino 2000
· Aluffi G., Dal manicomio alla famiglia. Franco Angeli editore. Milano 2001
· Aluffi G., Cagnoni L., (a cura di) Atti del II° Convegno Nazionale su l’inserimento eterofamiliare assistito di persone con disturbi psichici – Lucca 15, 16/11/2001. Edizioni ANS. Torino 2004