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Con l'animo profondamente addolorato mi accingo qui a rievocare la nobile figura dell'illustre mio Maestro, il prof. Giovanni Marro, Senatore del Regno, Membro effettivo od onorario di numerose Accademie scientifiche italiane e straniere, mancato improvvisamente a Torino il 20 luglio 1952.

Ma, scrivere di Chi ebbe una vita spirituale così intensa e multiforme, sia pure sempre armonicamente coordinata, non è facile ad una allieva dalla penna pari alla mia, anche se una figliale devozione, sorta nel comune campo di studi, mi ha tenuta a Lui vicina per tanti anni e se ho avuto l'onore di essere spesso elevata alla sua confidente amicizia.

Si affollano alla mia mente episodi ed episodi vissuti con Lui, che mi pare raffigurino tutto in poche pennellate; subito mi accorgo che nessuno vale a rievocarlo nella sua interezza.

Nacque a Limone Piemonte il 29 gennaio 1875 da famiglia oriunda del luogo; quercia vigorosa dalla quale si distaccarono, a virgulto, uomini forti, probi e capaci, fra cui, di riconosciuta e larga fama, il padre Antonio, grande nelle discipline antropologiche, sociologiche e psichiatriche, e il fratello prof. Andrea di recente scomparso, rinomato chirurgo e grande filantropo, valoroso tanto da meritare - quale operatore sul campo - due medaglie di argento al valor militare nella prima guerra mondiale.

Ebbe solo un vago, ma ansioso ricordo della madre, morta quando Egli era in tenera età; e tutto l'affetto concentrò nel padre, amorevole educatore dei quattro figli, la cui figura dominò, quale esempio luminoso, ogni atto della sua vita.

Compì gli studi e svolse la carriera scientifica a Torino, dapprima alunno al Ginnasio-Liceo Cavour, dove ebbe maestro e poi amico il prof. Cian e dove tornava spesso, con nostalgico pensiero, insieme coi compagni di allora, coi quali si ritrovava molto volentieri, con immutata sincera amicizia; poi alla Facoltà di Medicina dell'Università di Torino, dove si distinse subito per serietà di intenti e perseveranza nello studio e dove ebbe indimenticabili maestri nei proff. Bizzozzero e Bozzola.

Ma, alla maestra elementare del paesello natio montano sentiva di dovere, soprattutto, la tenacia del carattere; e rievocava non senza commozione il giorno in cui, a Lui appena iniziato ai doveri scolastici, la simpatica educatrice aveva lasciato scorgere sul registro la qualifica di mediocre; da quel momento volle meritare di essere giudicato meglio; e, armato di indomabile buona volontà, iniziò il lungo cammino verso alte mete, senza mai deflettere, senza mai sostare.

Laureatosi brillantemente si perfezionò anche -nelle lingue, seguendo Corsi di anatomia e fisiologia presso Istituti universitari in Svizzera, in Francia e in Germania. Entrò poco dopo medico negli Ospedali Psichiatrici di Collegno - Torino, soprattutto, mi diceva, per essere più vicino al padre e vivere con lui anche le ansie dello studio e del lavoro.

Medico Primario e Direttore del Laboratorio anatomico di Collegno per molti anni, fu poi chiamato, per Concorso Nazionale (classificato primo assoluto dalla Commissione giudicatrice) all'alta carica di Direttore Generale dei quattro Istituti Psichiatrici di Collegno - Torino. Degno continuatore dell'opera paterna, qui profuse le doti peculiari dell'intelletto e del cuore, nella ricerca di ogni mezzo atto a lenire la sofferenza e a recuperare socialmente tanti derelitti.

Era molto amato dagli ammalati ed aveva tutta la devota stima del personale. Fu Lui a domare nel 1913 una sommossa nel reparto criminali - da solo, forte del prestigio di cui godeva, salì sul tetto della sessione a disarmare alcuni facinorosi che, minacciando chiunque osasse salire, non volevano arrendersi né al personale né alla polizia accorsa; e li ricondusse quieti ed obbedienti, senza disgrazia alcuna, fra l'ammirazione di tutti.

In uno scontro ferroviario avvenuto a Collegno, prestò volonterosamente la sua opera medica ai feriti con tanta abnegazione da meritare un premio dalla Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato; ad una somma in danaro preferì la tessera valida per un anno su tutta la rete italiana, tanto era amante di conoscere luoghi e genti nuove, di ammirare ogni angolo della terra. Per appagare in parte tale desiderio, per parecchi anni acconsentì alla carica di Medico di bordo nel mese di ferie concessogli dall'ospedale. Così, non ricco, ebbe modo di visitare ad uno ad uno i paesi mediterranei, soprattutto quelli del Mediterraneo orientale.

Concepì l'Antropologia come, «la Storia naturale dell'Uomo», sintesi di ogni disciplina naturalistica, e l'uomo studiò, considerandone ogni manifesta o recondita espressione, nell'anatomia e fisiologia, nell'osteologia, nella etnografia, nell'archeologia, nella preistoria e nella storia, inquadrando ogni fenomeno biologico nell'ambiente naturale, quale originario promotore e orientatore.

Alla freddezza e meticolosità del medico e dello scienziato accomunava un senso vivo dell'arte, un amore per il bello. che lo fece collezionista, per elezione, delle più svariate manifestazioni artistiche. Un bel dipinto, l'armonia di un'opera architettonica, qualsiasi fenomeno naturale davano commozione e soddisfazione al suo spirito e Lo compensavano di qualunque fatica spesa per prenderne visione.

“Spirito eclettico, da collegare all'epoca del nostro grande Rinascimento” Lo definì il prof. S. Perrier, Presidente dell'Ordine dei Medici di Torino, nella commossa rievocazione ad esequie avvenute; e tale veramente è da considerare.

La sua casa era tutta una raccolta di cimeli antichi, di copie rarissime di antiche edizioni, di oggetti d'arte, di manifestazioni singolari del nostro artigianato, di ogni relitto delle passate civiltà; e tutto disponeva e collocava di sua mano, rivivendo con intensità - nella descrizione arguta che di ogni oggetto sapeva dare agli amici e ai visitatori - il piacere provato al momento della scoperta o dell'acquisto.

Dotato di singolare potenza mnemonica, citava con prontezza classici latini e poeti e prosatori nostri, antichi e moderni. Nelle sue lunghe veglie godeva la lettura delle odi di Orazio, sentiva profondamente l'eloquenza di Cicerone; e recitava spesso Dante, il Petrarca, l'Ariosto, il Tasso, il Foscolo, il Carducci, il Pascoli, e brani lirici del Manzoni, di cui era ammirato particolarmente; e versi e squarci di prosa di autori meno conosciuti o anche pressoché ignorati. Fra i classici stranieri il Goethe godeva la sua preferenza.

Collaboratore e amico dell'egittologo prof. sen. E. Schiaparelli - che in un suo lavoro postumo scrive essergli stato «alto Maestro di scienza e di vita» - fu Membro della Missione Archeologica Italiana in Egitto, promossa dalla munificenza del re Vittorio Em. III agli albori di questo secolo; e come tale partecipò a numerose campagne di scavo - ad Eliopoli, a Gau, ad Assiut, a Tebe nella valle delle Regine, a Elefantina, a Gebelén poco lontano dai fasti vetusti di Luxor - a cominciare dal 1911. Per originale iniziativa dello Schiaparelli, la Missione Archeologica Italiana - unica fra tutte le altre straniere che scavavano il suolo egiziano - aveva congiunto allo scopo prettamente archeologico anche quello antropologico; e cosi Egli poté là mettere insieme la più cospicua raccolta osteologica e realizzare un programma di ampie ricerche sulla costituzione fisica e sull'abito psichico dell'antica razza egiziana, per addivenire ad un'interessante comparazione fra la razza del tempo antico, della bassa epoca e del tempo moderno. Le esplorazioni svolte, dal 1930 al 1935, in collaborazione col prof. G. Farina, Gli permisero di arricchire ancora Torino d'una collezione di crani e di scheletri neolitici, d'inestimabile pregio, estratti con varia suppellettile etnografica da una necropoli predinastica di Gebelen nell'Alto Egitto. Un tale complesso di indagini non poteva essere da Lui solo ultimato; onde ne aveva affidata da qualche tempo una parte alla scrivente.

Della terra dei Faraoni, della potenza e della civiltà, degli antichi Egiziani, aveva profonda ammirazione; ed ogni volta che gli studi Lo riconducevano nella prodigiosa valle del Nilo, si sentiva grandemente appagato. La nostalgia dell’Egitto non lo abbandonò mai, neppure negli ultimi anni; incurante dell'età, conservava acuta l'aspirazione a tornare a contatto diretto con quel mondo, così ricco di originalità.

Al Cairo era conosciutissimo, e non solo dalla Colonia italiana, nella quale contava numerose e devote amicizie, ma anche dagli studiosi stranieri. E vivo è in me il ricordo della simpatica accoglienza che, in suo onore, ebbi, nel 1939, quando, su proposta dell'Eccellenza R. Paribeni, Direttore delle Missioni Scientifiche Italiane in Levante, Lo accompagnai in Egitto, per lo studio di una parte del materiale scheletrico raccolto nella campagna del 1935. Ovunque fummo accolti con viva cordialità, al Museo di Antichità del Cairo, all'Istituto di Anatomia di Kasr-El-Aini, all'Istituto di Geografia d'Egitto, al palazzo reale di Abdine, dove chiunque del Corpo della Guardia Reale Lo introduceva con sollecitudine e deferenza, conoscendolo, per antonomasia, come «il Professore italiano di Torino».

Quando, nel 1923, Gli venne conferito dal Ministero della Pubblica Istruzione, per voto unanime della Facoltà di Scienze dell'Università di Torino, il Corso ufficiale di Antropologia, si dedicò con sincero entusiasmo a tale insegnamento, che abbandonò, per raggiunti limiti di età, nel 1950.

Nel 1926 contribuì all'affermazione di tale disciplina presso l'Ateneo torinese colla fondazione dell'Istituto e Museo di Antropologia e di Etnografia, che da allora considerò quale propria creatura, quasi sua diretta figliazione, avendovi depositate tutte le collezioni scientifiche di sua proprietà, raccolte in parte da Lui medesimo, in parte da suo padre, in parte provenienti dalla attività del fratello prof. Andrea, che ricorreva ampiamente agli innesti pitecoidi nella cura di svariate entità morbose di indole endocrina. In seguito riuscì a far affluire all'Istituto e Museo anche altre raccolte, soprattutto di indole paletnologica ed etnografica, provenienti da enti o da privati, sì da portarlo a gareggiare degnamente con i congeneri d'Italia.

Fra tutte, di importanza sempre invero eccezionale è la ingente raccolta di materiale etnografico ed osteologico egiziano, ricca di oltre 1000 crani e di 300 scheletri di tutte le epoche faraoniche e del periodo neolitico materiale abbondante e preziosissimo, il cui valore è ancora aumentato dallo stato di perfetta conservazione e dal rigoroso divieto, da parecchi anni posto dal Governo Egiziano, all’esportazione di scheletri e di mummie. Le numerose Note e Memorie in questo campo lo hanno fatto apprezzare in Italia e all’estero; particolarmente al Cairo, dove Lo vollero Membro onorario dell'Istituto di Egitto e Membro titolare della Società Reale di Geografia del Cairo.

Nell'Istituto e Museo di Antropologia Egli passava la maggior parte delle giornate, spesso raccolto in un fertile isolamento intellettuale, che al visitatore superficiale poteva sembrare scarsa socievolezza, mentre, a chi aveva imparato a conoscerlo meglio, appariva naturale necessità del su<o acuto e coscienzioso spirito di osservazione.

A Torino era conosciutissimo e non dimenticava i numerosi amici né era da loro dimenticato, sia nel campo degli studi, sia nel campo della medicina professionale, sia al Circolo Militare, dove conservava legami di affettuosa inalterata simpatia, stabiliti nei lontani anni della prima guerra mondiale.

Parco sempre di parole, aveva, tuttavia, paterna dimestichezza con gli allievi e coi frequentatori dell'Istituto; non negava il consiglio a nessuno e ne era largo particolarmente coi giovani.

Affermava di imparare sempre anche dagli umili; e pareva cosa sorprendente che Egli - cosi energico e volitivo - potesse talvolta chiedere consiglio al personale subalterno, pur riservandosi sempre di operare come riteneva meglio.

Fu delegato dallo Schiaparelli a rappresentare il Museo di Antichità di Torino ed il Ministro Italiano della Pubblica Istruzione a Grenoble nel 1921, in occasione del centenario della scoperta di Champollion «le Jeune» della chiave dell'alfabeto geroglifico egiziano. Volle allora portare un contributo originale per una migliore conoscenza dell’opera di quello scienziato, che la Francia aveva dapprima tanto ostacolato, illustrando le benemerenze del Museo Egiziano torinese, fondato dalla munificenza di Re Carlo Felice nel 1824, e della Reale Accademia delle Scienze di Torino, che diedero l'uno materiale di primo ordine come il «papiro regio», l'altra larga ospitalità all'illustre egittologo francese, favorendone la scoperta di risonanza mondiale. Per giungere a tali documentate affermazioni, a onore e vanto del nostro Paese, cercò i discendenti di quel Drovetti che aveva ceduto il primo ingente nucleo di antichità egizie - fra cui il «papiro dei re» - al principe sabaudo; e presso il cav. M. Ozella, in una cassetta stipata di lettere, manoscritti e pergamene, gelosamente trasportate da Barbania Canavese, patria del Drovetti, da questo discendente fedele alle memorie familiari, rinvenne alcune lettere di Champollion, che Gli permisero di rivendicare al Piemonte il merito di averlo iniziato alla geniale scoperta.

Da quel momento cominciò la valorizzazione di quell'Archivio inedito di Bernardino Drovetti - che lo Schiaparelli giudicò fin dall’inizio «un tesoretto» ricco di dati storici, archeologici, naturalistici, etnografici, psicologici, che, con delicatezza d'animo, fece donare alla Reale Accademia delle Scienze di Torino, della quale il Drovetti era stato Membro per tanti anni.

Sempre Lo rivedo esaminare con passione, a uno a uno, meticolosamente, gli oltre mille documenti e porre i più importanti anche sotto i miei occhi, e interpretare attentamente grafie ed espressioni inusitate. Rievocava con devozione i grandi uomini del passato che col Drovetti avevano avuto rapporti epistolari scientifici, politici o semplicemente amichevoli; sentiva tutta la grandezza di quel forte canavesano, dimenticato da tanti anni, poco conosciuto forse da sempre, e che Egli aveva, per primo, da gigante por mano, con spirito fecondo di italiano e di latino, all'opera di rinascita politica e sociale dell'Egitto nella prima metà del secolo scorso. Re Fuad I d'Egitto Gli conferì l'incarico di curare l'edizione completa, ordinata ed illustrata, di tale Archivio, che metteva in risalto l'opera del grande, suo avo Mohammed Ali. Incarico confermatogli poi da Re Faruk, che Egli accettò soprattutto coll'intento di mettere in rilievo l'attività e la feconda partecipazione di una schiera di Italiani, umili e grandi, svoltasi anche col cosciente sacrificio della vita pur di tenere alto il nome d'Italia, e di rivendicarne l'opera in tutta la moderna civilizzazione dell'Africa.

Il primo volume pubblicato, a spese della Casa Reale d'Egitto, a Roma presso l'Istituto Poligrafico dello Stato, e molto Note e Memorie di indole storica, psicologica, etnografica, naturalistica, tratte dall'Archivio, sono state richieste di recente a Napoli dalla Mostra d'oltremare e del Lavoro Italiano nel Mondo, dove attualmente figurano.

Fu, invero, sempre grande assertore di italianità e fervido credente nelle virtù patrie. Partecipò alla prima guerra mondiale e, da Maggiore prima e poi da Colonnello Medico di Complemento, fu chiamato a Consulente neuro-psichiatra della base italiana di Lione e del Corpo d'Armata operante in Francia; ora, da parecchi anni, rivestiva la carica di Generale Medico della Riserva.

Nel 1929, in seguito ad una segnalazione del prof. S. Squinabol, pose mano a quelle esplorazioni sistematiche in Valcamonica che Lo condussero a scoprire un grandioso complesso di incisioni rupestri preistoriche, a iniziare lo studio di un antico sistema religioso probabilmente autoctono  ad apportare contributo alla conoscenza ed alla derivazione di antichissimi alfabeti italici, a gettare solide basi per la ricostruzione di una speciale civiltà camuna.

Questi reperti e studi ebbero grande e favorevole eco in Italia ed all'estero, sollevando problemi di alto interesse scientifico soprattutto nei Paesi Scandinavi oltre che in Francia, in Spagna, in Inghilterra; ed il Consiglio Nazionale delle Ricerche accordò due volte un sussidio all'Istituto di Antropologia di Torino per il proseguo delle importantissime ricerche e delle relative relazioni. L'Istituto di Studi Etruschi di Firenze Lo volle, soprattutto per questo, Membro Ordinario.

Capo di Ponte, che Lo vide per tanti anni arrampicarsi sui fianchi scistosi della Valle e pulire - pazientemente e delicatamente - la roccia violacea permiana, dai muschi abbarbicati e densi, per mettere in luce figurazioni simboliche e scene, a testimonianza di una antichissima civiltà autoctona, volle eleggerlo suo Cittadino Onorario nel maggio u.s.; ed il Sindaco e la Giunta stavano promovendo per il settembre dei festeggiamenti per la consegna ufficiale della pergamena. La notizia del simpatico riconoscimento da parte del ridente paesello camúno Gli giunse di grande soddisfazione, ma purtroppo quasi al termine della sua laboriosa giornata.

Sapeva contenere ogni entusiasmo, ma neppure soggiaceva al dolore. Quando una ventata politica parve volerlo sferzare, Lui che solo di scienza si era sempre occupato e preoccupato, mi si rivelò nella sua interezza, perché lo vidi attendere senza soste, scevro da preoccupazioni personali, con la stessa volontà, colla stessa fede e perseveranza, alle consuete occupazioni. Così ebbe il rispetto di tutti.

Galantuomo, piemontese di vecchio stampo, duro e forte di carattere come le rocce della natia, sempre amata Limone, non si allontanò mai dall'originario semplice tenore di vita, ispirato a grande austerità e a innata parsimonia. Né cercò altro appagamento all'infuori di quello che dà il lavoro.

«Il giorno in cui non potrò più lavorare morrò», ebbe spesso a ripetermi. E in pieno fervore di opere il suo spirito depose all'improvviso la spoglia mortale, lasciandoci tale nobile consegna.

Soprattutto per essa il prof. Marro continuerà a vivere nella memoria di chi Lo conobbe o Gli fu allievo ed amico.

 

Prof SAVINA FUMAGALLI

Incaricata di Antropologia nell’Università di Torino

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