Cenni storici sul Regio Manicomio di Torino |
|
Con pieno fondamento di verità venne più volte osservato che chiunque voglia addentrarsi nella storia delle numerose opere di beneficenza della Città di Torino, non può a meno di rilevare le infinite benemerenze, anche in tale campo, conseguite dai Principi di Casa Savoia, i quali, in ogni circostanza, ne curarono la fondazione o lo sviluppo, pronti sempre ad intervenire in soccorso delle sventure del loro popolo, per favorirne l'elevazione materiale e morale, in modo da renderlo in tutto e per tutto degno di una grande Nazione. Ed è senza dubbio al conseguente sentimento d'illimitata riconoscenza e di saldo attaccamento del popolo verso i suoi Sovrani, dovuto il fatto che dai profondi sconvolgimenti storici antichi e recenti, che segnarono la mutazione di regimi politici ed il crollo di tante secolari Dinastie. la Casa Savoia, circondata e sorretta dall'affetto e dalla devozione dei suoi sudditi, ha saputo e potuto uscirne incolume, ed anzi sempre più gloriosa pei più alti destini dell'Italia nostra. Singolare e fortunata coincidenza vuole pertanto che, mentre Torino si appresta nel corrente anno a celebrare le glorie ed i fasti di Casa Savoia nell'ultima guerra vittoriosa, unicamente alle virtù eroiche ed ai grandi meriti di Emanuele Filiberto, che della potenza della Dinastia Sabauda fu il saggio restauratore, il R. Manicomio di Torino, dal canto suo, commemori il bicentenario di sua fondazione, voluta nel 1728 da un'altra fulgida figura di Principe dei Savoia, che dell'opera possente e creatrice del suo grande Avo, può considerarsi come il vero erede spirituale: Vittorio Amedeo II. Dopo aver assicurata la pace nei suoi domini, ormai sgombri, in seguito alla gloriosa vittoria riportata, da ogni invasione straniera, al pari del grande Emanuele Filiberto, il primo. Re Sabaudo. dedicandosi con rinnovato fervore al lavoro di ricostruzione e riordinamento dei propri Stati, rivolgeva pure l'animo pio e caritatevole verso i bisognosi suoi sudditi, stremati da tante guerre e carestie, fondando, tra altre numerose opere di assistenza e beneficenza, l'Ospizio Generale di Carità, costruendo vari Ospedali, tra cui quello delle Puerpere con annessa Scuola d'Ostetricia, dando vita alle locali Congregazioni di Carità. In tanto fervore di spirito umanitario e di esatta comprensione dei bisogni immediati del suo popolo, non poteva Egli trascurare i poveri disgraziati, che colpiti da pazzia, in quei tempi vagavano liberamente per le vie delle città e dei borghi, abbandonati a se stessi, privi di ogni cura ed assistenza adatta, oggetto di ludibrio, di scherno ed anche di maltrattamenti da parte della plebaglia, causando colla loro presenza e colle loro azioni grave disturbo e scandalo in pubblico, incomodo e terrore nelle loro stesse famiglie. Eravi bensì in Torino il convento dei frati di San Giovanni di Dio che accoglieva qualche mentecatto, specie se appartenente a ricca famiglia disposta a pagare le spese di custodia, ma per ristrettezze finanziarie e mancanza di locali, detti frati non erano in condizione di estendere l'opera loro del tutto insufficiente. A tale stato miserevole di cose s'imponeva dunque un rimedio ed il saggio Principe, conoscendo quanto fosse necessaria detta opera nei suoi Stati a favore di tanti infelici, ed acutamente osservando che " molti di essi periscono talvolta senza essere soccorsi, giusto che, alcuni, ai quali facendosi li opportuni rimedi, puonno essere risanati ", volle che anche in Torino sorgesse un apposito ospedale per gli infermi di mente, " ad esempio delle più cospicue città d'Italia, nelle quali si provvede a detti infermi con tutta carità ". Ordinava quindi al Conte Ceveris di Burolo, in allora Vicario e Sovraintendente generale della Politica e Polizia della Città e Prefetto della Provincia, di trattare con qualche Corpo Secolare per l'erezione, direzione ed amministrazione di detto Ospedale. A Vittorio Amedeo Il deve pertanto essere attribuito l'esclusivo merito di aver spontaneamente concepito il nobile pensiero di istituire nei suoi Stati, a sollievo di una delle più grandi sventure che possano colpire l'umanità, un adatto luogo dove i malati di mente potessero essere ricoverati e amorevolmente curati. Il Conte Ceveris, a pronta esecuzione dell'ordine ricevuto, memore che già nel 1724 la Molto Veneranda Confraternita del SS. Sudario e della Vergine Santissima delle Grazie - fondata in Torino fin dal 1598 nella Chiesa di S. Pietro de Curte Ducis in via del Gallo - a lui si era rivolta per l'erezione di un nuovo oratorio, chiamato a se l'Avv. Giovanni Antonio Boasso, dei Decurioni e Segretario della Città, nonché membro autorevole di detta Confraternita, gli comunicava il volere di S. M.. offrendo così al Sodalizio un'occasione opportuna di supplicare dal Re l'alto onore di avere a se affidata l'erezione dell'Ospedale dei mentecatti ed in pari tempo l'autorizzazione di costruire il nuovo Oratorio di cui necessitava, in qualche sito dell'ingrandimento della Città, che egli stesso suggeriva " in testa alla contrada della Dora Grossa, dietro il nuovo Quartiere dei soldati ". All'autorevole invito non poteva mancare la pronta adesione della Confraternita, che nell'adunanza delli 22 maggio 1727 del suo Consiglio Generale - in tutto pienamente informata dall'Avv. Boasso, il quale, per non perdere inutile tempo prezioso, già aveva fatto redigere il progetto del nuovo Oratorio ed Ospedale - così deliberava : " Il Generale Consiglio esaminato detta proposizione, visto detto disegno, tutt'unanime, e concorde, ammirando sempre più l'impareggiabile pietà e provvidenza di S. S. R. M. nostro Signore e Sovrano, Clementissimo, ha dichiarato et dichiara esser questa veneranda Confraternita pronta ad intraprendere la sud.ta Pia Opera della erretione, amministrazione e manutentione dell'Ospedale de' Mentecatti, et a quella concorrere e cooperare con tutte le sue forze e nella miglior forma a lei possibile, e quello far construere, nel nuovo ingrandimento di questa Città, e nel sito proposto, et ha humilmente supplicata la Pref.a S. M. di permetterli di far contemporaneamente construere in parte del sud.o sito, un nuovo Oratorio, sendo il presentaneo indecente per il Culto Divino et improprio per l'esercizio delle funzioni della d.a Confraternita: oltre che havendo la medesma il suo Oratorio attiguo al detto Ospedale potrà più comodamente applicarsi alla dirretione e manutentione del medesmo ". Nominava in pari tempo una Commissione capeggiata dall'Avv. Boasso " per humiliare a S. M. gli opportuni raccorsi per ottenere quelle grazie e privilegi che si crederano spedienti per il buon principo el ottimo regolamento di dett'Opera ", conferendo alla stessa piena autorità di provvedere e determinare in ogni e qualunque emergenza per la costruzione del nuovo edificio, dando mandato al notaio segretario di inviare copia del verbale " all'Archivio dell'insinuazione, ad effetto che si renda maggiormente nota e permanente l'ossequiosissima commissione e promessa di questa veneranda Confraternita nell'incontrar il gradimento del suo Real Sovrano ". A titolo di alto onore per la Confraternita del SS. Sudario si è voluto riportare quasi per disteso nella presente pubblicazione - destinata essenzialmente a celebrare la ricorrenza bicentenaria della fondazione del R. Manicomio - il testo della sua deliberazione in cui, meglio di qualsiasi altro documento, risulta come il nobile disegno e volere del Re venisse immediatamente da essa raccolto e messo in esecuzione, e come, in tal guisa, ancora una volta di più nella storia, l'alto spirito di carità di un intelligente Sovrano trovasse piena e pronta rispondenza nel cuore generoso del suo popolo, per dar vita ad un'Opera grandiosa di vera e sentita beneficenza, destinata nel secoli a sempre maggiore sviluppo. La Commissione nominata si metteva tosto alacremente all'opera e su consiglio del Conte Ceveris, al quale pure aveva presentata copia della deliberazione presa, procedeva alla sollecita compilazione di un " Memoriale a capi ", che lo stesso Conte Ceveris si era assunto cli presentare ed appoggiare presso il Sovrano. Ma a Vittorio Amedeo Il - forse già divisando l'atto memorabile della sua rinunzia al trono a favore del figlio - stava sommamente a cuore l'immediata e pratica attuazione del suo disegno. Ed ecco allora il Vicario dirigere il 24 luglio 1727 alla Confraternita una nuova lettera in cui, premesso il gradimento del Sovrano, avvisava che questi, nella considerazione del lungo tempo che sarebbe occorso per la costruzione del nuovo Ospedale e per renderlo abitabile almeno in parte, mentre, per intanto urgeva provvedere adeguatamente ad alcuni infermi di mente che andavano vagando per la città od erano ritenuti in luoghi impropri o poco bene assistiti, aveva espresso il desiderio che essa provvisoriamente si provvedesse di una casa, in modo da cominciare col prossimo S. Michele a ricoverare e fare assistere tali infermi. Una volta aperto tale ricovero provvisorio e nominati i membri per la sua direzione ed amministrazione, avrebbe S. M. emanate le proprie provvidenze sul rnemoriale presentato. Però nello stesso tempo, per metterla in grado di sopperire alle prime spese di impianto e della nuova costruzione, il Sovrano metteva a disposizione L. 10.000 della sua privata cassetta, versate a censo sulla Tesoreria della Città, mentre altre L. 10.000 faceva assegnare a tale scopo dalla Compagnia di S. Paolo. Di fronte alla precisa intenzione manifestata dal Re, del quale è ammirevole davvero la generosità unita ad un non comune senso di pratica e di prudenza, la Confraternita cercò subito la casa, in cui poter allogare il provvisorio ricovero, prendendo in affitto per un triennio al prezzo di L. 275 annue la casa degli eredi dell'Avv. Battiani o Batiano" situata in fine della grande contrada di S. Dalmazzo. che va alla Consolata e la facciata a mezzogiorno al Monastero dei Molto R.R. Monaci di S. Bernardo, detti della Consolata " capace di ricoverare venti e più infermi di mente, oltre al Rettore od Econorno ed ai servienti dell'Ospedale. Deputava inoltre per la sua gestione una speciale Commissione presieduta dall'Avv. Boasso, col titolo di Capo Regolatore, di un Tesoriere. di un Controllore, di un Architetto, del Segretario e di venti Regolatori; la quale Commissione può considerarsi pertanto la prima amministrazione dell'Ente, come la casa Battiani ne fu la prima ed effettiva sede, che cominciò a funzionare ai primi di ottobre 1727. Nella seduta del 30 maggio 1728 il Priore della Confraternita comunicava ai Consiglieri che alla data stessa si trovavano già ricoverati " tra uomini e donne numero tredici; oltre a diversi altri, quali si erano ricoverati, poi licenziati per essere stati risanati ed altri per essere stati riconosciuti non essere degni dell’opera, facendosi quelli servire con tutta carità ed attenzione ". Comunicava ancora il Priore che, dovendo la Confraternita trasferire la propria sede dalla Chiesa di San Pietro del Gallo a quella di S. Maria di Piazza, si era prospettato di stabilire anche il nuovo Spedale nel Convento dei Padri Carmelitani, annesso alla Chiesa stessa. Senonchè, fattosi presente a S. M. che il " sudetto Ospedale in detti siti haverebbe potuto causare incommodi all'officiatura di detta Chiesa el alli habitanti in vicinanza della medesma e che sarebbe stato più comodo far construere detto Ospedale in qualche sito del nuovo ingrandimento della Città verso porta Susina, all'esempio di quello che si è praticato nelle Città più principali d'Europa, nelle quali sono stabiliti detti Ospedali nei posti più remoti, e meno habitati delle Città " il Re aveva donato a tale scopo il residuo terreno dell'isola di S. Isidoro di circa 30 tavole e le patenti relative stavano per essere firmate. Era questo l'annunzio ufficioso della donazione, ben giusto premio alle prove di zelo caritatevole e di saggia amministrazione date dalla Confraternita nei primi mesi di gestione dell'Ospedale provvisorio ed infatti il 2 giugno 1728 Re Vittorio Amedeo Il emanava il seguente R. Biglietto, interinato dall'Ece.ma Camera il 9 giugno stesso: VITTORIO AMEDEO PER GRAZIA Di DIO RE DI SARDEGNA, DI CIPRO, E GERUSALEMME, DUCA DI SAVOIA, Di MONFERRATO, ECC. PRINCIPE Di- PIEMONTE, ECC. " La Confraternita del SS. Sudario. e Vergine SS. delle Grazie, a cui abbiamo appoggiato la direzione dell'Ospedale de' pazzi, che intendiamo si stabilisca nella nostra Città di Torino, ci ha fatto supplicare farle dono del sito, che è nel nuovo ingrandimento verso porta Susina. nell'isola di S. Isidoro, di tavole trentuna, piedi sei, once otto, coerenti a levante la casa di Antonio Camerata, a mezzogiorno quella di Carlo Francesco ed Ottavio Amedeo. fratelli Ruscalla, e di Sebastiano Clerico, a ponente, a mezzanotte la strada pubblica, qual sito abbiamo destinato per la costruzione di detto Spedale; alla cui supplicazione avendo Noi benignamente accondisceso, per trattarsi di un'opera la quale siccome ha per oggetto il pubblico bene, è di nostro singolare gradimento. Quindi è, che per le presenti, di nostra certa scienza, ed autorità Regia, avuto il parere del nostro Consiglio, ed informati appieno del valore di detto sito, quello abbiamo donato. ceduto, e rimesso, doniamo, cediamo, e rimettiamo alla Confraternita predetta per fabbricarvi il suddetto Spedale, mandando alla Camera nostra de' Conti di interinare le presenti in tutto e per tutto secondo loro forma, mente e tenore, e queste spedirsi senza pagamento di alcuna finanza, emolumento, od altro dritto di qualunque natura, perchè cosi ci piace. " Dato alla Venaria li 2 di giugno 1728, e del nostro Regno il decimoquinto. Immediatamente veniva dato principio ai lavori di costruzione del nuovo edificio destinandovi, oltre alle 20.000 largite dal Re e dalla Compagnia di San Paolo, anche L. 1224 di proprietà della Confraternita ed i proventi di cospicue e numerose oblazioni pervenute da confratelli ed altre caritatevoli persone. Il 16 giugno dello stesso anno il Priore Gio. Ignazio Barone " con intervento di molti Sigg. Officiali e Confratelli " procedeva alla funzione solenne del collocamento della pietra fondamentale, mettendo " nell'angolo riguardante ponente e mezzanotte un sarisso quadrato di larghezza di oncie diciotto nel qual vi sono scolpite le parole dicenti: ANNO D.NI 1728 DIE 14 IUNII ". Nè al solo dono del terreno si fermava il favore del Re, che subito dopo, in data 22 giugno 1728 - giorno memorando nella storia del nostro Manicomio, in quanto segna la data del riconoscimento ufficiale della sua esistenza - emanava le seguenti RR. Patenti: VITTORIO AMEDEO PER GRATIA DI DIO, RE DI SARDEGNA, DI CIPRO, E DI GERUSALEMME, DUCA DI SAVOIA, MONFERRATO ECC. PRENCIPE DI PIEMONTE ECC. "Veduto, ed esaminato da Noi il memoriale a' Capi espostoci dalla Confraternita del SS.mo Sudario, e della Vergine SS.ma delle grazie eretta nella nostra Capitale di Torino per la costruttione d'un ricovero de poveri mentecati, ed insieme le risposte in margine ad ogn'uno d'essi capi d'ordine nostro annotate,, e sottoscritte dal Conte Riccardi Primo Presidente, e nostro Guardasigilli in data de 22 corrente giugno; Per le presenti di nostra certa scienza, assoluta autorità, e col parere del nostro Conseglio habbiamo a' supplicazione della suddetta Confraternita approvato, e confermato, approviamo, e confermiamo in tutto, e per tutto le predette risposte; Mandando a' nostri Magistrati, Ministri, Ufficiali, ed altri cui spetterà d'osservarle, e farle puntualmente osservare; Et in particolare alli Senato di Piemonte, e Camera nostra de Conti d'interinarle senza veruna dificoltà. Che tal è nostra mente. " Dato alla Venaria li vintitrè di giugno l'anno del Sig.re millesettecento vent'otto, e del nostro Regno il Decimoquinto. " V. AMEDEO ". In base a tali RR. Patenti, interinate dalla R. Camera il 10 luglio 1728 e dall'Ecc.mo Real Senato il 24 stesso mese, nell’approvare le risposte date a margine del " Memoriale a Capi " presentatogli dalla Confraternita, si accordavano all'Opera di recente istituzione le seguenti grazie e privilegi principali : 1) Concessione della regia e sovrana protezione alla Confraternita ed allo Spedale, lasciando alla prima la libera direzione ed amministrazione dello Spedale stesso; 2) Esenzione dal pagamento di ogni diritto, in occasione di atti di alienazione o di ipoteca di stabili propri della Confraternita, allo scopo di procurarsi fondi necessari alla costruzione; 3) Esenzione ed immunità dalle gabelle pei commestibili ed altri generi necessari da consumarsi nell'Istituto; 4) Ordine agli altri Ospedali ed a chiunque ritenesse nella propria casa od in pensione qualche rnentecatto, di rimetterlo alla Confraternita, proibendo indistintamente tanto gli Ospedali, luoghi pii e qualunque corpo o università ed eziandio particolari, di ricoverare mentecatti ; con facoltà però alle loro famiglie di ritirarli e mantenerli nelle proprie case, qualora ciò credessero fare, ma dandone, in tal caso, avviso alla Confraternita, che ne poteva chiedere conto ogni qualvolta lo riteneva ed ordinare il ricovero nel proprio stabilimento qualora risultasse che essi non fossero tenuti e custoditi colla dovuta carità e cautela; 5) Obbligo ai parenti di primo e secondo grado dei mentecatti poveri, di contribuire nelle spese di mantenimento in proporzione della loro possibilità e secondo la decisione del Conservatore dello Spedale; 6) Esenzione dall'obbligo di ricovero di mentecatti non appartenenti agli Stati Sardi o quanto meno limitazione di tale obbligo fino alla loro sollecita estradizione; 7) Licenza di raccogliere elemosine per la Città e per gli Stati Sabaudi a favore dell'Opera; 8) Obbligo di ricovero di dementi unicamente quando siano riconosciuti tali dal Medico dello Spedale, con certificato apposito da verificarsi dal Vicario della Città, sentito il parere di un altro dottore; 9) Delega ad un Conservatore o Giudice, scelto nella persona del Vicario della Città, per decidere su tutte le cause attive e passive dell'Opera, in via sommaria e senza formalità di atti, con esenzione di qualsiasi spesa relativa. In segno di gratitudine per così grande favore, maggiore impulso venne dato ai lavori del nuovo edificio, tanto che nel novembre dello stesso 1728 già erasi messo il tetto, quasi compiute le volte del primo e secondo piano e si calcolava di renderlo abitabile al S. Michele del 1729, per ricoverarvi 100 malati coi loro custodi e servienti. La spesa sostenuta ammontava fino a quell'epoca a L. 18.674, senza contare però che molti materiali adoperati erano stati gratuitamente offerti. Occorrevano, per portare a compimento i lavori, 5000 lire circa ed allora generosamente la Confraternita decise di prenderle a suo nome a mutuo od a censo, corrispondendo l'annuo interesse del 4 per cento, salva ragione al rimborso a semplice richiesta, quando l'Ospedale fosse stato in grado di poterlo effettuare. La speranza di condurre a termine l'edificio all'epoca stabilita non era male apposta ed il 7 dicembre dello stesso anno il Consiglio già si raduna " nella stanza a piano di terra riguardante a ponente e mezzanotte della Casa del Venerando Ospedale de' Pazzerelli " a ciò opportunamente destinata. Al premuroso interessamento dimostrato dal Pio Sodalizio, non poteva mancare la manifestazione dell'autorevole approvazione del Sovrano, il quale, accogliendo le sue istanze nel dicembre stesso " avuto riguardo alla caritatevole assistenza che sogliono i confratelli prestare e fanno usare giornalmente verso i pazzarelli, ricoverati nell'Ospedale, con zelo singolare amministrato ", manifestando al tempo stesso il desiderio di ampliazione dell'opera coll'aggiunta della casa e siti contigui, consentiva alla Confraternita di potersi adunare ed officiare nell'Oratorio privato costruito nel nuovo Ospedale, " affine di maggiormente animare tutti i confratelli più affezionati, massime a cooperare alla suddetta ampliazione, quale conosceranno sempre più essere necessaria, e se ne manterrà viva sotto agli occhi la memoria all'occasione che frequenteranno il nuovo Oratorio ". Da quanto sopra appare, è evidente che a pochi mesi dalla sua apertura l'Ospedale già necessitava di ampliamenti, per cui si può affermare che fin da allora comincia quella continua, incessante lotta contro l'affollamento che ha sempre preoccupato il Manicomio in tutta la sua vita bicentenaria e che dura ancora oggigiorno. |
||||||||||
Il nuovo appello del Sovrano anche questa volta trovava pronta la benemerita Confraternita giustamente fiera del " gradimento di S. M. del zelo et attentione che danno li confratelli, per il buon regolamento dell'Ospedale, la cui fabricha. oratorio et altri membri è riuscita di intima soddisfazione del pubblico, onde continuamente concorrono cittadini et habitanti a visitarlo e tutti partono con amirarne non solo la grandiosità del disegno, ma anche lodandone la carità dei conlratelli coll'assistenza che prestano ai poveri pazzarelli, in esso ricoverati, quali presentemente sono in numero di 34 oltre 6 servienti ". Ed il Consiglio, mentre eccitava i confratelli a contribuire generosamente del proprio, decideva di alienare diversi stabili di proprietà del Sodalizio, depositando parte delle somme ricavande al Monte di S. Giovanni Battista, in modo da assicurarsi una rendita annua sufficiente a sostenere i pesi pii e dotali gravanti sugli stabili stessi, ed impiegando la residua parte nell'acquisto delle case confinanti Clerico e Camerata, per l'ampliamento dell'Ospedale e dell'Oratorio, desiderato da S. M. Inoltre dopo vari anni di pratica esperienza nella gestione dello Spedale, già nel 1730 si era sentita la opportunità, o per meglio dire, la necessità di stabilire un regolamento che ne disciplinasse l'amministrazione ed il funzionamento, specificando bene le mansioni dei Direttori, e dando opportune istruzioni al personale addetto. Fu ancora l'Avv. Boasso a proporre di costituire una speciale " Congregazione per l'amministrazione degli Affari dell'Ospedale " distinta dal Consiglio della Confraternita. Si stabilì che di essa dovessero far parte il Priore, il Vice- Priore, il Capo di Consulta, due Sindaci, il Tesoriere, il Controllore ed i Consiglieri della Confraternita, con facoltà ad ognuno dei confratelli di intervenire alle sedute, con voto consultivo. Tale Congregazione doveva radunarsi ogni domenica, dopo aver assistito, seguendo la consuetudine religiosa del tempo, ad apposita messa ed alla recita o canto dell'ufficio della Beata Vergine. Il 5 agosto 1731 venne compilato un altro regolamento, dando precise disposizioni circa la visita di estranei nello Spedale, istituendo all'uopo uno speciale biglietto di permesso, ed inoltre stabilendo l'orario da seguirsi da tutto il personale nelle operazioni giornaliere. Come succede però in tutte le cose di questo mondo, che sebbene meritevoli di lodi e di plauso, sono purtroppo sovente oggetto di critica e di opposizioni, anche alla Confraternita non mancarono guai e dispiaceri. Verso la metà del 1731 infatti veniva diffuso largamente per la Città uno scritto di protesta, in cui si mettevano esageratamente in risalto tutti gli inconvenienti dell'ubicazione di un Ospedale di pazzi, in mezzo a case civilmente abitate, che si andavano perciò spopolando, con grave danno finanziario dei loro proprietari, mentre d'altra parte si rendeva difficile e costoso l'ampliamento dell'Ospedale stesso. Si proponeva pertanto il suo trasporto fuori città, in luogo isolato, destinando l'edificio allora occupato a casa di abitazione od a Collegio per gli studenti provinciali od a casa di correzione. La Confraternita del Sudario, a cui dovevasi sottrarre l'amministrazione dello Spedale, avrebbe dovuto ritornare alla Chiesa di S. Maria di Piazza oppure essere fusa colla Confraternita del Gesù, provvedendo coll'unione dei redditi, a fondare un'opera per l'assistenza ai bimbi esposti, fornendoli di nutrici, di fasce ed indumenti, e scaricando cosi di detta spesa la Città tenuta a provvedervi. Riguardo poi all'Ospedale qualora proprio lo si fosse voluto mantenere in città, sarebbe stato saggio affidarlo ai Rev. Padri di San Giovanni di Dio, dai quali avrebbero potuto essere assistiti e curati con più carità i poveri infermi, mentre ancora il loro convento assai meglio si prestava, per la sua posizione e possibilità di ampliamento, ad essere sede del predetto Spedale. Quanto meno infine si poteva assegnarne l'amministrazione ad una speciale Congregazione, ed in tal caso operare una permuta coi frati di S. Giovanni di Dio, ad essi cedendo l'edificio dell'isolato di S. Isidoro in cambio del loro convento, Lo scritto era anonimo ma, per quanto fatto a nome dei proprietari delle case circostanti all'ospedale, non ci vuol molto a capire a chi se ne poteva attribuire la paternità. La Confraternita, preoccupata dalla diffusione data allo scritto, incaricava l'Avv. Boasso di redigere una replica da consegnarsi ai Ministri e da far pervenire a S. M. invocando un'inchiesta, che a quanto pare, fin da allora erano di moda. Nella lunghissima risposta, stesa dal Boasso con vera abilità curialesca, si ribattevano punto per punto tutte le osservazioni dello scritto anonimo, i cui autori "volendo con zelo troppo ricercato coprire il loro proprio e privato interesse " dimostravano ad evidenza la falsità delle loro asserzioni. Ricordando come l'Opera fosse stata voluta dal Sovrano, il quale personalmente si era recato sul posto all'inizio della costruzione, approvando senza riserve la scelta del luogo ed il disegno della fabbrica " formato da periti mandati a spese della Confraternita in paesi esteri per conoscere il bisognevole ed osservare l'ordine praticato in simili fabbriche ", faceva presente che l'edificio era stato eretto in luogo convenevole e proprio agli infermi e cioè " tra ponente e tramontana come si è praticato in ogni paese, ed in Napoli specialmente, in Roma. Genova, Parigi e Milano. ove simili Spedali si trovano situati nel corpo della città e sono pur anche vicini ad altre case, abitate da terzi, i quali, come da tale vicinanza ricevono qualche incommodo, sapendo non di meno che deve senza dubbio prevalere il pubblico al privato bene, sanno pure doversi quello tollerare come si tollerano molti altri incomodi dell'umana società in compenso di tanti altri beni che ne derivano ". Il memoriale, che è un vero peccato non poter riportare -nella presente pubblicazione per la sua eccessiva lunghezza, oltre ad essere un interessante documento della storia del Manicomio e della vita cittadina di allora, contiene pure una precisa descrizione piano per piano, ambiente per ambiente, dell'edificio allora occupato, coll'indicazione della loro singola destinazione. A calmare la piccola burrasca intervenne Re Carlo Emanuele III, il quale continuava a concedere all'Opera il favore e l'appoggio dell'illustre Padre suo e che già fin dal 10 gennaio 1731, pel tramite del suo Grande Scudiere Conte Piossasco Asinari di None, aveva accordato l'uso ed il porto, nelle pubbliche funzioni, del Gran Collare e della Livrea Reale al portinaio della Confraternita e dell'Ospedale. Anche in tale occasione, a mezzo del suo Ministro Marchese Ferrero d'Ormea, dopo aver fatto presente che nessun ricorso o progetto di trasportare altrove l'Ospedale era a lui pervenuto e qualora gli fosse pervenuto lo avrebbe senz'altro respinto " sendo detto Ospedale postato in luogo totalmente proprio per tale opera e che era informato della carità e zelo con cui era amministrato ", approvava pienamente l'acquisto della casa Clerico ed il piano d'ingrandimento progettato dal confratello Ing. Mazzone, esaminato ed approvato anche da Don Filippo Juvara, primo architetto di S. M., e dava disposizioni perché l'Ospedale venisse prontamente in possesso di detta casa. Dichiarava infine di voler prendere sotto la sua immediata protezione tanto l'Ente fondatore che l'Opera fondata, che entrambi assunsero da quell'epoca la qualifica di " Regio ". L'alta distinzione e l'ambita approvazione ottenuta furono di sprone alla Confraternita nel perseverare nell'opera misericordiosa, mettendo mano ai nuovi lavori di ingrandimento, alle spese dei quali fece fronte coll'alienazione di altri suoi stabili e coi numerosi legati che da ogni parte a tale scopo le provenivano. Il numero dei malati era in continuo aumento ed assai numerose le richieste di ammissione da ogni parte degli Stati Sardi. Continua e vigile cura esplicavano i membri del Consiglio per cercare di assicurare ai ricoverati un'assistenza medica efficace, di migliorare le loro condizioni ed il loro trattamento, ma, dati i tempi e la scarsezza dei mezzi, non si poteva certo far molto. Il 6 gennaio 1734 veniva approvato un nuovo regolamento in cui si stabiliva la pianta numerica del personale amministrativo e sanitario, fissandone le retribuzioni, non troppo laute di certo se si considera che dallo stipendio di L. 200 annue corrisposto al Segretario ed al Medico Primario, si scende al salario di L. 4 rnensili del portinaio e dei 4 custodi. Pensando anche un poco e giustamente a se stessa ed alle sue finalità religiose, la Confraternita, che da tempo aveva deciso la costruzione del nuovo Oratorio, autorizzata con R. Patenti del 12 ottobre 1731, nel 1734 approvava il progetto redatto dall'Ing. Mazzone e faceva edificare, di fianco all'Ospedale, sulla area della demolita Casa Clerico, all'angolo di via Deposito (Ora via Piave) e via Figlie dei Militari (un tempo così denominata dal Ritiro ivi esistente delle Figlie dei Militari pure fondato dalla Confraternita del SS. Sudario - ora via San Domenico) la chiesa di stile barocco, che esiste tuttora. Tale nuova costruzione permise altresi che nel 1736 si potessero trasformare i locali del vecchio Oratorio e della sala delle Congregazioni in altri cameroni destinati al ricovero del mentecatti. A mano a mano che aumentava il numero di questi e progrediva la vita amministrativa dell'Istituzione, si rilevava sempre più impellente la necessità di dare nuove norme più complete e particolareggiate pel funzionamento dei servizi, eliminando gli inconvenienti e le incertezze, che inevitabilmente nei primi tempi si dovevano verificare. Preceduto da qualche accenno saltuario di norme per le diverse cariche e specialmente per quella del Rettore, il quale, con residenza interna, era il vero direttore dell'Ospedale, capo e centro di ogni servizio, venne redatto in data 11 febbraio 1759 il " Ristabilimento di Regolamento per il Ven. R. Spedale de' pazzarelli, amministrato dalla M. V. Confraternita del SS. Sudario e Vergine SS. delle Grazie della Città di Torino ", che riflette ogni ramo dell'amministrazione e dei servizi. Per quanto riguarda l'amministrazione, fu stabilito che il 27 dicembre di ogni anno si eleggessero tanti confratelli fra i più zelanti ed attenti in modo da dare un direttore all'Ospedale per ciascuna settimana dell'anno, computati il Priore il Vice -Priore, i Capi Consulta, i Sindaci, i 12 Consiglieri, il Tesoriere e il Controllore della Confraternita, fissando con sorteggio il turno di servizio di settimana. Lo stesso doveva farsi fra le Consorelle. Tanto il Direttore che la Direttrice durante il proprio turno, dovevano personalmente ogni giorno sì nella mattina che nel dopopranzo "assistere alle funzioni e governo dell'Opera" l'uno per la parte maschile, l'altra per la femminile, vigilando col Rettore sopra la condotta dei domestici e dei servienti "onde compiscasi da ognuno esattamente al suo dovere, massime intorno i mentecatti, ed il tutto si faccia con carità, modestia ed attenzione che restino pontualmente serviti in ciò che riguarda il temporale e nello spirituale in quanto può compatirsi col loro stato ". Dovevano inoltre assistere alla confezione del vitto "alla distribuzione del cibo secondo le dovute porzioni e qualità, osservando inoltre attentamente che siano con distinzione trattati i pensionari secondo le rispettive qualità e donzene che pagano, ed i poveri con tutta la carità e sussidio possibile, avvertendo che giornalmente siavi la minestra buona, ben cotta e condizionata per tutti indistintamente, che il vino delli pensionari non venga- distribuito ad altri ne a quelli venga fatta distribuzione di pane, vino, nè commestibili collettati e destinati per i poveri ". Ogni domenica doveva tenersi la Congregazione ordinaria composta del Priore o Vice- Priore Capo Consulta, dei Consiglieri di turno mensile e dei 4 Direttori di settimana del mese in corso, di uno dei Sindaci, del Tesoriere e del Controllore. In tale seduta, valida colla presenza di 4 membri, si trattavano gli affari di ordinaria amministrazione riflettenti i bisogni immediati dell'Opera, non aventi tratto successivo, e si provvedeva inoltre ai casi urgenti in via provvisoria, mentre la risoluzione definitiva era di competenza del Consiglio della Confraternita, il quale, composto del Priore o del Vice- Priore, uno dei Capi di Consulta, e 12 Consiglieri e cioè 14 membri in totale, dei quali occorreva la presenza di due terzi per la validità della seduta, costituiva in ultima analisi il vero Consiglio d'amministrazione dell'Opera. Alla Congregazione era in special modo deferita l'accettazione dei malati, riconosciuti tali però " in via di prove giudiciali ed ordinanza sommaria di pronunciata mentecaggine ". Nelle terze domeniche dei mesi di marzo, giugno, settembre e dicembre doveva pure intervenire alla seduta il Medico Ordinario per riferire sullo stato dei malati e sulle proposte di dismessione. Il Regolamento conteneva infine precise istruzioni pel Rettore, per l’Economo e pel Sacrista. |
||||||||||
LA RIFORMA DELL'AMMINISTRAZIONE Nonostante però che con si minuziosa cura si fosse cercato di provvedere al buon governo dello Spedale e che pertanto le cose dovessero regolarmente procedere, non tardarono invece a manifestarsi nello stesso Consiglio della Confraternita urti e dissensi, che venuti a conoscenza del Re Carlo Emanuele III provocarono l'emanazione del R. Biglietto 24 giugno 1760. In tale biglietto, premesso d'essere stato informato che per la direzione ed amministrazione dello Spedale de' pazzarelli lasciata alla Confraternita del SS. Sudario " s'incontrino più volte nelle congreghe dissenzioni prodotte da alcuni confratelli poco curosi del buon progresso e del buon vantaggio di detto Spedale, che più di ogni altra cosa deve stare a cuore di essa Compagnia, i quali per ragione del loro ufficio nella medesma, intervengono a quelle e procurano impedire le zelanti disposizioni degli altri confratelli a favore dello stesso Spedale ", rilevava il contegno scorretto del Sindaco Giulio Cesare Balmassa, il quale in un'adunanza, dovendosi deliberare sul luogo dove collocare la spezieria, usava termini ingiuriosi ed offensivi contro gli intervenuti " con millanterie inconvenienti e disdicevoli in non voler che la Confraternita presti come deve tutta l'assistenza a favore dello Spedale ". Per impedire il rinnovarsi di tali disordini, dovuti alla molteplicità dei Direttori e desiderando che l'opera fosse sempre ben amministrata, S. M. avocava direttamente a sè la nomina dei 12 Consiglieri, che unitamente al Priore e Vice- Priore, dovevano d'allora in poi comporre il Consiglio d'amministrazione dell'Opera, scegliendoli da una rosa o elenco di persone più zelanti e capaci, proposte ogni anno al 27 dicembre dalla Confraternita stessa. Ordinava ancora S. M. che il Balmassa venisse senz'altro escluso dalla carica di Sindaco nè più potesse essere eletto ad alcun ufficio di essa, e che il Conte Nomis di Pollone Presidente della seconda classe del Senato, nominato R. Ispettore dell'Ospedale, intervenisse alla prima seduta del Consiglio della Compagnia per rendere ad essa note le sue determinazioni, facendo, pure intendere "essere precisa nostra intenzione che la prima e principale premura e cura di essa deve essere quella di promuovere i vantaggi ed il buon servizio dello Spedale de' Pazzarelli ". Più chiaramente di cosi non si poteva parlare, ed al Consiglio della Compagnia non restò che accogliere "le provvidenze che S. M. si è degnata pel vantaggio e beneficio dello Spedale di dare " coi più umili sentimenti e commissione dovuta, mandando tutto a prontamente eseguire. Il R. Biglietto di Carlo Emanuele III è senza dubbio importante nella storia dell'Opera Pia, in quanto, oltre allo stabilire in modo chiarissimo, che l'ospedale doveva intendersi di fondazione regia e solo lasciato in amministrazione alla Confraternita, col sottrarre a questa la nomina degli amministratori - sia pur concedendole per un doveroso e ben giusto riguardo alle sue benemerenze, di proporre l'elenco delle persone tra cui dovevano essere scelti - segna il primo passo alla separazione fra i due Enti, il primo riconoscimento alla vita autonoma ed indipendente dello Spedale stesso. La lezione data dal Sovrano era stata innegabilmente dura e severa, ma non poteva essere più proficua e vantaggiosa per l'Opera. Con altro R. Biglietto 10 febbraio 1761 veniva nominata la prima regolare Amministrazione, immessa in carica dal Conte Nomis di Pollone, nella sua qualità di R. Ispettore, con nuove e vive raccomandazioni di dedicarsi al solo vantaggio dell'Ospedale, allo scopo di incontrare la soddisfazione particolare del Re e gli ulteriori effetti delle sue Grazie, che non tardarono infatti a manifestarsi sotto forma di un nuovo sussidio di L. 2000 a favore dei poveri ricoverati. Il nuovo Consiglio presieduto dal Priore Bartolomeo Tarizzo si poneva tosto alacremente all'opera e subito rilevava la necessità di dividere fra i suoi membri le varie incombenze, in modo da poter meglio e più direttamente partecipare all'amministrazione dello Spedale e dare quegli immediati provvedimenti richiesti in caso di urgenza. E' questo il sistema del reparto dei Delegati ai vari servizi che, instaurato allora per la prima volta, venne poi sempre conservato e vige ancora presentemente. In quell'epoca il reparto riguardava i seguenti principali servizi: Spezieria, Tesoreria, Guardaroba , Fabbriche, Raccolta di Elemosine, Sacrestia, Istruzione delle domande d'ammissione dei malati (la cui accettazione era però sempre riservata al Consiglio) sia in ordine alla constatazione della mentecaggine, sia per la fissazione di una pensione equitativa da corrispondersi pei maniaci non poveri. Si ristabilì inoltre il turno dei Direttori mensili ed ebdomadari. Un vero fervore di zelo anima l'Amministrazione, la quale con frequentissime adunanze di tutto si occupa, curando l'esazione di crediti e rendite non più riscosse, pensando ai malati con la costruzione di un apposito locale per bagni, regolando il nuovo servizio interno di spezieria, dando nuovo incremento alla raccolta di fondi occorrenti per le nuove costruzioni di ampliamento resesi necessarie. Tra gli altri mezzi per raccogliere denaro fu escogitato il sistema della vendita dell'intestazione di 12 letti a persone caritatevoli, che collo sborsare 5000 lire, acquistavano il diritto di nomina per un posto a favore di un mentecatto, veramente povero, da loro scelto, in possesso però dei requisiti stabiliti dal regolamento dell'Ospedale; di più si ricorse al sistema delle lotterie, allora in gran voga, tanto che persino una casa intera, lasciata in eredità all'Opera, formò una volta oggetto di premio. Al lodevole interessamento del Consiglio fece immediato riscontro il favore di tanti benefattori e mai come in quell'epoca furono cospicui e numerosi i lasciti, le donazioni e le elemosine. Nè a questo punto si fermò la meravigliosa attività del Priore Tarizzo, il quale allo scopo di assicurare nuove rendite all'Opera in relazione alle sempre sue maggiori necessità, ricordando come per le Patenti del 1728 la Confraternita " fosse tenuta alla manutenzione della Pia Opera de' Pazzarelli ed a quella concorrere e cooperare con tutte le sue forze e nella miglior forma possibile " e che pertanto i suoi membri restavano in dovere di conservare il patrimonio e le rendite del Sodalizio per destinarle all'Ospedale " e così eseguire le pie intenzioni di S. S. R. M.", siccome " sarebbe declinare dal religioso Istituto e defrodare la mente dei Reali nostri Sovrani, i quali si sono degnati di contraddistinguere questa Confraternita con affidarle l'amministrazione di questo R. Ospedale, qualora si divertissero le di lei entrate in musiche, apparati, processioni ed altre consimili cose " , fece deliberare la proibizione di qualsiasi festa, novena e altra funzione straordinaria nella Chiesa della Confraternita senza il preventivo benestare del Consiglio, realizzando così una non lieve economia. E per non gravare eccessivamente il bilancio, volle assumere a proprio carico le spese di una delle Festività solenni ordinarie, mirabile esempio di generosità, subito seguito da altri Consiglieri. Anche in prosieguo di tempo, su tutti e su tutto era sempre viva l'attenzione del Re, pienamente informato dello svolgersi delle vicende della Confraternita e dell'Ospedale, pronto bensì ad intervenire con soccorsi in denaro ed in natura, ma pure, ove d'uopo, con energici provvedimenti sempre più dimostranti la precisa sua volontà che l'ospedale dovesse vivere di vita autonoma ed indipendente, all'infuori di ogni influenza di estranei o dei membri stessi della Confraternita. Così a ragion d'esempio, nel 1767, manda a sospendere fino a nuovo ordine la nomina del Priore, prescrivendo in seguito che essa in avvenire venisse effettuata esclusivamente coll'intervento del Priore e Vice- Priore uscenti di carica, dei 12 Consiglieri da lui nominati e dei Sindaci, disponendo inoltre che il R. Ispettore dell'Opera da lui indicato nella persona del Presidente della seconda classe del Senato, vigilasse effettivamente sulla Congregazione con facoltà di radunarla, di intervenire alle sue sedute e di proporre tutti quei provvedimenti ravvisati opportuni pel migliore servizio dello Spedale. Cosi ancora stabilì che due fossero i tesorieri di conosciuta fedeltà e responsabilità. uno cioè per la Confraternita e l'altro per l'ospedale, i quali dovevano tenere distinte le due casse, formare due conti separati sotto il controllo e continua vigilanza di due Controllori, aventi l'incarico di procedere a verifiche trimestrali di cassa e riferirne regolarmente al Consiglio, riservando a fine d'anno il rendimento formale del conto (R. B. 31 gennaio 1768). Nè a queste sole provvidenze d'ordine amministrativo si fermava la vigile cura del Sovrano, il quale volendo con piena ragione allontanare dall'Opera ogni influenza nefasta, disponeva nel 1768 che il Priore allora in carica più non potesse intervenire ed assistere alle Congregazioni dello Spedale e della Compagnia; proibiva inoltre al tesoriere di questa di ingerirsi in qualsiasi qualità nel maneggio dei redditi dei due Enti, sotto pena di espulsione, e pochi mesi dopo ordinava al Tesoriere stesso di dismettere l'alloggio occupato nella casa della Confraternita, proibendo a lui ed alla sua consorte di introdursi sotto qualsiasi pretesto nei locali dello Spedale. Interveniva anche nelle nomine degli impiegati e nell'anno stesso annullava la nomina di un Economo, la cui scelta era stata fatta troppo precipitosamente, senza l'intervento del Consiglio e senza che fossero state assunte le necessarie informazioni. Intanto i malati, appartenenti ad ogni ceto e categoria di persone, continuavano ad affluire da ogni parte del Regno e si dovette nel 1772, allo scopo di poter disporre di nuovi locali, prendere in affitto l'attigua casa Comogli. Occorrevano nuovi fondi, ed ancora si fece ricorso al sistema delle lotterie, che ben in numero di nove furono tenute dal 1771 al 1796, ricavandone lauti proventi, coi quali si assicurarono all'Ospedale i mezzi necessari pel conseguimento delle sue pie finalità. Si cercò inoltre di combattere l'eccessivo affollamento, richiedendo di tanto in tanto al Medico la nota di quanti fossero guariti o riconosciuti non degni di ricovero, i quali venivano rimandati alle loro case, mentre dal Re si otteneva che dalle provincie più non si inviassero infermi all'Ospedale e che i mentecatti fatui, e cioè non agitati nè pericolosi, fossero tenuti in custodia presso le loro stesse famiglie. Nuovi attriti e divisioni si erano manifestati in seno al Consiglio, e ciò indusse Re Vittorio Amedeo III, successo nel 1773 al Padre sul trono, di intervenire direttamente, facendo compilare, senza l'intervento della Confraternita, un nuovo Regolamento, che approvò con R.. Biglietto 1 I marzo 1785. |
||||||||||
NEL PERIODO DELL'OCCUPAZIONE FRANCESE I gravi e profondi rivolgimenti storici, aventi la loro origine nella rivoluzione francese, si fecero ben presto sentire anche nel nostro Piemonte, che dovette a sua volta subirne le conseguenze fatali ed inevitabili. Caduto il Governo Regio, riparatosi il Re in Sardegna, venne proclamata la repubblica ed instaurato il Governo Provvisorio. Nel dicembre 1798 " settimo della Repubblica francese e primo della libertà piemontese " dai verbali del Consiglio, che riportano in testa il motto " Libertà - Virtù - Uguaglianza " l'Ospedale Nazionale de' Pazzarelli (tale è la nuova denominazione assunta dall'Ente durante tutta l'epoca dell'invasione e dominazione francese) risulta amministrato ancora dalla vecchia Direzione, con a capo il Priore col titolo di Cittadino Presidente per conto ed incarico del predetto Governo Provvisorio, il quale nell'anno seguente si sostituiva al Re nella nomina dei Consiglieri. In detto anno, in seguito a richiesta della Municipalità di Torino, a sua volta sollecitata dal Commissario Civile e Politico del Governo francese in Piemonte - il quale aveva deciso di sopprimere o, per meglio dire, incamerare i Monti fissi di S.Giovanni Battista e del Banco di S. Secondo - la Direzione dello Spedale fu invitata a trasmettere una chiara, precisa e sintetica relazione, da cui risultasse ogni notizia relativa all'organizzazione dell'Opera: regolamenti, rendite, pesi, numero dei malati ricoverati, indicando in pari tempo quali dei beni stabili delle soppresse corporazioni religiose potessero riuscire di sua convenienza. Tale relazione redatta in lingua francese il 30 germile 1779 (19 aprile V. E.) è assai interessante dal lato storico dell'Ente, in quanto fornisce un'idea completa della sua situazione di allora sia riguardo agli Amministratori, dei quali precisa i vari speciali incarichi, sia riguardo al personale amministrativo e sanitario in servizio, coll'indicazione degli emolumenti ad essi corrisposti. Dal documento predetto risulta inoltre che il numero dei malati era allora di circa 300 e che non esisteva in Piemonte che un altro piccolo Ospedale per soli idioti, in Alessandria, donde si trasferivano ben sovente a Torino quelli furiosi. Le rendite ammontavano ad annue L. 53.073, ivi comprese le pensioni corrisposte pei mentecatti agiati; le spese erano di circa L. 99.000 annue, con un deficit di L. 46.000, fino allora sempre coperto dalle oblazioni dei confratelli e di privati. I debiti ascendevano a circa 80.000 lire. Dato l'affollamento, si riteneva necessaria una ampliazione dell'Ospedale, già stata in precedenza proposta, coll'occupazione del vicino Ritiro delle Figlie dei Militari, da trasportarsi altrove; mentre si osservava che il trasferimento del- l'Ospedale fuori città od in provincia, come si era pure proposto, avrebbe causato gravi inconvenienti. Si richiedeva infine in detto esposto l'assegnazione di beni stabili, che potessero produrre una rendita annua di L. 30.000 e che inoltre fosse riconosciuto e rispettato il diritto di patronato sull'Ospedale della Confraternita, che ne era stata la fondatrice ed amministratrice fino allora, in mezzo a gravissime difficoltà e con sacrifici personali dei suoi componenti. Per una breve parentesi che va dal dicembre 1799 all'ottobre del 1800, l'Ente riassume il titolo di R. Spedale dei Pazzarelli, mentre da Re Carlo Emanuele IV viene destinato a R. Ispettore dell'Opera il Conte Pateri di Stazzano, Presidente del Senato; nel principio del 1800 la nomina dei componenti il Consiglio è effettuata dal Marchese Thaon di S. Andrea e di Revello, Luogotenente di S. M. in tutti gli Stati di Sua corona. Ma già nell'ottobre del 1800 ritorna ad essere l'Ospedale Nazionale de'Pazzarelli e la rosa degli eligendi consiglieri è trasmessa dal Presidente dell'Amministrazione - conservata in carica con ordinato del 30 frimaio - al cittadino Gandolfo, reggente il Ministero degli Affari Interni. La nomina poi viene fatta dalla Commissione Esecutiva del Governo della Nazione Piemontese ed il relativo decreto porta in calce la firma del- l'illustre storico canavesano Carlo Botta, in allora Presidente del Governo stesso. I tempi intanto andavano facendosi sempre più brutti e difficili, al punto da compromettere la possibilità dei rifornimenti dei viveri necessari al mantenimento dei ricoverati; la Commissione Esecutiva e quella Municipale dovettero a parecchie riprese intervenire con distribuzioni di pane, di razioni di viveri, sostituite in seguito dal pagamento di una rendita fissa di L. 1000 mensili, che però, osservava l'amministrazione, non corrispondeva neppure alla terza parte dell'aiuto prima ricevuto colle somministrazioni in natura. Tale misera condizione di cose era resa ancor più precaria dall'essere quasi nulli i proventi della pubblica carità, mentre per effetto della soppressione dei Monti di S. Giovanni e S. Secondo, erano venute a mancare le rendite delle somme ivi depositate dall’Ospedale. Fu allora che, in seguito alle insistenza della Direzione e per pareggiare tali mancati proventi, la Commissione Esecutiva del Piemonte con decreto 23 germile anno 9° (13 aprile 1801 V. E.) assegnava in piena proprietà all'Ospedale l'edificio dell'ex convento di S. Domenico in Torino, colle sue adiacenze all'epoca della soppressione, per il quale subito pervenne un'offerta d'affitto per L. 10.500 annue, mentre " mosso dalle critiche circostanze dell'Ospedale " ed anche forse preoccupato dalla forte mortalità verificantesi fra i ricoverati, il Prefetto del Dipartimento dell'Eridano, Ferdinando La Ville, nonostante l'assoluta proibizione poco tempo prima emanata al riguardo, accordava all'Amministrazione l'autorizzazione di portare a compimento una lotteria già iniziata, per poter supplire coi suoi proventi agli urgenti bisogni, e riprendeva in pari tempo le concessioni, prima sospese, di razioni di pane, di grano e di sussidi. In data 11 vendemmiaio, anno IO° (3 ottobre 1801 V. E.) veniva però emanato dal Prefetto La Ville, controfirmato dal Generale Jourdan, Amministratore Generale della 27' Divisione, il decreto - di cui esiste negli archivi del R. Manicomio copia a stampa - in base al quale si ordinava lo scioglimento di tutte le Amministrazioni e Direzione degli Ospedali, Ospizi ed altri Stabilimenti di beneficenza pubblica, entro due mesi dalla data del decreto stesso, colla proibizione ad esse di apportare nel frattempo alcuna innovazione e coll'obbligo di rimettere gli archivi e tutti i documenti relativi all'amministrazione di ciascun stabilimento e di presentare inoltre uno stato attivo e passivo dei propri fondi e redditi. La gestione di tutti questi Enti veniva affidata ad una speciale " Commissione amministrativa degli Ospedali, Ospizi civili e Stabilimenti di Beneficenza del Comune di Torino " composta di 5 membri, presieduta dal cittadino Marentini, ex- direttore dello Spedale di San Giovanni, nei cui locali essa doveva aver sede. Inutilmente l'Amministrazione dell'Ospedale Nazionale de' Pazzarelli cercò di resistere, osservando che questo non poteva comprendersi tra gli Ospedali Civili, poichè il suo patrimonio apparteneva alla Confraternita del Sudario, alla quale, in virtù delle R. Patenti del 1728 e del posteriore contratto seguito col Governo, era stata esclusivamente affidata la libera direzione ed amministrazione dell'Ospedale, situato non in un edificio appartenente al pubblico ma nel fabbricato proprio e particolare della Congregazione stessa, elevato a spese dei confratelli. Invano cercò appoggi presso persone ed Enti e presentò suppliche per ottenere giustizia, poichè il Prefetto, con lettera 22 vendemmiaio anno 10°, respingeva ogni eccezione, osservando essere la legge del 16 messidoro anno 7°, che istituiva le Commissioni amministrative degli Ospedali, concepita in termini così generali da comprendere senza dubbio alcuno anche quello de' Pazzarelli. Non rimase quindi alla Direzione che piegare il capo alla legge comune e procedere all'imposta consegna, e nell’ultima seduta da essa tenuta il 10 brumaio (1° novembre 1801) " dulcis in fundo " venne data lettura di una lettera della nuova Commissione, la quale. liberandola dalla gestione, " con somma lode " fino allora tenuta, soggiungeva : " Il caritatevole interessamento che avete preso finora per questa classe infelice di cittadini, vi ha meritato giustamente la pubblica riconoscenza. La Commissione si farà un impegno di emulare le zelanti vostre cure in sollievo di questo Stabilimento, a cui sono ugualmente dirette le nuove benefiche provvidenze del Governo, verso gli Ospizi Civili del Comune. E giacchè per organo della legge, devono ora cessare le vostre incombenze. la Commissione nel rendervi i più distinti ringraziamenti delle indefesse sollecitudini che con pubblico applauso vi siete date finora, spera che continuerete tuttora a procurare coi vostri buoni uffici a quell'Ospedale ogni possibile soccorso che fu sempre lo scopo del zelante vostro ministero. -,Salute e fratellanza ". Così anche nel campo della beneficenza venivano a ripercuotersi i sensibili effetti della rivoluzione francese ed il fatto della decisa e netta separazione di esistenza e di amministrazione dei due Enti, Confraternita ed Ospedale, fino a quel- l'epoca strettamente uniti ed indivisi, acquista un valore ed un riflesso tutto speciale nella storia dell'istituto, in quanto dimostra chiaramente fin d'allora, la opportunità e la possibilità. in conseguenza del mutato spirito dei tempi e dello sviluppo raggiunto, di una vita autonoma, indipendente, tutta a se stante di un'Opera rispondente ad una vera necessità sociale, da quella dell'altro Ente generatore, di finalità esclusivamente religiose e tale destinato a rimanere. E questa opportunità, nonostante il ritorno, in un primo tempo, all’antico. diverrà poi una vera e propria necessità sempre più sentita ed imperiosa, che porterà alla loro inevitabile e definitiva separazione. |
||||||||||
Caduto l'Impero Napoleonico e ritornato dalla Sardegna nella sua fedelissima Torino il 24 maggio 1814, Re Vittorio Emanuele I, tra il giubilo e l'entusiasmo dei suoi affezionati sudditi, vi fu una vera smania di richiamare in vita tutto quanto dal passato Governo francese era stato soppresso e di annullare, per contro, quanto da esso era stato fatto. Anche la Confraternita del Sudario, approfittando del generale movimento, ai primi del gennaio 1815, a mezzo dei suoi Sindaci, inoltrava una supplica a S. M., in cui faceva anzitutto presente le proprie benemerenze e specialmente quella "dell'insigne erezione di un Ospedale grandioso, destinato al ricovero dei pazzarelli, principiata, proseguita, aumentata e conservata mai sempre colle private spese dei confratelli e colle loro elemosine ", perfezionando così "un Ospedale di tanta celebrità e grandezza, che da particolare come egli era divenne ben tosto un Ospedale generale, in cui si ritiravano tutti li mentecatti di ogni sesso e di qualsivoglia paese, anche provenienti dall'estero e dalle provincie ultramontane, bastando il dire che da questo, non meno che dalla città di Alessandria si conducevano all'Ospedale predetto li rispettivi loro pazzarelli, quantunque in dette provincie e città si trovassero eretti e stabiliti degli ospedali destinati al ricovero di mentecatti, ma per mancanza dei mezzi per cavarsi, dovevano essi implorare il soccorso dell'Ospedale di Torino ". Si ricordava ancora in tale supplica che l'Ospedale al tempo in cui seguì il fatale sconvolgimento di ogni cosa in Piemonte, aveva un reddito annuo di lire 22 mila circa, formato dalle eredità lasciate in gran parte da confratelli e che in tempi calamitosi, in cui i ricoverati mancavano di fondi per sussistere alla giornata, i Direttori con mezzi propri avevano fatto fronte agli urgenti bisogni. Ricordate infine le R. Patenti 11 settembre 1764, nelle quali veniva dichiarato che la Confraternita e l'Ospedale dovessero sempre continuare sotto l'immediata regia protezione, si chiedeva la restituzione della Compagnia del Sudario al suo stato di prima, affidando ad essa nuovamente l'amministrazione dell'Ospedale e reintegrandola nel possesso di tutte le sostanze, un tempo appartenenti ai due Enti. La supplica, come era prevedibile, fu benevolmente accolta; con R. Biglietto 7 marzo 1815 la Confraternita era richiamata a nuova vita e ad essa deferita l'amministrazione del R. Spedale. Il Presidente del Senato, confermato nella sua carica di R. Ispettore, invitò subito, in base ai regolamenti dell'Opera pure richiamati in vigore, a proporre la nota dei soggetti capaci tra cui scegliere i Direttori. Con successivo R. Biglietto 27 stesso mese, nel procedere alla nomina dei Consiglieri per l'anno in corso, si confermavano naturalmente quanti erano ancora in vita dell'ultima Direzione, anteriore all'occupazione francese, solo sostituendo quattro membri, nel frattempo deceduti. L'Amministrazione. insediata dal R. Ispettore il 3 aprile 1815, rassegnate innanzi tutto a S. M. le dovute grazie e promesso di corrispondere " con fedeltà, zelo ed attenzione alla confidenza colla quale la predetta S. M. si era degnata di onorarla", procedeva subito " per la buona e retta amministrazione dello Spedale" alla distribuzione degli impieghi o reparto dei vari servizi, dando incarico ai Direttori di Economia di iniziare sollecitamente le necessarie trattative colla Commissione generale amministrativa degli Ospedali della Città, per la separazione del proprio patrimonio, come pure per procurare i mezzi di sussistenza fino ad avvenuta separazione. Subito però si fecero sentire le solite difficoltà finanziarie e della strettezza dei locali. La ripartizione dei beni già appartenenti ai vari ospedali non poteva che procedere lentamente, in mezzo a continue contestazioni, tanto che si dovette creare una particolare R. Delegazione " composta di rispettabili Magistrati " coll'incarico di provvedere su tutte le emergenze degli Ospedali ed Opere Pie, in conseguenza della loro separazione d'amministrazione e su tutte le questioni eventuali sull'assestamento dei relativi crediti e debiti, specialmente in seguito alle vendite eseguite in massa dal cessato Governo. Tale delegazione provvedeva ad un primo reparto provvisionale, che per l'Ospedale de' Pazzerelli fu di L. 6000 neppure sufficienti a fronteggiare le prime spese ed a provvedere il vitto ai malati. Come si vede i tempi erano tutt'altro che lieti; alle difficoltà del funzionamento e nella " quasi impossibilità di far fronte a pesi ed obblighi necessari per la manutenzione di un Ospedale senza fondi e senza redditi, che contiene 200 e più ricoverati, li quali, per ragione della lor qualità duplicano e triplicano le spese ordinarie della manutenzione degli altri Ospedali " - tanto più che venivano a cessare le somministrazioni gratuite di pane da parte della R. Delegazione, qualora la Amministrazione non avesse provveduto all'acquisto del grano e delle farine occorrenti alla confezione - un'altra difficoltà si aggiungeva non meno grave e preoccupante quella dell'affollamento, poiché il numero dei malati cresceva di giorno in giorno e molti ve ne erano ancora che muniti delle carte necessarie, stavano attendendo che si potesse far luogo al loro ricovero. Sono queste le pagine più dolorose e tristi della storia dell'Ente il quale ancora una volta ricorse alla generosità del Sovrano " facendo presente che le mire principali della Direzione sarebbero quelle di rendere meno penosa la sorte dei poveri mentecatti, il cui nutrimento giornaliero è appena necessario per tenerli in vita, vedendosene parecchi sovente soccombere per la sola scarsezza dei cibi in ragione dei naturali bisogni ". Vittorio Emanuele I emanava allora, in data 23 luglio 1818, un editto, ordinando che le Provincie, a cui i mentecatti poveri appartenevano per fatto di nascita, pagassero " del denaro comune " allo spedale le spese del mantenimento, con una pensione che fissava in L. 150 annue per ciascun ricoverato. Si stabiliva cosi fin da quell'epoca il principio di accollare alle Provincie l'onere delle spedalità dei maniaci, principio che sancito poi nella legge del 1904 sui Manicomi ed alienati, è tuttora in vigore. La cifra come sopra fissata non era di certo troppo lauta e non mancò la Direzione di rilevarlo, rappresentando nuovamente al Re che la predetta somma, calcolata sul numero ordinario di 150 malati poveri, comunemente ricoverati, dava un prodotto di sole L. 22.500, insufficienti a coprire i bisogni normali dello Spedale, dove occorreva provvedere al rinnovamento e provvista di tutti gli effetti ed arredi, per la più gran parte mancanti o logori, al punto che i malati, privi di materassa, riservate alle sole infermerie, giacevano sulla paglia. Si richiedeva quindi, dato anche il difficile sistema di esazione di tali pensioni per parte dell'Ospedale, che venisse invece assegnata l'annua somma fissa di L. 30.000 da pagarsi a trimestri anticipati dallo Stato, il quale a sua volta avrebbe curato che le pensioni dovute dalle Provincie fossero versate nelle sue Casse. Ma il Sovrano, non potendo giustamente fare astrazione dalla critica situazione finanziaria dei suoi Stati in quell'epoca, non accolse la nuova richiesta, e consigliò di attendere tempi migliori per ottenere maggiori soccorsi, concedendo però ancora, qualche tempo dopo, l'esenzione dai dazi, convertita in seguito in un'annualità di L. 6000. Se quanto si era ottenuto non era molto, era però sufficiente ad allontanare lo spettro della fame non solo, ma anche ogni preoccupazione finanziaria, tanto più che donazioni e lasciti cospicui ricominciarono a pervenire allo Spedale. Anzi questo fu in grado di venire a sua volta in diverse riprese in aiuto alla Confraternita del Sudario, rimasta assolutamente priva di qualsiasi mezzo: così si assunse " in vece sua e fino a quando fosse in grado " l'obbligo del pagamento dello stipendio al Rettore (11 luglio 1819); di corrisponderle in conto di un suo credito la somma di L. 7500, perché potesse servirsene nelle spese occorrenti al restauro della chiesa riconsegnatale dall'Autorità Militare (8 aprile 1821) e di concorrere nelle spese di manutenzione della chiesa stessa proporzionatamente ai redditi della casa, fino allora goduta dal curato del Carmine, e ciò in considerazione che detta casa era un tempo di proprietà della Confraternita, mentre il Governo invece l'aveva assegnata all'Ospedale perché esclusivamente se ne servisse a scopo di ampliamento (15 luglio 1821). E’ doveroso pertanto rilevare che, se un tempo l'ospedale molto aveva ricevuto dalla Confraternita, ora, che le parti erano invertite, esso con pari generosità ricambiava quanto un giorno aveva ricevuto. Superata la grave crisi finanziaria, rimaneva sempre a risolversi l'altra questione non meno grave ed urgente dell'affollamento dovuto alla ristrettezza dei locali. Fin dal 1817, avendo la R. Direzione, per la costruzione di un nuovo edificio, fatta richiesta alla Città di Torino della cessione di una parte di terreno degli spalti, fosse ed adiacenze delle antiche fortificazioni - a sua volta ottenute in albergamento perpetuo dal Governo con ordinato 30 aprile 1817 - il Consiglio Generale della Città le concedeva la parte di detto terreno dell'area di una giornata e 40 tavole circa, formante il riquadramento dell'isola S. Eligio che si trovava di prospetto all'Ospedale, ed il 2 settembre 1817 a rogito Tolosano, veniva redatto il regolare atto di cessione. Ma forse difficoltà d'indole finanziaria, in quanto non si avevano fondi sufficienti per intraprendere la nuova costruzione, ed anche di carattere tecnico, poiché nell'angolo di detto quadrato, di fronte all'Ospedale, esistevano due piccole case, De Aste e Ottiker, che invano si cercarono allora di acquistare od espropriare, mentre erano giudicate indispensabili per la costruzione della nuova fabbrica, venne rimandata ad epoca più propizia l'erezione del nuovo edificio, limitandosi unicamente nel 1819 alla elevazione della manica prospiciente a ponente del vecchio fabbricato. Tale soluzione ebbe solo effetto temporaneo e ben presto si trovò l'Ospedale di nuovo nella impossibilità di ricoverare tutti i mentecatti che venivano condotti, sempre in continuo e preoccupante aumento. Nel 1823, essendo pervenute da parte degli abitanti delle case di via Figlie dei Militari vive lagnanze, di cui non aveva mancato il Governo stesso di farsi eco presso l'amministrazione invitandola a provvedere - perché, allo scopo di poter procedere ad una miglior sistemazione dei locali si erano occupati con malati gli ambienti prospettanti la predetta via - fu messo allo studio un altro piano d'ingrandimento. Esso consisteva nel rimaneggiamento del vecchio fabbricato e nella sua ampliazione verso settentrione, coll'acquisto ed adattamento delle vecchie case De Aste e Ottiker, esistenti nell'isolato S. Eligio; seguito subito nel 1824 da un altro piano di acquisto della casa Bono, già Ermeglio, attigua all'Ospedale verso la via delle Scuole. Ma sia per l'ubicazione di detta casa, che evidentemente avrebbe determinato di nuovo la protesta degli inquilini fronteggianti, sia per la poca convenienza di un adattamento dei vecchi edifici, che avrebbe richiesto una ingente spesa, il Governo mandò a sospendere ogni trattativa in merito all'acquisto. Ed allora, mossa anche da serie considerazioni d'ordine tecnico- sanitario, quali la necessità di separazione dei sessi e dei malati a seconda delle varie forme di malattia, l'eccessivo affollamento del vecchio Ospedale non più suscettibile di ulteriori ampliazioni, data la ristretta superficie su cui sorgeva, la sua posizione diventata concentrica all'abitato in seguito all'ingrandimento della città, con conseguente eccessivo disturbo pel vicinato. l'amministrazione si decise ad affrontare finalmente in pieno lo spinoso problema adottando l'unica soluzione che ormai s'imponeva: quella della costruzione di un nuovo grande edificio che potesse servire al ricovero di un maggior numero di malati e nel tempo stesso rispondesse alle nuove esigenze createsi in seguito ai progressi fatti, negli ultimi anni, dalla scienza medica nel campo delle malattie mentali. Nel 1824 venne perciò affidato all'insigne architetto Talucchi, professore nella R. Università - il quale già si era acquistata chiara rinomanza colla costruzione dell'Ospedale di S. Luigi - l'incarico di redigere il progetto del nuovo edificio, che in un primo tempo doveva sorgere sull'area dell'isolato di Sant'Eligio, donato, come si è detto, fin dal 1817 dalla Città, in modo da formare facciata in simmetria col predetto Ospedale di S. Luigi. Una tale radicale soluzione era stata forse anche determinata dal fatto della migliorata situazione economica, poiché nel 1823, avendo dovuto per ordine di Re Carlo Felice restituire ai frati Domenicani il convento, un tempo di loro proprietà, che all'epoca della occupazione francese ed in occasione dell'avvenuta ripartizione dei beni delle soppresse Corporazioni Religiose era stato ad esso assegnato, l'Ospedale aveva in cambio e compenso ricevuto parecchi altri beni stabili situati in Garessio, Alessandria, Racconigi, Trino e Tronzano, di reddito non indifferente, oltre ad una rendita annua in contanti di L. 1200 (R. Biglietto 5 gennaio 1825). Di più in seguito a nuova supplica inoltrata nel 1826, il Governo aveva deciso di elevare, a decorrere dal lo gennaio 1827, la pensione dei mentecatti poveri da L. 150 a L. 200 da pagarsi per 4/5 dalle Provincie, per 1/5 dai Comuni di loro origine. Con un lungo memoriale del marzo 1827 in cui, minuziosamente richiamati tutti i precedenti della questione, esponeva le ragioni di vario genere che imponevano la soluzione adottata della costruzione di un nuovo Ospedale, accennando anche ai mezzi con cui si intendeva far fronte alla spesa ed ai grandi vantaggi che ne conseguivano, la Direzione sottoponeva alla approvazione del Sovrano il progetto Talucchi per le sue provvidenze, nella fiducia che S. M. si sarebbe certamente curato " della sorte e del benessere dell'interessante stabili- mento posto sin dal suo nascere sotto la immediata speciale Regia protezione ". Mentre il Consiglio aveva motivo di sperare in un favorevole successo del suo ricorso, potentemente appoggiato dal R. Ispettore dell'epoca Don Giuseppe Nuitz - magnifica figura di amministratore, che durante il periodo in cui copri la carica si occupò sempre con inusitato zelo e con vero intelletto d'amore del R. Manicomio coll'intervenire assiduamente a tutte le sedute della Direzione e col lasciare ad esso, morendo, un cospicuo legato - non poteva però dissimularsi che, quand'anche tutto fosse per felicemente succedere e che le nuove opere fossero tosto intraprese e condotte a buon termine senza ostacoli, tuttavia, attesa la mole stessa delle costruzioni, si richiedevano parecchi anni prima che il nuovo locale potesse essere abitato. E ciò proprio quando la strettezza dei locali e l'aumento incessante dei ricoverati, che aveva obbligato ad ingombrare di letti le corsie dei cameroni, delle stesse sale d'infermeria, ed i vani delle finestre, con grave incomodo e pericolo per la salute dei malati, rendevano necessaria ed urgente una soluzione foss'anche provvisoria. Su progetto dello stesso Talucchi venne allora effettuato un notevole rimaneggiamento di tutti i locali del vecchio edificio, stabilendo l'ingresso dell'Ospedale, prima in via del Deposito, dalla parte della casa attigua, già affittata a privati, prospiciente a mezzodì in via Figlie dei Militari. Poterono cosi destinarsi a corsie il corridoio del vecchio ingresso, la sala delle congreghe, la cucina ed i locali degli uffici, che vennero sistemati nella casa attigua predetta, coll'utile risultato di aumentare la capacità dello stabilimento di 60 letti e cioè di 1/6 in più, col vantaggio ancora di una migliore distribuzione e disimpegno degli ambienti. Tra l'altro è notevole la destinazione di due camere a parlatorio ad evitare che la presenza e frequenza di persone estranee nelle camerate fosse di danno e cagione di irrequietezza degli ammalati. Pure nel campo amministrativo. in questo periodo di attività della Direzione del R. Manicomio - nuova denominazione che incomincia saltuariamente ad apparire fin dai deliberati del 1827 - si denota tutto un lavoro intenso e proficuo di riorganizzazione ed impianto dei vari servizi, coll'emanazione di pratiche e sagge disposizioni, molte delle quali sono tuttora osservate. |
||||||||||
COSTRUZIONE DELL'ATTUALE CASA DI TORINO L'idea della costruzione del nuovo Ospedale costituiva ancora sempre la vera e più grave preoccupazione dell'Amministrazione. E poiché il terreno già donato nel 1817 dal Municipio, nell'isolato Sant'Eligio, in successivo e ben ponderato esame erasi riconosciuto insufficiente e inadatto, perché prospettante diverse case private e forse anche per la sua soverchia vicinanza all'Ospedale S. Luigi, per cui si sarebbero ripetuti i già più volte lamentati disturbi ed inconvenienti, la Direzione - il cui numero dei membri nel 1828 era stato elevato da 12 a 16 - decise di trasformarlo in un giardino cintato ed alberato, che unito all'Ospedale da un passaggio sotterraneo divenne luogo di passeggio e di soggiorno dei malati. La Città di Torino, sempre pronta a favorire le opere di pubblica beneficenza, a nuova richiesta, con ordinato 30 aprile 1828 ancora concedeva un largo quadrilatero di circa 6 giornate nei terreni a nord- ovest della città, già occupati dalle fortificazioni, delimitato dalla via della Consolata, dalla via S. Massimo (ora corso Regina Margherita), dalla via Valdocco e dalla via che scendeva da questa alla piazzetta della Consolata (ora via Giulio. Il luogo non poteva essere meglio scelto " per trovarsi il medesimo sufficientemente appartato dalla città per non riuscire d'incomodo al vicinato, ben esposto e ventilato, con prospetto di campagna. abbondanza d'acqua e soprattutto ampiezza di abitazione e di sito coperto cotanto necessario per la classificazione e separazione delle principali malattie intellettuali, nonché per assicurare in qualunque tempo e stagione il passeggio dei ricoverati ". Il Prof. Talucchi, appartenente ormai alla Direzione, visitata in precedenza la località e riconosciutala adatta allo scopo, redasse ancora una volta il progetto del nuovo Ospedale destinato " a riuscire nel suo genere uno dei più belli che si conosca in Europa ". Esso doveva servire a ricoverare cogli opportuni mezzi di cura circa 600 maniaci e la spesa di costruzione era calcolata in L. 600.000. Re Carlo Felice, al quale il progetto era stato sottoposto, non solo l'approvò, ma dispose per la concessione di un contributo di L. 135.000, da stanziarsi nei bilanci 1828 e 1829 e da ripartirsi fra le varie Provincie del Regno quale concorso nelle spese di ampliamento dello Spedale. Il residuo fabbisogno si doveva ricavare dall'alienazione del vecchio fabbricato e mediante sottoscrizioni pubbliche, bandite in tutte le città e borghi del Regno e che fruttarono una somma non indifferente. Appena ottenuta la grazia Sovrana, si diede sollecito inizio alla costruzione, adibendovi pure dei ricoverati tranquilli, che dal lavoro traevano benefici effetti per il loro stato mentale. Anche la Confraternita del Sudario " inseguendo le vestigia degli officiali e confratelli che la precedettero, e bramosa di concorrere ad opera così vantaggiosa e lodevole ", a mezzo del suo Priore e dei Sindaci in carica offriva alla Direzione dell'Ospedale " l'unico fondo che rimanere può a sua disposizione " e cioè la cessione di parecchie cedole di luoghi fissi di S. Giovanni Battista e del Banco di S. Secondo per un importo complessivo di L. 46.751, rappresentanti i residui prezzi di vendita di stabili e di alienazione di argenterie di sua proprietà. Chiedeva però in compenso la Confraternita che il Manicomio, oltre al promuovere direttamente la riscossione di tali crediti, si assumesse l'onere di provvedere " nella sua saviezza " alle opere ed usi pii, a cui essa era in dovere di adempiere ed a cui erano soggetti i beni ceduti, nonché al saldo della somma di lire 22.000 mutuata nel 1797 ed in gran parte già statale restituita in parecchie riprese dal 1815 in poi, per far fronte alle considerevoli spese di restauro della chiesa e provvista di suppellettili. Chiedeva ancora la Confraternita che, eseguendosi il trasporto del Manicomio e dei ricoverati nel nuovo fabbricato, non fosse pregiudicata nel patronato che le competeva come fondatrice dell'Ospedale, ma le fossero conservati i diritti e le prerogative fino allora goduti, coll'intesa che, riacquistando i mezzi di un tempo, sarebbe stata sollecita a corrispondere ad esso quei soccorsi, coi quali lo aveva fondato e conservato in tempi difficilissimi. Infine instava la Confraternita che in caso di vendita del vecchio fabbricato, fosse ad essa conservata la chiesa nonché l'antica casa Ruscalla già di sua proprietà, data poscia in congrua al Curato del Carmine e nel 1721 assegnata da S. M. al R. Ospedale pel suo ingrandimento; e conchiudeva che in caso di deliberazioni, specie se concernenti la Compagnia, fossero sempre sentiti i suoi offìciali soliti ad intervenire alle congreghe e che gli stessi e la Priora avessero in ogni momento libero ingresso nello Spedale. Come si vede era una carità un po' interessata da parte della Confraternita, tanto più che nel ricorso diretto al Magistrato della Camera dei Conti per la nuova investitura delle predette cedole, era costretta a dichiarare che per quanto ad essa intestate, in effetto la loro proprietà spettava all'Ospedale. Ad ogni modo la Direzione, memore delle benemerenze dell'Ente fondatore verso l'Opera e degli obblighi morali che a questa incombevano, non stette a guardare tanto per il sottile, anche avuto riguardo alle tristi condizioni finanziarie in cui versava la Compagnia, ed accettò senza discutere l'onerosa donazione. 1 lavori del nuovo edificio andavano nel frattempo procedendo lentamente ed a sbalzi, in mezzo a difficoltà di ogni genere, arrestandosi ogni tanto per mancanza di fondi. Continue variazioni venivano apportate per riconosciute necessità al progetto primitivo e di conseguenza pure in continuo aumento era il preventivo della spesa. Il Governo ancora intervenne accordando nel 1830 un sussidio di 120.000 lire; il Principe di Carignano donò del suo 500 lire e gli stessi Direttori si quotarono per la somma di L. 100 caduno. mentre cercavano con tutti i modi di raccogliere i denari necessari alla prosecuzione dei lavori, persino affittando palchi, costruiti in occasione di spettacoli pirotecnici per le feste della Consolata. La lentezza esasperante colla quale venivano i lavori condotti fu causa che in diverse circostanze si cercasse di occupare provvisoriamente, od anche in via definitiva, il nuovo fabbricato, variandone la sua destinazione. Cosi dapprima, sulla fine del 1832, in seguito alla minaccia del " cholera morbus " che si profilava all'orizzonte, la Città di Torino, appoggiata dal Governo, richiese di poter occupare i locali già costruiti, quale lazzaretto per colerosi, ed a tale scopo fece anzi eseguire gli opportuni completamenti ed adattamenti a proprie spese, a quella parte dell'edificio a ciò destinata. Forse anche per evitare il pericolo di tale occupazione poco gradita, la Direzione nel 1833, stante il numero sempre crescente dei ricoverati, stabilì di far disporre il nuovo edificio in modo da potervi alloggiare durante la notte 40 malati, scelti dal Medico fra i più tranquilli, i quali, per il passaggio sotterraneo, già praticato attraverso l'attuale via Giulio, potevano di giorno recarsi nel giardino di ricreazione dell'isolato Sant'Eligío, e da questo, per l'altro sottopassaggio, da tempo esistente, nel vecchio Ospedale. Della necessità di tale occupazione si affrettò la Direzione di dare avviso alla Città, che nel prenderne atto rinunziò generosamente al rimborso delle spese dei lavori eseguiti. Nello stesso 1833 il Governo richiese di affittare per due anni una delle ali del grande edificio per alloggiarvi delle truppe, ma pure questa volta fu possibile allontanare il pericolo di una non desiderata occupazione. Come sempre succede non mancarono critiche e dicerie specie sul sistema adottato di condurre i lavori ad economia, anziché darli in appalto, e la stessa Direzione ed il Prof. Talucchi furono costretti ad invocare un'inchiesta, dal Governo affidata all'Ing. Cav. Mosca, autore del noto ponte sulla Dora, il quale nella sua relazione dimostrò insussistenti le accuse elevate al riguardo, elogiando anzi il Talucchi per l'opera disinteressata e pregevole compiuta. Nel prender atto con soddisfazione delle favorevoli conclusioni dell'inchiesta però, il Ministro Segretario di Stato De L'Escarène, con lettera 6 gennaio 1834, comunicava alla Direzione che S. M., nella considerazione che per mancanza di fondi non potevano i lavori proseguirsi colla voluta e dovuta celerità, ne ordinava la sospensione fino a quando non si fossero raccolti i mezzi necessari al compimento dell'opera, da procurarsi anche coll’alienazione totale o parziale del vecchio edificio. Suggeriva inoltre saggiamente S. M. di approfittare dell'ordinata sospensione per visitare e studiare alcuni fra i principali manicomi d'Italia e di Francia, fra cui quello famoso di Caen da lui personalmente conosciuto, e quelli di Bordeaux e di San Remigio presso Orgon, in modo da poter introdurre nei disegni dell'edificio tutte le modificazioni ed i miglioramenti riconosciuti utili e necessari. Accoglieva di buon grado l'amministrazione il saggio consiglio del Re, il quale designava per tali visite l'architetto Talucchi ed il Medico Primario Bertolini, fornendo loro tutti i mezzi e gli appoggi del caso per facilitarne il compito affidato. Come sempre l'intervento personale del Sovrano, diretto a troncare ogni disparere al solo precipuo scopo del bene pubblico, non poteva tornare più tempestivo, utile e proficuo. La Direzione, così spronata, riprese a dedicarsi colla maggior attività alla raccolta di fondi. Ricorse nuovamente al vecchio sistema delle lotterie, delle quali una sola, a cui concorsero con doni di vario genere le maggiori personalità letterarie, politiche ed artistiche dell'epoca, fruttava la somma di L. 48.534,56. Oblazioni, donazioni, legati ripresero a pervenire all'Opera Pia da ogni ceto di persone: il Conte Strogonoff incaricato di affari di S. M. l'imperatore delle Russie, donò dieci marenghini; un incognito benefattore offerse 30.000 lire, alla condizione che fossero impiegate nel corso dell'anno nella fabbricazione del padiglione di mezzo del nuovo Ospedale " poiché prima necessità degli infelici ricoverati si è l'aver comodo l'alloggiamento, onde liberarli dalle strettezze locali. in cui vivono di presente ". Altra richiesta di occupazione del nuovo edificio da parte dell'Autorità militare, fece si che i lavori venissero spinti sollecitamente avanti in modo d'aver al più presto disponibile la metà del fabbricato, per occuparla con malati. lasciando invece a disposizione delle truppe il vecchio locale; e fu precisamente nell'aprile del 1834 che si eseguì il trasloco dall'antico al nuovo Manicomio, sotto la sorveglianza e cura di una speciale Commissione, a ciò deputata dal Consiglio. Col trasloco predetto veniva il Manicomio a staccarsi materialmente dalla Confraternita del Sudario, colla quale fino allora aveva coesistito nello stesso fabbricato, e tale fatto, per se insignificante, non poteva non avere grande influenza sui rapporti futuri dei due Enti, sempre più destinati a percorrere vie diverse, diverse essendo le loro finalità. Il 13 maggio 1834 Re Carlo Alberto, accogliendo l'invito da tempo rivoltogli dalla Direzione, visitava il nuovo edificio, accompagnato dal celebre alienista francese Esquirol, allora di passaggio a Torino. Il compiacimento del Re appare manifesto dal seguente dispaccio ministeriale diretto dal Ministro Segretario di Stato De L'Escarène al R. Ispettore Nuitz : "Torino, addì 13 di maggio 1834. "Eccellenza, " Cosi l'Eccellenza Vostra, come tutta la Direzione del Regio Manicomio ha potuto essere stamane spettatrice della soddisfazione provata da S. M. nella visita che ha fatto al nuovo edificio destinato ad alleviare la sventura di quegli infelici, che smarrirono la ragione. " lo aveva testè l'onore di appalesar loro di viva voce questa sovrana soddisfazione: vuole tuttavia S. M. che eziandio per iscritto io ne sia l'interprete. " Il caritatevole e pietoso zelo, con cui adopra la Regia Direzione a pro' degli sventurati che sono commessi alle di lei cure, ha riscosso meritati encomi dal Re, e non è a dire quanto ne sia stato gradevolmente commosso il paterno suo cuore, tanto più considerando, che traslocati in un edificio meglio atto, più bello e più salubre che non fosse il vecchio Manicomio, verranno ad ottenere sempre più utili, importanti e crescenti risultamenti dall'opera costante, concorde e misericordiosa di tutti i Signori che fanno parte della Direzione. Spero che l'Eccellenza Vostra sarà agevolmente persuasa del piacer singolarissimo che provo nel soddisfare a questo comando Sovrano, e che mi concederà che con lei e con tutta la Regia Direzione sinceramente mi congratuli dell'onore che loro viene da tanto e così solenne gradimento di S. M. ". Prova tangibile della soddisfazione Sovrana fu la autorizzazione al proseguimento dei lavori di costruzione del padiglione di mezzo e la concessione non meno efficace dell'aumento della pensione pei maniaci poveri da L. 200 a L. 225 annue. |
||||||||||
RIFORMA DELLO STATUTO DELL'OPERA PIA A pochi mesi però dall'occupazione dei nuovi locali già si manifestava l'urgenza assoluta di maggior spazio e si doveva riprendere l'ormai secolare lotta contro l'affollamento e le difficoltà finanziarie, cercando ad ogni modo di portare a compimento la. fabbricazione della rimanente parte dell'edificio. Discordie intestine e dissensi patenti e latenti che esistevano fra i membri della Direzione, che invano, nel lungo periodo della sua carica, il R. Ispettore Nuitz, con somma prudenza e squisito tatto, più volte riconosciutogli dallo stesso Governo, aveva cercato di dirimere e comporre, non tardarono ad apertamente scoppiare, provocando il diretto intervento del Governo, che nel 1836 rinnovava, cosa inusitata, nella sua totalità il Consiglio di Amministrazione. Ma di peggio si verificò in seguito, in quanto fra i membri di nuova nomina venne incluso anche il Medico Primario dell'Ospedale " avendo avvisato opportuno che. faccia parte dell'amministrazione ed abbia voce deliberativa ". Ora se il primo provvedimento era necessario, il secondo fu un errore poiché è evidente che fra le due cariche esiste una incompatibilità se non materiale certamente morale, che di necessità o prima o poi doveva portare ad un urto fra il Medico e gli altri Consiglieri, mal tolleranti fra di essi la presenza di un loro dipendente in qualità di collega. E le discrepanze non tardarono a manifestarsi. In occasione della riforma di un Regolamento, la Direzione aveva deliberato di pareggiare nello stipendio, condizioni e prerogative i due medici in servizio, destinandoli uno al reparto maschile e l'altro al reparto femminile, abolendo così per ragioni di economia e di miglioramento del servizio, la carica di medico primario, dando nel tempo stesso una doverosa attestazione di gratitudine al medico ordinario dottor Bonacossa, il quale, veramente benemerito, durante il tempo del colera, era rimasto chiuso nell'Ospedale, isolato per 75 giorni consecutivi senza comunicare coll'esterno. Urtato da questa deliberazione il Bertolini, oltre alle dimissioni da Direttore, presentava pure quelle da Medico primario, accettate senz'altro dal Consiglio. Ma con R.B. 5 luglio 1836, il Re respingeva le dimissioni da Direttore confermandolo in carica, ed ordinando in pari tempo la sua riassunzione in servizio come Medico primario. Nel 1836 essendo stata decretata una generale riforma di tutte le Opere Pie anche la Direzione del R. Ospedale veniva invitata a provvedere: " Il considerevole incremento preso dal Manicomio di questa Capitale, rendendo meno opportune ed efficaci le regole per l'amministrazione del medesimo emanate addi 11 marzo 1785, abbiamo ravvisalo indispensabile la formazione di un nuovo Regolamento, per cui SEPARANDOSI QUANTO CONVIENE LA COMPAGNIA DEL SS. SUDARIO DA CIO' CHE INTERESSA 1 MENTECATTI, sieno specificate in modo preciso le norme necessarie per i servizi e per l'economia interna dello stabilimento, quelle che dovranno seguirsi in ogni occorrenza dal Consiglio d'amministrazione del medesimo, principalmente per procurargli una libera e franca vocazione, scevra d'ogni sorta d'influenza e finalmente le precauzioni da osservarsi onde assicurarsi dello stato di vera mania degli individui ricoverandi ". E poiché la Direzione, che aveva bensì deferito ad una propria Commissione l'incarico di procedere ad un sistemato riordinamento delle norme regolamentari dell'Opera Pia, procrastinava alquanto ad adempire l'ordine ricevuto. forse un po' ostico per la netta separazione richiesta fra Ospedale e Confraternita, il Re, a troncare ogni indugio, con R: Biglietto 5 luglio 1836 " desiderando e così richiedendo il bene del Manicomio che un tale regolamento sia compilato nel più breve termine possibile " ne affidava la formazione ad una speciale Giunta, composta di dieci membri (compreso il Medico primario dott. Bertolini), presieduta dal Vicario e Sovraintendente Generale di Politica e Polizia di Torino ed in tale qualità Conservatore del R. Manicomio, Marchese Benso di Cavour, il quale ne dava immediato avviso all'Amministrazione, prescrivendo che nel frattempo non si facessero altre innovazioni. Fu questo un vero colpo di fulmine per la Direzione, che si affrettò con una supplica diretta a S. M. a dar diffusamente ragione del suo operato. Proseguiti dalla Giunta i lavori con tutta la possibile celerità servendosi del materiale, atti e notizie richieste all'occorrenza all'Amministrazione. nell'aprile del 1837 venne trasmessa alla Confraternita la parte di regolamento riguardante i rapporti fra i due Enti, per le sue osservazioni in merito. In esso, premettendosi che le relazioni fra Confraternita e Manicomio dovevano continuare come pel passato, salvo che il Priore anziché Presidente rimaneva soltanto più membro nato della nuova Direzione, a questa affidava l'amministrazione dell'intero patrimonio comune ai due Enti, coll'obbligo di corrispondere gli stipendi ai dipendenti della Confraternita, da nominarsi di comune accordo coi Sindaci di questa, di dare un'annua e congrua indennità per le spese di officiatura della chiesa, di provvedere all'adempimento di tutti i pesi pii portati dai legati dei comuni benefattori. Era in ultima analisi il mantenimento dello statu quo, migliorato forse a vantaggio della Confraternita; ma questa, in adunanza generale del 21 aprile 1837, non paga, allegando un’incoerenza tra la premessa e le seguenti disposizioni che, a suo giudizio, venivano a privarla di tutto il suo patrimonio e della disponibilità dei suoi redditi, invocando diritti e privilegi ad essa concessi in passato, protestando che da amministratrice di un'opera fondata con immensi suoi sacrifici sarebbe stata ridotta alla condizione di semplice amministrata - cosa che di fatto avveniva da molti anni - respingeva il regolamento proposto, avanzando pretese eccessive di rettifiche. Allora la Giunta, alla quale forse non era bastato l'animo di affrontare decisamente lo spinoso problema, cancellava senz'altro, confortata senza dubbio dall'approvazione del Sovrano, la parte riguardante la separazione dal progetto di regolamento, lasciando cosi insoluta la questione. E questo fu di certo un errore, perché, in quei tempi, in cui la volontà del Sovrano era legge, un provvedimento energico, che avesse onestamente ed equamente salvaguardati i diritti dei due Enti, avrebbe evitato il prolungarsi di una convivenza non più possibile, il trascinarsi di uno stato di fatto e di relazioni contrastanti, che, inevitabilmente portando a continui dissensi, solo una vertenza giudiziaria, in epoca posteriore, doveva chiudere. Il nuovo Regolamento, approvato da Re Carlo Alberto con R. D. 20 maggio 1837, con poche modificazioni ed aggiunte, richieste dalle esigenze dei tempi, rimase in vigore fino al 29 luglio 1909; il che costituisce la miglior dimostrazione della sapienza e pratica amministrativa colle quali era stato redatto. In base alle sue disposizioni il R. Manicomio di Torino, che continuava ad essere " posto sotto l'immediata protezione Sovrana " risultava amministrato da una Direzione composta di un Presidente, di 15 Direttori eletti direttamente da S. M. e, quale membro nato. del Priore della Confraternita del SS. Sudario, sotto l'alta sorveglianza del Vicario Sovraintendente generale della Politica e Polizia, col titolo di Conservatore e coll'incarico di decretare sull'ammissione degli alienati, di intervenire alle sedute nei casi previsti ed in quelli in cui fosse ritenuto necessario dalla Segreteria di Stato, vegliando al buon governo e regolamento sì interno che esterno dell'Opera, con diritto di farsene in ogni momento rendere conto. Più tardi al Vicario venne sostituito, nei tempi costituzionali, il Prefetto, al quale dal Re fu anche deferita la nomina del Presidente e degli Amministratori per le annuali rinnovazioni, su terne proposte dall'Amministrazione stessa. Con successivo R. Biglietto 23 maggio stesso, veniva nominata la nuova Direzione ed il Vicario ne informava la disciolta Amministrazione, non senza esprimerle a nome di S. M. e del Ministero " il giusto tributo di lode e di ringraziamento per le incessanti ed assidue cure prestate colla più affettuosa e caritatevole assistenza e con savissimo governo a pro' di questo interessante Istituto". Il Vicario in seguito procedeva personalmente all'insediamento della nuova Direzione, composta in gran parte dei membri della Giunta, in precedenza incaricati della compilazione dello Statuto dell'Opera Pia, ed in tale occasione pronunciava un discorso per tracciare le basi del lavoro da compiersi e più che tutto per ricordare la volontà del Sovrano di provvedere sollecitamente alla formazione di istruzioni di interna disciplina e di speciale maneggio di ogni servizio, valendosi all'uopo del materiale raccolto e degli studi già compiuti in proposito. A tale scopo si nominava una speciale Commissione di Direttori, composta dell'abate Riccardi, del Conte Sclopis di Salerano. del Prof. Martini e del Cav. Borsarelli, ai quali si aggiunse poco dopo il Comm. Bruzzo, Intendente Generale a riposo, altra bella figura di amministratore che nel Manicomio lasciò profonda traccia della sua rara attività ed alta competenza amministrativa ed al quale è dovuto in modo precipuo se il nuovo regolamento interno riuscì così completo e dettagliato in ogni sua parte da costituire un vero modello del genere. I membri della Direzione. dando prova di buona volontà ed al tempo stesso di lodevole opportunità, non appena in carica, spontaneamente si vollero inscrivere alla Confraternita, lasciando che questa continuasse a dichiararsi nei suoi atti fondatrice ed amministratrice del R. Manicomio e largheggiando nelle concessioni verso di essa: così assegnarono un conveniente stipendio ai suoi dipendenti sacerdoti ed inservienti, nonché la somma di L. 2000 per provvista di paramentali e tappezzerie, ed un assegno fisso annuo di L. 2000 - ridotto poi nel 1839, per ristrettezze di bilancio, a L. 1737 - per l'ufficiatura della chiesa e relative provviste, cercando insomma di mantenere buoni sotto ogni aspetto i rapporti intercedenti tra i due Enti. Le condizioni finanziarie dell'Opera Pia erano tutt'altro che floride, avendo nella fabbricazione del nuovo edificio e successive ampliazioni esaurita ogni sua disponibilità; le spese pel vitto e vestiario dei ricoverati erano gravose, tanto che più volte il Re, sempre premuroso delle sorti dell'Ospedale, fece ad esso rimettere la biancheria messa fuori uso dalla Corte, perché se ne servisse pei bisogni dei poveri mentecatti, ed in occasione del matrimonio del suo primogenito, elargì la somma di L. 3000, da devolversi pure in acquisto di biancheria. Nel 1839, procedendo all'insediamento dei nuovi eletti a far parte della Direzione, il Vicario di Polizia comunicava l'intenzione Sovrana che si costituisse una sezione per le persone di civile condizione, creando un reparto pensionari distinto dalle altre sezioni manicomiali. Era questa un'idea ventilata già da parecchi anni dalla Direzione, che nel 1837 aveva con tale precisa intenzione acquistato il Casino di campagna del Conte Castellengo o di Pietrafuoco in regione Valdocco (l'attuale sede del Buon Pastore), a cui era stata in seguito aggiunta una polveriera attigua donata dal Governo; fabbricato e località che si sarebbero prestati mirabilmente allo scopo, per l'evidente vantaggio della loro immediata vicinanza alla sede del Manicomio. Le ristrettezze economiche dianzi accennate ritardarono l'esecuzione del progetto, tramontato poco tempo dopo definitivamente, poiché nel 1843, in seguito a tassativo invito del Governo, si dovette, benché a malincuore, cedere la proprietà dei suddetti fabbricati alle Suore del Buon Pastore, chiamate dal Re a Torino per aprirvi una loro casa, ottenendone in cambio il pagamento di un'annualità, che garantita dapprima sul bilancio del Ministero degli Affari esteri, viene ancora attualmente corrisposta in L. 6000 dal Municipio di Torino. Non andò guari che l'eterna ed assillante questione dell'affollamento cominciò nuovamente a preoccupare l'amministrazione e nel 1842, a soli cinque anni dall'ultimazione del nuovo Ospedale, viene da questa presentata alla Segreteria di Stato una relazione per impetrare i mezzi necessari all’ampliazione, resasi inevitabile pel gran numero dei ricoverati che ne aumentava ogni giorno la popolazione. All'invito del Governo di presentare un analogo progetto, la Direzione per lungo tempo si affannò alla ricerca di una soluzione del non facile problema, pensando anche a tutta prima di stabilire una succursale nei locali del vecchio edificio dell'isolato S. Isidoro, sempre adibito a caserma militare, per cui, avendone lo Stato benché richiesto, rifiutato l'acquisto, si percepiva un prezzo quasi irrisorio d'affitto. Forse per rendersi personalmente conto della situazione, il í 7 gennaio 1845 Re Carlo Alberto, in compagnia di S. A. R. il Duca di Savoia e S. A. Serenissima il Principe di Carignano, onorava di un'altra sua visita il Manicomio, accolto dall'intera Direzione, che lo accompagnò nella " perlustrazione di tutti i dipartimenti dello Spedale " ed alla quale si compiacque esprimere il suo gradimento " per il lodevole modo con cui era tenuto il pio Stabilimento ". Come per la precedente, conseguenza efficacissima della nuova visita, il Governo, accogliendo le reiterate richieste, si decise di elevare a L. 260 annue la retta dei poveri mentecatti. |
||||||||||
LA NECESSITA' DI UN AMPLIAMENTO: COLLEGNO
Il continuo vertiginoso aumento dei ricoverati che in pochi anni aveva raggiunto e sorpassato il numero di, 500, mentre la capacità dei locali era di soli 400, rendeva sempre più intollerabile la situazione, a ben poco servendo gli sporadici tentativi di diminuirne l'affluenza. Fu allora che dell'Amministrazione si cominciò a ventilare la possibilità di un trasloco totale o parziale del Manicomio fuori della Città. L'idea, a dire il vero, non era del tutto nuova, perché, come si è fatto cenno, fin dai primi anni di vita dello Spedale, in uno scritto anonimo era stata avanzata tale proposta, ripresa in considerazione successivamente in parecchie altre circostanze, durante l'occupazione francese e nell'epoca della susseguente restaurazione. Una prima soluzione fu prospettata coll'acquisto della Villa Cristina, di proprietà della Vedova di Carlo Felice, situata alle porte della città nei pressi di Lucento, ma essendosi ad essa in un primo tempo rinunciato, né si comprende con quale fondamento, pel timore di aria malsana, essa venne acquistata da privati, che l'adibirono a casa di cura per maniaci agiati. Altra offerta pervenne posteriormente da parte del Conte Didier de la Motte, di una sua proprietà sita a Rivalta, ma anche questa venne declinata per troppa scomodità e lontananza, come per le stesse ragioni si rinunciò a locali situati a Montaldo, Rivara, Rivoli, il cui castello, dove si proponeva allogare la succursale, presentava " un'aria troppo vibrata ". Le idee dell'Amministrazione a questo riguardo sono diffusamente rispecchiate in una relazione del 1851 del Direttore Ing. Conte Ceppi, nella quale si caldeggia il progetto della costruzione ex- novo di un altro stabilimento, traendo i mezzi finanziari occorrenti dalla vendita graduale dell'attuale edificio ad una società di speculatori, che ne aveva fatta richiesta per costruirvi case d'abitazione, prolungando al tempo stesso le vie Deposito (Piave) e delle Scuole (Marna) fino al corso S.Massimo (Regina Margherita). Il nuovo Manicomio avrebbe dovuto sorgere nelle vicinanze della città ed avere attigua una cascina od un vasto podere, per potervi impiegare i ricoverati tranquilli in lavori agricoli, a scopo curativo, e in tal modo si sarebbe evitato anche il pagamento del dazio consumo, con evidente risparmio maggiore delle L. 6000 corrisposte per tale scopo a titolo di indennizzo dal Governo. ,E l'interessante relazione ancora testualmente aggiunge: " Se fosse lecito esprimere un desiderio senza scapito beninteso e senza l'idea di conturbare la pace di chi lo possiede, il locale che potrebbe più di ogni altro convenientemente prestarsi allo stabilimento di questo Manicomio sarebbe quello della CERTOSA DI COLLEGNO, che posta a soli tre miglia da questa Capitale, presso la grande strada di Francia, presenta un recinto murato di 80 giornate circa ed un sistema di abitazioni isolate, con piccoli giardini, da cui si potrebbe trarre un gran partito per i pensionari agiati ". Era un primo e timido accenno alla Certosa di Collegno, che ritornava ad affacciarsi, quale possibile sede del Manicomio; ed espressamente si è usata la locuzione " ritornava " in quanto non era la prima volta che si pensava a tale località e fabbricato. Infatti, nella supplica del marzo 1827, in precedenza ricordata, colla quale si instava presso S. M. per l'approvazione del primo progetto Talucchi di costruzione sull'area dell'isolato S. Eligio, è fatto cenno di una " sorda voce (la quale già correva sotto il cessato Governo di Francia) cioè che si dovesse trasportare l'ospedale de' Pazzi nel fabbricato della Certosa di Collegno o nel Convento di S. Salvatore od in un altro edificio fuori Torino ", e naturalmente la Direzione di allora combatteva il progetto, enumerando tutti gli inconvenienti che dalla distanza e poca facilità delle comunicazioni sarebbero derivati. L'idea adunque del trasferimento a Collegno era ben più antica e risaliva al periodo dell'occupazione francese, quando il Governo provvisorio nel destinare a scopo di beneficenza od istruzione i beni delle soppresse Corporazioni Religiose, ne aveva probabilmente fatta proposta all'Amministrazione in carica, e solo in seguito al suo rifiuto, aveva finito coll'assegnare la Certosa e gli annessi terreni in proprietà all'Università di Torino. 1 frati Certosini erano venuti a stabilirsi a Collegno nel 1641 provenienti da Avigliana, dove il loro convento era stato distrutto dalle truppe francesi, chiamati dalla Reggente Madama Cristina, la quale aveva acquistato per farne loro dono il sontuoso palazzo di delizie appartenente al tesoriere ducale Bernardino Data, ed aveva con editto 21 marzo 1641 fondato la Certosa di Collegno. con l'intenzione di costruirvi un edificio monumentale, degno della Città di Torino. Ma la costruzione, su disegni del Valperga, fu compiuta con tanta lentezza, per deficienza di mezzi, che solo nell'agosto del 1648 fu posta la pietra fondamentale della chiesa dedicata alla B.V. dell'Annunziata, con la seguente iscrizione JESUS MARIA / DEIPARAE ANNUNZIATAE VIRGINI / HUMANI GENERIS SERVATRICI / OB REGIAM SERVATAM SOBOLEM / DIU SERVATURAE / CHRISTINA FRANCICA CAROLI EMANUELIS / PARENS ET TUTRIX / TEMPLUM HOC PRIMO A FUNDAMENTIS / IMPOSITO LAPIDE / DONAT ET DEDICAT / ORD. CARTUS. PRAEPOSITO GENERALI D. LEONE / TIXIER / PRIORE D. LAURENTIO DE SANCTO SIXTO / ANNO DOMINI 1648 AUGUSTI DIE- 10. Nel 1720 non erano ancora costrutte le celle dei monaci secondo quanto prescrive la regola dell'Ordine, e solo nel 1730 furono portati a termine i locali destinati a farmacia, infermeria, biblioteca e foresteria. Nel 1737, Re Carlo Emanuele III, in occasione delle sue nozze con Elisabetta Teresa di Lorena, fece costrurre la grandiosa e bellissima facciata d'ingresso della Certosa, d'ordine ionico, ornata di colonne e di statue marmoree, ed il relativo atrio, il cui disegno è da alcuni attribuito al Juvara, da altri invece al Guarini. Tale fatto è ricordato da apposita iscrizione lapidaria sul frontone del portale, del seguente tenore : D. 0. M. / CARTHUSIANAS AEDES / AB AVITA SABAUDIAE DOMUS PIETATE / D. BRUNONI PATRONO PRAESENTISSIMO / POSITAS CAROLUS EMANUEL SARDINIAE REX / ITALICO BELLO GLORIOSE CONFECTO / NUPTIIS CUM ELISABECTHA E LOTHARINCIA IUNCTIS / ORNAVIT ANNO MDCCXXXVII. Nella facciata interna con un'altra epigrafe i Certosini vollero ricordare la magnanima fondatrice del loro monastero, Cristina di Francia: VETUSTISSIMIS MONTISBRACHII AVILIANAE COENOBIIS / TEMPORIS INIURIA BELLI FURORE COLLAPSIS / CHRISTIANAE A FRANCIA IUSTITIA AC LIETATE / GEMINAM AMPLEXA HAEC RESTITUTA CARTUSIA / SOLITUDINI SANCTITATI / TUTIOREM PORTUM DIGNIUS DOMICILIUM RESERABAT / ANNO SALUTIS MDCXLVII. Prima dell'invasione francese sulla fine del XVIII secolo, i frati, assai ricchi di rendite, occupavano la Certosa in numero di circa cinquanta. Secondo le regole dell1Ordine, ciascuno di essi aveva la propria abitazione composta di 4 camere, due al piano terreno e due al piano di sopra, con annesso un piccolo giardino avente un pozzo d'acqua viva. A tutti questi quartierini si accedeva da un elegante porticato a colonne, che circondava un vastissimo chiostro quadrato, nel cui centro sorgeva il tradizionale pozzo. In seguito all'invasione francese, i Certosini furono cacciati dal loro convento, che, come. si disse, venne assegnato all'Università di Torino, e la chiesa, ricchissima di arredi e di quadri, ed i locali stessi non andarono immuni da ruberie e da guasti. Dopo la restaurazione ed il ritorno dei Reali di Savoia in Piemonte, anche i Certosini, il 6 ottobre 1818, ritornarono al loro convento, però assai ridotti di numero essendo solo più in 18. Con carta reale del 15 marzo 1840 Re Carlo Alberto dichiarò cappella del- l'Ordine Supremo della SS. Annunziata la Chiesa della Certosa dedicata a Maria SS.Annunziata in luogo di quella dei Camaldolesi sui colli di Torino, che più non esisteva, ed un sotterraneo della cappella venne destinato a ricevere le salme illustri dei Cavalieri. Probabilmente il Re Magnanimo ha voluto richiamarsi alla tradizione storica del nobilissimo Ordine, la quale ci narra come il suo fondatore, Amedeo VI detto il Conte Verde, avesse con testamento del 21 febbraio 1383 ordinato la costruzione della Certosa di Pierre-Chatel per essere destinata a Chiesa dell'Ordine, e come detta Chiesa sia stata difatti costruita ed affidata per la officiatura a quindici certosini, e sia rimasta cappella e sepolcro dei Cavalieri della SS. Annunziata fino a quando, avendo Carlo Emanuele I ceduto nel 1601 alla Francia la Bressa ed il Bugey pel Marchesato di Saluzzo, la Cappella dell'Ordine fu posta nell'E@remo dei Camaldolesi dal quale passò infine, come si è detto, alla Chiesa dei Certosini in Collegno (1). (1) Il Casalis, nel suo Dizionarìo Geografico –storico –statistico –commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna (edizione 1839, volume V, pag. 341) afferma che il sotterraneo annesso alla Chiesa venne destinato a cripta sepolcrale dei Cavalieri dell'Annunziata fin verso il 1814 e quindi molto probabilmente la sovraricordata carta di Carlo Alberto veniva a sancire di diritto uno stato di fatto, da tempo preesistente, tanto più che dalle iscrizioni lapidarie risulta che la morte di uno dei Cavalieri ivi sepolti, risale al 1821. Presentemente si trovano ancora tumulate nella Certosa di Collegno le salme dei seguenti Cavalieri della SS. Annunziata: Conte Giuseppe Francesco di Varazze, Amat di S. Filippo Cav. Francesco, De Sonnaz Ippolito Giuseppe, Veuillet d'Jenne della Saunière Marchese Ettore, Cagnol de la Chambre Marchese Giovanni". Piossasco di None Cav. Benedetto, Vibò di Drales Conte Giuseppe, Sallier della Torre Marchese Giuseppe Amedeo. |
||||||||||
Ma ritorniamo al tema della narrazione. La Direzione, mentre pensava ad un prossimo trasloco fuori città dell'ospedale, confidava pure molto che, a facilitare la soluzione dell'eccessivo affollamento, nell'esecuzione dei grandi movimenti amministrativi preannunciati in quell'epoca dal Governo, venisse contemporaneamente decisa la grande questione ancora incerta, se per lo meno, le più importanti divisioni amministrative dello Stato, non dovessero pensare a costituirsi un manicomio proprio, anche " per gli incontrastabili vantaggi che ne sarebbero derivati, non essendo più possibile la cura morale ove si ha troppa agglomerazione di ricoverati " e " potendo dirsi quasi inumano il trasporto dei maniaci da grandi distanze ". L'idea del completo trasferimento dell'Ospedale attuale, che si definiva fin d'allora " infelicissimo al suo scopo ", si affermava sempre di più ed all'intento di trarre utili ammaestramento, venne accordato al Medico primario Dott. Bonacossa un lungo congedo per dargli modo di visitare i principali Manicomi di Francia, d'Inghilterra e di Scozia. Provvisoriamente nel frattempo, ad evitare gli inconvenienti che ancora oggi si verificano, pel fatto che dalle case circostanti con soverchia facilità si può corrispondere coll'interno dello stabilimento e coi ricoverati stessi, allorquando si trovano a prendere aria negli appositi cortili - al qual inconveniente non è sufficiente ostacolo l'alto muro di cinta - si era dapprima, nel 1852, progettata l'erezione di un casino all'angolo delle Vie Giulio e Consolata per collocarvi la farmacia e per costituire al tempo stesso un maggior ostacolo alla visuale ed alle facili comunicazioni dai balconi e finestre delle case predette. Ma la costruzione rimase allo stato di semplice progetto, in vista massime della voce che correva per la città e che fu raccolta dai giornali cittadini, dell'intenzione del Governo di far trasportare tutto il Manicomio a Collegno, nei locali della Certosa. La Direzione, la quale ignara di tutto unicamente in tal modo indiretto aveva appreso la notizia che tanto invece direttamente l'interessava, si affrettò ad interpellare il Ministero per conoscere se detta voce corrispondeva a verità, e benché le fosse risposto che nulla di positivo fino allora si era stabilito, otteneva in via ufficiosa i disegni planimetrici della Certosa, per poter farsi un'idea sommaria della località e della distribuzione del fabbricato. Ogni cosa esaminata, pur non nascondendosi le difficoltà finanziarie derivanti dalla necessità di nuove adatte costruzioni, l'amministrazione, su nuova relazione del Conte Ceppi, il quale vedeva realizzarsi ben più presto di quanto avesse potuto sperare il suo progetto ideale, si dichiarava favorevolissima all'acquisto della Certosa dai Padri Certosini, anche perché il trasloco sarebbe stato facilitato dal fatto che a Collegno doveva sorgere la prima stazione della costruenda linea ferroviaria Torino-Susa. Gli avvenimenti incalzavano ed imponevano una pronta soluzione. L'ingombro dei malati nell'edificio di Torino diventava ogni giorno più eccessivo e dietro relazione del Medico Primario, il quale rappresentava i pericoli dell'affollamento e le conseguenze perniciose che ne sarebbero derivate, se non si ricorreva a pronti ripari, anche sotto la nuova minaccia del colera, la Direzione esponeva al Ministro degli Interni ed all'Intendente Generale lo stato delle cose, sollecitando i necessari provvedimenti, declinando ogni responsabilità ed invocando anzi una visita da parte di una deputazione del Consiglio Superiore di Sanità, che, accordata, non poté a meno di constatare e confermare la gravità della situazione. Si stava già in quel tempo escogitando la soppressione delle corporazioni religiose ed i Certosini di Collegno, che in scarso numero abitavano l'immenso locale, allo scopo forse di allontanare da loro il pericolo che li sovrastava, spontaneamente offersero al Governo l'occupazione gratuita temporanea di parte del loro convento per sfollare il Manicomio di Torino e precisamente l'ala a notte, compresa la foresteria ed i locali destinati a S. M. allorquando si recava in visita alla Certosa, capace di ricoverare circa 80 maniaci, oltre al personale di servizio. L'offerta fu accettata con vero entusiasmo dall'Amministrazione, su favorevolissima relazione di una Commissione recatasi a visitare la località, sia per l'ampiezza di sito da passeggio e di terreni da coltivare, sia per l'acqua eccellente ed abbondante, sia per l'aria salubre, tanto che il luogo venne riconosciuto " presentare tutte le condizioni più appropriata " oltre a quella specialissima di non dover corrispondere alcun prezzo di cessione o d'affitto, senza contare inoltre che la condizione di " provvisoria occupazione ottenuta rnercè l'intervento governativo e la conciliante, generosa adesione dei Padri Certosini " doveva durare finchè lo richiedessero le strettezze del Manicomio, il che era quanto dire per sempre. A motivo della clausura vigente nel convento, fu stabilito di trasferirvi unicamente maniaci maschi, e di facile custodia, conservando al Medico Primario piena ed intera la sorveglianza per la parte sanitaria, deferita sulla località al Medico Ordinario Dott. Porporati, mentre l'accettazione dei malati doveva continuare ad effettuarsi esclusivamente alla Casa di Torino. I Padri Certosini però, avendo ben compresa l'intenzione dell'Amministrazione di stabilirsi colà in via definitiva - poiché nelle condizioni stabilite, laddove si parlava di " temporanea occupazione " erano state esplicitamente fatte " salve le trattative dirette per la cessione definitiva dell'intero locale che devono restare impregiudicate" - cominciarono fin da principio a sollevare difficoltà di ogni genere, accampando altre pretese e ponendo nuove condizioni, che la Direzione rifiutò di accettare ritenendo atto improvvido d'amministrazione, l'addossarsi ingenti spese di adattamento dei locali per una occupazione di breve durata, e dichiarandosi piuttosto disposta a declinare l'offerta. A troncare ogni discussione intervenne il Governo, ordinando senz'altro al R.Manicomio di procedere all'occupazione dei locali offerti, limitando i lavori di sicurezza al minimo indispensabile, per la speranza di aver presto l'intero locale, la cui cessione pareva già in massima decisa dai Certosini stessi. In data 8 settembre 1852 si addiveniva all'occupazione stabilita, redigendo il relativo verbale ed approvando subito dopo il " Regolamento per la succursale di Collegno ". Per quanto fosse possibile prevedere che la consistenza di una sezione manicomiale in un convento di clausura non poteva di per se stessa che essere fonte di guai, non tardarono i fatti a dimostrare come a malincuore i Certosini si fossero per esclusiva forza degli eventi, adattati a fare la loro offerta; e neppure un mese dopo l'occupazione, cominciarono direttamente ed a mezzo del loro fittavolo a creare continui ostacoli al funzionamento della Succursale, negando passaggi indispensabili, rifiutando il passeggio dei malati nel chiostro, rifiutando di ammettere ai lavori agricoli i ricoverati - il che diede pure origine ad una vertenza giudiziaria - costringendo infine la Direzione a ricorrere più volte al Governo e ad insistere per la risoluzione della pratica relativa alla cessione definitiva della Certosa. Preoccupato dalle condizioni sanitarie del paese, sotto l'incubo di una nuova epidemia colerica, il Governo ancora intervenne prontamente e con nota 29 luglio 1853 a firma di Urbano Rattazzi, annunziava alla Direzione di aver risolto di far occupare la Certosa per destinarla a beneficio dell'Ospedale, per gravi motivi di salute pubblica, invitandola a volerne prendere immediato possesso in un prossimo giorno stabilito, previa redazione di regolari testimoniali di stato, da compilarsi alla presenza del Questore o dell'Assessore Capo di Polizia, il quale, diffidato il Rettore del Convento perché procedesse al sollecito sgombro, doveva, se del caso, ricorrere all'uso della forza. I nuovi locali furono occupati il 10 agosto 1853, col trasloco da Torino di parte delle donne che vennero allogate negli ambienti prima destinati ai ricoverati maschi, trasferiti invece nel fabbricato del convento propriamente detto. Da parte dell'Amministrazione, persuasa che il Governo avrebbe favorita la completa cessione dell'intera Certosa, vennero contemporaneamente iniziati gli studi " per l'erezione di un Manicomio che onori il paese e sia capace ed adatto alle esigenze tutte ", affidando al Medico Primario Dott. Bonacossa, l'incarico di presentare un completo programma per la definitiva e totale sistemazione a Collegno dell'intero Ospedale. Il temuto colera intanto, nel settembre del 1854, fece la sua poco gradita comparsa nell'ospedale di città, mietendo numerose vittime, e poco dopo si manifestò anche nella succursale di Collegno, motivo per cui si sospese l'invio di nuovi malati. A quell'epoca la popolazione del Manicomio era di 310 uomini, di cui 159 a Collegno, e 201 donne delle quali 59 a Collegno, e così in totale 511 ammalati. Appena scomparso il morbo epidemico. furono ripresi gli interrotti studi ed il Bonacossa presentava la sua relazione, conchiudendo favorevolmente al trasloco a Collegno, dove però si sarebbero dovuti eseguire non adattamenti di locali esistenti ma costruzioni ex-novo, rispondenti alle esigenze della scienza psichiatrica, e da effettuarsi grado a grado fino a stabilire una capacità di 1000 malati circa, ma non di più, non essendo convenienti i manicomi troppo numerosi. Piuttosto consigliava giustamente di instare presso il Governo per la fondazione di nuovi Ospedali nelle altre Provincie del Regno. Anche una Commissione Governativa, all'uopo nominata, si pronunciava favorevole al trasloco totale a Collegno. Senonchè alla realizzazione di queste idee si opponeva una difficoltà insormontabile : quella finanziaria, essendosi riscontrata occorrente una spesa totale di quattro milioni circa; e quantunque lo Stato, pressato dalla Direzione da tempo invocante lo stesso trattamento fatto al Manicomio di Genova ancora avesse acconsentito ad elevare la retta a L. 1,25 giornaliere a decorrere dal 1856 - retta che venne poi corrisposta fino al 1890 - tuttavia, dato il rincaro enorme dei viveri in quell'epoca, che aveva costretto l'Ente ad alienare rendite per poter sopperire ai più urgenti bisogni, non era possibile, con tutta la buona volontà, trovare i fondi necessari per far fronte alla spesa. Era intanto avvenuta la soppressione, sancita nel maggio 1855, delle Corporazioni religiose, i cui beni vennero amministrati dalla Cassa Ecclesiastica, la quale avanzò subito pretese per il pagamento da parte del R. Manicomio di un canone d'affitto in annue L. 7500 per la Certosa; richiesta che spinse la Direzione ad affrettare le trattative d'acquisto, offrendo, come da perizia dell'ingegnere Panizza, la somma di L. 305.781, mentre la Cassa Ecclesiastica richiedeva molto di più. Interessato il Governo nella vertenza, il Consiglio dei Ministri, erettosi ad arbitro, fissò il prezzo d'acquisto in L. 340.000 e il fitto annuo dovuto dal 29 maggio 1855 in L. 4500. Finalmente nel 1856 si poté addivenire alla stipulazione dell'atto notarile di cessione e la Certosa di Collegno, con tutti i suoi terreni annessi, entrò così definitivamente a far parte del patrimonio dell'Ente, il quale per pagarne il prezzo convenuto dovette procedere alla vendita di parecchi altri suoi stabili. In tali condizioni di cose, sempre più ardua si presentava la difficoltà di affrontare l'altra ingente spesa richiesta per il trasferimento totale dell'Ospedale a Collegno, tanto più che essendo per la legge 23 ottobre 1856 ed a accorrere dal 1860, passato a carico totale dello Stato l'onere del mantenimento dei maniaci poveri, invece di un vantaggio si aveva un danno in quanto si verificava allora ciò che purtroppo oggi si ripete pei maniaci carcerati e stranieri a carico dello Stato stesso, e cioè che le rette non vengono puntualmente corrisposte alle singole scadenze trimestrali,. ma occorre attenderne per anni interi il pagamento. Di più, opposizioni sorte da parte della Città di Torino, contraria in fondo al trasferimento, ed il continuo e vertiginoso aumento dei ricoverati, nonostante gli sfollamenti eseguiti in seguito all'istituzione dei Manicomi nelle altre Provincie, fecero tramontare ogni speranza di trasporto totale a Collegno dell'Ospedale, di guisa che continua tuttora ad essere affollato fino all'inverosimile il vecchio edificio di Torino, mentre da ottant'anni circa si parla, si discute e si progetta il suo abbandono. L'impressionante aumento dei ricoverati, da 511 presenti nel 1855 saliti a 897 nel 1866, obbligava la Direzione ad improvvisati adattamenti, restauri ed ampliazioni nella Casa di Collegno, attuati senza un ordine prestabilito, man mano che se ne presentava la necessità. Non appena ultimati i lavori, nuovi ospiti venivano colà inviati, tanto che la popolazione della Succursale non tardò molto a raggiungere ed a superare numericamente quella della Sede centrale. Con tale sistema inoltre si profondevano nei lavori stessi ingenti somme, che, depauperavano l'Opera Pia, mancante da tempo del valido sussidio della carità privata, la quale si disinteressava sempre più dell'Ospedale, dopo aver constatato che ad esso veniva provveduto dalla carità legale e cioè dallo Stato e dalle Provincie col pagamento d'una retta giornaliera, per quanto costantemente questa fosse corrisposta in misura inferiore alle reali esigenze. Ma di ogni difficoltà trovarono modo di trionfare le varie Direzioni succedutesi, che con opportune e tempestive vendite di tutti i beni stabili ancora posseduti - precorrendo così le direttive imposte dal Governo nel 1864 - e coll'investimento in titoli del Debito Pubblico dei prezzi ricavati dalle vendite, si assicuravano un'annua rendita fissa, sulla quale poter con tutta tranquillità contare, senza più essere oberate dalle maggiori spese di coltivazione e di riparazioni, inerenti agli stabili stessi. Si studiavano inoltre tutte le possibili economie da introdursi nella gestione dell'Opera Pia, abolendo il superfluo, riscattando i censi e le passività gravanti sul patrimonio, in modo da poter ricondurre il bilancio al pareggio non solo, ma ad un avanzo annuo, che permise d'introdurre notevoli migliorie, sia nel trattamento di vitto ai ricoverati, sia nella sostituzione dell'antiquato e logoro arredamento delle due Case, sia nell'ampliamento dei locali in guisa da poter disporre una più logica ripartizione dei malati, secondo le varie manifestazioni della pazzia, in conformità ai progressi immensi fatti nel frattempo dalla psichiatria in tale campo. Da ciò la necessità inevitabile di nuovi locali a Collegno, non essendo suscettibile di ulteriori ampliamenti la Casa di Torino. Ed anche allora fra i Direttori in carica uno se ne trovò, l'Ing. Ferrante, il quale, al pari del Talucchi, si assunse il non facile compito di provvedere all'elaborazione di un progetto, ponderatamente studiato, che usufruendo dei fabbricati già esistenti, permettesse di addivenire a nuove costruzioni man mano che se ne presentasse il bisogno e si possedessero i fondi occorrenti, secondo un piano prestabilito ed organico. Tale programma di costruzioni venne difatti attuato, secondo le previsioni, in una non breve successione d'anni, col vantaggio però di non aver per nulla gravato in via straordinaria sul bilancio dell'Opera Pia e tanto meno su quello dello Stato e della Provincia. Ai nostri giorni, dell’antica Certosa di Collegno, non resta che l'edificio di entrata, la Cappella, il gran chiostro, oltre ad altri vecchi locali centrali, mentre tutta la restante parte è stata successivamente fabbricata Fra gli oggetti mobili della Certosa è pure rimasta una copiosa ed interessante collezione di preziosi vasi di Savona appartenenti alla antica farmacia tenuta dai certosini. Sui vasi è impressa una croce posata sopra un globo terracqueo, a significare la divisa dell'0rdine che si fregiava col motto: " Stat crux dum volvitur orbis". Essa ospita attualmente una popolazione di circa 1700 malati ai quali devonsi aggiungere gli addetti ai vari servizi in numero di quasi 400, e colle sue officine in cui ferve continuo il lavoro, col suo intenso movimento quotidiano, colle sue strade ed i suoi viali, coi suoi vasti cortili e giardini, presenta tutto l'aspetto di un vero paese lindo ed operoso, che, giammai a tutta prima, si direbbe destinato ad ospitare, nel suo immenso recinto, tanta sventura. |
||||||||||
LA SEPARAZIONE DALLA CONFRATERNITA DEL SUDARIO E' tempo però di ritornare alle relazioni fra il R. Manicomio e la Confraternita del SS. Sudario, le quali dovevano ben presto portare all'unica possibile e logica soluzione - quella della separazione netta fra i due Enti, allontanatisi sempre più l'uno dall'altro, pel conseguimento delle loro troppo diverse finalità. Come già si disse, avvenuta la restaurazione della Monarchia, dopo la breve ma importante parentesi dell'occupazione francese, anche la Confraternita - la quale per decreto 22 aprile 1811 dell'Arcivescovo di Torino Giacinto della Torre era stata soppressa e tutti i suoi beni mobili ed immobili di qualunque genere passati in vera proprietà della Chiesa del Carmine, mentre quelli propri dello Spedale erano invece amministrati dalla speciale Commissione generale amministrativa, in allora creata - veniva richiamata a nuova vita e riotteneva la direzione ed amministrazione del R.Spedale de' Pazzerelli sotto l'osservanza delle norme regolamentari già un tempo vigenti. Non riuscì invece a riottenere la proprietà dei beni mobili ed immobili già assegnati alla Parrocchia del Carmine, e neppure a prendere possesso della propria chiesa che nel 1820, essendo stata questa adibita fino a quell'epoca a magazzino militare. Anche la casa Ruscala attigua alla chiesa, già un tempo di proprietà della Compagnia, continuò ad essere data in congrua al curato del Carmine e solo nel 1820 venne per ordine di S. M. Carlo Felice assegnata in proprietà al Manicomio, perché se ne servisse a scopo di ampliamento dello Spedale. Si disse pure come prima e dopo la riforma dell'Amministrazione manicomiale, questa, sempre generosamente fosse venuta in soccorso alla Confraternita, rimasta in modo assoluto priva di redditi e di patrimonio e come in occasione della riforma stessa la Compagnia avesse respinta la parte del progetto riguardante la separazione fra i due Enti; proposta stata poi ritirata "pro bono pacis", continuandosi nei rapporti come pel passato. Col fatto poi del trasloco del Manicomio dal vecchio al nuovo edificio, i due Enti venivano ad essere anche separati di sede e le loro relazioni si rendevano di per sé stesse sempre più difficili. Per quanto la Direzione del R. Manicomio continuasse a ritenersi di diritto la rappresentanza regolare della Compagnia, rivedendone i conti, concedendo i fondi ordinari e straordinari occorrenti ai suoi bisogni, provvedendo alle spese di restauro della chiesa ed alle provviste relative. nonché alla nomina dei sacerdoti ed inservienti, di fatto la Confraternita veniva ad essere retta dal Priore, dai Sindaci e Capo Consulta, i quali economicamente la amministravano e presiedevano alle Assemblee dei confratelli. Tale illogica situazione di cose doveva inevitabilmente portare ad urti frequenti, maggiormente aggravati dal mutato spirito dei tempi e dalle strettezze finanziarie, in cui di continuo l'amministrazione dell'Ospedale si dibatteva e che non le consentivano soverchi atti di liberalità verso la Confraternita richiedente. Già nel 1845, in seguito a piccoli dissensi che non occorre ricordare, i Sindaci della Confraternita instarono per la separazione dei patrimoni fra i due Enti, ma fu assai agevole alla Direzione rispondere con un rifiuto, facendosi forte delle identiche argomentazioni che nel 1837 erano a quella servite per respingere a sua volta la separazione allora proposta. Le parti evidentemente si erano invertite e mentre un tempo era l'ospedale che cercava la propria autonomia dalla Confraternita, ora era questa che voleva ad ogni costo rendersi indipendente da quello, richiedendo e proponendo nuovi regolamenti per avere una propria completa amministrazione e per darsi norme in ogni sua operazione sia pel servizio religioso sia pel proprio andamento economico. Le cose si erano aggravate a tal segno che nel 1879 dalla R. Direzione veniva nominata una Commissione, della quale fu chiamato a far parte anche il Priore, allo scopo di studiare la natura dei rapporti fra i due Enti. Ma nell'anno successivo. la Direzione, pressata dall'assoluto bisogno di effettuare economie in ogni ramo di servizio, deliberava la riforma della pianta organica del personale religioso, riducendo il numero degli ecclesiastici, fino allora di 4, a 2 soltanto, e cioè il Rettore, destinato al Manicomio ed il Vice Rettore, destinato alla Confraternita. Questa riforma, imposta da giuste esigenze economiche, ma forse più ancora il rifiuto al diritto di nomina del Vice-Rettore preteso dalla Confraternita, spinse questa ad iniziare il 12 agosto 1880 regolare giudizio nanti il Tribunale di Torino. Allo scopo di ottenere quella separazione, di cui un tempo non voleva sapere. La lunga vertenza giudiziaria si svolse con alterna vicenda: il Tribunale diede ragione al Manicomio, la Corte d'Appello alla Confraternita, la Cassazione di Roma, dichiarandosi incompetente, rimandò le parti alla Giustizia amministrativa ed in definitiva il Consiglio di Stato, a sezioni riunite, pronunciava il 16 febbraio 1887 il parere seguente: " doversi corrispondere alla Confraternita dalla Direzione del Manicomio un assegno fisso annuo di L. 4000 e concederle l'uso della chiesa e dell'annessa Casa Ruscalla ". Tale decisione non soddisfece ne l'uno ne l'altro dei contendenti, i quali mossero entrambi opposizione. Ma per l'autorevole intromissione del Cardinale Arcivescovo, del Prefetto e del Procuratore Generale della Corte d'Appello, sollecitati alla loro volta dal Governo, fu studiata una soluzione conciliativa all'incresciosa vertenza e con R. D. 13 maggio 1888 venne deferita al Prefetto di Torino la nomina di un Commissario, per addivenire alla separazione dei beni e redditi spettanti ai due Enti, sulla base del precisato parere del Consiglio di Stato e delle altre condizioni da stabilirsi di comune accordo. Il Commissario Prefettizio, scelto nella persona del Comm. Vittorio Grimaldi, Consigliere della Corte di Cassazione di Torino, dopo non poca fatica, giunse ad ottenere il consenso delle due Istituzioni ad una transazione stipulata il 7 dicembre 1888 a rogito Turbil ed i cui capisaldi sono i seguenti: 1) Assegnazione in proprietà alla Confraternita del Sudario della chiesa e locali annessi, compresi tutti i mobili, arredi, paramenta ed altro ivi esistenti. nonché della attigua Casa Ruscalla. 2) Assegnazione alla stessa di un'annualità fissa di L. 3750 da corrispondersi dal Manicomio, col carico però dell'adempimento di tutti i legati pii, designati in apposito elenco. 3) Assegnazione in proprietà del R. Manicomio della restante parte del vecchio edificio di S. Isidoro, colla clausola che qualora la Confraternita cessi di esistere come ente autonomo laicale di culto o muti il suo scopo o per qualunque caso cessi l'ufficiatura della chiesa, la proprietà di questa e della Casa Ruscalla ritornerà di pien diritto al R. Manicomio, non più tenuto a corrispondere l'assegno di cui sopra, ma bensì a riprendere a suo carico l'esecuzione dei pesi pii. 4) Piena ed assoluta indipendenza di amministrazione fra i due Enti, colla cessazione pertanto nel Priore della Confraternita della qualità, spettantegli prima di diritto, di membro nato della Direzione del R. Manicomio, conservando però il titolo di " membro nato onorario ". E ciò notisi per espresso desiderio e volere di quest'ultima " grata del doversi l'erezione dell'Istituto a nobile e filantropica iniziativa della Confraternita che prima diede opera alla fondazione del Manicomio " ed " a perenne ricordanza di tanta benemerenza ed a testimonianza d'onore ". Basta la sopra riportata citazione delle precise parole contenute nell'atto di separazione per dimostrare quanto infondata possa essere l'accusa di ingratitudine con troppa facilità e leggerezza da qualcuno lanciata in passato al Manicomio, trattato quasi da figlio degenere, mentre unicamente per debito di riconoscenza si sottomise ad una separazione, che ben su altre basi avrebbe avuto giusto diritto di pretendere. Ma, astrazione fatta dai giudizi delle persone e delle cose che troppo si prestano ad interpretazioni diverse a seconda dei diversi punti di vista da cui si considerano, ben lungi dal non voler riconoscere tutte le benemerenze acquistate dalla Confraternita verso il Manicomio - specie nel primo cinquantennio della sua esistenza - è positivo che l'unica e sola ragione che impose la separazione delle due Opere, tanto dissimili nelle loro finalità, si deve essenzialmente ricercare nella natura stessa delle umane cose, che trasforma, modifica, adatta gli Istituti in conformità alle esigenze dei tempi. Tale separazione doveva quindi fatalmente avvenire e fu un bene per entrambi gli Enti, che ebbero cosi possibilità di seguire le due diverse strade ad essi destinate; e tanto più fu necessaria pel Manicomio, da piccolo arbusto diventato pianta rigogliosa, perché, libero da ogni pastoia od intralcio, potesse continuare il suo cammino ascensionale, a maggior e più efficace sollievo dell'umanità sofferente. |
||||||||||
Ben poco resta a dire della storia del Manicomio nell'ultimo trentennio, anche perché non è possibile ed opportuna la narrazione e la Critica storica di avvenimenti troppo recenti. L'importante riforma delle Istituzioni pubbliche di beneficenza. avvenuta colla legge del 1890 e più ancora la nuova legge sui Manicomi ed alienati, che, dopo una laboriosa gestazione durata circa un quarto di secolo, veniva finalmente promulgata nel 1904, tosto susseguita dal regolamento per la sua esecuzione, modificando sostanzialmente l'organizzazione dei Manicomi del Regno, che assoggettava a disposizioni regolamentari, per tutti uniformi, non poteva a meno di avere profonda ripercussione sull'amministrazione tutta speciale della nostra Opera Pia, la quale, data la sua autonomia, in maggior misura doveva sentire la necessità di una radicale trasformazione delle sue quasi secolari disposizioni statutarie ed organiche. Di più ancora il regolamento governativo sopra accennato dando una maggior importanza ed una autorità speciale, che prima non aveva, alla carica del Medico Direttore del Manicomio e deferendo a lui gran parte delle attribuzioni che in passato l'amministrazione sempre si era gelosamente riservate, doveva di conseguenza creare una situazione di rapporti alquanto imbarazzante fra gli Amministratori ed il Medico Direttore stesso. E come già nel 1837 un dissidio sorto per il servizio sanitario aveva provocato lo scioglimento dell'Amministrazione e la riforma dello Statuto, così a 70 anni di distanza, nel 1907, per un simile dissidio, la Direzione in carica si vide costretta a rassegnare le proprie dimissioni. Assunsero allora la gestione temporanea dell'Ospedale diversi Commissari Regi, i quali si succedettero nella carica e posero ogni precipua cura nel riformare lo Statuto dell'Opera Pia, che, approvato con R. Decreto 29 luglio 1909, modificò in modo più corrispondente alle mutate esigenze dei tempi la composizione del vecchio Consiglio d'amministrazione, sostituendovi quella attualmente in vigore e regolando inoltre in modo più razionale e moderno le norme direttive per lo svolgimento della vita amministrativa dell'Ente. In base alle disposizioni del nuovo Statuto, il numero dei membri del Consiglio fu ridotto ragionevolmente da 16 a 9 soltanto. In omaggio alle tradizioni del passato ed all'impegno preso nel rogito di separazione, fu mantenuto al Priore della Confraternita il titolo di membro onorario. Al Prefetto - col tempo sostituitosi al Vicario di Polizia nella carica di Conservatore dell'Opera, ed al quale in tempi più recenti era poi stata dal Sovrano delegata la facoltà di elezione dei membri della vecchia Direzione - fu conservato il diritto di nomina di due amministratori, mentre al Comune di Torino, in riconoscimento delle sue benemerenze per la gratuita cessione del terreno su cui sorse il Manicomio, venne attribuito lo stesso diritto per un altro membro. Infine, PoiChè dalla legge era stato totalmente accollato alle Provincie l'onere del mantenimento dei mentecatti poveri ed il R. Manicomio aveva assunto il servizio per conto della Provincia di Torino, come logica conseguenza, al Consiglio Provinciale fu deferita la nomina dei restanti sei amministratori. In simil guisa alla Provincia, che dell'Opera Pia era ed è la principale finanziatrice, veniva assicurata la maggioranza nella composizione del nuovo Consiglio, fornendole così il mezzo più atto ed efficace di sindacarne in modo continuo la gestione. A salvaguardia dell'autonomia dell'Ente fu al Consiglio riservata la nomina del Presidente. La nuova Amministrazione entrata in carica nel 1910 si trovò subito di fronte a due ponderosi problemi, che richiedevano entrambi una pronta e sollecita definizione. Il primo di essi fu la compilazione voluta dalla legge sopra ricordata di un completo Regolamento Organico dell'Opera Pia, riorganizzante tutto il servizio medico ed amministrativo, nelle sue varie suddivisioni, collo stabilire in modo preciso e minuto le attribuzioni singole dei funzionari e dei salariati, i loro diritti ed i loro doveri; lavoro di profondo studio e di perfetta riuscita, che, tranne qualche modifica imposta da mutate esigenze di servizio, è in gran parte tuttora in vigore. Ad esso fece subito seguito la compilazione del Regolamento speciale disciplinare, pure richiesto dalle nuove disposizioni legislative sui Manicomi. Ma il secondo problema richiedeva in effetto tutta l'attenzione e buona volontà del nuovo Consiglio, e solo per il valore amministrativo indiscutibile ed indiscusso dei suoi componenti, capeggiati da quella fulgida figura di amministratore sagace e sapiente che fu il compianto Senatore Palberti, si riuscì ad averne, almeno in parte, ragione. Era ancora l'eterna questione dell'affollamento che si ripresentava in tutta la sua gravità ed urgenza. Il numero dei ricoverati nelle due Case, infatti, che fino al 1904 si era mantenuto sulla media di 1600, per un'infinità di cause che sarebbe troppo lungo enumerare, aveva ripreso il suo vertiginoso cammino ascensionale, superando nel 1911 la cifra di 2500. E poiché per il passato la Provincia di Torino, aveva potuto, per fortunata situazione di cose e con evidente vantaggio sulle altre Provincie, evitare la gravosa ed inutile spesa dell'erezione di un Manicomio proprio e servirsi invece di quello già esistente e gestito dall'Opera Pia, ad esso affidando i maniaci posti dalla legge a suo carico, e ciò colla semplice corresponsione di una retta, che fu sempre la più bassa di quelle vigenti negli altri manicomi del Regno, alla Provincia stessa si rivolse allora l'Amministrazione, non potendo affrontare, coi soli suoi mezzi, la spesa di costruzione di un nuovo edificio. Sorse cosi il Ricovero Provinciale, sito sullo stradale di Pianezza, costrutto a cura e spese della Provincia, su progetto dell'Ing. Comm. Corazza e destinato ad ospitare oltre 550 alienate croniche, tranquille, la gestione del quale venne affidata al R. Manicomio. L'apertura della nuova Casa, avvenuta nel 1913, fu un vero respiro di sollievo per le altre due Case esistenti, ma fu un respiro di troppo breve durata, poiché, per un curiosissimo fenomeno che sempre ebbe a verificarsi in simili casi e che sarebbe assai interessante studiare, i vuoti fatti vennero ben presto riempiti. Si fu allora che dalle due Amministrazioni unite e concordi, la grave questione venne affrontata in pieno e studiata una soluzione radicale, colla costruzione di un nuovo Manicomio, rispondente a tutte le moderne esigenze della scienza psichiatrica, da erigersi a breve distanza dalla Città, abbandonando così al suo destino il vecchio edificio di Torino, che, non appena ultimato, già si era rivelato insufficiente ed inadatto al suo scopo e fin d'allora destinato al piccone demolitore per aprire le nuove arterie necessarie alla vita cittadina, per la quale costituisce, colla sua posizione ormai centrale, un ingombro poco desiderato. Venne a tale scopo acquistato un ampio appezzamento di terreno in territorio di Grugliasco, di fronte quasi al Manicomio di Collegno, e con sollecitudine redatto dall'Ufficio Tecnico provinciale, convenientemente sussidiato dal competente parere della Direzione Medica del R. Manicomio, il nuovo completo progetto. Già stavano anzi per pubblicarsi gli avvisi d'appalto, allorché lo scoppio della grande conflagrazione europea faceva necessariamente sospendere l'esecuzione del progetto stesso e rinviare ogni cosa ad epoca più opportuna. Il brutto periodo dell'immediato dopo guerra, quando in un momento di follia collettiva tutto pareva che dovesse crollare, rendendo vani tanti sacrifici compiuti ed i risultati conseguiti dalla luminosa vittoria dei nostri eroici soldati. ebbe per conseguenza, nella nostra Opera Pia, di travolgere l'amministrazione in carica impotente ad arrestare, senza scapito del proprio prestigio e della propria dignità, il movimento di agitazione verificatosi nel personale salariato dipendente. Ad essa successe ancora per breve tempo nel 1920 un'Amministrazione straordinaria impersonata da un Commissario Prefettizio, il quale, dando prova di non comune abilità e di opportuno tatto non disgiunti da una dignitosa fermezza e da un forte volere, efficacemente coadiuvato dai dirigenti i servizi, seppe tener fronte agli avvenimenti, superare la grave crisi ed in pochi mesi ricomporre l'amministrazione regolare, che giustamente lo volle a suo Presidente. L'affollamento in questo frattempo prendeva delle proporzioni sempre più allarmanti, quali mai si erano in passato verificate, raggiungendo e superando i ricoverati il numero di 3300; e mentre si studiavano tutti gli espedienti possibili per rimediarvi adattando locali, altri occupandone prima destinati a diverso uso, affrettando le dimissioni fin oltre al limite normale, pur di speculare su pochi letti resi giornalmente disponibili, si dovette ancora, per necessità dolorosa, ma impellente ed ineluttabile, ricorrere al sistema di successivi trasferimenti di nostri ricoverati in altri Manicomi ed Ospizi del Regno: a Venezia, a Dolo, a Budrio, a Cingia de Botti, a San Bassano, ecc., dovunque si sapeva che eranvi posti disponibili. Riprendeva però la Provincia di Torino appena le fu possibile lo studio di un progetto ridotto di erezione di qualche padiglione sul terreno di Grugliasco, ma una volta ancora lo smembramento della Provincia stessa nelle due minori circoscrizioni di Torino e di Aosta. doveva necessariamente portare ad un ulteriore ritardo nella realizzazione della decisione adottata. E' a ritenersi però che, superata ogni difficoltà, le Amministrazioni delle due Provincie e quella Manicomiale potranno presto procedere concordi nel porre mano finalmente ai lavori per il nuovo Ospedale. Ed è quanto mai sintomatico e di felice auspicio, il fatto che proprio nell'anno in cui il R. Manicomio celebra la data della sua bicentenaria esistenza, si veda dar principio alla nuova costruzione destinata ad ospitarlo, ripetendosi, per una singolare coincidenza di cose, quanto già si era verificato in passato, nel 1828, nell'occasione del suo primo centenario. Quale sarà nell'avvenire l'ordinamento dell'Istituto non è possibile di pre- vedere. E' però in ogni ipotesi certo che esso, saldo nella sua essenza e nelle sue alte finalità, fiero della bicentenaria benefica opera compiuta nel campo inesauribile della carità e dell'assistenza ospitaliera, continuerà a svolgere nobilmente la sua missione a sollievo di una fra le più grandi sventure umane, memore di ripetere le sue origini dalla ferma. illuminata e provvida volontà di un Re della nostra Dinastia ed orgoglioso della protezione sempre nel passato accordatagli da Sovrani e da Principi, protezione ed interessamento che- ebbero gradita conferma dalla visita che si è degnato di fare alla maggior sede dell'Istituto il 28 marzo 1925 S. A. R. Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d'Aosta, altrettanto valoroso in guerra quanto sollecito nelle opere che tendono al pubblico bene. RINO FALCONIO. |