Breve storia del "Progetto Handicappati"
documento 1: frontespizio di un opuscolo illustrativo del 1991 |
documento 2: scheda |
documento 3: scheda |
documento 4: comunità esterne |
documento 5: la relazione annuale del 1991 |
1979
Il 14 dicembre 1979 la Provincia di Torino segnala a Enti e Servizi competenti i nominativi degli handicappati ospiti di Istituti con sede fuori Regione.
1980
Il 4 aprile 1980 il prof.Pirella, allora "medico direttore sovraintendente" degli Ospedali Psichiatrici presenta all'Assessore alla Sicurezza Sociale della Provincia di Torino (Sabbadini) gli elenchi degli handicappati ultraquattordicenni ancora ricoverati negli O.P., distinti per appartenenza alle U.S.S.L., per reparti in cui erano ricoverati e per fasce di età.
Pirella sottolinea l'istituzionalizzazione precoce e lunga che avevano subito questi soggetti vissuti per decenni in situazioni di promiscuità, repressione e segregazione e raccomanda che tale condizione sia tenuta presente nel momento in cui si programmano soluzioni alternative al ricovero in Ospedale Psichiatrico.
Il 2 giugno 1980 l'Assessore Sabbadini trasmette tale elenco all'Assessore ai Servizi Sociali e Sanitari…del Comune di Torino (Migliasso), all'Assessore all'Istruzione (Dolino), ai Consigli di Circoscrizione, ai Comuni capofila delle U.S.S.L., ai servizi Psichiatrici di zona, agli Assessori all'Assistenza (Vecchione) ed alla Sanità…e Sicurezza Sociale (Enrietti) della Regione Piemonte; afferma che dovranno essere predisposti in accordo con i reparti di degenza degli O.P. gli opportuni piani operativi per ricercare ed attuare soluzioni alternative al ricovero.
Nel maggio del 1980: viene aperta la prima Comunità handicappati all'interno dell'Ospedale Psichiatrico, con la collaborazione della Provincia di Torino con cui si era concordato di affiancare ai 6 infermieri un altro tipo di operatore: l'educatore.
Per la prima volta entrava in O.P. una figura professionale già da anni utilizzata in vari servizi pubblici per la riabilitazione e risocializzazione degli handicappati.
La Comunità aperta presso il reparto 6 delle Ville Regina Margherita accoglieva 8 ragazzi handicappati psichici di età tra i 20 anni ed i 30, provenienti dal rep.4 di Collegno e dal rep.6 delle Ville.
All'interno della Comunità lavorano 6 infermieri (4 uomini e 2 donne) e due medici.
La Comunità era sorta per due esigenze fondamentali: da un lato le richieste di un gruppo di genitori che richiedevano per i loro figli una collocazione più adeguata, dall'altro per dare una risposta più corretta e personalizzata ai bisogni di questi handicappati con lo scopo di poterli reinserire all'esterno.
Per questo si era cercato un collegamento con gli operatori del C.S.T. di Corso Toscana per garantire la partecipazione dei ragazzi ad attività… esterne e giungere ad una collaborazione tra il personale dell'O.P. e quello della Provincia, specializzato per gli handicappati.
Tre educatori della Provincia erano presenti in O.P. per tre volte alla settimana, per migliorare la conoscenza reciproca, superare eventuali diffidenze ed incomprensioni e soprattutto migliorare la conoscenza dei ragazzi tramite gruppi di discussione, utilizzazione di schede relative ai livelli di autonomia, divisione del gruppo in sottogruppi inseriti nelle attività esterne del C.S.T. cui partecipavano accompagnati da un infermiere o da un medico.
La presenza di educatori era stata ritenuta particolarmente utile e stimolante, tuttavvia la gestione del quotidiano e l'andamento complessivo della Comunità erano ancora compito esclusivo degli infermieri; il livello di assistenza era migliorato nettamente rispetto al reparto, il personale era responsabilizzato e autonomo rispetto a molte iniziative, si erano creati validi vincoli affettivi tra il personale ed i ragazzi.
Tuttavvia erano emersi momenti di aggressività tra i ragazzi, tensioni con i genitori preoccupati per i loro figli, tra gli operatori non sempre in numero sufficiente per farsi carico di tutti questi problemi.
A questo punto parve necessario un ulteriore salto di qualità per poter reinserire all'esterno almeno alcuni di questi ragazzi, perchè il progetto era sorto come "ponte" tra l'O.P. e l'esterno.
Veniva quindi richiesto un maggior impegno di forze e di tempo soprattutto per il personale esterno: alcuni educatori a tempo pieno e l'inserimento di alcuni ragazzi prima a tempo parziale e poi pieno nelle strutture esterne.
1981
Nel mese di marzo del 1981 il gruppo di operatori che lavoravano nella Comunità Handicappati del reparto 6 delle Ville scrivevano al Presidente dell'USSL 24, al Coordinatore Sanitario, al Direttore dell'Ospedale, agli assessori all'Assistenza della Provincia e del Comune di Torino una lettera in cui, dopo aver tracciato una breve storia delle vicende della Comunità, sottolineano il fatto che inizialmente i tre Educatori a tempo parziale, provenienti dal CST di Cso Toscana, erano stati trasferiti in altre strutture della Provincia per cui il lavoro a favore degli ospiti aveva subito un rallentamento.
Dopo alcuni mesi il lavoro è stato ripreso con altri 4 educatori, di cui due precari, ed era stato possibile iniziare una serie di attività programmate ed un lavoro di integrazione tra le varie figure professionali (infermieri, medici ed educatori).
Era stato anche avviato un progetto di dimissione in una costituenda comunità esterna di alcuni ospiti dimessi dall'O.P., in collaborazione con un gruppo di operatori dell'I.P.I.M. (ex Mainero).
Tutto questo lavoro rischiava di essere interrotto dallo scadere del periodo di assunzione di due educatori precari,con grave danno per gli utenti a causa dell'interruzione dell'intervento terapeutico.
Per risposta, l'assessore alla sicurezza sociale della Provincia, Fernando Gattini, scrive nel giugno dell'81 che "gli operatori messi a disposizione da questo Assessorato per attivare l'iniziativa in oggetto (cioè la Comunità handicappati dell'OP di Collegno), dovranno rientrare al loro servizio di appartenenza...per imprescindibili necessità".
1982
Per alcuni mesi le assemblee del personale ed i parenti dei ricoverati del reparto 6 discutono un progetto di "superamento del reparto" che viene inviato al Coordinatore Sanitario dr G.Gandiglio, al Sovraintendente prof.Pirella, al Direttore dr D'Alba ed al Presidente Sammartano.
Tale progetto, firmato dal Primario del Reparto dr Tavolaccini, propone di formare nei locali del 6 una comunità di 25 persone discretamente autosufficienti, una Casa-Albergo per autosufficienti, due Comunità Handicappati (una delle quali già costituita da oltre un anno).
Per quanto riguarda il personale, mentre per le altre comunità si prevedono esclusivamente infermieri e inservienti, per le due comunità handicappati sono previsti infermieri e educatori, sul modello della comunità già esistente. ( 1° febbraio 1982 ).
Proseguendo nell'elaborazione di varie ipotesi, il 10 marzo viene presentata, sempre dai dottori Gianara e Tavolaccini, la proposta di una o più comunità di handicappati provenienti sia dal reparto 6 delle Ville, sia da altri reparti, sia dalla zona di Venaria, in locali reperiti nel parco della Mandria, per cui erano stati presi contatti con l'Assessorato Regionale ai Parchi: tale iniziativa non ha avuto alcun esito, ma rappresenta un tentativo per inserire fuori dall'ospedale le comunità di questo genere.
Il 24 marzo i medici responsabili della comunità chiedono all'amministrazione come condizione indispensabile per aprire la seconda comunità per handicappati l'assunzione di almeno quattro educatori per comunità, sostenendo che la presenza di educatori "garantisce una specificità di intervento che costituisce un fattore importante di risocializzazione".
In quel momento gli educatori effettivamente in servizio nella comunità sono due, con rapporto a contratto professionale per 30 ore la settimana.
Il 13 luglio la dott.ssa Gianara, responsabile della Comunità, in una lettera indirizzata all'Amministrazione, lamenta la grave carenza di personale, poichè i 6 infermieri e i due educatori superstiti non sono in grado di coprire il servizio, soprattutto nei giorni festivi, in cui gli ospiti sono ridotti a rimanere tra quattro mura; sostiene che la mancanza di personale è già stata segnalata dalla Direzione Sanitaria e dall'Associazione per la lotta contro le malattie mentali fin dal mese precedente; il dottor Tavolaccini, nella sua qualità di Primario del rep.6, conferma tale grave situazione,ricorda che il problema è già stato discusso e chiarito in riunioni con il Presidente, il vicepresidente, il sovraintendente sanitario e con i parenti dei ricoverati, sostiene che la soluzione per il buon funzionamento della comunità è comunque legato al programma di superamento di tutto il reparto.
I medesimi medici responsabili nel luglio 82 e nell'ottobre dello stesso anno presentano un progetto di più ampio respiro, che per la prima volta è definito "Progetto Handicappati" : si riconferma l'ipotesi di realizzare tre poli di due comunità ciascuno, il primo polo realizzabile dovrebbe essere quello conseguente al superamento del reparto 6 delle Ville Regina; il secondo pol potrebbero essere realizzati nella limitrofa USSL 26 o nel parco della Mandria o utilizzando il progetto di trasformazione dell'Istituto "Casa Benefica" di Pianezza; il terzo polo potrebbe essere realizzato presso il rustico situato nella proprietà della Villa del Barrocchio di Corso Allamanno, per cui erano già stati presi contatti con l'Amministrazione Provinciale.
Si propone anche di utilizzare "strutture cooperative già presenti nelle vicinanze" e "si fa rilevare che la battuta d'arresto subìta dal progetto handicappati è stata causata principalmente dalla carenza di personale a ciò destinato e dall'attuale impossibilità da parte dell'USSL di assumere personale con la qualifica di educatore. Dunque, condizione essenziale per procedere è superare in qualche modo questo scoglio (costituzione di una cooperativa di educatori...)
Ad ottobre dello stesso anno viene presentato all'Amministrazione un progetto più completo che ribadisce ed aggiorna il documento del luglio '82; è stato appena ultimato un nuovo censimento degli handicappati presenti in O.P., che risultano essere 150; si sostiene che il "Progetto handicappati" non deve necessariamente rivolgersi a tutti, ma solo a quelli che per la loro gravità, per tipo di bisogni e per problematiche emergenti non trovano risposte adeguate nel reparto: sono state così individuate circa 55 persone, che si vorrebbero inserire in situazioni di tipo comunitario, ritenute le più adatte ai diversi livelli di autosufficienza, con la possibilità di offrire situazioni protette per anziani o handicappati gravi.
Caduta l'ipotesi della Mandria, si propongono alcune strutture intra-ospedaliere ( una seconda comunità nel rep. 6 delle Ville, altre tre nel reparto ex-18 ed ex 21 di Collegno) ed all'esterno dell'ospedale (due comunità nella "Casa Benefica" di Pianezza ed altre due nel rustico del "Barocchio)
Si prevedono per il personale un adeguato numero di infermieri, ausiliari, educatori, psicologi e medici, personale di pulizia, nonchè un maggior numero di personale per i 3-4 casi difficili, che necessitano di "progetti speciali".
Analoghe soluzioni si propongono per gli handicappati medio-gravi che sono presenti nel reparto B4 dell'ospedale di Grugliasco.
Comunque alla fine del 1982 esiste una sola Comunità Handicappati, nel reparto 6 delle Ville Regina Margherita.
La legge di Riforma Psichiatrica. n.180 del 1978, istituendo la chiusura degli ospedali psichiatrici , ha aperrto innumerevoli problemi, molti dei quali aspettano ancora oggi delle risposte concrete. Sono infatti necessarie soluzioni che non si limitino,come spesso e avvenuto in passato, alla enunciazione di principi astratti, ma che tengano conto delle situazioni reali, delle condizioni cliniche e delle concrete possibilita di cambiamento dei pazienti.
La definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici e la necessita di trovare soluzioni alternative a questo tipo di istituzione, ha improvvisamente messo in luce una caratteristica peculiaredella popolazione manicomiale italiana: parte di essa era costituita da persone affette da handicap fisico o psico-fisico, da ritardo mentale o da altre condizioni di disagio non direttamente psichiatrico; questa popolazione, insieme alla categoria dei pazienti anziani , rappresentava la maggior parte dei cosiddetti lungodegenti dell' istituzione psichiatrica.
E evidente come questa situazione abbia reso ancora piu difficile il processo di deistituzionalizzazione psichiatrica previsto dalla legge, poiche non era ipotizzabile per la stragrande maggioranza di questi pazienti , spesso giunti all'istituzione in giovanissima eta, un rientro in famiglia o presso parenti, e nel contempo risultava molto difficile prevedere degli ambienti sufficentemente protetti e che d' altra parte costituissero una reale alternativa all' ospedale psichiatrico.
Alla fine degli anni '70 gli operatori psichiatrici dei manicomi torinesi si dovettero confrontare dunque con il problerna della presenza di un gran numero di pazienti portatori di handicap, che per la maggior parte avevano alle spalle una lunga storia di istituzionalizzazione e che spesso, nonostante la presenza di notevoli differenze in termini di autonomia personale e di possibilita di recupero, erano stati riuniti nei medesimi reparti,con le conseguenze dannose che possiamo immaginare.
Consapevoli delle difficolta che tale situazione presentava, si ritenne necessario affrontare la problematica dei pazienti handicappati ricoverati in O.P. con uno specifico progetto che tenesse conto non solo delle reali possibilita di recupero e di integrazione di tali pazienti, ma anche dei peculiari problemi che si sarebbero dovuti affrontare, in primo luogo la difficolta di separare con un taglio netto i pazienti handicappati, di poter utilizzare diagnosi precise, di tenere conto delle differenze individuali, e cosi via.
II Progetto Handicappati prende il via ufficialmente nel 1980. A dieci anni dal suo inizio ci proponiamo di evidenziarne le caratteristiche peculiari, di ripercorrerne le tappe principali e di dare, per quanto possibile, una valutazione dei risultati finora ottenuti.
La promulgazione della Legge di Riforma Psichiatrica del 1978 è preceduta, perlomeno nell'ambito torinese, da un forte movimento di opinione, che critica gia da una decina d'anni in modo stringente i modelli di intervento istituzionali sulla follia.
Con la Legge di Riforma prende concretamente il via un progetto per il superamento degli ospedali psichiatriei di Torino.
Tra i problemi specifici di tale progetto, AGOSTINO PIRELLA, allora Sovrintendente agli O.P., sottolinea fin dall'inizio quello degli anziani e degli handicappati. Infatti nella "Bozza per un Progetto di Superamento degli OO.PP. di Torino (1979) egli scrive che per evitare di riprodurre le situazioni di emarginarzione e di stigmatizzazione in cui spesso si trovano tali categorie di soggetti, i1 progetto di superamento dovrebbe porsi in opposizione alla costituzione di reparti speciali per handieappati e per anziani. E aggiunge: " Puo essere prevista, nell 'ambito di una attenta analisi delle possibilita ricettive del territorio, la costituzione di: comunita protette di pochi soggetti gravemente handicappati e regrediti, con conduzione non istituzionale e finalita riabilitative In linea generale 1'handicappato puo giovarsi dell'apertura dei reparti se accortamente assistito.
La prima esperienza di una comunita per handicappati all'interno dell' O.P. nasce in questi primi anni ;successivi alla promulgazione della legge di Riforma Psichiatrica, quando un gruppo di genitori di giovani handicappati psichici si mobilito per chiedere per i propri figli una collocazione più adeguata, in un ambiente piu .idoneo e protetto. Nel f'rattempo era maturata la consapevolezza che la. situazione dei degenti portatori di handicap nei reparti era assolutamente insostenibile.
Se infatti per gli handicappati piu lievi era ancora possibile una certa integrazione con il resto dei degenti, per quelli piu gravi si verificavano situazioni di emarginazione all'interno dello stesso reparto, spesso vittime di violenze fisiche, essi potevano inoltre usufruire in modo scarso o nullo degli eventuali stimoli socializzanti proposti agli altri ricoverati, a causa dei loro problemi fisici (incontinenza, dipendenza per l'alimentazione), e della scarsita di personale Quando poi essi venivano concentrati in un grande numero nei medesimi reparti chiusi, la situazione diventava ancora peggiore, essendo impossibile qualunque tentativo di riabilitazione.
Nasce cosi, nel maggio l980, la prima comunita handicappati presso il reparto 6 delle Ville Regina Margherita di Collegno.
Questa comunita, ancora interna al reparto, ospitava otto ragazzi handicappati psichici fra i 20 i 30 anni. Tale gruppo. omogeneo circa l'inquadramento clinico, presentava al suo interno differenze rispetto aI livello di autosufficienza e alle problematiche dei soggetti.
La comunita era gestita da infermieri che avevano scelto liberamente tale collocazione, e seguita da due medici interessati all' esperienza Fin dall'inizio venne considerato essenziale collegarsi con un Centro Socio Terapeutico presente sul territorio per permettere ai soggetti d:i partecipare ad attivita esterne
Il progetto però era fin dall'inizio più ampio ed ambizioso: la comunità non doveva essere che un ponte tra l'O.P. e il territorio, e ci si proponeva percio un reinserimento graduale dei soggetti in spazi esterni
Su questo primo modello di comunita ancora interna al reparto,prende il via il Progetto Handicappati_
Un gruppo di lavoro, formato da operatori dell' OP, dell' Amministrazione Provinciale, del Comune di Torino e dell' USSL, definisce, a pochi mesi dall'apertura di questa prima comunita, i principi ispiratori del progetto.
Come strumento per favorire la riabilitazione, la socializzazione e l'emergere dei reali bisogni, si ipotizza la creazione di comunita interne per handicappati, strettamente collegate a strutture diurne gia operanti sul territorio. Le comunita si prevedono costituite da non piu di dieci handicappati eterogenei rispetto ai livelli di autosufficienza, possibilmente provenienti dallo stesso dipartimento: questo infatti permetterebbe una immediata integrazione con personale della Provincia specializzato per handicappati, in vista di un 1oro reinserimento, a piu o meno breve scadenza, in strutture di tipo residenziale della loro zona di appartenenza. Le comunita, che si prevedono in un numero di 3 o 4 per tutti gli O.P., dovranno essere quindi solo un primo momento di riabilitazione, che dovra essere continuata in altre situazioni totalmente esterne, da realizzare in tempi possibilmente brevi. Dovrebbero percio rappresentare solo un punto di passaggio unidirezionale e non una condizione stabile
In via preliminare il gruppo di lavoro si dedica ad una rilevazione dati sui soggetti handicappati presenti negli O.P. , in modo tale da individuare per ogni caso alcuni parametri considerati indicativi per definire la domanda e le caratteristiche dei futuri servizi territoriali. La rilevazione dati si basa su un primo censimento eseguito nel '79 a cura della Sovrintendenza degli O.P. : si tratta di un elenco, reparto per reparto, dei soggetti handicappati presenti , suddivisi per USSL di appartenenza e per fasce di eta, accompagnato da annotazioni ed indicazioni generali, piu o meno dettagliate, a cura dei medici responsabili dei vari reparti. Scrive AGOSTINO PIRELLA nella premessa a questo lavoro: "Si tratta nella generalita dei casi di soggetti giunti alla istituzionalizzazione psichiatrica assai precocemente, in taluni casi nei primissimi anni d'eta. Per questi soggetti, le esperienze fondamentali della socializzazione, dei rapporti familiari, della scoperta del mondo circostante e della propria motricita, sono state bloccate, represse, distorte da situazioni rigide di costrizione psicologica, motoria ed affettiva. Spesso a questa condizione si sono aggiunti traumi e lesioni da aggressioni o incidenti derivanti dall'affollamento e dalla segregazione in condizioni simili a quelle carcerarie. E' importante che queste condizioni non vengano ignorate, non si cerchi cioe di metterle fra parentesi nel momento in cui si programmano delle soluzioni alternative all' internamento manicomiale".
Nei due anni che seguono l'apertura di quella che possiamo dunque definire la prima comunita handicappati, il progetto prende forma in modo piu organico, anche se l'effettiva realizzazione di nuove comunita e ostacolata dal fatto che l' USSL non ha la possibilita di assumere educatori per gestirle.
Nel frattempo vengono nominati due medici referenti per il P.H. , LUIGI TAVOLACCINI e AUGUSTA GIANARA, i quali, in un documento dell' 82, sono gia in grado di abbozzare quella che sara la configurazione del progetto nel corso degli anni : si prevede la creazione di tre poli intraospedalieri costituiti da due comunita ciascuno, situati presso alcuni reparti dell' ex O.P. di Collegno. Solo nei due anni successivi, pero, sara possibile superare i problemi tecnici legati alla mancanza di personale,affidando la gestione delle comunita a cooperative di educatori.
Nella bozza programmatica per il triennio l985-1987 a cura del nuovo medico referente del P.H., il dottor SILVIO VENUTI, leggiamo quali sono gli aspetti piu innovativi del progetto, cosi come esso e venuto sviluppandosi nei suoi primi anni di vita: "Gia alla nascita della prima comunita handicappati (maggio 1980) era prevista l'utilizzazione di educatori che avrebbero affiancato gli infermieri nel lavoro in comunita, introducendo cosi una nuova figura in OP. In seguito (ultimo semestre 1983) fu adottatocompletamente il modello delle comunita territoriali per handicappati affidando la gestione globale delle comunita site all'interno dell' ex OP ad educatori, con l'ausilio di un servizio infermieristico limitato all' intervento nelle emergenze di natura medica".
Sono state cosi costituite le sei comunita intraospedaliere. "In tale modo si sono introdotti nuovi elementi di evoluzione e si sono poste le basi per i successivi sviluppi del progetto."
Siamo infatti giunti alla terza fase del P.H.,quella che prevede la costituzione di comunita territoriali di handicappati dimessi dall' OP. Nei mesi di giugno e luglio 1985 vengono aperte le prime due comunita sul territorio, site in due comuni in provincia di Torino, in cui vengono inseriti diversi ospiti del P.H.
Il programma per il triennio '85-'87 prevede a questo punto la creazione di altre comunita territoriali, che siano possibimente strutture flessibili e punti di passaggio verso suluzioni di vita piu autonome rispetto alla comunita stessa ; l'integrazione delle comunita territoriali col territorio su cui si situano: il passaggio di nuovi pazienti handicappati, che ancora vivono nei reparti, alle comunita intraospedaliere l' utilizzo delle cooperative di educatori, convenzionate con l'USSL, che si occupano della gestione delle comunita viene confermata come la formula piu adeguata per il proseguimento e lo sviluppo ulteriore del progetto; ci si propone comunque di potenziare il piu possibile i rapporti di queste con l'USSL , e dell 'USSL con i Comuni in cui si situano le comunita.
Sono da sottolineare pero anche alcuni limiti ed aspetti negativi emersi nel tipo di organizzazione promossa dal progetto.
Scrive la dott.ssa GIANARA, poco prima di lasciare il proprio incarico come referente del progetto: "Da un lato le comunita interne vivono in locali dell' ex OP molto simili strutturaimente ai reparti, l'arredamento è quello ospedaliero, l'intero ritmo quotidiano è ancora scandito sui tempi dell'ospedale. Dall'altro lato quella che pareva inizialmente quasi una premessa, per svolgere soddisfacentemente questo lavoro, era il collegamento con strutture esterne. Per una serie di problemi economici ed organizzativi non e stato possibile realizzare questo tipo di contatti con l'esterno".
La soluzione ottimale per tali problemi rimane quindi il reperimento di strutture abitative esterne all'ospedale e quindi l'uscita degli ospiti sul territorio. Purtroppo le difficolta per attuare questo ulteriore passaggio non sono poche: il biennio 1986-87 e di nuovo, forzatamente, un periodo di stasi per il progetto.
Nel novembre 1987 si svolge un convegno promosso dalla Regione Piemonte, dall'USSL 24 e dall'Assessorato al Personale e alla Sicurezza Sociale del Comune di Torino dal titolo "Strumenti di superamento dell' Ospedale Psichiatrico: il Progetto Handicappati".
Il convegno costituisce l'occasione per fare il punto della situazione a sette anni dalla nascita della prima comunita handicappati.
Nella sua relazione, il dottor VENUTI sottolinea come proprio gli aspetti piu innovativi del Progetto Handicappati costituiscano anche le sue maggiori problematiche: innanzi tutto il ruolo giocato dalla figura dell'educatore all'interno dell'OP, che, se ha sancito il concetto che l'intervento sull'handicap richiede preparazione, motivazione e cultura specifiche, ha tracciato in qualche modo una linea di separazione nella popolazione dell' ospedale psichiatrico. Le sottopopolazioni paiono rispondere ancora a definizioni impostate su schemi o criteri stereotipi, e connessi a diagnosi rigide (psicotici, oligofrenici, ecc), non comprendendosi nella parola handicappato per esempio lo psicotico".
Questo problema si è presentato fin dall'inizio del Progetto Handicappati: la questione non si limita alla possibilità o meno di diagnosticare correttamente un paziente, ma si riflette in concreto sulla vita delle comunità, dove da sempre i maggiori problemi sono proprio quelli posti dagli ospiti in cui la patologia preminente è di tipo psicotico.
"Un secondo elemento che è conseguito alla presenza della figura dell'educatore, nota ancora VENUTI, è stato certamente l'aggravamento della crisi della figura dell'infermiere, figura gia profondamente lacerata dallo sviluppo della nuova mentalita psichiatrica, di cui era espressione la legge 180. Appare chiaro come in tale situazione la definizione e la delimitazione dei compiti dei singoli operatori, quando si tratta di impostare attivita congiunte, abbia un significato di primo piano, se si desidera che il Progetto Handicappati non perda una delle sue caratteristiche fondamentali, che e quella del legame fra i reparti dell'Ospedale Psichiatrico e il territorio verso cui esso deve protendersi.
In varie relazioni presentate al convegno e presente la constatazione che, di contro agli entusiasmi dei primi anni di vita del progetto, siamo purtroppo in termini di risultati, ad una battuta d' arresto. Tale situazione e destinata a protrarsi ancora per almeno un anno.
Il maggiore problema di fronte a cui ci si trova rimane quello del permanere di alcune comunita all'interno delle mura dell'ex OP. Come nota il dottor GIORGIO TRIBBIOLI, nuovo referente del P.H. dal 1988, "il reale e concreto miglioramento che gli utenti attuano, nel passaggio dal reparto alla comunità handicappati ha un limite non superabile finche la comunita rimane "dentro le mura" ; non appena la comunita o i singoli ospiti sono trasferiti sul territorio, attuano un nuovo e notevole passo avanti sulla strada della loro riabilitazione".
Negli anni successivi gli sforzi maggiori sono dunque volti a favorire il più possibile l'uscita degli ospiti delle comunità sul territorio.
Il 1990, che ha segnato un momento di evoluzione del progetto secondo le linee che l 'hanno caratterizzato fino a questo momento, si chiude con un nuovo convegno dal ritolo "Progetto Handicappati. Percorsi di Evoluzione", che apre interessanti prospettive per il futuro.
La situazione del progetto, in piena evoluzione alla fine del 90, coinvolge ben 76 persone tutte dimesse dall' O.P. contro le 46 inizialmente inserite nelle comunita.
Le comunita interne sono quattro, mentre quelle esterne, con la creazione tra il 1989 ed il 1990 di tre micro-comunita, sono diventate sette.
La sperimentazione e gli sviluppi avvenuti nel corso dei dieci anni di vita del progetto, e in particolare degli ultimi anni, hanno modificato e ampliato in parte l'impianto generale del progetto, sopratutto permettendo di ipotizzare una nuova risorsa nel percorso di uscita dall'ex OP , la micro-comunita.
Tale struttura, costituita da un numero di utenti variabile fra tre e cinque, può costituire un'ulteriore evoluzione rispetto alla comunità esterna,ma può anche costituire un passaggio diretto dalla comunità interna, così come l'esperienza di questi anni ha mostrato, che nulla vieta agli utenti di passare direttamente dal reparto alla comunità esterna.
La micro-comunita, inoltre, non esaurisce le possibilita di ulteriore evoluzione del progetto: si ipotizza infatti la creazione di alloggi situati vicino alle comunita che costituiscano una condizione di vita autonoma, ma comunque protetta, per gli utenti piu autosufficienti; la realizzazione di un centro diurno e l'attivazione di risorse esterne che rendano possibili delle comunità non più necessariamente aperte sulle 24 ore; l'attivazione di servizi di convivenza guidata come tappa ulteriore verso l'autonomia degli utenti.
Tutto cio, porta alla costituzione di strutture adatte sempre piu ad utenti con problematiche di tipo prettamente psichiatrico.
Il Progetto Handicappati diventa cosi un modello per il superamento dell'Ospedale Psichiatrico realmente flessibile e adattabile a diverse tipologie di utenti.
IL PROGETTO HANDICAPPATI (1980-1991)
L'interesse formale per gli utenti portatori di handicap gravi lo ritrovriamo nella storia del superamento degli Ospedali Psichiatrici di Collegno e Grugliasco a far data dall'anno l980, quando vennero presentati i risultati di un 'indagine condotta nei reparti dei due OO.PP.
Quell'indagine condusse a rilevare un numero di 190 portatori di handicap lungo-degenti,di cui l26 uomini e 64 donne, per i quali si inizio' a pensare un percorso e mode!lo complessivo di uscita dai reparti attraverso la costituzione di progetti di comunita-alloggio.
Il primo progetto-comunità fu condotto nel 1982 al 6 delle Ville Regina Margherita di CoIlegno (le "Ville" è un'area dell'Ospeda1e Psichiatrico composta da palazzine autonome con ampi giardini), e fu gestito congiuntamente da medici ed infermieri dell'USSL 24 ed educatori del CST di C.so Toscana, distaccati ad uopo dalla Provincia.
L'esperienza condotta da questa prima equipe condusse essenzialmente a dimostrare la fattibilità deIl'ipotesi e concorse ad individuare due problemi di fondo: da un lato la gestione ancora troppo legata ai tempi dell'ospedale ( i pasti erano garantiti con precotti da mense convenzionate, la lavanderia, iI guardaroba, le attrezzature, venivano anch 'essi forniti dall' USSL 24 ) e dall'altro la necessità di un più elevato numero di operatori.
Un aspetto estremamente interessante da rilevare è che già allora l'equipe di lavoro si poteva porre come obiettivo a medio-lungo termine il graduale reinserimento degli utenti in spazi esterni all'area, utilizzando le comunità inteme come "filtro" per gli handicappati tra l'Ospedale Psichiatrico ed il Territorio.
Lo sviluppo di questa prima esperienza si evidenziò l'anno successivo, il 1983, quando inizia il coinvolgimento di tre cooperative di servizi sociali, "ll Margine", "ll Sogno di una cosa'; "Loisir'; nella gestione di quello che si costitui come "Progetto Handicappati"dell'USSL24,che interessò in una prima fase gruppi di utenti provenienti da Collegno ( reparti 1-5-6 ) e Grugliasco ( reparti A2- B4).
Nel mandato originario che troviamo nelle prime delibere le sei comunita' erano viste quindi non solo come progetto di condizione di vita migliore per gli ospiti, per il recupero delle loro abilita' di autonomia e delle potenzialita' e dei percorsi di risocializzazione, ma anche come attivo strumento per il superamento dell'O.P.
Di conseguenza le tre cooperative assunsero l'impegno di gestire le neo costituite comunita' e contemporaneamenre anche quello di reperire strutture esterne sul territorio in cui realizzare, compatibilmente alle potenzialità raggiunle, il trasferimento degli ospiti.
Tra il 1982 ed il l984 si passò in sostanza da un primo tentativo di sperimentazione gestito con operatori pubblici, al convenzionamento con Cooperative di servizi sociali e, fattore fondamentale, alla loro graduale autonomizzazione dall'USSL 24, sia per quanto riguarda gli aspetti gestionali , che per gli sviluppi logistici delle comunità.
L'USSL 24 con un iter deliberativo fecondo, che trova il punto culminante nel "Capitolato Speciale" del 1987 demanda la gestione del Progetto alle Cooperative mentre conserva il supporto tecnico e la verifica ad un ambito pubblico, attraverso la strutturazione di una interessante commissione Tecnico-amministativa. Questa commissione e' composta dal Referente Tecnico deI progelto handicappati, da due collaboratori Educatori Professionali, dal Referente Amministrativo, dallo Psicologo, dall'Assistente Sociale, da un Medico-psichiatra consulente delle Comunita' e da un rappresentante dei parenti degli ospiti.
Al ReferenteTecnico, coadiuvato dai due collaboratori, spetta il coordinamento dei lavori della Cornmissione,la verifica delle relazioni periodicamente trasmesse dalle varie comunità ; la programmazione delle linee di sviluppo del Progetto, le relazioni con altre realta' regionali, anche al fine di promuovere periodicamente seminari e convegni, i rapporti con i reparti delI'Ospedale Psichiatrico, con le USSL di eventuale nuovo insediarnento delle comunita' ed infine il coordinamento dei medici che lavorano al Progetto.
La Commissione interagisce con le Cooperative non solo come strumento di controllo, ma soprattutto come strumento di lavoro e verifica progettuale; propone ogni suggerimento atto allo sviluppo del Progetto ed alla realizzazione dello stesso, nell'ottica dell'obbiettivo generale di superamento dell'Ospedale Psichiatrico.
Il Progetto Handicappati nel suo complesso e' giunto alla fine del 1990 ad interessare complessivarnente 70 utenti in progetti realizzati sia all'interno che all'estemo dell'O.P.
METODOLOGIE D'INTERVENTO
Uno dei punti di forza del progetto e' stato indubbiamente l'utilzzo dello strumento Cooperativa, caratterizzato dalla possibilita' strutturale di allestire servizi progettati sulla base della relazione operatori - utenti (e quindi capaci di farsi interpreti della soggettivita' di questi ultimi ) e dalla possibilita', parallela e contemporanea, di gestire le iniziative in tempi reali, visto il particolare status del socio che puo' direttamente allocare le rlsorse materiali ed umane necessarie alla messa in opera di ogni singola iniziativa.
I servizi non sono quindi fondati su un modello di risposta "dato ed immutabile", ma al contrario sono dotati di flessibilita' e le comunita' rappresentano momenti di passaggio per soluzioni di vita tendenzialmente sempre piu' autonome.
Infatti, dalle prime comunita' nate con la ristrutturazione di alcuni padiglioni dell'ex OP, che rispondevano ai bisogni di utenti altamente problematizzati, la storia del progetto handicappati si e' sviluppata all'esterno dell'area ospedaliera.
Nel 1985 si inaugurano le prime due comunita', a S. Gillio e Nichelino, e nel 1987 alcuni ex degenti vengono inseriti a Castagneto Po attraverso il coinvolgimento nel Progetto della Cooperativa In/Contro.
Le comunita', che si articolano sulle 24 ore, sono tutte portate ad elaborare progetti individuali rivolti ad un accrescimento dell'autonomia degli utenti.
La metodologia impiegata nel corso di questi anni e' sostanzialmente stata quella del lavoro per obiettivi e per progetti, realizzata attraverso il sistema delle referenze di gruppo, dell'analisi di staff (l'intero gruppo degli operatori) e dellla supervisione del lavoro degli operatori da parte di un tecnico esterno.
Nell'ambito della supervisione sono stati affrontati i problemi connessi da un lato alla progettazione sul singolo caso e, dall'altro, alla progettazione di nuove comunita'.
Gli strumenti operativi individuati riguardano, in particolare, la relazione operatore-utente ( e quella degli utenti fra di loro), la valorizzazione del quotidiano comunitario e l'introiezione di un modello di vita collettivo con diretta gestione degli spazi individuali e sociali.
L'inserimento degli ospiti in specifiche attivita' riabilitatative e terapeutiche (da quelle concernenti la gestione della quotidianita' comunitaria ad altre relative all'acquaticità e all'arteterapia ), attivate sia all'interno della comunita' che nell'ambito di laboratori e di strutture territoriali esterni ad essa, ha consentito il recupero e lo sviluppo di abilita', autonomie, capacita' relazionali e cognitive latenti.
Lo strumento "casa" ha consentito inoltre un coinvolgimento degli utenti nelle attività di tipo più domestico (preparazione dei pasti, pulizie, etc.) e nella possibilità di potersi prendere "cura di sè".
Contemporaneamente, attraverso la crescita professionale dei soci o in collaborazione con day-hospital pubblici o associazioni culturali ricreative sul territorio. vengono allestiti atelier di arte-terapia, musicoterapia, laboratori per attività finalizzati all'inserimento semi-lavorativo, di legatoria, grafica, ecc.
LE ATTIVITA'
Le prime attività venivano svolte principalmente all'intemo delle comunità. Nella loro successiva strutturazione alcune di queste hanno mantenuto una fondamentale importanza nei percorsi di evoluzione individuali e di comunità.
Ci riferiamo ad esempio alle attività rivolte all'igiene personale e alla cura di sè: ciò ehe inizialmente ha significato individuazione dei bisogni prlmari e, successivamente, ricostruzione di alcune basilari funzioni, in qualche caso compromesse in modo irnmediabile, e andata gradualmente trasformandosi in cura della propria immagine, nell'occasione di poter provvedere autonomamente ad alcuni dei bisogni quotidiani, nell'opportunita di preparare il pranzo insieme ad altri, nella scelta dei propri abiti, degli oggetti, di come arredare i propri spazi e quelli comuni.
Parallelamente a ciò e sempre in riferimento all'esperienza di vita manicomiale, una sempre costante attenzione è stata posta verso ciò che il mondo esterno poteva rappresentare per gli ospiti delle comunità.
Dalle prime passeggiate lungo i viali del parco dell'Ospedale Psichiatrlco, da quelle verso il bar per un cappuccino o una bibita (spesso con disapprovazione degli avventori o degli stessi esercenti per la presenza di "clienti fuori ordinanza"), si è giunti all'uscita autonoma e individuale per fare acquisti; simili obbiettivi sono stati raggiunti mediante lunghi e laboriosi interventi mirati alla comprensione e al riconoscimento del territorio, del percorso stradale, dell'uso del denaro.
Proprio il territorio è stato l'elemento maggiormente interessato per la ricerca di risorse e la promozione di attività.
Ad oggi è possibile tracciare un quadro estremamente vario e significativo delle attività che in questi anni si sono via via strutturate e che sempre di più hanno acquisito il valore di strumenti di lavoro per le realizzazioni progettuali.
L'attività di acquaticità viene svolta presso una piscina sul territorio di Collegno: consiste nel riportare le persone (specie se si tratta di casi gravi) in una dimensione naturale quale è l'elemento-acqua; si va dal rilassamento all'acquisizione di abilità utili all'attività natatoria passando attraverso fasi ludiche.
Sempre a Collegno vengono proposte un'attività di laboratorio gastronomico e un'intervento di arte-terapia; il primo ha lo scopo di far scoprire l'importanza di una educazione alimentare che va dalla scelta del menù alla preparazione e cottura dei cibi, alla condivisione, con gli amici, dei piaceri della tavola; gli obbiettivi del secondo sono il far si che l'individuo possa comunicare i propri stati d'animo mediante un'espressione artistica, quale il disegno (ma lo stesso si può dire per l'attività di ceramica o, nelle più elementari, di manipolazione di materiali van).
A Torino, presso un centro specializzato, alcuni ospiti delle comunità partecipano ad un'attività di yoga mentre un altro intervento svolto con ospiti delle comunità di Collegno e Nichelino è quello relativo alla psicomotricità.
Vi sono inoltre interventi di massaggio metamorfico, di musico-terapia e di ippoterapia presso maneggio a Stupinigi.
Altre attività quali il laboratono di legatoria, di meccanica, e di giardinaggio, oltre ad essere validi momenti di socializzazione in gruppo allargato e di ulteriore acquisizione di abilità, hanno il pregio di individuare alcuni percorsi pre-lavorativi; così eome non si possono dimenticare le poche ma importanti esperienze scolastiche attraverso la partecipazione alle 150 ore per l'acquisizione delle licenze elementari e media infenore.
E' importante sottolineare infine che, a partire dall'analisi dei bisogni dell'utenza, dovendo purtroppo rilevare la scarsità di risorse territoriali strutturate, quali C.S.T. e DAY HOSP1TAL, nonchè scarsa disponibilità nell'inserire i nostri utenti in queste stesse strutture, all'interno delle cooperative sono stati avviati processi formativi per elevare la professionalità di alcuni operatori i quali oggi possono definirsi tecnici e gestori delle attività più qulificate.
RISCHI DI NUOVA ISTITUZIONALIZZAZIONE
Occorre considerare come, anche all'interno dei nuovi servizi di comunità alloggio, esisteva una considerevole possibilità di riprodurre nuove forme di istituzionalizzazione e/o cronicità.
Spesso alcuni passaggi sostanziali per la necessità di normare il servizio e renderlo più efficiente, possono influire negativamente sulla qualità della prestazione.
Questi elementi possono chiamarsi creazione di organizzazione burocratica, con i requisiti connessi, ma anche avere riferimenti più generali e propri di qualsivoglia ambito sociale, quali rifiuti o preconcetti nei riguardi dell'innovazione e nelle verifiche progettuali, il ripiegamento intimistico all'interno del proprio ambiente, la sopravvalutazione del terrtorio, spesso ingiustamente mitizzato come luogo di reinserimento.
Per superare o ridurre questi rischi si è operato per promuovere servizi dotati di piena autonomia economica e progettuale, all'interno di un quadro di riferimento programmatico, e quindi si è sviluppato maggior decentramento nelle cooperative affinchè le decisioni potessero essere attivate nei luoghi e nei tempi necessari al collettivo operatori-utentl.
Nascono da questo trend, negli anni 1989-1990, quattro micro-comunità che ospitano tra gli altri anche utenti già inseriti in comunità esteme all'area 0. P. , a conferma della validità della ricerca di percorsi di autonomia sempre più ampi.
IPOTESI DI SVILUPPO
Durante il seminario "Progetto handicappati, percorsi di evoluzione", tenutosi a Collegno nel novembre 1990, l'USSL 24 e le cooperative hanno da un lato presentato il lavoro svolto in questi ultimi tre anni, dall'altro hanno cominciato a confrontarsi per formulare ipotesi progettuali in grado di rispondere alla necessità di fuoriuscita dai reparti tutt'ora funzionanti, di altri 40-50 ospiti portatori di handicap, come viene fornita indicazione attraverso la testimonianza dei medici primari dei medesimi.
La portata così ampia del bisogno ha portato ad un'ipotesi di costituzione di momenti di sinergia tra le quattro cooperative, che riguarda l'esigenza generale di potenziarnento della rete dei servizi, le opportunità, le risorse, il tempo e le strategie.
Operativamente. possiamo riassumere l'articolazione di questo piano di intervento in 5 punti fondamentali:
1) screening preventivo degli utenti per evidenziare livelli di autonomia e comunicazione,
2) predisposizione di piani di intervento individuali,
3) determinazione dei moduli-base per le nuove comunità,
4) reperimento di spazi abitativi intemi-esterni,
5) progetto di centro diurno per portatori di handicap gravi preferibilmente estemo aD'area dell'ex-O.P.