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Breve storia del "Progetto Handicappati"

 

documento 1: frontespizio di un opuscolo illustrativo del 1991
documento 2: scheda
documento 3: scheda
documento 4: comunità esterne
documento 5: la relazione annuale del 1991

1979

Il 14  dicembre 1979 la Provincia di Torino segnala a Enti e Servizi  competenti  i nominativi  degli  handicappati  ospiti di Istituti con sede fuori Regione.

 1980

 Il 4  aprile 1980  il prof.Pirella, allora "medico direttore sovraintendente"  degli Ospedali    Psichiatrici    presenta all'Assessore alla  Sicurezza Sociale della  Provincia  di Torino (Sabbadini)  gli  elenchi degli  handicappati ultraquattordicenni ancora  ricoverati  negli O.P.,  distinti  per  appartenenza alle U.S.S.L., per reparti in cui erano ricoverati e per fasce di età.

 Pirella sottolinea  l'istituzionalizzazione precoce  e lunga che  avevano  subito  questi  soggetti  vissuti  per  decenni  in situazioni  di   promiscuità, repressione   e   segregazione  e raccomanda che tale condizione sia tenuta presente nel momento in cui si programmano soluzioni alternative al  ricovero in Ospedale Psichiatrico.

 Il 2  giugno  1980   l'Assessore  Sabbadini   trasmette tale elenco all'Assessore ai Servizi Sociali e Sanitari…del  Comune  di Torino  (Migliasso),  all'Assessore  all'Istruzione  (Dolino), ai Consigli di Circoscrizione, ai Comuni capofila delle U.S.S.L., ai servizi  Psichiatrici  di  zona,  agli  Assessori  all'Assistenza (Vecchione)  ed alla Sanità…e Sicurezza  Sociale  (Enrietti) della Regione  Piemonte;   afferma che dovranno essere  predisposti in accordo con i reparti di degenza degli O.P.  gli  opportuni piani operativi  per  ricercare  ed  attuare  soluzioni  alternative al ricovero.

         Nel    maggio del 1980:  viene  aperta  la  prima Comunità  handicappati all'interno  dell'Ospedale  Psichiatrico,  con  la collaborazione della Provincia di Torino con cui si era concordato di affiancare ai 6  infermieri un altro tipo di operatore:  l'educatore.

         Per la prima volta entrava in O.P.  una figura professionale già da anni utilizzata  in  vari  servizi pubblici  per  la  riabilitazione e risocializzazione degli handicappati.

La  Comunità  aperta   presso  il  reparto   6  delle  Ville Regina Margherita accoglieva 8  ragazzi handicappati psichici di età tra i  20 anni ed i 30,  provenienti  dal rep.4  di Collegno  e dal  rep.6 delle Ville.

     All'interno della Comunità  lavorano 6 infermieri (4 uomini e 2 donne) e due medici.

     La  Comunità  era sorta per due esigenze  fondamentali:  da un lato le richieste di un gruppo di genitori che richiedevano per i loro figli una collocazione più  adeguata, dall'altro per dare una risposta più  corretta  e  personalizzata  ai  bisogni  di questi handicappati con lo scopo di poterli reinserire all'esterno.

 Per questo si era cercato un collegamento con  gli operatori del C.S.T.  di Corso Toscana per garantire la  partecipazione dei ragazzi ad attività… esterne  e giungere ad una collaborazione tra il personale dell'O.P.  e  quello  della Provincia, specializzato per gli handicappati.

     Tre educatori della Provincia erano presenti in O.P. per tre volte alla  settimana,  per migliorare  la  conoscenza reciproca, superare  eventuali diffidenze  ed  incomprensioni  e soprattutto migliorare   la  conoscenza  dei   ragazzi   tramite   gruppi  di discussione,  utilizzazione  di  schede  relative  ai  livelli di autonomia,  divisione del gruppo  in  sottogruppi  inseriti nelle attività  esterne del C.S.T.  cui partecipavano accompagnati da un infermiere o da un medico.

     La presenza  di  educatori era stata  ritenuta particolarmente utile  e  stimolante,  tuttavvia  la  gestione  del  quotidiano e l'andamento  complessivo   della  Comunità erano ancora  compito esclusivo  degli   infermieri;   il  livello  di  assistenza  era migliorato  nettamente  rispetto  al  reparto,  il  personale era responsabilizzato e  autonomo  rispetto  a  molte  iniziative, si erano creati  validi  vincoli affettivi  tra  il  personale  ed i ragazzi.

     Tuttavvia erano emersi momenti di aggressività  tra i ragazzi, tensioni  con i genitori  preoccupati per i loro  figli,  tra gli operatori non sempre  in  numero sufficiente per  farsi carico di tutti questi problemi.

     A questo punto parve necessario un ulteriore salto di qualità per  poter  reinserire  all'esterno  almeno   alcuni  di  questi ragazzi,  perchè il progetto era sorto come "ponte"  tra l'O.P. e l'esterno.

     Veniva quindi  richiesto un  maggior impegno di  forze  e di tempo soprattutto per il  personale esterno:  alcuni  educatori a tempo pieno e  l'inserimento  di  alcuni  ragazzi  prima  a tempo parziale e poi pieno nelle strutture esterne.

 1981

 Nel mese  di  marzo del  1981  il  gruppo  di  operatori che lavoravano nella Comunità  Handicappati  del reparto 6  delle Ville scrivevano al  Presidente dell'USSL 24,  al Coordinatore Sanitario, al Direttore dell'Ospedale,  agli  assessori all'Assistenza della Provincia e del  Comune di Torino  una lettera in  cui, dopo aver tracciato  una  breve   storia  delle   vicende  della  Comunità, sottolineano il  fatto che inizialmente  i tre Educatori  a tempo parziale,  provenienti  dal  CST  di  Cso  Toscana,  erano  stati trasferiti in altre strutture della Provincia per cui il lavoro a favore degli ospiti  aveva subito  un  rallentamento.

Dopo alcuni mesi il lavoro è stato ripreso con altri 4  educatori, di cui due precari,  ed era stato possibile iniziare  una serie  di attività programmate  ed  un  lavoro  di integrazione tra le  varie figure professionali (infermieri,  medici ed educatori).

Era stato anche avviato  un  progetto  di dimissione in  una costituenda comunità esterna di alcuni ospiti dimessi dall'O.P., in collaborazione con un gruppo di operatori dell'I.P.I.M. (ex Mainero).

     Tutto questo  lavoro  rischiava di  essere  interrotto dallo scadere  del periodo di  assunzione di due  educatori precari,con grave   danno   per   gli   utenti   a   causa  dell'interruzione dell'intervento terapeutico.

     Per  risposta,  l'assessore  alla  sicurezza  sociale  della Provincia,  Fernando Gattini,  scrive nel giugno dell'81 che "gli operatori messi a disposizione da questo Assessorato per attivare l'iniziativa in oggetto (cioè la Comunità  handicappati dell'OP di Collegno),    dovranno   rientrare    al    loro    servizio   di appartenenza...per imprescindibili necessità".

 1982

Per alcuni mesi le assemblee del personale ed i parenti dei ricoverati  del reparto 6  discutono un progetto  di "superamento del reparto"  che  viene  inviato  al  Coordinatore  Sanitario dr G.Gandiglio,  al  Sovraintendente prof.Pirella,  al  Direttore dr D'Alba ed al Presidente Sammartano.

     Tale   progetto,   firmato  dal  Primario  del   Reparto  dr Tavolaccini,  propone di formare nei locali del 6 una comunità di 25  persone  discretamente autosufficienti,  una Casa-Albergo per autosufficienti,  due Comunità  Handicappati  (una delle  quali già costituita da oltre un anno). 

Per  quanto  riguarda il personale,  mentre  per   le  altre  comunità   si  prevedono   esclusivamente  infermieri  e inservienti,  per le due  comunità handicappati sono previsti infermieri e  educatori,  sul modello della comunità già esistente. ( 1° febbraio 1982 ).

     Proseguendo nell'elaborazione di varie ipotesi,  il 10 marzo viene   presentata, sempre dai dottori Gianara e Tavolaccini, la  proposta  di  una   o   più  comunità  di handicappati provenienti sia dal reparto 6  delle  Ville,  sia da altri reparti,  sia dalla zona di Venaria, in locali reperiti nel parco  della Mandria,  per cui  erano  stati  presi  contatti con l'Assessorato Regionale ai Parchi:  tale iniziativa  non ha avuto alcun  esito,  ma  rappresenta un  tentativo  per  inserire fuori dall'ospedale le comunità  di questo genere.

Il 24  marzo i medici  responsabili  della comunità  chiedono all'amministrazione come condizione indispensabile  per aprire la seconda comunità  per handicappati l'assunzione di almeno quattro educatori per comunità, sostenendo che la  presenza di educatori "garantisce una  specificità di  intervento  che  costituisce un fattore importante  di  risocializzazione". 

In quel  momento gli educatori effettivamente in servizio nella comunità  sono due, con rapporto a contratto professionale per 30 ore la settimana.

Il 13 luglio la dott.ssa Gianara, responsabile della Comunità, in una lettera indirizzata all'Amministrazione, lamenta la grave carenza di  personale,  poichè i 6  infermieri e  i due educatori  superstiti non sono in  grado di  coprire il servizio, soprattutto nei giorni festivi,  in cui gli ospiti sono ridotti a rimanere tra quattro mura;  sostiene che la mancanza di personale è   già stata   segnalata   dalla   Direzione    Sanitaria   e dall'Associazione per la lotta contro le malattie mentali fin dal mese precedente;  il dottor  Tavolaccini,  nella  sua  qualità  di Primario del rep.6, conferma tale grave situazione,ricorda che il problema è già stato  discusso  e  chiarito  in  riunioni  con il Presidente, il vicepresidente, il sovraintendente sanitario e con i parenti dei ricoverati,  sostiene che la soluzione per  il buon funzionamento  della comunità è comunque legato al  programma di superamento di tutto il reparto.

     I medesimi medici responsabili nel luglio  82  e nell'ottobre dello stesso anno presentano un progetto di più ampio  respiro, che per la prima volta è definito "Progetto Handicappati" :  si riconferma l'ipotesi di realizzare tre poli di due comunità ciascuno, il primo polo realizzabile dovrebbe essere quello conseguente al superamento del reparto 6 delle Ville Regina; il secondo pol potrebbero essere realizzati nella limitrofa USSL 26 o nel parco della Mandria o utilizzando il progetto di trasformazione dell'Istituto "Casa Benefica" di Pianezza; il terzo polo potrebbe essere realizzato presso il rustico situato nella proprietà della Villa del Barrocchio di Corso Allamanno, per cui erano già stati presi contatti con l'Amministrazione Provinciale.

Si propone anche di utilizzare "strutture cooperative già presenti nelle vicinanze" e  "si fa rilevare che la battuta d'arresto subìta dal progetto handicappati è stata causata principalmente dalla carenza di personale a ciò destinato e dall'attuale impossibilità da parte dell'USSL di assumere personale con la qualifica di educatore. Dunque, condizione essenziale per procedere è superare in qualche modo questo scoglio (costituzione di una cooperativa di educatori...)

Ad ottobre dello stesso anno viene presentato all'Amministrazione un progetto più completo che ribadisce ed aggiorna il documento del luglio '82; è stato appena ultimato un nuovo censimento degli handicappati presenti in O.P., che risultano essere 150; si sostiene che il "Progetto handicappati" non deve necessariamente rivolgersi a tutti, ma solo a quelli che per la loro gravità, per tipo di bisogni e per problematiche emergenti non trovano risposte adeguate nel reparto: sono state così individuate circa 55 persone, che si vorrebbero inserire in situazioni di tipo comunitario, ritenute le più adatte ai diversi livelli di autosufficienza, con la possibilità di offrire situazioni protette per anziani o handicappati gravi.

Caduta l'ipotesi della Mandria, si propongono alcune strutture intra-ospedaliere ( una seconda comunità nel rep. 6 delle Ville,  altre tre nel reparto ex-18 ed ex 21 di Collegno) ed all'esterno dell'ospedale (due comunità nella "Casa Benefica" di Pianezza ed altre due nel rustico del "Barocchio)

Si prevedono per il personale un adeguato numero di infermieri, ausiliari, educatori, psicologi e medici, personale di pulizia, nonchè un maggior numero di personale per i 3-4 casi difficili, che necessitano di "progetti speciali".

Analoghe soluzioni si propongono per gli handicappati medio-gravi che sono presenti nel reparto B4 dell'ospedale di Grugliasco.

Comunque alla fine del 1982 esiste una sola Comunità Handicappati, nel reparto 6 delle Ville Regina Margherita.

 

  La  legge  di  Riforma  Psichiatrica.  n.180 del 1978, istituendo la chiusura degli ospedali psichiatrici , ha aperrto  innumerevoli problemi,  molti  dei   quali  aspettano  ancora  oggi  delle  risposte concrete.  Sono  infatti  necessarie  soluzioni che  non  si limitino,come spesso e avvenuto in passato, alla enunciazione di principi astratti, ma che tengano conto delle situazioni reali, delle condizioni  cliniche  e  delle  concrete  possibilita  di cambiamento  dei pazienti.

 La definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici e la necessita di trovare soluzioni alternative a questo tipo di istituzione, ha improvvisamente messo in luce una caratteristica peculiaredella popolazione manicomiale italiana: parte di essa era costituita  da  persone affette  da  handicap  fisico  o  psico-fisico, da ritardo mentale o da altre condizioni di disagio non direttamente psichiatrico;  questa  popolazione, insieme  alla  categoria  dei  pazienti   anziani ,   rappresentava la  maggior  parte  dei  cosiddetti lungodegenti dell' istituzione psichiatrica.

 E evidente come questa situazione abbia reso ancora piu difficile  il  processo  di  deistituzionalizzazione  psichiatrica  previsto dalla  legge,  poiche  non  era  ipotizzabile  per la  stragrande  maggioranza  di  questi pazienti , spesso giunti all'istituzione  in giovanissima  eta,  un  rientro  in  famiglia  o  presso parenti,  e  nel contempo  risultava  molto difficile  prevedere  degli ambienti sufficentemente protetti e che d' altra parte costituissero una reale alternativa all' ospedale psichiatrico.

Alla fine degli anni '70 gli operatori psichiatrici dei manicomi torinesi si dovettero confrontare dunque con il problerna della presenza di un gran numero di pazienti portatori di handicap, che per la maggior parte avevano alle spalle una lunga storia di istituzionalizzazione e che spesso, nonostante la presenza di notevoli differenze in termini di autonomia personale e di possibilita  di  recupero,  erano  stati  riuniti  nei  medesimi  reparti,con le conseguenze dannose che possiamo immaginare.

 Consapevoli delle difficolta che tale situazione presentava, si ritenne necessario affrontare la problematica dei pazienti handicappati ricoverati in O.P. con uno specifico progetto che tenesse conto non solo delle reali possibilita di recupero e di integrazione di tali pazienti, ma anche dei peculiari problemi che si sarebbero  dovuti  affrontare,  in  primo  luogo  la difficolta  di separare  con un taglio  netto i  pazienti handicappati, di poter utilizzare diagnosi precise, di tenere conto delle differenze individuali,  e  cosi  via.

II  Progetto Handicappati prende il via ufficialmente  nel 1980.   A dieci anni dal suo  inizio  ci proponiamo  di  evidenziarne le caratteristiche peculiari, di ripercorrerne le tappe principali e di dare, per quanto possibile, una valutazione dei risultati  finora  ottenuti.

La promulgazione della Legge di Riforma Psichiatrica del 1978 è preceduta, perlomeno  nell'ambito  torinese,  da un  forte  movimento di opinione, che critica gia da una decina d'anni in modo stringente  i  modelli  di  intervento  istituzionali  sulla  follia.

Con la Legge  di Riforma  prende concretamente  il  via  un  progetto  per  il superamento degli ospedali psichiatriei di Torino.

Tra  i  problemi  specifici  di tale  progetto, AGOSTINO PIRELLA, allora Sovrintendente agli O.P., sottolinea fin dall'inizio quello  degli  anziani  e  degli handicappati. Infatti  nella "Bozza  per un  Progetto  di  Superamento degli OO.PP.   di  Torino (1979)  egli scrive  che per  evitare  di  riprodurre  le  situazioni  di  emarginarzione e di stigmatizzazione in cui spesso si trovano tali categorie  di   soggetti, i1  progetto  di  superamento  dovrebbe  porsi   in opposizione alla costituzione di reparti speciali per handieappati  e  per  anziani.  E  aggiunge:  " Puo essere  prevista,  nell 'ambito   di  una  attenta  analisi  delle  possibilita  ricettive  del  territorio,  la  costituzione  di:  comunita  protette  di  pochi  soggetti  gravemente handicappati e regrediti, con conduzione non istituzionale e finalita riabilitative  In linea generale  1'handicappato puo giovarsi dell'apertura dei reparti se accortamente assistito.

La prima esperienza di una comunita per handicappati all'interno dell' O.P. nasce in questi primi anni ;successivi alla promulgazione  della  legge  di  Riforma  Psichiatrica, quando  un  gruppo  di genitori di giovani handicappati psichici si mobilito per chiedere per i propri figli una collocazione più adeguata, in un ambiente piu .idoneo e protetto. Nel f'rattempo era maturata la consapevolezza  che  la.  situazione  dei  degenti  portatori  di  handicap nei  reparti  era  assolutamente  insostenibile.

Se  infatti  per gli handicappati piu lievi era ancora possibile una certa integrazione con il resto dei degenti, per quelli piu gravi si verificavano situazioni   di   emarginazione  all'interno  dello  stesso  reparto, spesso  vittime   di  violenze  fisiche,  essi  potevano  inoltre  usufruire  in  modo   scarso  o  nullo  degli  eventuali  stimoli  socializzanti proposti agli altri ricoverati, a causa dei loro problemi fisici  (incontinenza,  dipendenza per l'alimentazione),  e  della scarsita di personale Quando poi essi venivano concentrati in un grande numero nei medesimi reparti chiusi, la situazione diventava ancora peggiore, essendo impossibile qualunque tentativo di riabilitazione.

Nasce  cosi,  nel  maggio  l980,  la  prima  comunita  handicappati presso  il  reparto  6  delle  Ville  Regina  Margherita  di  Collegno.

Questa comunita, ancora interna al reparto, ospitava otto ragazzi handicappati psichici fra i 20  i 30 anni. Tale gruppo. omogeneo circa l'inquadramento clinico, presentava al suo interno differenze rispetto aI livello di autosufficienza e alle problematiche dei  soggetti.

La  comunita  era  gestita  da  infermieri  che  avevano scelto liberamente tale collocazione, e seguita da due medici interessati all' esperienza Fin dall'inizio venne considerato essenziale collegarsi con un Centro Socio Terapeutico presente sul territorio  per  permettere  ai  soggetti  d:i  partecipare  ad  attivita esterne

Il progetto però era fin dall'inizio più ampio ed ambizioso: la comunità non doveva essere che un ponte tra l'O.P. e il territorio, e ci si proponeva percio un reinserimento graduale dei soggetti in spazi esterni

Su questo primo modello di comunita ancora interna al reparto,prende il via il Progetto Handicappati_

Un gruppo di lavoro, formato da operatori dell' OP, dell' Amministrazione Provinciale, del  Comune  di  Torino  e  dell'  USSL,  definisce,  a  pochi  mesi dall'apertura di questa prima comunita, i principi ispiratori del progetto.

Come strumento per favorire la riabilitazione, la socializzazione  e  l'emergere  dei  reali   bisogni,  si   ipotizza   la creazione di comunita interne per handicappati, strettamente collegate  a  strutture  diurne  gia  operanti  sul  territorio.  Le  comunita si prevedono costituite da non piu di dieci handicappati eterogenei rispetto ai livelli di autosufficienza, possibilmente provenienti  dallo  stesso dipartimento: questo  infatti  permetterebbe  una  immediata  integrazione  con  personale  della  Provincia  specializzato per handicappati, in vista di un 1oro reinserimento, a piu o meno breve scadenza, in strutture di tipo residenziale  della  loro  zona  di  appartenenza.  Le comunita,  che  si prevedono in un numero di 3 o 4 per tutti gli O.P., dovranno essere quindi solo un primo momento di riabilitazione, che dovra essere  continuata  in  altre  situazioni  totalmente  esterne,  da  realizzare  in  tempi  possibilmente  brevi.  Dovrebbero  percio  rappresentare solo un punto di passaggio unidirezionale e non una condizione stabile

In via preliminare il gruppo di lavoro si dedica ad una rilevazione dati sui soggetti handicappati presenti negli O.P. , in modo tale da individuare per ogni caso alcuni parametri considerati indicativi per definire la domanda e le caratteristiche dei futuri servizi territoriali.   La rilevazione dati si basa su un primo censimento eseguito nel '79  a  cura  della Sovrintendenza degli O.P. : si   tratta  di  un  elenco, reparto  per  reparto, dei soggetti handicappati  presenti , suddivisi per USSL  di  appartenenza  e  per fasce di eta, accompagnato da annotazioni ed indicazioni generali,  piu  o  meno  dettagliate,  a  cura  dei medici responsabili dei vari reparti. Scrive AGOSTINO PIRELLA nella premessa a questo lavoro: "Si tratta nella generalita dei casi di soggetti giunti alla istituzionalizzazione psichiatrica assai precocemente, in taluni  casi  nei  primissimi  anni d'eta. Per  questi soggetti, le esperienze fondamentali della socializzazione, dei rapporti familiari,  della scoperta  del  mondo circostante  e  della  propria  motricita, sono state bloccate, represse, distorte da situazioni rigide di costrizione psicologica, motoria ed affettiva. Spesso a questa condizione si sono aggiunti traumi e lesioni da aggressioni  o  incidenti  derivanti dall'affollamento  e dalla  segregazione in condizioni simili a quelle carcerarie.  E' importante  che queste  condizioni  non  vengano  ignorate, non  si  cerchi cioe  di metterle fra parentesi nel momento in cui si programmano delle soluzioni alternative all' internamento manicomiale".

Nei  due anni che seguono  l'apertura  di quella che possiamo dunque definire la prima comunita handicappati, il progetto prende forma in modo piu organico, anche se l'effettiva realizzazione  di nuove comunita e ostacolata dal fatto che l' USSL non ha la possibilita  di   assumere educatori per gestirle.

Nel frattempo vengono nominati due medici referenti per il P.H. , LUIGI TAVOLACCINI e AUGUSTA GIANARA, i quali, in un documento dell' 82, sono gia  in  grado  di  abbozzare  quella  che sara la configurazione  del progetto nel corso degli anni : si prevede la creazione di tre poli intraospedalieri costituiti da due comunita ciascuno, situati presso  alcuni  reparti  dell' ex O.P. di Collegno. Solo  nei due anni successivi, pero, sara possibile superare i problemi tecnici legati alla mancanza  di  personale,affidando la  gestione  delle comunita a cooperative di educatori.

 Nella bozza programmatica per il triennio l985-1987 a cura del nuovo medico referente del P.H., il dottor SILVIO VENUTI, leggiamo  quali  sono gli  aspetti  piu  innovativi  del progetto, cosi come esso e venuto sviluppandosi nei suoi primi anni di vita:  "Gia alla  nascita della prima comunita handicappati (maggio 1980) era prevista l'utilizzazione di educatori che avrebbero affiancato gli infermieri nel lavoro in comunita, introducendo cosi una nuova figura in OP. In seguito (ultimo semestre 1983) fu adottatocompletamente  il modello  delle comunita  territoriali per  handicappati  affidando  la  gestione  globale  delle comunita site all'interno dell' ex OP ad educatori, con l'ausilio di un servizio infermieristico limitato  all' intervento nelle emergenze di natura  medica".

Sono state  cosi costituite  le  sei comunita  intraospedaliere.  "In tale  modo  si sono  introdotti  nuovi elementi di  evoluzione  e si sono poste  le basi  per  i  successivi sviluppi del  progetto."

  Siamo  infatti giunti alla  terza  fase  del P.H.,quella che prevede la costituzione di comunita territoriali di handicappati dimessi dall' OP. Nei mesi di giugno e luglio 1985 vengono aperte le  prime due comunita sul territorio, site  in  due  comuni in provincia di Torino, in cui vengono inseriti diversi ospiti del P.H. 

Il programma per il triennio '85-'87 prevede a questo punto la creazione di altre comunita territoriali, che siano possibimente strutture flessibili e punti di passaggio verso suluzioni di vita piu  autonome  rispetto  alla comunita  stessa ; l'integrazione  delle comunita territoriali col territorio su cui si situano: il  passaggio di nuovi pazienti handicappati, che  ancora  vivono nei  reparti, alle comunita intraospedaliere l' utilizzo delle cooperative di educatori, convenzionate con l'USSL, che si occupano della gestione  delle comunita  viene confermata  come la formula piu adeguata per il proseguimento e lo sviluppo ulteriore del progetto;  ci si propone comunque di potenziare il piu possibile i rapporti  di  queste  con l'USSL , e dell 'USSL con  i Comuni in  cui si situano le comunita.

Sono da sottolineare pero anche alcuni limiti ed aspetti negativi  emersi  nel  tipo  di  organizzazione promossa dal progetto.

Scrive la dott.ssa GIANARA, poco prima di lasciare il proprio incarico  come  referente del progetto: "Da un lato le  comunita interne vivono in locali dell' ex OP molto simili strutturaimente ai  reparti, l'arredamento è quello ospedaliero, l'intero ritmo quotidiano è ancora scandito  sui tempi dell'ospedale. Dall'altro lato quella che  pareva inizialmente quasi una premessa, per svolgere soddisfacentemente questo lavoro, era il collegamento con strutture  esterne. Per una serie  di  problemi economici ed  organizzativi  non  e  stato  possibile realizzare questo  tipo di contatti con l'esterno".

 La soluzione ottimale per tali problemi rimane quindi  il  reperimento  di strutture abitative esterne all'ospedale e quindi l'uscita degli ospiti sul territorio. Purtroppo le  difficolta per   attuare questo ulteriore passaggio  non sono poche: il biennio 1986-87 e di nuovo, forzatamente, un periodo di stasi per il progetto.

 Nel  novembre  1987 si svolge  un  convegno  promosso  dalla  Regione Piemonte,  dall'USSL 24  e dall'Assessorato  al  Personale  e  alla Sicurezza  Sociale del  Comune  di  Torino dal  titolo "Strumenti di superamento dell' Ospedale Psichiatrico: il Progetto Handicappati".

Il  convegno  costituisce l'occasione  per  fare  il  punto della situazione a sette anni dalla nascita della prima comunita handicappati.

  Nella  sua  relazione, il dottor VENUTI sottolinea  come  proprio gli aspetti piu innovativi del Progetto Handicappati costituiscano anche le sue maggiori problematiche: innanzi   tutto  il  ruolo giocato dalla figura dell'educatore all'interno dell'OP, che, se ha sancito  il  concetto che  l'intervento sull'handicap richiede  preparazione, motivazione   e   cultura specifiche, ha tracciato  in qualche  modo  una linea  di separazione nella popolazione dell' ospedale psichiatrico. Le sottopopolazioni paiono rispondere  ancora  a  definizioni impostate  su schemi o criteri stereotipi, e connessi  a diagnosi  rigide (psicotici,  oligofrenici, ecc),  non  comprendendosi  nella parola handicappato per esempio lo psicotico".

Questo problema si è presentato fin dall'inizio del Progetto Handicappati: la questione non si limita alla possibilità o meno di diagnosticare correttamente un paziente, ma si riflette in concreto sulla vita delle comunità, dove da sempre  i maggiori problemi sono proprio quelli posti dagli ospiti in cui la patologia preminente è di tipo psicotico.

"Un secondo elemento che è conseguito alla presenza della figura dell'educatore,  nota  ancora VENUTI, è stato certamente l'aggravamento della crisi della figura dell'infermiere, figura gia profondamente lacerata dallo sviluppo  della  nuova  mentalita psichiatrica, di cui era espressione    la legge 180. Appare chiaro  come in  tale situazione  la definizione  e la delimitazione dei  compiti dei singoli operatori, quando  si  tratta di  impostare attivita congiunte, abbia  un significato  di  primo piano, se si desidera che il Progetto Handicappati non perda una delle sue caratteristiche fondamentali, che e quella del legame fra i reparti dell'Ospedale  Psichiatrico  e  il territorio  verso  cui esso deve protendersi.

  In varie relazioni presentate al convegno e presente la constatazione che, di contro  agli  entusiasmi dei primi anni di vita del  progetto,   siamo  purtroppo    in  termini di  risultati, ad una battuta d' arresto. Tale situazione e destinata a protrarsi ancora per almeno un anno.

Il  maggiore problema  di  fronte  a cui ci si trova  rimane quello del permanere di alcune comunita all'interno delle mura dell'ex OP. Come  nota  il dottor GIORGIO TRIBBIOLI, nuovo referente del P.H. dal 1988, "il   reale e concreto miglioramento che gli utenti attuano, nel passaggio dal reparto alla comunità handicappati  ha un  limite  non superabile finche  la  comunita  rimane  "dentro le mura" ;   non appena  la comunita o i singoli ospiti sono trasferiti sul territorio, attuano un  nuovo e notevole passo avanti sulla strada della loro riabilitazione".

Negli anni successivi gli sforzi maggiori sono dunque volti a favorire il più possibile l'uscita degli ospiti delle comunità sul territorio.

 Il 1990, che ha segnato un momento di evoluzione del progetto secondo  le linee che l 'hanno  caratterizzato fino  a questo momento, si chiude con  un  nuovo convegno dal ritolo "Progetto Handicappati. Percorsi di Evoluzione", che apre interessanti prospettive per il futuro.

 La situazione del progetto,  in  piena evoluzione alla fine del 90, coinvolge ben 76  persone tutte dimesse dall' O.P. contro le 46 inizialmente inserite nelle comunita.

 Le comunita interne sono quattro, mentre  quelle esterne,  con la creazione  tra il 1989 ed  il 1990   di tre micro-comunita, sono diventate sette.

 La  sperimentazione e gli sviluppi  avvenuti nel corso dei  dieci anni  di vita del progetto, e in particolare degli ultimi anni, hanno  modificato  e  ampliato  in parte l'impianto generale del progetto, sopratutto permettendo di ipotizzare una nuova risorsa nel percorso  di  uscita  dall'ex OP , la micro-comunita. 

Tale struttura,  costituita  da  un  numero  di  utenti  variabile fra tre e cinque, può costituire un'ulteriore evoluzione rispetto alla comunità esterna,ma può anche costituire un passaggio diretto dalla comunità interna, così come l'esperienza di questi anni ha mostrato, che nulla vieta agli utenti di passare direttamente dal reparto alla comunità esterna.

La  micro-comunita,  inoltre,  non  esaurisce le possibilita di ulteriore evoluzione del progetto: si ipotizza infatti la creazione di  alloggi situati vicino alle  comunita che costituiscano una condizione  di  vita  autonoma,  ma  comunque protetta, per gli utenti piu autosufficienti; la  realizzazione di  un centro diurno e l'attivazione di risorse esterne che rendano possibili delle comunità non più necessariamente aperte sulle 24 ore; l'attivazione di servizi di convivenza guidata come  tappa  ulteriore verso l'autonomia  degli utenti.  

Tutto cio, porta alla costituzione di strutture  adatte sempre  piu ad  utenti con problematiche  di tipo prettamente psichiatrico.

  Il Progetto Handicappati diventa cosi un modello per il superamento dell'Ospedale  Psichiatrico  realmente  flessibile e adattabile a diverse tipologie di utenti.

 

IL PROGETTO HANDICAPPATI  (1980-1991)

 L'interesse formale per gli utenti portatori di handicap gravi lo ritrovriamo nella storia del superamento degli Ospedali Psichiatrici di Collegno e Grugliasco a far data dall'anno l980, quando vennero presentati i risultati di un 'indagine condotta nei reparti dei due OO.PP.

Quell'indagine condusse a rilevare un numero di 190 portatori di handicap lungo-degenti,di cui l26 uomini e 64 donne, per i quali si inizio' a pensare un percorso e mode!lo complessivo di uscita dai reparti attraverso la costituzione di progetti di comunita-alloggio.

Il primo progetto-comunità fu condotto nel 1982 al 6 delle Ville Regina Margherita di CoIlegno (le "Ville" è un'area dell'Ospeda1e Psichiatrico composta da palazzine autonome con ampi giardini), e fu gestito congiuntamente da medici ed infermieri dell'USSL 24 ed educatori del CST di C.so Toscana, distaccati ad uopo dalla Provincia.

L'esperienza condotta da questa prima equipe condusse essenzialmente a dimostrare la fattibilità deIl'ipotesi e concorse ad individuare due problemi di fondo: da un lato la gestione ancora troppo legata ai tempi dell'ospedale ( i pasti erano garantiti con precotti da mense convenzionate, la lavanderia, iI guardaroba, le attrezzature, venivano anch 'essi forniti dall' USSL 24 ) e dall'altro la necessità di un più elevato numero di operatori.

Un aspetto estremamente interessante da rilevare è che già allora l'equipe di lavoro si poteva porre come obiettivo a medio-lungo termine il graduale reinserimento degli utenti in spazi esterni all'area, utilizzando le comunità inteme come "filtro" per gli handicappati tra l'Ospedale Psichiatrico ed il Territorio.

Lo sviluppo di questa prima esperienza si evidenziò l'anno successivo, il 1983, quando inizia il coinvolgimento di tre cooperative di servizi sociali, "ll Margine", "ll Sogno di una cosa'; "Loisir'; nella gestione di quello che si costitui come "Progetto Handicappati"dell'USSL24,che interessò in una prima fase gruppi di utenti provenienti da Collegno ( reparti 1-5-6 ) e Grugliasco ( reparti A2- B4).

Nel mandato originario che troviamo nelle prime delibere le sei comunita' erano viste quindi non solo come progetto di condizione di vita migliore per gli ospiti, per il recupero  delle loro abilita' di autonomia e delle potenzialita' e dei percorsi di risocializzazione, ma anche come attivo strumento per il superamento dell'O.P.

Di conseguenza le tre cooperative assunsero l'impegno di gestire le neo costituite comunita' e contemporaneamenre anche quello di reperire strutture esterne sul territorio in cui realizzare, compatibilmente alle potenzialità raggiunle, il trasferimento degli ospiti.

Tra il 1982 ed il l984 si passò in sostanza da un primo tentativo di sperimentazione gestito con operatori pubblici, al convenzionamento con Cooperative di servizi sociali e, fattore fondamentale, alla loro graduale autonomizzazione dall'USSL 24, sia per quanto riguarda gli aspetti gestionali , che per gli sviluppi logistici delle comunità.

L'USSL 24 con  un iter deliberativo fecondo, che trova il punto culminante nel "Capitolato Speciale" del 1987   demanda la gestione del Progetto alle Cooperative mentre conserva il supporto tecnico e la verifica ad un ambito pubblico, attraverso la strutturazione di una interessante commissione Tecnico-amministativa. Questa commissione e' composta dal Referente Tecnico deI progelto handicappati, da due collaboratori Educatori Professionali, dal Referente Amministrativo, dallo Psicologo, dall'Assistente Sociale, da un Medico-psichiatra consulente delle Comunita' e da un rappresentante dei parenti degli ospiti.

Al ReferenteTecnico, coadiuvato dai due collaboratori, spetta il coordinamento dei lavori della Cornmissione,la verifica delle relazioni periodicamente trasmesse dalle varie comunità ; la programmazione delle linee di sviluppo del Progetto, le relazioni con altre realta' regionali, anche al fine di promuovere periodicamente seminari e convegni, i rapporti con i reparti delI'Ospedale Psichiatrico, con le USSL di eventuale nuovo insediarnento delle comunita' ed infine il coordinamento dei medici che lavorano al Progetto.

La Commissione interagisce con le Cooperative non solo come strumento di controllo, ma soprattutto come strumento di lavoro e verifica progettuale; propone ogni suggerimento atto allo sviluppo del Progetto ed alla realizzazione dello stesso, nell'ottica dell'obbiettivo generale di superamento dell'Ospedale Psichiatrico.

Il Progetto Handicappati nel suo complesso e'  giunto alla fine del 1990 ad interessare complessivarnente 70 utenti in progetti realizzati sia all'interno che all'estemo dell'O.P.

 METODOLOGIE D'INTERVENTO

 Uno dei punti di forza del progetto e' stato indubbiamente l'utilzzo dello strumento Cooperativa, caratterizzato dalla possibilita' strutturale di allestire servizi progettati sulla base della relazione operatori - utenti  (e quindi capaci di farsi interpreti della soggettivita' di questi ultimi ) e dalla possibilita', parallela e contemporanea, di gestire le iniziative in tempi reali, visto il particolare status del socio che puo' direttamente allocare le rlsorse materiali ed umane necessarie alla messa in opera di ogni singola iniziativa.

I servizi non  sono quindi fondati su un modello di risposta "dato ed immutabile", ma al contrario sono dotati di flessibilita' e le comunita' rappresentano momenti di passaggio per soluzioni di vita tendenzialmente sempre  piu' autonome.

Infatti, dalle prime comunita' nate con la ristrutturazione di alcuni padiglioni dell'ex OP, che rispondevano ai bisogni di utenti altamente problematizzati, la storia del progetto handicappati si e' sviluppata all'esterno dell'area ospedaliera.

Nel 1985 si inaugurano le prime due comunita', a S. Gillio e Nichelino, e nel 1987 alcuni ex degenti vengono inseriti a Castagneto Po attraverso il coinvolgimento nel Progetto della Cooperativa In/Contro.

Le comunita', che si articolano sulle 24 ore, sono tutte portate ad elaborare progetti individuali rivolti ad un accrescimento dell'autonomia degli utenti.

La metodologia impiegata nel corso di questi anni e' sostanzialmente stata quella del lavoro per obiettivi e per progetti, realizzata attraverso il sistema delle referenze di gruppo, dell'analisi di staff  (l'intero gruppo degli operatori) e dellla supervisione del lavoro degli operatori da parte di un tecnico esterno.

Nell'ambito della supervisione sono stati affrontati i problemi connessi da un lato alla progettazione sul singolo caso e, dall'altro, alla progettazione di nuove comunita'.

Gli strumenti operativi individuati riguardano, in particolare, la relazione operatore-utente ( e quella degli utenti fra di loro), la valorizzazione del quotidiano comunitario e l'introiezione di un modello di vita collettivo con diretta gestione degli spazi individuali e sociali.

L'inserimento degli ospiti in specifiche attivita' riabilitatative e terapeutiche (da quelle concernenti la gestione della quotidianita' comunitaria ad altre relative all'acquaticità e all'arteterapia ), attivate sia all'interno della comunita' che nell'ambito di laboratori e di strutture territoriali esterni ad essa, ha consentito il recupero e lo sviluppo di abilita', autonomie, capacita' relazionali e cognitive latenti.

Lo strumento "casa" ha consentito inoltre un coinvolgimento degli utenti nelle attività di tipo più domestico (preparazione dei pasti, pulizie, etc.) e nella possibilità di potersi prendere "cura di sè".

Contemporaneamente, attraverso la crescita professionale dei soci o in collaborazione con day-hospital pubblici o associazioni culturali ricreative sul territorio. vengono allestiti atelier di arte-terapia, musicoterapia, laboratori per attività finalizzati all'inserimento semi-lavorativo, di legatoria, grafica, ecc.

 LE ATTIVITA'

 Le   prime attività venivano svolte principalmente all'intemo   delle comunità. Nella loro successiva strutturazione alcune di queste hanno  mantenuto una  fondamentale importanza nei percorsi di evoluzione individuali  e di comunità.

Ci riferiamo ad esempio alle attività rivolte all'igiene personale e alla cura di sè: ciò ehe inizialmente ha significato individuazione dei bisogni prlmari e, successivamente,  ricostruzione di alcune basilari funzioni, in qualche caso compromesse in modo irnmediabile, e andata gradualmente trasformandosi in cura della propria immagine, nell'occasione di poter provvedere autonomamente ad alcuni dei bisogni quotidiani, nell'opportunita di preparare il pranzo insieme ad altri, nella scelta dei propri abiti, degli oggetti, di come arredare i propri spazi e quelli comuni.

 Parallelamente  a ciò e sempre in riferimento all'esperienza di  vita manicomiale, una sempre costante attenzione è stata posta verso ciò che il mondo esterno poteva rappresentare per gli ospiti delle comunità.

Dalle prime passeggiate lungo i viali del parco dell'Ospedale Psichiatrlco, da quelle verso il bar per un cappuccino o una bibita (spesso con disapprovazione degli avventori o degli stessi esercenti per la presenza di "clienti fuori ordinanza"), si è giunti all'uscita autonoma e individuale per fare acquisti; simili obbiettivi sono stati raggiunti  mediante lunghi e laboriosi interventi mirati alla comprensione  e al riconoscimento del territorio, del percorso stradale, dell'uso del denaro.

Proprio il territorio è stato l'elemento maggiormente interessato per la ricerca di risorse e la promozione di attività.

Ad  oggi  è  possibile  tracciare  un  quadro  estremamente  vario  e significativo delle attività che in questi anni si sono via via strutturate e che sempre  di più  hanno  acquisito  il  valore  di strumenti di lavoro per le realizzazioni progettuali.

L'attività di acquaticità viene svolta presso una piscina  sul territorio di Collegno: consiste nel riportare le persone (specie se si tratta di casi gravi) in una dimensione naturale quale è l'elemento-acqua;  si va dal rilassamento all'acquisizione di  abilità utili all'attività natatoria passando attraverso fasi ludiche.

Sempre a Collegno vengono proposte un'attività di laboratorio gastronomico e un'intervento  di arte-terapia;  il primo ha lo scopo di far scoprire l'importanza di una educazione alimentare che va dalla scelta del menù alla preparazione e cottura dei cibi, alla condivisione, con gli amici, dei piaceri della tavola; gli obbiettivi del secondo sono il far si che l'individuo possa comunicare i propri stati d'animo mediante un'espressione artistica, quale il disegno (ma lo stesso si può dire per l'attività  di ceramica o, nelle più elementari, di manipolazione di materiali van).

A Torino, presso un centro specializzato, alcuni ospiti delle comunità partecipano ad un'attività di yoga mentre un altro intervento svolto con ospiti delle comunità di Collegno e Nichelino è quello relativo alla psicomotricità.

Vi sono inoltre interventi di massaggio metamorfico, di musico-terapia e di ippoterapia presso maneggio a Stupinigi.

Altre attività quali il laboratono di legatoria, di meccanica, e di giardinaggio, oltre ad essere validi momenti di socializzazione in gruppo allargato e di ulteriore acquisizione di abilità, hanno il pregio di individuare alcuni percorsi pre-lavorativi; così eome non si possono dimenticare le poche ma importanti esperienze scolastiche attraverso la partecipazione alle 150 ore per l'acquisizione delle licenze elementari e media infenore.

E'  importante  sottolineare infine che, a partire  dall'analisi dei bisogni dell'utenza, dovendo purtroppo rilevare la scarsità di risorse territoriali strutturate, quali C.S.T. e DAY HOSP1TAL, nonchè scarsa disponibilità  nell'inserire i nostri utenti in queste stesse strutture, all'interno delle cooperative sono stati avviati processi formativi per elevare la professionalità di alcuni operatori i quali oggi  possono definirsi tecnici e gestori delle attività  più qulificate.

 RISCHI DI NUOVA ISTITUZIONALIZZAZIONE

 Occorre considerare come, anche all'interno dei nuovi servizi di comunità alloggio, esisteva una considerevole possibilità di  riprodurre nuove forme di istituzionalizzazione e/o cronicità.

Spesso alcuni passaggi sostanziali per la necessità di normare il servizio e  renderlo  più efficiente, possono influire negativamente sulla qualità della prestazione.

Questi elementi possono chiamarsi creazione di organizzazione burocratica, con i requisiti connessi, ma anche avere riferimenti più generali e propri di qualsivoglia ambito sociale, quali rifiuti o preconcetti nei riguardi dell'innovazione  e nelle verifiche progettuali,  il ripiegamento intimistico all'interno del proprio ambiente, la sopravvalutazione del terrtorio, spesso ingiustamente mitizzato come luogo di reinserimento.

Per superare o ridurre questi rischi si è operato per promuovere servizi dotati di piena autonomia economica e progettuale, all'interno di un quadro di riferimento programmatico, e quindi si è sviluppato maggior decentramento nelle cooperative affinchè le decisioni potessero essere attivate nei luoghi e nei tempi necessari al collettivo operatori-utentl.

Nascono da questo trend, negli anni 1989-1990, quattro micro-comunità che ospitano tra gli altri anche utenti già inseriti in comunità esteme all'area 0. P. , a conferma della validità della ricerca di percorsi di autonomia sempre più ampi.

 IPOTESI DI SVILUPPO

 Durante  il seminario "Progetto handicappati, percorsi  di  evoluzione", tenutosi a Collegno nel novembre 1990, l'USSL 24 e le cooperative hanno da un lato presentato il lavoro svolto in questi ultimi tre anni, dall'altro hanno cominciato a confrontarsi per  formulare   ipotesi  progettuali   in grado di rispondere alla necessità di fuoriuscita dai reparti tutt'ora funzionanti, di altri 40-50 ospiti portatori di handicap, come viene fornita indicazione attraverso la testimonianza dei medici primari dei medesimi.

La portata così ampia del bisogno ha portato ad un'ipotesi di costituzione di momenti di sinergia  tra  le quattro cooperative, che riguarda l'esigenza generale di potenziarnento della rete dei servizi, le opportunità, le  risorse,  il tempo e le strategie.

 Operativamente. possiamo riassumere l'articolazione di questo piano di intervento in 5  punti fondamentali:

1) screening preventivo degli utenti per evidenziare livelli di autonomia e comunicazione,

2) predisposizione di piani di intervento individuali,

3) determinazione dei moduli-base per le nuove comunità,

4) reperimento di spazi abitativi intemi-esterni,

5)  progetto  di  centro diurno  per  portatori  di  handicap  gravi preferibilmente estemo aD'area dell'ex-O.P.

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